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Autore: itsonlyme    05/04/2014    3 recensioni
Se ti ritrovi a correre a perdifiato in un tunnel, di cui non vedi neanche uno spiraglio di luce ad indicarti l'uscita, ma poi trovi una scorciatoia che ti conduce ad un posto nuovo, cosa fai?
Dal primo capitolo:
Mossi l’aria che ci circondava. Il suo profumo mi entrò nelle narici, forte e dolce contemporaneamente.
Lui, sentendo la mia presenza, si girò a guardarmi per due secondi.
In quei due secondi mi rivolse un accenno di sorriso che mi fece perdere un battito, mancare la terra da sotto i piedi, poi tornò alla lettura, senza nemmeno darmi il tempo di ricambiare.
[ziam/side pairing larry]
Genere: Fluff, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Zayn Malik
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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I admit
I’m a bit of a victim in the worldwide system too

But I find my sweet escape
when I’m alone with you.

 


 
 
 
 
Quando entrammo il calore della stanza, profuso dal camino, ci avvolse e lo sbalzo di temperatura mi provocò un brivido. L’ingresso del locale era piccolo e vuoto.
Le pareti di pietra ospitavano dei vasi di fiori dai mille colori. Il caminetto, aveva di fronte due divanetti tappezzati con stoffa color pesca. Zayn, al mio fianco, aveva gli occhi illuminati, probabilmente dalla curiosità. Vedevo le fiamme del caminetto riflettere nelle sue iridi. Mossi un solo passo, poi una ragazza ci raggiunse.
«Buonasera ragazzi.» ci salutò, molto educatamente. Poi, «Oh, ciao Liam!» aggiunse, sorpresa.
«Ciao Helena, quanto tempo! Lui è Zayn.» spiegai, indicando il moro, giusto un passo dietro di me. La ragazza gli porse la mano e lui la strinse, per poi lasciargliela giusto un paio di secondi dopo. Sapevo che era sorpresa dal vedermi in compagnia e non solo, come sempre. Dopo le solite domande di routine, le domandai della prenotazione.
«Ricordo ancora qual è il tuo posto preferito, ho segnato quello.» gracchiò, quella. Io annuii e le sorrisi. «Per cui, sai già dove andare, quando sarete pronti per mangiare vi raggiungerò.» continuò, essendo a conoscenza dei miei gusti.
«Certo, grazie.» risposi io.
In pochi passi raggiungemmo l’ingresso dell’ampio e suggestivo giardino illuminato, ricco di odori e colori, ben curato e abbellito da qualche statua e ruscello naturale. L’aria era piuttosto fresca e profumata di fiori che rendevano tutto più bello, il venticello ci scompigliava leggermente i capelli. Scesi sull’erba morbida ci regalammo qualche momento per osservare il posto. Davanti a noi, in mezzo al prato ben curato, un vialetto in pietra grezza, ci conduceva alla riva del lago.
Sussurrai un ‘vieni’ a Zayn, che mi seguì senza esitare, e lo scortai proprio fino a lì. Lo trovai uguale, proprio come sempre: circondato da erba, roveti, cespugli con fiori di vario tipo e alberi alti. Era una zona parecchio riservata, ottima per rilassarsi, per staccare la spina.
Il moro continuava ad essere silenzioso. «Zayn, tutto ok?» domandai. Lui annuì. «Perché non parli, allora? Se c’è qualcosa che non va basta dirlo, possiamo pure and-» cominciai. «Smettila di blaterare, è tutto bellissimo, Liam.» disse, in un tono dolce, sorridendo.
Non potevo dichiarare di conoscerlo molto bene, ma sapevo quanto era riservato, che preferiva ascoltare piuttosto che parlare solo che averlo così vicino, solo con me per la prima volta, mi metteva una certa ansia, che mi spingeva ad essere tanto agitato da pretendere l’impeccabilità di tutto, facendomi finire nel ridicolo.
«Ci sediamo qui?» mi domandò lui, indicandomi l’erba morbida e fresca ai nostri piedi. «Certo.»
