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Autore: Acinorev    06/04/2014    11 recensioni
"A quel punto Harry rise. Rise con le fossette accentuate ai lati della bocca e facendo un passo indietro, con una mano tra i capelli e gli occhi praticamente chiusi. «Ragazzina», esclamò affievolendo la risata. «Ragazzina, rallenta», ripeté.
Ed Emma assunse un’espressione un po’ più seria, mentre sentiva l’eco di quelle parole nella sua testa.
Ragazzina.
«Ascolta», ricominciò Harry, frugando nella tasca dei suoi pantaloni stretti e tirandone fuori un contenitore di metallo sottile dal quale estrasse una sigaretta, probabilmente confezionata da lui. Continuò a guardarla, però, senza lasciarla libera nemmeno per un istante. «Apprezzo l’intraprendenza, ma andiamo… Mi sentirei una specie di  pedofilo», aggiunse, scuotendo di nuovo la testa mentre una ciocca di capelli gli ricadeva sulla fronte."
Spin-off di "It feels like I've been waiting for you", da leggere anche separatamente.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harry Styles
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Little girl'
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Capitolo tredici - Walk or run
 

 

«Quello che non capisco è perché tu non possa impegnarti un po' di più!» Continuò ad alterarsi Ron guardando con rimprovero la figlia. Emma lo osservò passarsi una mano tra i capelli mentre rimaneva in piedi davanti al divano: il sabato pomeriggio non era mai stato così movimentato.
«Ma qual è il problema?» Domandò esasperata, incrociando le gambe coperte da una tuta nera. «Nessun professore si lamenta del mio comportamento, non ho insufficienze e non rischio la bocciatura, non mi sembra di essere un completo disastro».
Constance si sedette sul bracciolo del divano, con il viso arrossato per la stanchezza causata dalle pulizie che stava svolgendo in casa. A tratti cercava di addolcire il marito, a tratti cercava di spronare Emma a regolare i toni: sapeva che avrebbe dovuto ricoprire il ruolo di moderatrice tra quei due, perché i loro litigi non erano mai molto tranquilli o pacifici.
«È questo il punto! Perché devi essere mediocre, quando potresti eccellere? In matematica hai tutte A, allora perché nel resto delle materie ti devi accontentare di una misera sufficienza?» Ribatté il padre allargando le braccia in segno di esasperazione.
«Perché a me va bene così! Non è difficile da capire, ma forse dovresti essere un po' meno egocentrico e provare a comprendere anche il mio punto di vista!»
«Non parlarmi così! Il tuo punto di vista conta fino ad un certo punto, se rischia di compromettere il tuo futuro: dei buoni voti sono fondamentali per accedere al college ed io non ti permetterò di buttare tutto al vento perché non hai voglia di impegnarti seriamente!»
«Ron, abbassa la voce» si intromise Constance, mentre Fanny arrivava correndo in salotto, attirata dalle grida. Nel suo completino azzurro pastello sembrava ancora più piccola, mentre osservava i suoi familiari in quell'atmosfera tesa: i suoi occhioni scuri si fermarono su Emma, fino ad attrarla a lei. Le si sedette vicino senza toglierle gli occhi di dosso.
«Stai rendendo questa storia una tragedia, quando evidentemente non lo è! Non sei tu a dover decidere il mio futuro o se andrò o meno al college, e finché non ci sarà un buon motivo per sentirti urlare non me ne starò qui a subire inutilmente!» Ribatté Emma alzandosi in piedi. Respirava velocemente per la rabbia e per la sensazione di essere in trappola: non sopportava di essere controllata in quel modo, non sopportava di dover a tutti i costi eccellere in qualcosa che non le avrebbe dato un minimo di soddisfazione solo per rendere felice qualcun altro. Suo padre pretendeva sempre il massimo e anche se lo faceva per il bene delle sue figlie, finiva per essere troppo opprimente e per ottenere il contrario: perdeva di vista ciò che era davvero importante.
