Wow, quante recensioni!! Sono
commossa...scusate per i
miei errori, ma non sono mai stata una grande scrittrice sigh
;(...grazie anche
a chi ha messo tra i preferiti, un bacione grande grande.
3
Strani
incontri
Mentre mi trascinavo semi
incosciente verso il mio
appartamento, non riuscivo a levarmela dalla testa. Chi era questa
ragazza?
Perché mi attirava in un maniera tale da suscitare in me
tutt’altro che la
solita inevitabile freddezza? Concentrato nei miei pensieri cercando
disperatamente di capire cosa stesse accadendo, quasi non mi accorsi di
essere
arrivato a casa.
Avevo ormai capito che era inutile
tentare di
distrarmi, perciò decisi di confidarmi con la sola persona
che aveva sempre
avuto libero accesso al mio cuore e alla mia mente. Presi la foto di
mia madre,
con mano incerta, avevo paura di rovinarla. Rividi i suoi occhi verde
smeraldo,
più brillanti e preziosi di diamanti puri, rivelare un
calore e un amore per la
vita straordinari, persino nei giorni bui, persino nelle sofferenze. I
suoi occhi
erano uguali ai miei, era l’unico ricordo vivo che avessi di
lei, ma i miei
erano freddi, tristi, indifferenti, glaciali, talvolta persino
sprezzanti.
Se gli occhi sono lo specchio
dell’anima, la dicevano
lunga su di me. Un bravo osservatore avrebbe capito
senz’altro che non vivevo,
ma tiravo avanti nell’attesa della Morte,
nell’attesa del momento in cui
speravo ardentemente di raggiungere l’unica persona che
avessi mai amato. Ma
l’angoscia m’invadeva struggente, quando pensavo
che non sarei mai stato degno
di un tale premio. Con la mente viaggiai nei felici momenti passati.
Ormai,
disgraziatamente da sin troppo tempo, era l’unico modo per
trovare un po’ di
serenità, nonostante fosse mista alla nostalgia. Del resto
ero umano, e provavo
dolore.
Cullato dal suo dolce ricordo mi
incamminai verso il
cimitero. Un’altra cosa che amavo di Forks è che
la tomba di mia madre si
trovava lì. Il cimitero poteva apparire spettrale, era
ancora più verde del
resto della cittadina e in alcuni momenti quando era deserto poteva
sembrare
che il vento sussurrasse, ma a me trasmetteva un senso di speranza e
familiarità, e soprattutto non credevo alle leggende
soprannaturali e a varie
altre sciocchezze. Qualora ci fossero stati dei pericoli, la morte non
mi
preoccupava, non la fuggivo, non la scongiuravo. Accompagnato da un
debole
vento giunsi alla tomba di mia madre. Cercai di ricordare il suo dolce
e caldo
profumo, e cominciai a parlarle.
All’improvviso sentii una
strana risata stridula, e
vidi spostarsi una figura, con due occhi di un abbagliante e spaventoso
rosso
sangue. Cominciai a preoccuparmi, ma mi resi conto che forse non ero
davvero
immune all’atmosfera misteriosa e suggestiva del cimitero di
Forks. Tuttavia
una parte di me suggeriva che non era stata la mia immaginazione,
perciò,
ancora un po’ sconvolto, decisi di abbandonare il luogo che
mi stava
addirittura provocando spaventose allucinazioni e mi diressi verso
casa.
Accidenti. Qualcuno mi stava osservando, lei mi
stava osservando.
Combattendo con il desiderio bruciante di voltarmi e perdermi nel buio
dei suoi
occhi, evitai di controllare e alzai il passo.
Arrivato a casa, pensai di
pranzare, forse era la fame
a farmi vedere i fantasmi. Poiché non mi andava di mettere a
soqquadro la
cucina per avere in cambio qualcosa di misero e disgustoso vagamente
somigliante a del cibo, decisi di andare in un qualche posto fuori da
Forks,
chissà, magari un’aria nuova mi avrebbe giovato.
Mi stupii di come stavo
cambiando. Solo qualche giorno fa non avrei nemmeno preso in
considerazione una
simile eventualità. Perciò sperando che il
rottame ce la facesse imboccai
l’autostrada per Port Angeles. Mi fermai alla prima pizzeria
che trovai
davanti, sicuro che non facesse molta differenza. Errore, grave errore.
Entrai in un postaccio dalle
dimensioni quasi uguali a
quelle della mia cucina, umido e sicuramente il contrario del buon
gusto.
Chissà se non era meglio tornare a casa, pensai, se non
altro lì sapevo cosa
potevo aspettarmi. Ancora incerto sul da farsi, una voce che ormai
avevo imparato
a sopportare mi distolse dai miei pensieri.
“Che ci fai qui? Ti
facevo un tipo solitario,
Ed.”.
Ed? Come mi aveva chiamato?
L’irritazione stava per
farmi scattare i muscoli. Respirai e cercai di non essere troppo
scortese,
almeno non più del necessario, mi dissi.
“Buonasera anche a te.
Non avevo proprio voglia di
cucinare, oggi.”.
