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Autore: Flami Destrangis    06/04/2014    6 recensioni
Durante la presentazione dell'ultimo libro di Yusaku Kudo a Tokyo, a seguito di un errore Conan torna a rivestire i panni di Shinichi, risolvendo il macabro caso di omicidio in cui si trovano implicati. Nonostante cerchi come al solito di nascondere la sua comparsa, il giorno successivo sul giornale compare una foto della serata in cui sono ritratti lui e Ran. La nuova apparizione del detective liceale più famoso del Giappone sembra destare molto interesse: ma, allo stesso tempo, smuoverà le acque di una storia che non tutti vogliono riportare a galla.
“Mi piacerebbe correre fuori, lavarmi tutto di dosso. Lasciare scorrere sulla pelle ogni problema, ogni preoccupazione, ogni maschera e ruolo ed essere soltanto l'uomo che c'è oltre questo paio di occhiali e quella cravatta che mi piace tanto portare. Che cosa resterebbe secondo te?”
Il padre sembrò lanciargli uno sguardo disperato, come a chiedere aiuto. Come se avesse davvero paura che potesse non rimanere più nulla oltre tutto quello che ogni giorno lo ricopriva. Conan sorrise appena e gli porse la copia di "In bianco e nero" che teneva in mano.
“Ma che domande sono, papà. Lo sai anche tu: resterebbero i tuoi libri"
Genere: Drammatico, Generale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Gin, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Un po' tutti | Coppie: Ran Mori/Shinichi Kudo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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In bianco e nero

 

 

“I could stay awake just to hear you breathing

watch your smile while you are sleeping

when you are far away and dreaming.

I could spend my life in this sweet sourrender

I could stay lost in this moment, forever

Every moment spent whith you is a moment I treasure..”

(Areosmith, “I don't wanna miss a thing”)

 

 

 

5. Fotogramma di una vita dimenticata

 

 

 

 

 

Mentre i capelli ondeggiavano piano al suono del vento, Ran fissava la città illuminata di piccole luci, alcune delle quali apparivano così lontane da sembrare quasi puntiformi. Il suo cuore aveva fatto un piccolo tuffo quando Yusaku le aveva detto piano quelle parole all'orecchio.

 

“Vai all'uscita numero cinque, dall'altra parte dell'hotel. Non dovresti trovare né giornalisti né poliziotti. C'è una persona che vuole vederti.”

 

Yusaku era tornato da poco con l'ispettore, le facce stravolte di chi aveva vissuto una brutta avventura a cui avrebbe preferito assistere da spettatore. Chissà, se quella fosse stata la trama di un film o di un libro, forse l'avrebbero addirittura trovata appassionante. Sì, avrebbero tenuto gli occhi incollati allo schermo, una morbosa curiosità di sapere quello che doveva succedere che scorreva attraverso le iridi, sprofondando nelle pupille dense di un mare nero. E invece così, viverla sulla propria pelle, era travolgente e straziante. Dopo il finale ci si sentiva svuotati, la mente che lavorava a rilento per cercare di trovare un senso ad un'insensata storia che appariva quasi priva di realtà. Ran aveva saputo poco di quanto successo: tutto quello che aveva compreso era che quel piccolo e timido attore americano dallo sguardo basso e gli occhiali grandi era l'assassino, colui che aveva spezzato la vita del signor Sakamoto, vittima designata da uno strano gioco del destino. Ebbe di nuovo un brivido al pensiero che lì, sotto quel telo bianco, avvrebbe pouto esserci lei: i piedini piccoli che spuntavano da quel lembo di stoffa, la manina pallida appena visibile. Chiuse gli occhi, in un goffo ma deciso tentativo di scacciare quelle immagini dalla mente. Un altro alito di vento le scompigliò i capelli, facendole venire la pelle d'oca. Era uscita con addosso solo il suo vestito verde, e le spalle nude le tremarono appena. D'improvviso, sentì un calore ricoprirle la schiena. Qualcuno le aveva appoggiato dolcemente una giacca da uomo, regalando una dolce tregua al suo corpo scosso dai brividi. Si girò, per ringraziare il suo soccorritore. Nella penombra di quell'uscita secondaria, vide la sagoma che, in fondo al suo cuore, aveva sperato sin dal primo istante di trovare lì. Si erigeva fiera, sicura di sé come sempre, ma questa volta forse un po' più abbattuta, le parlpebre leggermente abbassate, gli occhi appena lucidi, un sorriso accennato che nascondeva a stento l'ombra di una triste serata. I capelli scompigliati dal vento, imperlati sulla fronte da piccole goccioline di sudore, e le gote rosse, come se fosse accaldato, affaticato.