«Invece tu non ti muoverai da qui fin quand-»
«Adesso smettetela, tutti e due!» Esclamò Constance, cercando di ripristinare l'ordine. Sapeva da chi Emma aveva ereditato la sua caparbietà e questo spiegava il perché dei loro continui scontri senza fine. «Urlare in questo modo non serve assolutamente a niente».
«Ed io che speravo di farle entrare qualcosa in quella testa, visto che sembra essere sorda quando suo padre le dice qualcosa!» Commentò Ron ironicamente, ma mantenendo un'espressione dura.
«Evidentemente continui a non capire niente di me» sibilò Emma.
Il padre fece un passo verso di lei e Fanny le si aggrappò ad una gamba, cingendola con le sue braccia sottili. «Stai oltrepassando il limite, ti avverto» la ammonì lui, additandola con l'indice destro mentre con l'altra si allentava il colletto della camicia bianca che indossava.
Emma sostenne il suo sguardo fiera come non mai, stringendo i pugni per il nervosismo.
«Devi smettere di sfidarmi ogni santa volta. Sono tuo padre e questo non devi dimenticarlo» continuò Ron con gli occhi fissi nei suoi, in una prova di forza che lei non avrebbe potuto vincere. «Fin quando vivi sotto questo tetto, fin quando sono io a pagarti la scuola e a pagare qualsiasi altra cosa che tu tocchi o mangi, devi portarmi rispetto e soprattutto devi darmi ascolto» aggiunse. Non stava più urlando, ma il suo tono non lasciava scampo: era duro, esigente ed in qualche modo indiscutibile. Per quanto Emma fosse una testa calda testarda ed insistente, sapeva quali fossero i limiti e sapeva fino a dove potesse spingersi. Nonostante ogni volta osasse un po' di più, la sua natura era messa a tacere da quella del padre, cosa che la faceva innervosire ulteriormente.
Quando Melanie arrivò in salotto con un'espressione confusa, per un attimo tutti gli sguardi si posarono su di lei, per poi tornare a scrutare chi stavano cercando di osservare: Ron teneva in pugno gli occhi di Emma, sua moglie Constance muoveva in continuazione i propri dal marito alla figlia e Fanny continuava a fissare il volto teso di Emma, senza mollare la presa dalla sua gamba.
Ron colse subito l’occasione di riprendere il discorso. «Perché non prendi esempio da tua sorella maggiore? L-»
«No, non iniziare con questa stupida storia» lo interruppe Emma, serrando la mascella.
«Ron, per favore» accorse anche Constance, che sapeva quanto fosse delicato quel tasto.
«Che c'è? È un discorso tanto assurdo? È sua sorella maggiore, dovrebbe prenderla ad esempio e sarebbe anche in grado di uguagliarla!»
«Papà...» provò ad intromettersi Melanie, in tono quasi supplichevole.
«Uguagliarla?» Si alterò Emma iniziando a gesticolare. «Che diavolo è, una gara? Non devo uguagliare nessuno, non devo somigliare a nessuno: sono così e questo deve andarti bene!» Le tremavano le mani per l'agitazione, per quello schiaffo figurato che aveva appena incassato: era così stanca di essere paragonata alla perfetta Melanie. Sapeva bene quante soddisfazioni lei fosse in grado di regalare ai loro genitori, ma era stanca di risentirne, di non sentirsi all'altezza: più glielo rinfacciavano, più le cose peggioravano.
«Emma, tuo padre non sta dicendo che dovresti essere come Melanie, sta solo cercando di farti capire che hai le sue stesse capacità e-»
«E niente, mamma. Avremo anche le stesse capacità, ma siamo due persone diverse: iniziate ad accettarlo!» La interruppe, divincolandosi dalla presa di Fanny e correndo verso la porta d'ingresso per recuperare il giaccone ed uscire di casa.
«Emma, torna subito qui!» Tuonò suo padre, prima che la figlia sbattesse la porta dietro di sé.