Rimanemmo parecchi minuti in silenzio, a contemplare la bellezza e la calma di quel posto che colpiva chiunque. «Sai, la prima volta che sono venuto qui, era a pochi giorni dalla mia fuga da Wolverhampton.» iniziai. Lui non si voltò, ma sapevo che mi stava ascoltando. Sorrise alla parola “fuga”, probabilmente perché gli aveva riportato in mente il nostro primo incontro, proprio come a me. «Mi ero addormentato sul divano di casa, dopo non aver chiuso occhio tutta la notte, ma quel sonnellino fu pure peggio dell’insonnia. Sognai una delle prime volte.» raccontai, sospirando piano. Volevo metterlo a conoscenza di ciò che mi era successo, ma dovevo pesare le parole, sia per me che per lui. Non volevo che si angosciasse o che provasse pena per me, in alcun modo. Abbassai lo sguardo sulle mie mani, che stavo torturando. Un brivido mi percosse la schiena, il freddo cominciava a farsi sentire. «Quel giorno, Jonathan e Marcus, due dei quattro, erano assenti. Credevo che, almeno per un giorno, avrei potuto scansarmela. Ma mi ero illuso. Così, invece di andare a pranzare dentro la cabina angusta e puzzolente del bagno, come facevo ogni giorno, andai a pranzare sotto un albero, poco distante dalla mensa.» continuai, scandendo bene ogni parola. Sollevai lo sguardo avanti a me, e osservai il cielo blu scuro della sera. Zayn voltò la testa per guardarmi, in un movimento lento, voleva solo studiarmi, capire come stavo. «Ero sereno, mangiavo una sottospecie di polpette e purea di patate e insalata di cose a caso, ed ero talmente concentrato a scartare da quella poltiglia ciò che mi faceva più ribrezzo, che non mi accorsi che i rimanenti due, mi avevano raggiunto, per farmi digerire quel poco che avevo appena ingoiato.» sollevai l’angolo sinistro delle labbra in un sorriso amaro. E, poi, rimasi in silenzio, per far scivolare su di me quelle parole che io stesso avevo pronunciato, per assorbirle, per evitare di mettermi a singhiozzare sotto gli occhi di uno Zayn, probabilmente già turbato.
«Quando avevo quattordici anni, mi invitarono ad una festa.» parlò lui, sorprendendomi.
Stavo per aprire bocca per dirgli che non era obbligato a raccontarmi qualcosa di lui, ma lui mi bloccò immediatamente con un gesto, intuendo le mie intenzioni. «Avevo insistito tanto per andarci, perché c’era il ragazzino per cui avevo una stupida cotta.» sorrise, io di rimando. «E ci andai davvero. Solitamente i miei genitori, severi per come sono, non mi accontentavano quasi in niente, ma quella volta ero riuscito a convincerli. La festa fu carina, avevo passato la maggior parte del tempo appiccicato a quel ragazzino, che pareva ricambiare i miei sentimenti. Mio padre mi aveva detto che sarebbe venuto a riprendermi alle undici, e conoscendo la sua puntualità, qualche minuto prima mi ero fatto accompagnare in giardino proprio da Anthony per aspettarlo.» raccontò. Lo ascoltavo, completamente assopito. «Ci scambiammo qualche innocente bacetto. Ero così felice…»
«Ma quella felicità fu così effimera, che neanche ebbi il tempo di rendermene davvero conto» spiegò ancora.
«Mio padre era arrivato solo qualche secondo dopo di noi e mi aveva visto baciare Anthony. Un paio di minuti dopo suonò il clacson, e io, ignaro di tutto, salii in macchina come se nulla fosse successo. I giorni successivi furono un completo incubo.» il suo tono di voce era calmo, il suo modo dolce di sbiascicare le parole mi ammaliava completamente, dandomi  modo di assorbire ciò che mi stava raccontando.
«Zayn, che ne dici se andiamo a mangiare qualcosa? Poi possiamo tornare, abbiamo tutto il tempo che vuoi. Possiamo stare quanto ci va.» proposi, per smorzare la tensione creatasi. Lui annuì, così mi alzai e gli porsi una mano per aiutarlo, la accettò con un sorriso e si sollevò facilmente dal prato. Gli lasciai la mano, forse imbarazzato, anche se avrei voluto tenergliela giusto ancora un po’. La morbidezza delle sue dita mi faceva già fantasticare su quanto sarebbe stato bello poter sfiorare la pelle delle sue braccia e del suo viso. Mi riscossi, quando lui mi chiamò. Ruotai la testa e fissai gli occhi nei suoi, mentre camminavamo accanto. Alzai semplicemente un angolo delle labbra, e quello mi bastò per far schiudere le sue in uno di quei suoi sorrisi che riscaldavano il cuore.
