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Autore: Ellie_x3    02/04/2014    6 recensioni
"Lucretia" fu certamente il primo e l'ultimo nome a sfiorare le mie labbra.
Lucretia, in una tomba di fango.
Lucretia, in vestito bianco.
Lucretia, cantava a bocca chiusa. In delirio.
Lucretia, viva e basta.
Che trascinò con sé nell'ombra anche me, il mio corpo ed i miei sentimenti.
Genere: Dark, Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Il mio nome è Lucretia. 
Amavo un Lord, ma ci sono luoghi in cui non c'è posto per l'amore.
Temevo la tomba, ma non sapevo quanto breve sarebbe stato il mio soggiorno in quella cassa di legno.

Mi chiamavano donna; la nebbia fra le tombe mi ha parlato diversamente.




 

Second Sight- Graveyard
Loss
 

"Build it up with wood and clay,
Wood and clay, wood and clay."

London - 1876]


 
La prima cosa che sentii fu un forte odore di terra smossa, di bagnato e di legno.
Fu così forte da farmi credere di essermi svegliata in una foresta secolare, nel regno di fate e nani.
Sotto il velo calato delle palpebre vedevo nero; mi pareva di non avere la forza di aprire gli occhi e una voce mi suggeriva che comunque sarebbe stato inutile, che non c’era nulla da vedere.
Non foresta, non spiriti. Non campi di terra rivoltata.
Solo il buio.
Non la mancanza di luce, ma l’invenzione dell’anti-luce.
La quintessenza del nero.
Il vuoto.

Mi resi conto di essere distesa. Mi fu difficile rendermene conto, avendo passato gli ultimi mesi in un letto: le gambe erano molli e pesanti sotto la carezza del lino, la cui leggerezza mi sembrava invece fuoco, sale sparso sulla pelle piagata dalle ginocchia in giù.
Mossi la testa.
C'era qualcosa di duro sotto di me e, ogni volta che tentavo di voltarmi, ciocche di capelli spettinati mi finivano in bocca, appiccicati al viso dal sudore.
Faceva caldo.
Faceva freddo.
Era stretto, strettissimo. Una farfalla, nel mio quadrato di mondo, nella mia prigione, non avrebbe potuto battere le ali.
Il languore si tramutò gradualmente in panico, stringendomi le viscere con la sua stretta gelita, man mano che la burla alla quale ero stata sottoposta si faceva più chiara, ed i suoi contorni si delineavano con cruda chiarezza.
Muovi le mani, trovi legno. Muovi la testa, trovi legno. Legno che preme sui piedi e sui fianchi.
Con una stretta alla bocca dello stomaco mi resi conto di giacere in una tomba.
Spalancai gli occhi, e subito li richiusi per via della polvere.
Li riaprii, sbattendo le palpebre. Non fu davvero un cambiamento: tanto era scuro in me quanto lo era fuori.
Non c’è posto per il sole, sottoterra.
Non c’è più posto, pensai in quel folle attimo, per il sole.
Non a me-
Vi prego, non io.
Le mie mani inciamparono, cieche, nel coperchio della bara. Le unghie vi rasparono contro. Schegge si infilavano nei miei polpastrelli, facendomi male, facendomi sanguinare.
Non mi importava.

Vogliouscirediquivogliovipregoqualcunofareiqualsiasicosa.
Vi prego.
Ora.
Non voglio.
Non posso.
Ho paura. Paura, vi prego, ne ho tantissima.
Vipregosalvateminonvogliomorire. Oh, Dio. 

Strillai e ne venne un urlo senza suono, inghiottito da sangue, vermi e fetore mortale.
Sarei morta.
Di nuovo.
A funerale celebrato ero già stata inviata verso Dio: che io volessi vivere o no, poco importava.

Ho paura. E’ buio. C’è puzza. Non voglio.

"Non sono morta", mormorai; stavolta ero certa di averlo detto ad alta voce. Non un muto muoversi di labbra, ma una richiesta d’aiuto.
Eppure, nel mio cuore dal battito impazzito, sapevo che nessuno mi avrebbe sentita.
O così pensavo.
Improvviso come il risveglio, come il destarsi della coscienza, venne il tuono.
Non fu preceduto da un rumore di scavi o di voci, ma così come inizia un temporale estivo, senza preavviso, il rumore del legno spaccato mi colpì e venni investita da una valanga di terriccio e radici. Viscidi, mi scivolavano addosso mentre mi sentivo strappare fuori dalla mia prigione.
Una mano –umana, cinque e dita, ne ero più che certa!- mi prese per il polso, trascinandomi con tanta foga da strapparmi il sudario e tagliarmi sulle schegge del legno squarciato.
Respirai e la bocca mi si riempì di terra.
Ma non importava: stavo per essere salvata.
Vivi. Vivi, Lucretia.

Mi avevano sentito.
Non so come, né perchè.

Ce la stai facendo. Stai vivendo.
Ancora poco, e vivrai per sempre.
Non riuscii nemmeno a pensare, o a morire di spavento o per soffocamento o per qualsiasi altra cosa: un attimo prima sentivo il respiro della morte, quello dopo ero sotto le stelle.
Sì, ero sporca e senza fiato, ma l’aria fresca della sera mi sfiorava ed io sentii la vita. Forse troppo.
Vomitai.
 