 
Stava letteralmente congelando. Dopo la nevicata del giorno prima le temperature si erano abbassate notevolmente, ghiacciando tutto ciò che incontravano: stavano provando a trasformare anche Emma in un ghiacciolo e lei stava resistendo a malapena nel suo parka e nelle sue Converse bianche trovate dietro la porta.
Con le braccia incrociate al petto stava camminando senza una meta da più di venti minuti: aveva pensato di andare da Tianna, ma poi si era ricordata della festa a casa dei cugini alla quale l'amica era stata costretta ad andare. Dallas e Pete avrebbero dovuto essere a casa, ma non li aveva ancora cercati, perché si era detta che era meglio sbollire prima un po' di rabbia.
Finalmente, quindi, scrisse un messaggio a Dallas, chiedendogli se fosse impegnato. Era arrivata al centro di Bradford senza nemmeno accorgersene e dato che si era stancata di camminare, decise di sedersi su una panchina sul marciapiede che correva davanti al CM - Chicken Magician, il miglior venditore di panini con il pollo di tutta la città: non sapeva se fosse così famoso per la bontà della carne o per il successo che sembrava riscuotere il volatile gigante posizionato all'entrata, che con una voce meccanica invitava i passanti ad entrare.
Dopo qualche minuto il telefono le squillò tra le mani e lei non perse nemmeno tempo a spiare il mittente. Accettò la chiamata. «Dallas?» Esclamò speranzosa.
«Ehm, no?» Rispose una voce dall'altra parte della cornetta.
«Harry?» Domandò Emma confusa, allontanando il cellulare dall'orecchio per accettarsi del nome sullo schermo e dandosi della stupida per non aver controllato prima di rispondere.
«Così dicono» commentò l'altro. Probabilmente si stava stringendo nelle spalle. «Tutto bene?»
Harry che le faceva una domanda che presupponeva un certo interesse? Quel sabato stava davvero superando ogni aspettativa.
«Lasciami stare» disse soltanto, prima di attaccare la chiamata e stringere il telefono tra le mani. Non aveva nemmeno voglia di pensare al perché Harry la stesse cercando, il che era tutto dire.
 
Quando la suoneria squillante del cellulare annunciò l'arrivo di un messaggio, Emma fu tentata di non guardarlo nemmeno per paura che potesse essere di nuovo Harry: si costrinse a farlo, però, sperando che fosse Dallas che la invitava a casa o in un qualsiasi altro posto, dato che aveva disperatamente bisogno di lui. Era passata una buona mezz'ora da quando gli aveva scritto.
 
Un nuovo messaggio: ore 16.23
Da: Dalla$
"Ems, scusa, sono da qualche parte nel Lincolnshire e il telefono non prende. Stiamo andando da una zia che non sapevo nemmeno di avere: a quanto pare è sul letto di morte e mia madre vuole che la salutiamo o qualcosa del genere. Tu che combini?"
 
Emma sospirò sonoramente e fece una smorfia di disapprovazione, infilando in modo brusco il telefono nella tasca del parka ed inveendo ingiustamente contro Dallas. Piegò le gambe sulla panchina e le circondò con le braccia, nascondendo il viso tra le proprie ginocchia. Nonostante tutto il tempo trascorso, non era ancora riuscita a smaltire completamente il nervosismo.
«Allora è peggio di quanto pensassi» esclamò qualcuno lì vicino.
Lei strinse le palpebre e per qualche istante non si mosse, sicura di chi avrebbe visto se solo avesse alzato il capo e guardato davanti a sé. Forse era la prima volta che cercava di rifuggirlo in modo così deciso.
«Che diavolo fai qui?» Mormorò rimanendo immobile.
Harry non si mosse, o almeno così le parve. «Al telefono non sembrava che stessi bene, in più dobbiamo parlare di alcune cose. E direi che ho fatto bene a venire, dato che sei in questo stato» spiegò con la solita sicurezza.