Ma forse era meglio se ci avessi
ripensato prima,
invece di finire in questa bettola e incontrarti, pensai evitando
accuratamente
e soprattutto faticosamente di tradurre ad alta voce le mie reali
intenzioni.
“Grandioso, allora!
Vieni, sono con degli amici. Ti
piaceranno, vedrai.”.
Certo, come no. Se erano suoi
amici, come avrebbero
potuto non piacermi? Mi feci trascinare ad un altro tavolo, dove
sedevano fin
troppe persone per i miei gusti. Qualcuno avevo già avuto il
‘piacere’ di
incontrarlo a scuola, ma gli altri erano tutti sconosciuti.
Emanavano un’aura diversa
dalla gente comune,
sembravano in simbiosi tra di loro, come fossero tutti fratelli. Erano
tutti
altissimi e muscolosi, con la pelle abbronzata e rossastra, parevano
quasi
degli orsi. Sicuramente mi incuriosivano più degli altri, ma
sentii da subito
di non poterci avere molto in comune. Ovviamente Mike non
tardò a presentarmeli
uno ad uno. Erano giovani Quileute della riserva indiana di La Push,
quasi
tutti di sedici anni, tranne due di diciassette ed uno di diciannove.
Faticai a
crederlo possibile, dimostravano tutti almeno venticinque anni. Pensai
che
forse ero troppo sconvolto per formulare considerazioni coerenti, e
probabilmente era anche per questo che avevo avuto l’assurda
idea di andare a
mangiare in un locale. Controvoglia ma inevitabilmente, mi sedetti al
loro
tavolo.
Una cameriera accorse al tavolo.
Una ragazza come le
altre, evidentemente sicura di sé, banale come non mai. Che
noia questa gente.
Mi venne in mente di nuovo lei, ma mi scossi dai
miei pensieri sentendo
la voce bassa e che tentava di essere attraente della
cameriera.
“Ciao. Cosa posso
portarti?”
“Buonasera. Mi scusi,
signorina, potrei avere un
menu?”
“Certo, arrivo
subito.”. Probabilmente tentando di
fare colpo, sfoderò un sorriso che probabilmente per
chiunque altro sarebbe
stato coinvolgente, ma che con me non faceva alcun effetto. Come al
solito
lasciai stare, ma non avevo calcolato Mike e le sue uscite
irritanti.
“Ehi Edward, hai visto
quella sventola?”
“Mh? Ah la cameriera.
Allora?”
“Ti ha lanciato
un’occhiata...”
Impiccione. Fatti gli affari
tuoi.“Non è proprio il
mio tipo.”
“Bè,
è un vero peccato. Sapete ragazzi, Edward attira in
un modo incredibile le ragazze. Beato lui, eh?”
“Già.”
“Dì la
verità, sei rimasto folgorato dalla splendida
Cullen? Non c’è che dire, ti accontenti di
poco!”
Colpito e affondato. Forse questo
Mike non era poi
così stupido. Certo che se credeva di zittirmi, non aveva
ancora capito chi era
Edward Masen... “Può darsi, Mike. E’ un
problema?”
“Ehi, ehi, tipo da
compagnia, sciogliti un po’, non è
il caso di scaldarsi troppo.” Questa voce era nuova,
com’era prevedibile. Mike
non sarebbe certo stato in grado di rispondere così.
Nonostante fossi un po’
sorpreso, trovai da subito irritante quel tono da controllore. Lo
guardai
istintivamente torvo, ma non volevo risse, per fortuna la voce di un
altro del
suo “branco” intervenì. “Su
calmiamoci, siamo tra amici qui, no?”
Certo, tra amici. Inaspettatamente
l’altro si calmò,
come avesse ricevuto un ordine da un suo superiore. Che strani tipi.
Dopo aver
ordinato ed essere rimasto ad ascoltare passivamente i noiosi soliti
discorsi
dei ragazzi con cui ero costretto a stare in quel momento
nell’attesa della
maledetta pizza margherita che sembrava non arrivare mai, mangiai
immerso nei
pensieri che quel giorno mi tormentavano senza sosta e tentai di
ripensare
lucidamente a quella strana visione al cimitero.
Finita la pizza, che non era poi
così immangiabile, ma
forse solo per la fame, decisi che potevo anche levarmi di torno questi
tipacci.
“Mike, devo proprio
andare adesso. Non vorrei far
tardi a lavoro. Spero che tu capisca.”
“Oh, certo. Ah comunque
sei sempre dei nostri per
sabato?”
“Come no. Potrei mai
rifiutare?”
“Certo che no”
Rise sguaiatamente. “Vieni davanti al
mio negozio sabato mattina. Pensi di potercela fare?” Ero
forse stupido? No,
era lui che era indecentemente seccante. “Sicuro. Ci vediamo,
ciao.”
Uscii sentendomi finalmente libero
e tornai
immediatamente al mio pick up. Per quel giorno ne avevo avute
abbastanza di
seccature, perciò alla massima velocità che
potevo ottenere dal mio mezzo
ripresi la strada del ritorno al paese che mi stava cominciando a
preoccupare
seriamente.