“Shinichi..”

Tutto quello che le uscì fu un filo di voce. Gli occhi erano già bagnati dalle lacrime che tentava di non lasciar trasparire e le mani ora tremavano, ma non più per il freddo. Era l'unica cosa che nessuno al mondo sapeva controllare, quando si manifestava in modo improvviso e dirompente, come un fiume in piena che spezza gli argini e arranca per le strade, sul cemento e tu lo vedi, l'acqua sta per toccarti, e puoi provare a fuggire, scappare, ma lei sarà sempre più veloce di te. Era l'emozione.

“Ran.” disse solo lui, muovendo qualche passo. La vide portarsi le mani a coprire il volto, nel tentativo di asciugare le sottili lacrime salate che le stavano bagnando le ciglia.

“Shinichi, ma tu.. io.. dov'eri finito? Cosa ci fai qui? Io..”

“Ssshhh.” le disse piano, sussorrandole quasi all'orecchio. “Non serve parlare.”

L'abbracciò con dolcezza, senza più alcun timore. Sentì la camicia bagnarsi delle lacrime di lei, che ora era scossa dai singhiozzi. L'emozione l'aveva travolta, tutta l'attesa, la tensione e l'angoscia si erano liberate in quell'attimo, rompendole la mente e facendole scoppiare ogni ragionamento articolabile.

“Va tutto bene. Sono qui, adesso.”

Pronunciò quella parola, adesso, con l'amaro in bocca. In una situazione normale, per quanto questo termine possa essere orribilmente riduttivo e insensato, quell' “adesso” avrebbe significato “Sì, sono qui, non vado via.”. E invece per loro si trattava davvero di attimi, di quei secondi, minuti, di quelle poche ore che il tempo tiranno e subdolo concedeva loro. Perché in un solo secondo tutta quella magia poteva svanire, la felicità ritrasformarsi in attesa e il sorriso vero e sincero in una maschera che aspetta solo la persona giusta per essere tolta. Per loro era questione di attimi, e quegli attimi bisognava viverli al massimo.

“Scusami se non sono potuto arrivare prima.”

“Io ti stavo aspettando.”

“Sei arrabbiata?”

“Sì, sei uno stupido.” sussurrò lei, affondando ancora di più il capo e le lacrime in quella camicia bianca.

Shinichi sorrise. Le accarezzò piano i capelli. Quella ragazza era davvero un angelo. Il suo dolce angelo che, senza saperlo, lo proteggeva e accudiva costantemente.

Ci sono momenti nella vita in cui le parole non servono, in cui ogni suono è superfluo o addirittura fastiodamente in più, perché rompe quel flusso silenzioso di complicità che si instaura tra due anime. Quello era uno di quei momenti. E entrambi lo avevano capito benissimo.

Stettero lì per un tempo indefinito, avvolti da un silenzio surreale che bagnava loro la pelle fino a dentro le ossa. Poi, pian piano, Ran si staccò, asciugandosi le ultime lacrime con il dorso della mano. Un abbozzo di sorriso le tingeva di felicità il volto.

“Non ti fai mai sentire.” lo redarguì bonariamente.

“Sono stato molto impegnato.”

La solita patetica scusa. Abbassò per un secondo lo sguardo, come a vergognarsi lui stesso di quella frase. Era tornato il ragazzo impacciato di sempre.

“Per una volta potresti anche ammetterlo, dire qualcosa come sì, hai ragione. Mi dispiace.

“E' vero, hai ragione. Ma sai che faccio fatica ad ammettere di essere in torto.”

L'abbozzo divenne una risatina sommessa.

“Sì, lo so. Ti conosco fin da quando eri alto così.” E indicò, con il braccio proteso e la mano aperta, più o meno l'altezza di un bambino dell'elementari.

Lui annuì, sorridendo a sua volta. Ran non se ne rendeva conto, ma conosceva ancora uno Shinichi alto così. Ed era così strano, così brutalmente strano, che il rapporto con la persona a cui teneva di più fosse costellato soltanto di bugie. Il loro cielo non era limpido, non come avrebbe voluto. Il loro firmamento non brillava solo di ciò che avrebbe desiderato. Ti dicono che la vita bisogna prenderla come viene, senza domandarsi troppi perché: sarebbe inutile, ad essi non troveremmo mai risposta. Eppure alle volte era difficile prenderla semplicemente al balzo, come una palla impazzita che salta da un muro all'altro. Era difficile accettarla e basta, senza storie, senza proteste, senza lamentele.