«Intendevo come hai fatto a trovarmi» specificò Emma, alzando finalmente lo sguardo duro. «E non ho bisogno di te» aggiunse. Harry indossava una giacca nuova, di un marrone scuro e di qualche taglia in più, ma che gli arrivava poco oltre il bacino. I blue jeans erano abbinati ai soliti stivaletti rovinati, come quasi sempre, ed i capelli erano coperti da un cappellino in lana nero. La sua auto era parcheggiata a pochi passi da loro.
Harry infilò le mani nelle tasche del giubbotto ed alzò le spalle. «C'è solo un posto in cui c'è una specie di pollo gigante che parla» rispose, indicando con un cenno del capo quell'enorme gallina finta che stava alle spalle di Emma. Doveva averlo notato nei pochi secondi che erano rimasti al telefono: lei aveva persino iniziato a non sentire più quel suono che dopo un po' diventava fastidioso, e per un attimo si maledisse per essere rimasta lì.
«Comunque devi andartene» disse lei, tornando nella posizione di poco prima e stringendo un po' di più le gambe tra le proprie braccia.
Rimase in attento ascolto per cercare di capire se Harry avesse preso alla lettera il suo invito, ma poté facilmente intuire che lui non si era mosso di un solo centimetro. Quando alzò il viso per guardarlo di nuovo, infatti, lo trovò ad osservarla impassibile con una caparbietà che lei conosceva fin troppo bene.
Sbuffò e si alzò velocemente dalla panchina, ignorando le gambe pressoché congelate che non avevano voglia di muoversi ed incrociando di nuovo le braccia al petto per proteggersi dal freddo.
«Andiamo, sei davvero ancora arrabbiata per quello che è successo ieri?» Esclamò Harry dietro di lei, tra l'incredulo e l'infastidito. L'ultima volta che si erano visti si erano lasciati con del risentimento reciproco derivante dal torto che entrambi avevano, anche se per aspetti diversi.
Emma non rispose e continuò a camminare in fretta, sperando che lui se ne andasse senza infierire: era troppo nervosa per affrontarlo senza causare l'ennesimo litigio e non aveva voglia di intrattenerne un altro.
«Non ti sembra di esagerare?» Riprovò lui, seguendola nello slalom tra i passanti.
«Santo cielo, puoi smetterla?» Sbottò Emma contro ogni previsione ed intenzione, arrestando la sua fuga e voltandosi a guardarlo con i capelli che le finivano sul viso struccato.
Harry si bloccò, stupito da quella inaspettata reazione. Le labbra schiuse e la fronte leggermente corrugata.
«Smettila di darti tutta questa importanza! Non sei tu il centro del mondo, e indovina un po'? Non sei nemmeno il centro dei miei pensieri. Quindi credimi quando dico che non c'entra assolutamente niente quello che è successo ieri, e lasciami in pace» esclamò con il respiro accelerato ed i pugni stretti. Poi distolse lo sguardo e si voltò per andarsene, consapevole dell'esagerazione del suo comportamento, ma incapace di fare qualcosa a riguardo. L'istinto di protezione che provava era più forte dell'attrazione nei suoi confronti, ed in quel momento la dimostrazione non avrebbe potuto essere diversa.
Fu costretta a fermarsi pochi passi dopo, quando Harry la superò velocemente per mettersi di fronte a lei e bloccarla semplicemente con la sua presenza, senza nemmeno sfiorarla. Il suo sguardo era cambiato, più attento e serio. «Che ti è successo?» Domandò soltanto.
Emma chiuse per un attimo gli occhi e respirò a fondo, cercando di calmarsi: sapeva di star perdendo un po' troppo il controllo, nonostante la situazione in casa sua la torturasse più di quanto sarebbe pesato a molte altre persone. Harry, per esempio, doveva fare i conti con cose ben più gravi.
Gli aveva appena detto di non avere lui come centro dei propri pensieri e si era smentita altrettanto velocemente.
«Non ti riguarda» mormorò.