Entrammo di nuovo all’interno della struttura, lo scortai in una stanzetta con un unico tavolo al centro, apparecchiato per due; sapevo fosse quella per noi riservata. Ciò che amavo soprattutto di quel posto era la privacy. C’erano dieci stanze di diverse dimensioni, ogni stanza conteneva un unico tavolo, anche quello variava di dimensioni.
Il caldo del camino in fondo alla stanza, ci travolse immediatamente, ancora una volta.
Ci togliemmo i giubbotti e ci accomodammo uno di fronte all’altro. Helena, la ragazza che ci aveva accolti, ci raggiunse, consultammo velocemente i nostri menu e ordinammo le pietanze che più ci aggradavano, per poi rimanere soli, ancora una volta.
«E’ molto bello qui.» prese lui la parola, cominciando a giocare col tovagliolo rosso. Io annuii, «Sembra di esser separati dal resto del mondo» dissi, «E’ per questo che mi sono rifugiato qui, quella volta, e le successive» aggiunsi, sospirando piano.
Lui alzò gli occhi su di me, e li fissò nei miei. Sentii il sangue fluire alle mie gote. «Parlamene ancora, se vuoi.» disse, poi. E mi aprii a lui, come con nessuno avevo fatto. Oltre ad avergli raccontato i fatti, gli avevo descritto le mie emozioni, finché lui, con gli occhi lucidi come i miei, non mi aveva fermato, pensandomi di avermi fatto del male, a farmi parlare del mio passato. Le mani mi tremavano quasi, «Mi dispiace, non volevo farti stare male, Liam.» si scusò, anche se non aveva nessun motivo di farlo, per cui lo incitai al silenzio e parlai. «Mi piace quando dici il mio nome.» sorrisi. Lo vidi arrossire allora, forse per la mia affermazione, forse per il calore all’interno della stanza. La ragazza dolce dai capelli neri, ci portò i nostri primi piatti, e fra le chiacchiere iniziammo a mangiare. Ridevamo, giocavamo, raccontandoci aneddoti della nostra infanzia, anche dettagli imbarazzanti. Ci eravamo allontanati dalle nostre ansie e tormenti. Con lui riuscivo ad aprirmi, ci riflettei in un attimo di silenzio, così facilmente che neanche mi rendevo conto di parlare a ruota libera. «Fermami se ti annoio, anzi, so di essere logorroico.» dissi, mettendo in bocca una patatina subito dopo. Lui rise, «Sei scemo, non logorroico» rispose, poi, masticando anche lui. Gli tirai una patatina e lui rise.
Il resto della cena trascorse quasi normalmente e serenamente. Non sembravamo, di certo, una di quelle sdolcinate o formali coppie ordinarie. Dopo il dessert, fu lui stesso a propormi di tornare in giardino.
Dopo esserci accomodati di nuovo sul prato alla riva del laghetto, avevamo ripreso a parlare un po’ di noi.
Mi resi conto che ciò che aveva vissuto lui, il dolore che aveva sopportato poteva essere equiparato a quello che avevo provato io.
«Dopo la settimana infernale in cui mi aveva rivolto parola solo per riempirmi di insulti e accuse, raccontò tutto ai miei familiari.» continuò con il suo racconto, con la sua solita e dolce cadenza del tono di voce.
«Io ero diventato quello sbagliato della mia famiglia. Nessuno mi guardava più con gli stessi occhi di prima. Le mie sorelle mi evitavano, mia madre non faceva altro che lanciarmi sguardi pieni di pena per me. La sua pena era l’ultima cosa che mi serviva, avevo solo bisogno di qualcuno capace di accettare la mia verità e continuare a starmi accanto.» proseguì. «Credevo che col passare del tempo le cose sarebbero cambiate, in meglio, ma niente è cambiato mai di una virgola, anzi, le cose sono peggiorate.» io annuii, con un nodo in gola. «Mio padre mi lasciò del tempo, mi punì in tutti i modi che conosceva, anche tenendomi chiuso in camera per ore infinite, credendo che qualcosa sarebbe cambiato, voleva inculcarmi in testa il fatto che io ero sbagliato, ma quel tempo trascorso in solitudine, capii che l’unica cosa sbagliata era il suo pensiero.» annuii.