“Ne è passato di tempo, eh.”

“Tu non sei cambiato per niente. Sempre uguale.”

“E cioè?” chiese, prevedendo la risposta.

“Sempre fanatico di gialli, sempre un po' saputello, alle volte anche un pochino presuntuoso.”

Shinichi incrociò le braccia, mettendo un broncio esagerato per farla divertire. Se Ran fosse stata solo un po' meno cieca, si sarebbe accorta che lui e Conan non potevano essere altro che la stessa persona. Ma quello non era il momento.

“Sei sempre la solita anche tu, a quanto vedo!”

La ragazza scoppiò a ridere: “In fondo, non si cambia davvero mai. Ma raccontami, cosa stai combinando? Hai aiutato tuo padre a risolvere il caso? E' per quello che sei venuto?”

Era così elettrizzata, così felice. Il mondo interno a lei si stava sgretolando, stava perdendo significato, ora era importate solo essere lì, con lui, in quel momemento di grazia che le era stato concesso. Quasi non ricordava più il rischio che aveva corso quella sera, il male ai piedi per le scarpe con il tacco, il trucco sbavato per la stanchezza e le lacrime. Il suo corpo ora reagiva ad ogni stimolo, pronto più che mai a non perdersi nemmeno un secondo di quanto sarebbe successo. Shinichi era lì, con lei. Non ci poteva credere. Era il miglior regalo che potesse desiderare, era la vita che si accedendeva e cominciava a bruciare. Anche se quella candela prima o poi sarebbe finita, abbattendosi su se stessa, non le importava: voleva solo quel calore che il suo cuore che bruciava le iniettava in tutto il corpo.

“Ehi, ehi, quante domande! Senti, perché non andiamo da me? Sul divano come da bambini, a raccontarci di tutto e di più, facendo a gara a chi si addormenta per ultimo?”

“Io perdevo sempre, te lo ricordi? E puntualmente la mattina sostenevo di essere crollata dal sonno insieme a te, e di aver pareggiato e non perso! Ero proprio una frana.”

“Guarda che ho intenzione di vincere anche stavolta.”

“E io non ho intenzione di perdere.” affermò lei, sicura. Al diavolo il compito di matematica della mattina successiva. Non valeva di certo quanto quegli occhi azzurri che le stavano davanti.

Shinichi le porse la mano, invitandola ad afferrarla.

“Allora andiamo, forza, la notte non è infinita. Prima che qualcuno venga a cercare la mia dama.”

Ran arrossì vistosamente, facendo quanto lui le aveva indicato. Sentì un brivido quando la loro pelle si sfiorò. Da quanto tempo.

“Non posso correre con queste..” disse, facendo sporgere il piede dal lungo vestito verde e mostrando le scarpe.

“Questo è decisamente un problema.” disse lui, prendendola in giro e facendo finta di scervellarsi.

“Sherlock Holmes del terzo millennio, devi risolvere assolutamente il mio dilemma.”

“Sai che amo le sfide. Aspettami qui, non ti muovere, sono da te in minuto.”

Senza dire altro, corse velocemente all'interno dell'edificio, sparendo oltre le porte di vetro. Ran rimase lì, ancora sorridente, la giacca di lui sulle spalle. Chissà con cosa sarebbe tornato. Non ebbe il tempo di elaborare una risposta che era nuovamente lì, un paio di ballerine in mano.

“Fortunamente dovrei aver trovato il tuo numero.”

Lei sgranò gli occhi: “Ma cosa sei, un mago? Da dove vengono fuori queste?”

Shinichi sfoggiò il suo solito sorriso soddisfatto.

“Mi è bastato rovistare tra le divise delle cameriere avanzate.”

Ran lo fissò penseriosa: “E come facevi a sapere che portavano delle ballerine? Non mi dire.. non mi dire che eri qui anche stasera! Ti eri forse travestito? Eri tra gli altri invitati?”

Aveva assunto un'espressione leggermente seccata. Perché se era lì, non era venuto prima da lei? Perché aveva aspettato tutto quel tempo?

Lui portò le mani avanti, come a difendersi da quello sguardo indagatore. Non era abituato a fare la parte di colui che era messo alle strette. Trovava molto più facile ed eccitante essere il braccatore.

“Ma no, no, cosa dici.. Ho solo immaginato che, dovendosi muovere in un ambiente così vasto, per le cameriere fossero più adatte scarpe basse e comode, ma al contempo eleganti, piuttosto che tacchi alti e traballanti. Mi è bastato rovistare un po' e ho trovato quello che cercavo.”