«Non mi riguarda perché non vuoi parlarne o perché non è colpa mia?» Insistette Harry, cercando di capire se davvero il loro ultimo litigio non avesse alcun ruolo in tutto quello. Evidentemente non ne era convinto e non gli si poteva nemmeno dare completamente torto.
«Entrambi» rispose lei con decisione.
Harry annuì, tirando fuori dalla tasca destra della giacca un pacchetto di sigarette. Se ne accese una senza pronunciare nemmeno una parola, mentre Emma respirava il fumo passivo tra di loro e cercava di capire cosa aspettarsi e cosa fare.
Alla fine decise di superarlo e di continuare per la propria strada, dato che lui non dava cenno di iniziativa. Iniziativa che prese subito dopo, però, quando iniziò a camminarle di fianco ed in silenzio.
Emma serrò la mascella e sospirò piano. «Non seguirmi» gli ordinò senza guardarlo.
«Non ti sto seguendo, stiamo solo andando nella stessa direzione» rispose Harry, espirando del fumo con estrema tranquillità. Credeva di essere divertente?
«Usa la tua macchina, allora».
Ma Harry non rispose se non con un alzata di spalle indifferente, continuando ad affiancarla.
 
Si erano spostati di qualche isolato - sì, Harry era ancora alla sua sinistra ed era ancora in silenzio - ed Emma aveva iniziato ad abituarsi alle gelide temperature di quel pomeriggio. In qualche modo era riuscita ad abituarsi anche alla compagnia indesiderata, immergendosi completamente nei propri pensieri ed arrivando ad uno stato di maggiore tranquillità. Il fatto che Dallas non fosse lì con lei rallentava i processi di metabolizzazione di quanto era accaduto e per questo ci era voluto un po' di più affinché Emma smaltisse il nervosismo.
Dentro di sé non regnava più la rabbia, quanto un certo grado di malinconia e stanchezza.
Respirando lentamente chiuse gli occhi e si fermò, stringendosi nelle spalle e fissando poi il marciapiede rovinato ai suoi piedi. Harry fece ancora qualche passo prima di accorgersene.
«Pensavo mi avresti fatto camminare all'infinito» commentò lui, gettando a terra l'ennesima sigaretta. Aveva perso il conto di quante ne avesse fumate, ma in fondo doveva occupare il tempo in qualche modo mentre si vestiva di ostinazione per non lasciarla in pace. Solitamente si sarebbe stancato dei suoi rifiuti che l'avrebbero ferito nell'orgoglio, ma quella volta era stato più indulgente. Purtroppo o per fortuna.
Emma non rispose, ma alzò lo sguardo su di lui, con le braccia lungo i fianchi ed i pugni chiusi. Quando i loro sguardi finalmente si incontrarono, probabilmente Harry si accorse della patina estranea che stava velando la determinazione di Emma, di quella sfumatura più spenta che in altre occasioni avrebbe ospitato la solita ardente vitalità, perché si avvicinò lentamente a lei, un passo dopo l'altro.
Per qualche istante rimasero uno di fronte all'altra, occhi negli occhi, poi Harry allungò il braccio destro e le circondò il busto, spingendola contro il proprio corpo. Emma si lasciò guidare dai suoi movimenti, fino a trovarsi incastrata tra le sue braccia, con il viso sul suo petto ed il suo respiro sul proprio collo. Abbassò le palpebre e si strinse a lui come una bambina in cerca di conforto, così piccola in quella gabbia di protezione che forse era l'unica a non farla sentire in trappola.
Harry aveva un profumo diverso dal solito, un po' più dolce e un po' più intriso di fumo. Più freddo, perché ghiacciato dai pochi gradi con i quali doveva confrontarsi. Più insopportabile, perché ricordava ad Emma la sua debolezza. Più confortante, perché era comunque il suo.