«E adesso?» chiesi. «Adesso, lui non lo sento da molto tempo. Mia madre raramente. Waliyha è l’unica che mi chiama spesso, e cerca di passarmi sempre Safaa.» sorrise, come sconfitto. Ci raccontammo altro di noi, durante il resto della serata. Cominciavo a sentire, nella mente, nel cuore, i pezzi del puzzle che iniziavano a unirsi, a combaciare, creando una tela perfetta, rappresentante la mia e la sua vita intrecciate, le nostre anime a coincidere, le nostre mani strette, le nostre vite legate.
Fra strette di mano, sguardi intensi tanto da bruciare, e occhi lucidi, eravamo arrivati davanti casa sua.
Mi sentivo in imbarazzo proprio come succedeva nei film d’amore.
Lì, giusto in quel momento, mi chiesi se si trattava di una mera fantasia, se fosse tutto frutto della mia mente. E mentre la mia mente si lasciava andare a quei frivoli e futili pensieri, ci eravamo ritrovati accanto alla porta d’ingresso. Lui poggiato con le spalle al muro, a fianco della porta, io di fronte a lui.
Il cuore mi batteva forte, fortissimo, lo sentivo nelle orecchie.
«Sei molto nervoso, e in imbarazzo.» constatò. «Rilassati, non ti farò alcun male. Ok?» scherzò.
Arrossii. Con lui, fingere era praticamente impossibile. Mi leggeva tanto facilmente quanto i suoi romanzi preferiti. Aveva capito soprattutto la ragione del mio eccessivo nervosismo. Ormai da anni non mi avvicinavo più così a qualcuno, avevo avuto paura che anche il più piccolo contatto avrebbe potuto scottarmi la pelle.
«Sei carino quando arrossisci.» aggiunse, con un sorriso divertito. Chiuse la mano quasi a pugno e poggiò le falangi sulla mia guancia imporporata, a mo’ di carezza. Velocemente mossi la testa verso la sua mano per approfondire il contatto e poggiai la mia mano sulla sua.
«Sono stato molto bene, stasera.» cominciò, «E anche se questa sembra molto una frase fatta, da film melensi o da libri, è davvero ciò che penso».
Spostai la sua mano dalla mia guancia e intrecciai le nostre dita. Nel farlo, mi resi conto di quanto con lui riuscivo ad essere spontaneo, a seguire il mio istinto, a lasciarmi accompagnare solo dal battito del mio cuore. Stava lentamente dissolvendo la mia maschera, abbattendo il mio muro, con molta, molta pazienza.
Poi sorrisi. «Anch’io sono stato bene, con te.» dissi.
«Magari questa volta non aspetteremo così tanto per vederci.» ammiccò. «Esatto, proprio per questo domani mattina andiamo a fare colazione insieme.» risposi, con tranquillità. Mi lasciò la mano per prendere il cellulare, e controllare –probabilmente- i turni di lavoro. «Domani mattina lavoro.» disse, con un pizzico di dispiacere. «A che ora inizi il turno?» chiesi. «Alle dieci.»
«Bene, alle nove passo a prenderti, facciamo colazione e poi ti accompagno a lavoro.» spiegai il mio “piano” sorridendo, lui provò ad aprir bocca. «Non provare a ribattere, non era una domanda ma un obbligo.» continuai. Lui rise di cuore. «Liam, sei insopportabile.» scherzò, con un tono quasi infantile. «Ti odio» «Chissà perché non ti credo, caro». Mi fece una linguaccia. «La convinzione è quella che frega.» mi punzecchiò, «Buonanotte, Liam.» disse, poi, staccandosi dal muro e poggiandomi le mani sui fianchi.
Sorrisi, quando sentii le sue labbra poggiarsi sulla mia guancia. Il contatto e l’eccessiva vicinanza, mandarono il mio cervello in tilt. «Buonanotte Zayn.» sussurrai al suo orecchio, prima di lasciargli un bacio nella tempia.
Ci lasciammo con un sorriso sulle labbra.
Io probabilmente mi stavo autodistruggendo la mascella, ma poco m’importava.
Un secondo prima di salire in macchina, mi girai di nuovo verso di lui che stava per entrare in casa dopo aver fatto girare la chiave nella toppa, e il mio cuore perse un battito quando mi schiacciò l’occhio e mi mandò un piccolo bacio.
Era folle, assolutamente folle. Avevo perso la testa. Completamente. Una tredicenne e io eravamo praticamente la stessa, identica cosa. Assurdo. Nella mia testa non vedevo altro che lui.
Cosa mi hai fatto?
