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Autore: Black_in_Pain    06/04/2014    2 recensioni
Questa storia riprende da dove tutto si è concluso. Dove il libro ci ha lasciati. Semplicemente, una ghiandaia imitatrice che cerca di risanare le proprie ali e recuperare il suo canto, una volta ritrovata la libertà.
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gale Hawthorne, Haymitch Abernathy, Katniss Everdeen, Peeta Mellark, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
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Questo capitolo è leggermente più lungo rispetto a quello precedente, perché raccoglie situazioni e pensieri molto più elaborati. Spero che possa risultare comunque piacevole. Un bacio, Pain.

 Prova

 
Lavare e riassettare la cucina sono compiti che di solito si subiscono volentieri Sae e Peeta, ma stasera sento che stare ferma, a far nulla, è l’unica cosa che non mi conviene fare. Sfrego con gesti meccanici i piatti sporchi e osservo con insistenza i coltelli che mi fissano luccicanti e bagnati. Questo non sfugge a Peeta, che, seppur non volendo, mi lancia occhiatacce piene di dissenso.
Mentre svolgo la parte della brava padrona di casa, concentro i miei pensieri su un unico, incessante chiodo fisso.  Rifletto su come farò ad aprire gli occhi, domani mattina. A recarmi nei boschi, andare a caccia o solo uscire di casa, sapendo che potrei incontrare l’unica persona che cerco di tenere lontana da me, per vari motivi. Troppo in conflitto tra loro.
Peeta lo sa e non manca di farmelo notare. Mi sento in colpa e probabilmente anche lui. Questi sentimenti sono troppo grandi anche per noi, che non riusciamo a mascherarli. Ormai ci conosciamo, ci capiamo, ci amiamo…
Amare. Ho detto così tante volte di amarlo ma, realmente, molto poche. Adesso che ci penso è ancora strano. Dividere tutto. Casa, emozioni, parole, paure. Queste cose non so se mi appartengono e non ci sono abituata. Nel frattempo, termino di lavare tutte le stoviglie e alla fine permetto che sia Peeta ad asciugare i coltelli e gli altri oggetti appuntiti e a sistemarli nei vari cassetti della credenza. Gli chiedo di nuovo se ha fame e per l’ennesima volta la sua risposta è sempre quella. «No, Katniss. Ma la tua continua premura finirà per farmi venire appetito comunque.»
Sorrido. «E’ proprio quello che sto cercando di fare.»
Ridiamo entrambi e la tensione sembra attenuarsi lievemente. Siamo così rilassati che ad un certo punto iniziamo anche a domandarci reciprocamente cosa pensiamo della situazione che si è creata e di ciò che accadrà all’alba. Non pensavo ne avremmo discusso, ma forse, amarsi, implica anche questo.
«Sei felice di rivederlo?» ha un non so che di accusatorio.
Mi mordo l’interno della guancia e deglutisco un ringhio di rabbia. Non voglio che me lo chieda. E’ come se mi stesse prendendo in giro.
Prendo la palla al balzo e gliela rilancio. «E tu lo sei?» Provo a risultare ironica.
Lui alza gli occhi e li fa roteare, poi torna a fissarmi con il mio stesso spirito sarcastico «Sì. Non puoi nemmeno immaginare quanto mi sia mancato.»
Ha un tono talmente svenevole che finisco quasi per crederci davvero. Un fatto mi rincuora: non ci diremo altro, oltre a questo. Non siamo così coraggiosi . Non io, almeno.
Sono ancora mezza svestita e Peeta se ne accorge solo quando, dalla cucina, passiamo al salotto. Non ci ha fatto caso.  A volte è proprio vero che certi particolari passano relativamente inosservati. Eppure, il suo bel viso, arrossisce ogni volta che accade. Mi scuso ma non mi allontano per cercare qualcosa di più coprente. Mi basteranno le sue braccia. Anche Ranuncolo pare essere imbarazzato, nascosto accanto al divano, mentre ci osserva.
La sua presenza mi mette a disagio. Guardone, penso.
Quindi, dal salotto, passiamo alla camera da letto, che trasformiamo in un vero e proprio rifugio di pace e incubi, allo stesso tempo. Sogniamo legati l’uno all’altro, poi urliamo e ci respingiamo come due calamite troppo simili tra loro. Poi invertiamo i poli e ci ritroviamo di nuovo attratti, irresistibilmente e senza scampo. A volte, svegliandomi con la fronte madida di sudore, dopo un incubo infuocato dall’odore intenso, la famosa fame mi assale. Lo afferro con impeto e lo costringo a non staccarsi da me finche non sono soddisfatta.
La notte trascorre così. Mai tranquilla, mai leggera.
Quando la mattina seguente riapro gli occhi, trovo Peeta seduto vicino alla finestra che guarda il sole come se ne fosse ipnotizzato. I riflessi luminosi, fanno scintillare i suoi capelli biondi, rendendolo ancora più magnetico di quello che già non sia.  Se avessi anche solo un briciolo del talento che possiede lui nel disegno, spenderei le mie giornate a ritrarlo in ogni posizione ed espressione che esprime. Però, non avendo a disposizione un dono tale, provo ogni volta a scattare una fotografia mentale e ad archiviarla nel mio ripostiglio personale. Quello dove conservo solamente le immagini più belle e felici della mia vita.