Ran sembrò accontentarsi della spiegazione. Si appoggiò saldamente al braccio di lui, sfilandosi le calzature e indossando quelle che Shinichi le aveva portato. Ecco che tornava ad essere decisamente più bassina di lui.

“Sono perfette.” gli assicurò. “Ma questo non è un furto?”

Le fece l'occhiolino.

“Ma no, cosa dici. E' solo un prestito a tempo indeterminato. E ora forza, abbiamo già perso abbastanza tempo.”

Le afferrò piano la mano e cominciò a correre, trascinandola dietro di sé. La sentì ridere. Cosa ne sarebbe stato di lui se, in quell'esatto momento l'effetto del farmaco fosse cessato? Se avesse incominciato a contorcersi e rimpicciolirsi proprio davanti a Ran? Se, dove fino a un attimo prima c'era Shinichi, fosse comparso Conan? Non ne aveva davvero la più pallida idea. Sperò solo che ciò non accadesse, non poteva davvero accadere. La vita era strana, sì, ma non così ingiusta. L'antidoto avrebbe resistito. E lui ce l'avrebbe fatta. D'improvviso si ricordò di aver scordato una cosa, forse la più importante. Una cosa che non vedeva l'ora di dirle con la sua vera voce. Che sbadato. Si girò, continuando a correre, mentre svoltavano sulla via principale.

“Ah, quasi dimenticavo. Sei bellissima.”

Era così rapito dalla piega che gli occhi azzurri di Ran assunsero, da non accorgersi del flash che, poco distante, aveva immortalato un fotogramma della realtà in cui lui non avrebbe mai e poi mai voluto comparire.

 

 

 

Conan sgambettò velocemente giù dalle scale che portavano al piano di sotto, sistemandosi gli occhiali sul naso. Era in terribile ritardo, doveva sparire da quella casa il prima possibile, e quella notte non aveva chiuso occhio. Ma non si sentiva stanco, questo no: perché si rendeva conto che ne era davvero valsa la pena. Lanciò un ultimo sguardo all'orologio: erano le sette e mezza. Aveva raccomandato alla madre di svegliare Ran di lì a cinque minuti, giusto il tempo di non farsi trovare lì accanto a lei. La ragazza dormiva ancora sul divano, dove, inevitabilmente, era crollata per prima. Shinichi non era riuscito ad addormentarsi. Era rimasto lì, fermo, a guardare la giovane respirare piano, persa tra un sogno e l'altro. L'aveva osservata sorridere leggermente nel sonno, inclinare appena la testa, e sprofondare in un dolce torpore. Non aveva voluto perdere nemmeno un attimo di quella notte, e per un attimo aveva sperato che la mattina successiva avrebbe potuto essere di nuovo lì con lei, come ai vecchi tempi. E invece no, verso le sei quell'orribile dolore che gli sfracellava le ossa e gli bruciava la pelle era sopraggiunto di nuovo. E aveva dovuto dire addio a Shinichi, per tornare il piccolo Conan. Un'ultima occhiata, un ultimo “Scusami, Ran.” sussurrato piano, ed uscì. Si fermò davanti al cancello del dottor Agasa, suonando al campanello. Di sicuro sia lui che Ai dovevano già essere svegli. Con grande sorpresa, invece, a rispondergli fu una voce maschile, giovane, profonda e pacata.

“Sì, chi è?”

“Sono Conan.”

“Oh, entra pure.”

Prima ancora di vederlo comparire sulla soglia, il bambino aveva già riconosciuto quell'uomo. La sua voce era inconfondibile, o almeno per quanto lo riguardava.

“Signor Subaru!” esclamò, sfilandosi le scarpe. “Come mai qui?”

“Sono rientrato prima del previsto, ma non volevo disturbare i proprietari che in questi giorni sono qui a Tokyo, e così ho chiesto ospitalità a casa del dottore, e mi è stata gentilmente concessa. Tu, piuttosto, come mai qui così presto?” chiese lui, con il suo solito tono calmo, sorridendo e preparando la colazione.

“Non ho dormito molto stanotte, e così ho deciso di passare a prendere Ai per andare a scuola. E' già sveglia, vero?” improvvisò.

“Sono qui.”

Ai era appena uscita dal bagno. Aveva la frangetta leggermente bagnata, e ancora qualche gocciolina di acqua sulla fronte, doveva essersi asciugata velocemente il viso non appena sentito dell'arrivo di Conan.

“Com'è finita stanotte? Avevo sentito al telegiornale dell'omicidio.”

“Giusto.” intervenne Subaru, “E' stato catturato il colpevole?”