 

#



Quando ripresi coscienza di chi fossi, di dove mi trovassi e della situazione da cui ero appena uscita, avevo la gola riarsa e in bocca il sapore pungente della bile.
Ma ero più lucida, anche se svuotata, e finalmente mi concentrai su chi mi aveva salvato e che, senza muovere un dito e rimanendo in silenzio, mi aveva guardata rigettare.
Ora era in ginocchio e non provava nessuna paura nel mostrarsi ai miei occhi, nonostante fosse terribile.
Non so cosa fosse, ma certamente non era un essere umano. Una parte era carne e ossa, con un viso dai tratti affilati e lunghi ciuffi di capelli scuri che gli cadevano sugli occhi. L’altra parte, che era un'entità a sé, pareva composta di fumo denso e scuro.
Mentre la Carne mi rivolse un ghigno che di cordiale non aveva nulla, sul viso dell’Ombra si aprì in una mezza luna trasparente, che lasciava vedere il paesaggio oltre la figura.
“Salve, Lucretia.”
Non sapevo come potesse conoscere il mio nome ed io mi irrigidii quando la sua risata mi accarezzò. La Carne parlava, ma l’Ombra mimava e non produceva suono.
“Non avere timore. Non ti succederà nulla.”
“I...“
“Non parlare.” Mi intimò, bruscamente, ed una linea comparve improvvisamente sulla fronte pallida della Carne. Ma fu un istante: i suoi occhi color notte persero immediatamente quell’assurda, repentina oscurità, e il viso si distese. “Pazienta. Hai avuto paura, là sotto. Io ti ho sentita. Noi ti abbiamo salvata.”
Noi.
Mi stupii che parlasse dell’Ombra come di un essere staccato, ma, guardandola con più attenzione, notai che i movimenti dei due erano differenti.
La mano della Carne si tese verso di me, andando però a sfiorare il bordo della mia gonna; dove c’era stato bianco, ora era sporco.
Mi ritrassi con un gemito, nonostante le gambe fossero dure e immobili come ramoscelli: il leggero formicolio dalla carezza delle dita del mio salvatore che scostavano la stoffa fu tutto ciò che sentii.
“Pazienta.” disse, laconico. “Non vogliamo farti del male.”
E stavolta fu l’Ombra a muoversi, sganciata da qualsiasi spiegazione razionale. Il suo indice tracciato dal fumo tremante si posò sulla mia gola, e sentii gelo.
Lucretia, Lucretia, caduta dentro al pozzo.” Canterellò Carne, inarcandosi. Prima ancora di sentire le labbra contro la mia caviglia, la consistenza morbida dei suoi capelli mi sfiorò la gamba.
Erano caldi, bollenti, innaturali.
Quella notte era spaventosa e pregavo che finisse. La sensazione, però, era quella di essere stata dimenticata da Dio.
Lucretia, Lucretia, che gran fortuna che ci fossero i Fratelli a salvarti.”
La carezza di Ombra mi sfiorò la giugulare, il mento, le labbra. Poi riscese sul collo e lo sterno, tracciando i contorni delle ossa.
Carne cantava sommesso, la bocca ad un soffio dalla mia pelle piagata.
“Lucretia, Lucretia sudicia e tentatrice, dai una ricompensa ai Fratelli che passavano per caso? Che fortuna.”
Che gran fortuna, Lucretia.
Morta e risorta e di nuovo nelle mani del diavolo.
Ombra affondò le sue mani impalpabili fra i miei capelli sporchi. Erano spiacevoli, fredde, e sussultai quando si posarono sulle mie orecchie, sulla mia nuca, sulla mia schiena.
Lucretia, Lucretia, che si doveva sposare. Ma è caduta nel pozzo ed aspetta di uscire. Lucretia, sepolta, che attende ed attende. E i Fratelli la sentono.”
Carne sembrava un bambino assonnato: ciondolava con la testa, tutto accucciato, e teneva fra le lunghe dita pallide la mia gamba. Poco più in su, un taglio da cui usciva una mezza scheggia di legno sanguinava disegnando un lungo, rosso torrentello lungo la cute.
Di nuovo, Ombra si aprì in un sorriso senza volto.
“Lucretia, che gran fortuna. Sei caduta nel pozzo, ma Legno e Argilla ricostruiranno un ponte dove acqua e fango hanno distrutto.”
Sanguinavo sempre di più, nonostante non sentissi alcuna pressione sulla ferita, e nel suo dondolare Carne si avvicinava al taglio.
Ora lo sfiorava e ora lo dimenticava.
I Fratelli la sentono, recitava la nenia dei miei salvatori.
Ma nessun altro avrebbe sentito noi.
Avrei urlato, se non avessi avuto Ombra ad un soffio; quando le sue labbra di vento calarono sulla mia bocca socchiusa, ancora sporca di terra e radici, Carne smise di cantare.
Si aprì in un sorriso zannuto e accettò la mia ferita come dono e pegno, affondandovi i denti.


 

"Build it up with wood and clay,
My fair lady."

 

   
 
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