Quando, dopo una giornata sfiancante, ma stupenda, poggiai la testa sul cuscino dalla federa blu, sorrisi un’altra volta. Come se non ne avessi avuto mai abbastanza.  «Sono un vero deficiente, un vero deficiente.» mi dissi, ad alta voce.
Dopo qualche minuto speso a sentire nella mia mente la sua voce, mi addormentai con la speranza che avrei dormito serenamente.
Evidentemente mi sbagliavo.
Mi svegliai di soprassalto alle 2:36, avevo controllato la sveglia, precedentemente puntata per le 8:15, sul comodino. Accesi la luce dell’abatjour, poggiai la mano sul petto e sentii il cuore scalpitante sotto le mie dita.
Mi scostai le coperte di dosso, erano diventate troppo calde, soffocanti. Nell’arrivare in cucina, accesi tutte le luci che mi capitavano, proprio come fanno i bambini che hanno paura che qualche mostro salti fuori e li mangi. Bevvi acqua fresca, dissetandomi, e bagnando le mie labbra completamente arse dalla paura, dai respiri affannati. Poi, una volta entrato in bagno, mi sciacquai il viso con l’acqua ghiacciata. Alzai gli occhi sullo specchio, la mia figura mi fece quasi ribrezzo.
Le occhiaie violacee, le labbra screpolate e rosse, troppo spesso torturate dai denti, gli occhi vuoti, spauriti. Poggiai le mani sul bordo del lavabo.
Il nervosismo si prese possesso di me, mi stavo rovinando da solo. Cercavo di combattere contro i mostri del mio stesso passato, cercavo di mostrarmi indifferente a loro, con la speranza di allontanarli del tutto, in modo da pulire la mia mente.
 Ma quei bui ricordi assalirono ancora una volta la mia testa. Avevo paura anche di chiudere gli occhi, terrificato all’idea di rivedere un altro di loro venirmi in contro. La cosa stata diventando troppo pesante da sopportare, più grande di me, mi stava trascinando giù ancora una volta. Urlai, e senza pensarci, staccai le mani dal lavabo, mi strofinai il viso, ne chiusi una a pugno e colpii il vetro dello specchio con una tale violenza da farlo frantumare in tanti pezzi. Un unico rumore sordo. Un dolore lancinante che si diffondeva dalle dita al polso. Liquido rosso scuro a macchiare la mia pelle e la maglia del pigiama. Il vetro sparso ovunque.
Ebbi paura, ancora una volta. Per istinto, sciacquai la mano sotto l’acqua fredda, la avvolsi in una tovaglia e corsi a prendere il mio cellulare.
Scorrendo la rubrica mi resi conto che la persona giusta da chiamare in quel momento era solo Louis. Mi rispose dopo parecchi squilli. La voce impastata dal sonno.
«Pronto?» lo sentii sbiascicare, con la voce roca. Un mio singhiozzo.
«Liam? Che succede?» domandò, con un tono di voce più alto. «Io..» la voce spezzata dall’ennesimo singhiozzo nascente. «Respira, sto arrivando.» chiuse. Mollai il telefono sul materasso e scivolai ai piedi del letto, respirando ancora affannosamente. Mi presi la testa fra le mani, e rimasi in quella posizione per diversi minuti, finché delle mani fredde staccarono le mie dal mio volto. Louis.
Ricominciai a piangere, farfugliando. Mi strinse forte, fino a far quietare il mio pianto disperato e i miei respiri strozzati.
Mi sussurrava all’orecchio che tutto andava bene, e anche se non ci credevo, stavo riuscendo a calmarmi.
Non era la prima volta che Louis mi vedeva in quello stato. Mi sentivo talmente fragile che avrei potuto spezzarmi come un grissino.
Non sopportavo me stesso.
Vedevo la mia forza scemare gradualmente, fino a lasciarmi del tutto, a lasciare dentro me il vuoto che porta la debolezza.
Crisi. Così l’avevano chiamata i dottori la prima volta che mi era successo. Mi capitava spesso di star male durante la notte a causa degli incubi, ma quella volta avevo proprio esagerato.
La gioia, l’illusione, la rabbia, il dolore. Questi, sentimenti così forti se mischiati insieme mi avevano portato a toccare il culmine. Era stato come ingerire un cocktail di alcool potenti. E boom, ero esploso.
Louis si prese cura di me, come sempre.
Disinfettò la mia ferita, fasciandola e mi tranquillizzò fino a quando non mi riaddormentai -come un bambino bisognoso d’affetto-, sognando solo il buio.
 