“Il colpevole è stato individuato, ma purtroppo mi.. il padre di Shinichi” si corresse subito, tossicchiando, “non ha potuto evitare che si suicidasse proprio davanti ai suoi occhi, gettandosi da un ponte. La polizia era impegnata nelle ricerche del corpo, non so se sia stato trovato o meno. La serata era cominciata così bene, che nessuno avrebbe mai potuto immaginare un simile tragico epilogo.”

Conan lanciò un'occhiata ad Ai. Non aveva ancora deciso se confessarle o meno dell'errore commesso quella notte: come l'avrebbe presa la scienziata? Male, di sicuro molto male. La osservò più attentamente. La bambina aveva un'espressione accigliata e due profonde occhiaie come se non fosse riuscita a dormire bene. Forse la notizia di un omicidio all'Haido Hotel le aveva riportato alla mente brutti ricordì.

“Che c'è?” chiese lei, con tono tagliente, notando lo sguardo del piccolo detective. “Qualche problema?”

“No, no, assolutamente niente! Dai, sbrigati, è una bella giornata, e cammineremo con calma fino a scuola.”

“Mangio qualcosa e arrivo. Tu non vuoi niente?”

Conan fece segno di no con la testa. Tra raffreddore non ancora finito, postumi di una trasformazione fantascientifica, e dispiacere per non aver potuto nuovamente salutare Ran nella maniera che lui riteneva più consona, lo stomaco gli si era attorcigliato fino a bloccare ogni possibile languore.

“Come vuoi.”

“Che peccato!” esclamò Subaru, guardando l'ora. “Il notiziario è appena finito, e il prossimo è tra un'ora. Non potremo sapere nulla riguardo alle ricerche del corpo prima che voi andiate a scuola. Ma il movente dell'omicidio?”

“E' una storia lunga, e comunque troppo triste per cominciare la giornata.” disse solo Conan, il quale non aveva voglia alcuna di ricordare ancora quanto successo su quel ponte. Era rimasto profondamente scosso, e non osava immaginare quanto quella situazione dovesse aver colpito il padre.

Subaru sembrò capire, e non ribatté. Come a voler cambiare argomento per rammendare il suo piccolo peccato di curiosità, aggiunse: “Il dottor Agasa dorme ancora?”

Ai annuì.

“Stanotte è rientrato tardi.”

A Conan bastò quella semplice frase per confermare i suoi dubbi: la sua amica non aveva chiuso occhio quella notte. Decise che non era davvero il caso di raccontarle quanto accaduto. In fondo, nessuno doveva averlo notato, a parte Megure e altri poliziotti. Ma, come al solito, era stato attento a mettere a tacere la sua comparsa. Non voleva dare ulteriori preccupazione ad Ai, e, in fondo, anche se non lo avrebbe mai ammesso, non aveva davvero voglia di sentire una delle solite ramanzine della piccola scienziata. E fu così che uscirono in silenzio, camminando l'uno accanto all'altro. Conan di tanto in tanto sbadigliava, a tratti starnutiva per gli strascichi di quel maledetto raffreddore, ma era ancora del tutto immerso negli avvenimenti di quella notte. Quel caso di omicidio così particolare, le ricerche per il corpo, e, soprattutto, Ran che dormiva dolcemente sul divano, appoggiata alla sua spalla e abbracciando delicamente il suo braccio. Ai, da parte sua, sentiva una strana stanchezza nervosa scenderle sempre di più addosso. Il lavoro frenetico e nascosto degli ultimi giorni le stava togliendo ogni energia: i calcoli, la ricerca della sintesi conveniente per ogni composto, lo studio di tutti quei dati e, più di tutto, l'angoscia che si era insediata dentro di lei quella notte, da quando aveva sentito in televisione dell'omicidio commesso all'Haido City Hotel. Bastava così poco per far riaffiorare ogni ricordo e ogni paura: e anche se le piaceva mostrarsi forte, indifferente e sicura di sé, la sua anima era sempre scossa da un turbinio profondo, nero d'inchiostro che le macchiava l'anima schizzandole su ogni tessuto del corpo. Ai aveva paura del suo passato e, più di tutto, di quello che era stata. E avrebbe tanto voluto cancellarlo, tutto quell'orribile passato, anche se sapeva perfettamente che questo avrebbe portato ad una Ai diversa, anzi no, non sarebbe mai stata Ai, sarebbe stata sempre e solo Shiho. Non ci sarebbe stato nessun Conan, solo uno Shinichi Kudo sulla prima pagina di ogni giornale e una Ran Mouri che viveva felice con il suo amico d'infanzia; nessun Kogoro l'Addormentato, nessuna squadra dei Giovani Detectives. Si rese conto allora più di ogni altro momento di quanto le sue azione avessero influenzato la vita altrui: perché tutto quello che era successo, era accaduto solo e unicamente per quella piccola pillola a cui lei aveva dato vita. Se il suo passato fosse stato diverso, il presente e il futuro di molte persone sarebbe stato forse di gran lunga migliore. Ma in quel passato odioso, arrogante, tormentato e affilato come una lama appena forgiata, lei c'era stata dentro fin dalla nascita: il suo passato non era stato, in fin dei conti, una scelta. Questo non aiutò a confortarla. Arrivò invece a farle pensare che se lei non ci fosse stata, il presente e il futuro di molte persone sarebbe stato forse decisamente piu vivibile.