Emma non riuscì più a trattenersi, nonostante tutti i suoi buoni propositi. «Sono stanca di non essere abbastanza» sussurrò appena, affondando un po' di più il viso sulla giacca di Harry. Lui mosse una mano fino ad incastrarla tra i suoi capelli già arruffati, accarezzandoli lentamente.
«Chi dice che non lo sei?» Le chiese a bassa voce.
«La mia famiglia» rispose lei, ripercorrendo velocemente la discussione di poco più di un'ora prima. Anche tu, avrebbe voluto aggiungere, ma era meglio evitare quel discorso, almeno fino a quando stare tra le sue braccia l'avesse confortata a tal punto.
Harry allentò la presa solo per allontanarla leggermente e guardarla negli occhi, chino verso di lei con quelle iridi verdi a scrutarla in un modo tutto nuovo. «E tu permetti loro di pensare una cosa del genere?» Domandò incredulo, evidentemente cercando di farla sorridere. Ci riuscì, perché gli angoli delle labbra di Emma si inclinarono per un solo istante verso l'alto.
«Cosa stai facendo qui, Harry?» Chiese lei in un sussurro determinato, che non voleva essere un'accusa, ma una specie di supplica. Perché la stava confortando? Perché era tutto così confuso tra di loro, poco delineato? Perché erano ancora l'uno tra le braccia dell'altra senza intenzione di muoversi di un millimetro?
Harry rilassò la propria espressione e la rese più seria. «Per te è tutto o niente» rispose semplicemente, dimostrando di averla inquadrata più che bene. «Ma ora siamo nel mezzo, ragazzina» continuò.
«Ok, ma nel mezzo di cosa? In che direzione stiamo andando?» Domandò allora Emma, in cerca di una risposta più precisa. La sua stessa natura le impediva di accontentarsi, la spronava ad avere sempre di più, soprattutto quando si trattava di lui. Perché doveva frenare quel suo istinto?
«Non lo so ancora» sussurrò Harry, scuotendo impercettibilmente la testa. Quelle parole la stupirono: non aveva mai preso in considerazione la possibilità che anche lui potesse non avere le idee chiare, perché tra i suoi comportamenti erano decisamente prevalsi quelli che la respingevano. Certo, non era stupida e aveva notato - percepito - che provava dell'attrazione, per quanto le cose poi potessero complicarsi di volta in volta, e l'aveva anche ammesso dopo quel loro bacio e con quel loro bacio, ma non riusciva proprio ad immaginarselo confuso a riguardo.
Emma abbassò lo sguardo e respirò piano, riportando le proprie braccia lungo i fianchi ed invitando implicitamente Harry a fare lo stesso con le sue. Era strano non sentire più quel contatto, ma le impediva di pensare lucidamente, quindi era meglio interromperlo in tempo.
«Non mi piace stare nel mezzo» ammise tornando a guardarlo.
«L'avevo capito» rispose lui sorridendo, mentre lei continuava ad osservarlo relativamente seria. Effettivamente l'aveva dimostrato in continuazione.
Quando il suo sorriso si affievolì, Harry sospirò e si tolse il cappello dal capo, per passarsi una mano grande tra i capelli disordinati e leggermente schiacciati. «Il problema è che tu vuoi tutto e non ti accorgi di quello che lo precede, perché non ti basta mai» esclamò mettendosi di nuovo il berretto. Emma rifletté su quelle parole: era un'accusa velata? Le stava dicendo di non apprezzare molte delle cose che c'erano tra di loro? Forse non sapeva che era proprio quello il punto: lei si accorgeva di tutto, anche di sin troppe cose.
«Il tuo problema invece è che non vuoi nulla, quindi ti basta tutto» ribatté, recuperando lo sguardo di sfida che fino ad allora era stato spodestato in continuazione dal suo stato d'animo.
Harry si inumidì le labbra e sospirò incredulo. «Ti sbagli» disse semplicemente.