 I like the summer rain
I like the sounds you make
We put the world away
We get so disconnected
You are my getaway
You are my favourite place
We put the world away
Yeah we’re so disconnected
 
 
 
 
 

 
 
La sveglia disturbò il mio sonno, facendomi aprire gli occhi alle 8:15. Ricordai l’accaduto di poche ore prima a causa del dolore alla mano. Voltai, poi, la testa, trovando Louis addormentato dall’altra parte del letto. Sembrava sereno, le palpebre posate dolcemente sugli occhi, labbra distese, segno di un sonno completamente tranquillo. I capelli completamente scompigliati mi fecero sorridere.
Immediatamente ricordai che avevo promesso a Zayn di portarlo a colazione. Sentivo la stanchezza pesarmi addosso come un macigno. Scesi dal letto e, a piedi nudi, mi trascinai in bagno, sciacquai il viso con l’acqua fredda; neanche quello servì a farmi svegliare.
Quando finii di prepararmi, lasciai un biglietto a Louis –per ringraziarlo, soprattutto- e uscii di casa.
Puntualissimo mi ritrovai davanti casa del moro, che mi raggiunse solo un paio di minuti dopo.
Salì in macchina, con quella sua aria rilassata di sempre, e la trasmesse anche a me. «Buongiorno.» mi salutò, aprendosi in un sorriso, ancora assonnato, che mi affrettai a ricambiare.
 «Buongiorno.»
Misi in moto, «Dormito bene?» chiese, mettendosi comodo sul sedile e osservando la fasciatura nella mia mano destra. «Domanda di riserva?» ironizzai.
«Niente domanda di riserva. Perché no?»
«Ho avuto una crisi» spiegai, tenendo lo sguardo sulla strada. «Immagino quella fasciatura spieghi qualcosa.» disse. «Vuoi parlarne?» domandò.
Arrivammo, e non ebbi il tempo di rispondergli, ma lo feci quando fummo seduti al nostro tavolo.
Cominciai a raccontargli della notte trascorsa, eludendo i particolari.
Ordinammo la nostra colazione e cambiammo discorso più volte, toccando altrettante volte l’argomento crisi.
 