“A casa dovrei avere una copia del libro per te.” le disse Conan, rompendo il flusso confuso di quelle parole interiori.

“Di che parli?”

In bianco e nero. Ti ricordi? Me l'avevi chiesto tu.”

“Ah, giusto. Grazie.”

Ci fu un attimo di silenzio. Conan la osservava di sottecchi, mentre lei continuava a guardare dritto davanti a sé. Alla fine la domanda arrivò.

“Va tutto bene, Ai?”

“Perché non dovrebbe?”

“Non mi sembra che tu sia particolarmente rilassata o felice.”

“Sono come sempre.”

“Se lo dici tu.”

“Lo dico perché è così, e non c'è altro da dire.”

Conan non rispose. Per un attimo, Ai si pentì di essere sempre così scontrosa. Ma non poteva farci niente: era una sorta di difesa personale, era lei. Chiudersi a guscio per provare a non soffrire più.

Passarono davanti ad un rivenditore di giornali. C'era una piccola folla accalcata lì, persone che entravano ed uscivano con in mano le notizie fresche del giorno. Conan si avvicinò incuriosito: forse il caso dell'Haido City Hotel, sicuramente riportato in quei quotidiani, aveva destato un bel po' di scalpore. Si trattava di un omicidio insolito, apparentemente privo di un movente, e conclusosi poi con il suicidio dell'assassino. Il tutto ambientato in uno degli alberghi più lussuosi di Tokyo, durante la presentazione dell'ultimo libro di un noto romanziere. Era davvero una trama degna di un film d'azione, di quelli che Hollywood sfornava di continuo. Quelle storie, per quanto tragiche, appassionavano terribilmente la gente comune: ci si soffermava a cercare di capirle, ci si impersonava nel detective e si provava a trarre la conclusione. In pochi ne percepivano la reale tragicità, per i più era una sorta di gioco alienante. Sentire la realtà attraverso i giornali, le televisioni, i libri e il cinema, è sempre più facile: ci si sente protetti e lontani, perchè è accaduto a qualcun altro e il pensiero di fondo è sempre qualcosa del tipo perché dovrebbe accadere di nuovo? E perché dovrebbe accadere a me? A qualcuno prima o poi accade. E ritrovarsi faccia a faccia con la realtà è tutt'altra cosa. Perché il mondo è sempre più subdolo, sporco e voltafaccia di quanto ce lo si possa immaginare. Ai lanciò uno sguardo veloce a quella folla: lei non si esaltava più per niente, perché a faccia a faccia con la realtà ci era già cresciuta. Riteneva di aver visto abbastanza per aver imparato a vivere davvero nel mondo reale.

“Hai sentito? Durante la presentazione del libro di Kudo!”

“Pare che la vittima non avesse niente a che fare con l'omicida..”

“E l'assassino?”

“Sembra si sia gettato nel fiume, ma a quanto pare il corpo non è stato ancora trovato.”

“Sai che serata per gli invitati..”

“Sai che pubblicità per il libro!”

“Dicono che alla presentazione fosse presente anche il Detective Mouri, il famoso Kogoro l'Addormentato.”

“Davvero? Ed è stato lui a risolvere il caso?”

“Non viene detto niente a proposito.. secondo me è stato il signor Kudo! Tale padre, tale figlio.”

“A proposito del figlio, guarda un po' qui...”

“Shinichi Kudo?”

“E' tornato?”

“La salvezza della polizia giapponese! Forse si è sentito messo in disparte dalla fama acquisita da Kogoro l'Addormentato, e ha deciso di tornare..”