Ma Emma era testarda e, se sapeva di avere ragione, l'avrebbe dimostrato con tutte le sue forze. «Ti sei fatto bastare Denice, anche se non era solo il suo corpo che volevi. Ti fai bastare me, anche se non so nemmeno cosa stiamo facendo. T-»
«Piantala di parlare di Denice» la interruppe, lasciando comparire nuovamente quel tono piccato del giorno prima. «E non si tratta di questo, io so cosa voglio e so anche come prendermelo» aggiunse.
Emma non voleva che i toni tra di loro si alterassero di nuovo, soprattutto dopo la discussione pacifica che stavano avendo, soprattutto dal momento che finalmente stavano parlando di loro. Per questo decise di essere la solita se stessa. «Ok» acconsentì per non smentirlo, nonostante non fosse completamente convinta. «Ma tu mi vuoi?» Domandò, diretta come poche volte. Dalla risposta sarebbero dipese molte cose ed il cuore di Emma lo sapeva bene, dato che si stava agitando con dei battiti di impazienza in più.
Harry alzò un sopracciglio e schiuse le labbra, forse stupito da quella domanda. La guardò attentamente per qualche istante che sembrò non finire mai, poi finalmente parlò. «Sì» confermò lentamente, mentre Emma sentiva dentro di sé un vero e proprio tumulto che non poteva permettersi di dimostrare, non ancora almeno. «Ma non sempre» aggiunse lui dopo poco.
Lei corrugò la fronte: «Cosa significa non sempre?» chiese confusa. Erano proprio queste sfumature che non riusciva a concepire, che ai suoi occhi non avevano nemmeno un senso.
«Significa che corri troppo, ragazzina» spiegò Harry come se fosse ovvio. Si stava ricollegando al discorso di poco prima sul tutto e niente, sul mezzo e su tutta quella concezione assurda che aveva del loro rapporto. Emma non correva, era solo decisa.
«Hai mai pensato che forse sei tu ad andare troppo piano?» Lo sfidò lei con sicurezza. Era così narcisista da non affibbiarsi nemmeno un piccolo difetto, ormai l'aveva capito.
«Hai mai pensato che se fossi andato più veloce ci saremmo distrutti dopo nemmeno cinque minuti?» Ribatté lui, altrettanto sicuro di sé. Emma sospirò e fu costretta a dargli ragione - ma solo un po'. Effettivamente erano talmente diversi da non potersi buttare a capofitto in qualcosa, perché la loro incompatibilità - sempre se di quella si trattava - avrebbe danneggiato qualsiasi cosa sul suo percorso. Forse il tempo trascorso a litigare e a fare piccoli passi avanti o indietro non era stato completamente uno spreco, anche se Emma non lo sopportava. Forse.
«Vedi? Stiamo di nuovo…» Harry si interruppe sbuffando sonoramente e portandosi una mano sul cappello, con lo sguardo da qualsiasi altra parte, ma non in quello di Emma.
«Va bene, ho capito» mormorò lei, stringendosi nelle spalle ed attirando la sua attenzione su di sé. Aveva capito che Harry non era il tipo da impegni troppo seri, da promesse o da discorsi sul futuro. Aveva capito che aveva i suoi tempi e aveva capito che sotto alcuni aspetti non era tanto diverso da lei: anche lui tendeva a scappare se si sentiva in trappola ed evidentemente Emma l'aveva fatto allontanare parecchie volte con la sua insistenza e con la sua forza.
«Hai capito?» Domandò lui in conferma, quasi non potesse crederci.
Emma annuì come se fosse ovvio e se ne convinse un po' di più. Vedendola da quella prospettiva, si spiegavano molte cose: ogni volta che tra di loro c'era stato anche solo un minuscolo progresso, lei l'aveva ingigantito e aveva preteso un po' di più, facendo allontanare Harry. Per quanto potessero avere idee diverse a riguardo, almeno ora poteva vederci chiaro e aveva un indizio su come avrebbe dovuto approcciarsi a lui senza combinare l'ennesimo disastro.