Con lui non era mai noioso. Con Zayn la parola noia veniva eliminata dal mio vocabolario.
Lui era tante emozioni per me, tutte insieme, un’influenza positiva.
Il mio umore era visibilmente cambiato.
Con lui scordavo ogni cosa.
Con lui anche un silenzio valeva un mondo. Le nostre anime si toccavano, e facevano rumore al posto delle nostre voci. I nostri occhi si scontravano, bruciando ed eliminando ogni cosa a noi vicina.
La notte appena passata era stata un mix di sentimenti mai paragonabili a quelli che stavo provando con lui, in quel momento.
Poi cominciò a blaterare sul fatto che avrebbe voluto aiutarmi, facendomi tornare sulla terra.
«Avrei potuto aiutarti io, perché non mi hai chiamato?»
«Zayn, Louis sapeva come aiutarmi e non avrei voluto spaventarti.» quasi mi giustificai.
«Dovevi chiamarmi lo stesso, anche se dormivo e mi sarei preso uno spavento; parliamo di te Liam, non di uno qualunque!» mi rimbeccò. Arrossii per la sua ultima affermazione.
Conto davvero qualcosa per lui?
Il cuore mi batteva nelle orecchie. E lui stava lì, davanti a me, con la sua tazza di cioccolata calda –dello stesso meraviglioso colore dei suoi occhi- fra le mani, a scrutare dentro i miei occhi a spogliarmi di tutti i miei sentimenti e a scoprirmi passo per passo, in ogni più impercettibile sfumatura.
Ci riflettei per circa due secondi, poi mi sporsi sul tavolo con velocità, facendo leva al mio corpo coi gomiti sul tavolo. E, stando attento a non urtare tazze e piatti, poggiai le labbra sulle sue.
E il mondo, attorno a noi, diventò bello.
Meraviglioso.
Chiuse gli occhi, lo imitai.
Il suo buon profumo distese i miei sensi. Il sapore di cioccolata sulle labbra mi deliziò, proprio come la morbidezza delle sue labbra rosee.
Non avev0 idea di cosa stessi facendo. Non sapevo come sarebbe andata a finire. La  sua mano lasciò la tazza e si posò sulla mia guancia, approfondendo il contatto, io non mi tirai indietro. Era come se stessimo ancora parlando. Ogni minuscolo contatto con la sua pelle, con le sue labbra, era come un’altra parola, un altro pensiero. Tutto racchiuso in un piccolo sfioro di labbra, concluso con uno schiocco quasi silenzioso.






La canzone è 'disconnected' dei 5 seconds of summer.







Salvee.
Ho delle cose da dirvi (y)
Prima di tutto, grazie per aver atteso il mio assurdo ritardo. Ringraziate la scuola che mi ruba giornate intere (SE VI IMPORTAVA LOL). Mercoledì parto (yeeeee, can't wait), vado a Strasburgo :') 
Poi, so che questo capitolo fa cagare MAAAAAAAAA per farmi perdonare, anche se non era nei miei piani, ho messo un dolcissimo (credo) primo bacio. Ogni tanto penso d'avere qualche difficoltà ad esprimere ciò che penso e i sentimenti di ogni singolo personaggio. Fatemi sapere ogni cosa. Se notate errori o cavolate o cose simili non esitate a scrivermi anche in un messaggio privato.
Del capitolo ho poco da dire, a parte che non mi convince molto. Abbiamo un primo appuntamento Ziam, che ho descritto proprio penosamente; una delle crisi di Liam, che spacca lo specchio con un pugno, wowowow; Louis cucciolo che lo coccola e, infine,  la colazione e il bacio.
Nel prossimo un po' di larry, i swear. 
Ora vado a dormire. 
Mi auguro di non avervi deluso e di non avervi invogliato a mollarmi qui da sola.
Spero di trovare il tempo e l'ispirazione per scrivere il prossimo capitolo al più presto possibile.
Un bacione, 
Chiara.
  
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