Queste erano le voci che gironzolavano davanti a quel giornalaio. Conan rimase esterrefatto da come, davanti ad avvenimenti del genere, ci fosse davvero persone in grado di pensare alla pubblicità che, in un modo o nell'altro, tutto questo avrebbe portato al libro del padre. Strinse i denti, indignato dalla superficialità di certa gente. Era così preso dai suoi pensieri che aveva perso le frasi finali, quelle che lo riguardavano direttamente, quelle che riguardavano il ritorno di Shinichi Kudo. Ai, che delle persone ormai non si stupiva più, aveva invece sentito ogni parola. Senza aggiungere altro, si infilò tra quell via vai di corpi, fino a quando non riuscì a scorgere il quotidiano che le interessava, e la prima pagina che non avrebbe mai voluto vedere. A caratteri cubitali, il titolo recitava:

 

“Il ritorno della salvezza della polizia giapponese: Shinichi Kudo risolve il misterioso caso dell'Haido City Hotel.”

 

Sotto, una foto leggermente sgranata di un ragazzo che correva, tenendo per mano una giovane dai capelli lunghi. Le bastò poco per riconoscerlo: era proprio Shinichi. La piccola scienziata sentì il mondo crollarle addosso. Era forse uno scherzo, un brutto sogno? Non poteva essere vero, Shinichi non poteva davvero essere sulla prima pagina di quel giornale. E la ragazza accanto a lui, così simile a Ran.. chi poteva aver scattato quella foto? Perché Shinichi era lì, dove avrebbe dovuto esserci Conan? Fu scossa da un brivido, e non si accorse nemmeno del sudore freddo che le scorreva lungo la pelle. Accanto a lei la gente continuava a chiaccherare. E quelle voci la riportavano alla realtà, le facevano capire che non era un incubo, che quella era la vita che aveva cominciato ancora una volta a girare nel verso sbagliato.

No, non dovevano leggere quel titolo, non dovevano vedere quella foto. Nessuno doveva farlo, non potevano scoprirli così, non in modo così stupido e idiota, non mettendo in pericolo anche Ran. Non ci pensò due volte, o forse non ci pensò proprio. Prese tutte le copie del quotidiano che erano esposte, le strinse tra le sue piccole braccia e scappò via più veloce del vento, incurante delle urla del rivenditore e dello scompiglio generale. Corse come una pazza per le vie della città, non sentendo altro che il battito del suo cuore strapazzato dalla paura e dall'angoscia. Perché quella foto era lì? E se ne avessero parlato anche i notiziari? La voce sarebbe girata, fino ad arrivare inevitabilmente a loro. E non si sarebbero fatti scrupoli: avrebbero cercato Ran, poi Kogoro, poi Yusaku e Yukiko, il dottor Agasa, e infine lei. Sì, non ci avrebbero messo molto a trovarla: erano i segugi più insistenti e tremendamente bravi che conosceva. Sentì il cuore batterle ancora più forte. Mio Dio, le mancava il fiato, doveva fermarsi o sarebbe scoppiata lì da un momento all'altro. Si arrestò di botto, ansimando. Poco più avanti, a lato della strada, intravide un cestino della spazzatura. Presa dalla foga, cominciò a strappare i giornali che teneva in mano, e a buttarli uno dopo l'altro, come se ciò avesse potuto in qualche modo evitare che quella dannata foto venisse ulteriormente diffusa. La carta era bagnata. Stava piangendo, e forse non se n'era nemmeno resa conto.

“Ai! Ai, che succede, ma cosa ti prende? Ma tu stai..”

Conan l'aveva afferrata per le spalle, costringendola a stare ferma. Ansimava, la fronte imperlata dal sudore e le occhiaie ancora più marcate. Ai si morse il labbro, e un impeto di rabbia la colse. In fondo al suo cuore, ci sperava ancora: sperava di svegliarsi, capendo che tutto quello che stava vivendo era in realtà solo una distorsione fantasiosa della sua mente angosciata.

“Cos'è questo? Cos'è questa roba? Cos'è successo ieri sera?” sbottò, asciugandosi gli occhi e cercando di riprendere fiato.

Conan prese in mano uno dei giornali. Quando lesse il titolo e si riconobbe nella foto, sentì le ginocchia cedere sotto il peso di quella notizia. Shinichi e Ran in prima pagina: come era potuto succedere? Aveva nascosto tutto nel migliore dei modi, era subito corso a casa scappando dall'uscita sul retro.. quando era stata scattata quell'immagine? Lui teneva per mano Ran, il profilo della ragazza era ben riconoscibile. Dannazione, doveva esserci un qualche giornalista in giro e, riconoscendolo, non ci aveva pensato due volte prima di scattare la foto dello scoop da prima pagina.