«Ma non ti assicuro niente» aggiunse Emma, abbozzando un sorriso caparbio. Certo, comprendeva il suo punto di vista, ma di sicuro non era così arrendevole da abbandonare la propria natura: bisognava solo raggiungere un compresso, nel quale anche lui avrebbe dovuto piegarsi un po'.
«Tranquilla, lo immaginavo» scherzò Harry, passandosi la lingua sulle labbra.
Era strano essere arrivati ad un tale livello di sincerità, di chiarezza: era come essere più leggeri, privi di un peso invisibile che però entrambi avevano sempre percepito.
Emma si sentiva felice, in qualche modo, quasi soddisfatta e pronta ad impegnarsi ancora di più per ottenere ciò che da troppo tempo bramava. «E sentiamo, cosa fanno due persone quando sono in questo fantomatico mezzo?» Domandò, sorridendo beffarda e provocando in lui la stessa reazione.
«Vanno in un posto caldo, per esempio» rispose Harry, rabbrividendo con le mani nelle tasche della giacca. «Mi si sta congelando il culo».





 


Buongiorno!
So che avrei dovuto aggiornare ieri, ma come molti sanno c'è stato un piccolo problema con il capitolo (mea culpa!) e quindi anche un ritardo ahaha In ogni caso spero che sia valsa la pena di aspettare! 
Allora, non voglio dilungarmi troppo ma effettivamente ci sono delle cosette di cui parlare: innanzitutto si presenta un po' meglio la famiglia di Emma, che chi ha letto "It feels..." conosce già. Come vedete sono genitori che pretendono molto ed Emma soffre abbastanza per questa cosa, soprattutto per il continuo confronto con la sorella maggiore (il loro rapporto verrà ancora approfondito, tranquille!).
Per quanto riguarda i nostri piccioncini: ha indovinato chi diceva che sarebbe stato Harry a fare il primo passo ahahha Era abbastanza evidente dai, Emma non l'avrebbe mai cercato! Comunque, a parte questo, vorrei solo commentare il loro discorso: credo che ora sia un po' più chiaro il loro rapporto, soprattutto il comportamento di Harry. Qualsiasi loro litigio o discussione, se letto con questa storia del "corri troppo" ha un po' più di senso (o almeno spero ahahha). In sintesi, ad HArry non piace affrettare le cose, non piace avere delle aspettative da rispettare e non piace avere il fiato sul collo: è molto più "scialla" e questo ovviamente entra in contrasto con quello che invece è Emma. Svelato il "mistero": ad Harry lei interessa, ma non in modo radicale. Voglio dire, lui è davvero nel mezzo: gli piace e non gli piace, in base a come si comporta. Raga io parlo, ma voi ditemi pure se non si è capito una mazza hahahha Ah, volevo anche dire che il "mezzo" può essere inteso come un semplice "hey, frequentiamoci e vediamo come va" di cui però Emma non vede il valore: non l'ha mai visto e non l'ha mai capito, quindi tutto quello che hanno passato ha assunto un'altra sfumatura dato che ai suoi occhi non era "tutto", non era quello che voleva. Ovviamente siccome la storia è raccontata dal suo punto di vista, forse siete state ingannate un po' anche voi: le infinite pretese di Emma hanno sminuito tutto il resto e ingigantito gesti che sarebbero stati normali agli occhi di altre persone! Ah, per la questione di Denice, se ne riparlerà :)
Ok, ora devo veramene smetterla perché mi sto incasinando ahahah So che potrei aver confuso un po' le idee (spero di no), quindi scrivetemi pure se ho fatto un casino e non vi è chiaro cosa è successo!

Spero che il capitolo vi sia piaciuto!! Come sempre vi dico di aspettarvi di tutto, perché ci sono ancora due GRANDI questioni da affrontare e che non potreste indovinare nemmeno con la sfera magica se non avete letto "It feels...", quindi siate pronte :)

Vi lascio tutti i miei contatti:
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Un bacione,
Vero.

Ah, nuova one shot :)
"Phantom limb"
  
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