Ma la felicità si eclissa velocemente. L’alba è giunta e con essa anche Gale.
Mi stiracchio lievemente e il mio respirare pesante e ansioso discosta Peeta dai suoi pensieri. Ha un viso stanco e malinconico, provato da mille stati d’animo differenti. Provo a sorridergli, ma anche la mia faccia non deve ispirare chissà quanta sicurezza.
Si strofina gli occhi con il palmo della mano e schiarisce la gola in modo delicato. «Buongiorno.»
«Buongiorno» mugolo, con la lingua impastata. «Dormito bene?»
Devo aver fatto la battuta del secolo, perché le sue labbra si sforzano di non mostrare i denti bianchissimi.
«Con le tue mani fredde che mi toccavano ovunque, non è stato proprio uno dei miei sonni più ristoratori.»
La sua risposta mi offende, tanto che mi porto le mani sulle guance per testarne la reale temperatura. Quando scopro che ha ragione gli alito sopra, insistente. Questo lo fa alzare di scatto e me lo ritrovo accanto che dondola la testa. Mi afferra le dita e se le porta alla bocca, scaldandole con il proprio respiro caldo. «Sono contento che fossero tanto fredde, perché io ero già abbastanza bollente di mio.»
Questa affermazione mi fa arrossire pesantemente, ma cerco di tenerglielo nascosto. Ma a lui non sfugge niente. Mi bacia delicatamente le labbra e ormai non ho più bisogno di essere riscaldata. Sto andando a fuoco.
Lui si stacca bruscamente, guardando l’orologio in legno. «Devo andare al forno, mi staranno aspettando.»
Oppongo un po’ di resistenza, anche se non serve a nulla. Si riveste in fretta, allacciandosi i pantaloni con gesti veloci e disordinati. Prima di uscire dalla camera torna a sporgersi verso di me, accarezzandomi il viso.
Dentro i suoi occhi, però, c’è un gelo glaciale.
«So che ti sembrerà egoista» inizia. «Ma ti chiederei di rimanere a casa, oggi. Finche non sarò di ritorno con il pranzo.»
Questa richiesta mi fa male. Non si fida di me. E’ convinto che potrei precipitarmi in strada, cercando Gale. E una volta trovato, scappare con lui al Distretto 2 e non tornare mai più.
Comprende che mi sento tradita, ma non fa nulla per scusarsi o chiarire le sue parole. Forse, non lo fa perché ne è realmente sicuro. E non posso dagli torto.
Se ne va, lasciandomi sola tra le lenzuola scompigliate e in qualche modo capisco che la sua voleva essere un sfida. Una specie di test da superare.
Mi dirigo in bagno e mi ci vuole mezz’ora per districare i capelli e racchiuderli nella solita treccia. Ho un aspetto stravolto, ma almeno non sembro più una pazza furiosa. Scendo in cucina e la colazione è già pronta e fumante sul tavolo massiccio. Peeta deve essersi alzato molto presto per prepararmela.
Avrà voluto farsi perdonare in questo modo? Qualcosa me dice di sì.
 Si aspettava che avrei reagito come un gatto selvatico e questo è stato il suo modo per riconquistare la mia benevolenza. Mangio la metà di quello che mi si para davanti, avendo lo stomaco chiuso. Continuo ad osservare l’orario, sperando che mezzo giorno arrivi in fretta. Alla fine cedo quasi tutto a Ranuncolo, che apprezza di buon grado l’offerta, e come se fosse tutto normale, mi vesto con gli abiti da caccia che preparo ogni giorno sulla sedia della camera da letto. Non trovo gli stivali e so che questa è opera di Peeta. Li cerco ovunque, finche non li scorgo, incastrati in una fessura dietro l’armadio. Ammetto di aver riso a quella sua improvvisata mal riuscita.
Mi ritrovo con la mano sulla maniglia della porta d’ingresso, senza nemmeno sapere perché lo sto facendo.
Ma, riflettendoci un po’, ci arrivo. Sono sempre stata una ragazza testarda, con i suoi principi e i suoi obbiettivi. Mai capace di obbedire agli ordini e andare nella direzione giusta. Anche adesso, dopo le raccomandazioni di Peeta, sono ancora pronta a trasgredire.
Apro la serratura e l’aria gelida del mattino mi rinfresca il viso stanco. Faccio due passi e richiudo la porta alle mie spalle. Mi incammino e intanto penso a quello che voglio realmente fare, una volta uscita dal Villaggio dei Vincitori. Eppure, nonostante tutto, non mi pento di aver disobbedito. Perché, in ogni caso, io non ho fatto alcuna promessa.

 
Ecco fatto! Un secondo capitolo fresco fresco. Sinceramente non pensavo di raccontare così poco di quello che succederà in seguito... ma almeno il terzo capitolo avrà qualcosa di interessante da proporre a chi avrà la pazienza di leggere. Vi prometto incontri interessanti e dialoghi accesi!
Un bacio, alla prossima, Pain.
  
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