“Perché hai preso l'antidoto ieri? Perché non me l'hai detto? Lo sapevo che non dovevo darti quella pillola, lo sapevo che non dovevo fidarmi, ma ti rendi conto di cosa vuol dire questo? Per te, per me, per Ran, per tutti gli altri?”

La piccola scienziata era fuori di sé. Non era semplice rabbia, era la paura che la incatenava ad un nervosismo isterico che non riusciva a controllare.

“Ai, è stato un errore, ho preso per sbaglio l'antidoto..”

“Non mi importa di cos'è stato, sei stato uno stupido, come hai potuto..”

“Calmati, Ai!” le afferrò le spalle scosse dai singhiozzi e l'attirò a sé, stringendola forte. La sua amica era piccola e fragile, un uccellino spaventato e percorso dai brividi che vede il cacciatore in lontananza. Ora lui doveva cercare di stare calmo, di non lasciarsi prendere dal panico, di escogitare una soluzione. Ma prima di tutto doveva pensare ad Ai.

Stettero lì, immobili, finché la bambina non si acquietò. Stralci di carta sollevati appena dal vento ondeggiavano per il marciapiede, volteggiando fino alla strada, per venire infine calpestati dalle ruote di macchine incuranti.

“Scusami, non volevo aggredirti. Lo so che non sei uno stupido, Shinichi.” sussurrò piano lei, staccandosi e asciugandosi gli occhi. “Ma mi devi delle spiegazioni.”

“Ti spiegherò ogni cosa, ma ora andiamo a scuola. Per questa mattina non conviene fare nulla di sospetto. Comportiamoci normalmente. Al ritorno vedremo se la notizia è stata trasmessa in televisione, e se sì a quel punto dovremmo escogitare qualcosa. Se anche gli uomini dell'Organizzazione venissero a saperlo, per questa mattina siamo comunque al sicuro, noi come gli altri: sono veloci, non sovraumani. E poi è probabile che, se il caso desta scalpore, aspettino ad agire; così come è ugualmente probabile che la notizia venga presa come una bufala. Ora andiamo.”

Ai annuì, ma non sembrava convinta. E neanche Conan lo era. Ma non poteva fare altro che mostrarsi sicuro e calmo, per cercare di infondere coraggio ad Ai. Eppure lo sapeva benissimo anche lui. Gli uomini dell'Organizzazione sarebbero venuti a sapere e di sicuro avrebbero provato a controllare le carte in tavola. Bisognava agire con cautela, senza passi falsi. Bisognava pensare prima di ogni singola mossa. Bisognava avvertire i suoi genitori, il dottor Agasa, proteggere l'identità di Ai. Bisognava proteggere più di tutti Ran, che era con lui in quella maledetta foto. Era più che sicuro che, se non avessero trovato subito lui, sarebbero andati da lei. Chiuse gli occhi, nel tentativo di scacciare quell'immagine. Non poteva permetterlo. Tirò un bel respiro, e prese per mano Ai. La bambina teneva gli occhi bassi e tremava ancora. La scuola non era lontana.

“E se andassero all'agenzia Mouri?” chiese Ai, preoccupata.

“Ran non è stata identificata nell'articolo, non riucirebbero a trovarla così in fretta.”

“Bisogna fare qualcosa, Ran deve andarsene, tu non sai di cosa siano capaci, Shinichi. La inseguiranno, ovunque, instancabilmente, finché non la troveranno.. Non andiamo a scuola. Non andiamo, Shinichi. Dobbiamo andare dagli altri, avvertirli, fare qualcosa.”

“Pensi che io non abbia paura, Ai? Se pensi questo, ti sbagli. Ho paura, come ne hai tu. Ma non possiamo lasciare che questa abbia la meglio su di noi. Non dobbiamo fare nessuna mossa sospetta. Se Ran improvvisamente sparisse, la identificherebbero subito. Dobbiamo pensare prima di muovere anche un solo dito.”

Prese il cellulare. A quell'ora Ran doveva essere quasi arrivata a scuola. L'avrebbe chiamata con una scusa, per sentire come stava. Sentì l'ansia per lei contorcergli il cuore. Dopo tutte quelle bugie dette e ripetute solo per proteggerla, ora lei era lì, ignara e in pericolo più che mai. E lui non poteva fare niente, non poteva prendere e portarla via, perché era lui il pericolo più grande per lei. Maledizione. Il cancello della scuola era ormai a pochi passi. Ai era dietro di lui, attaccata saldamente alla sua spalla. Si sentiva nuda, scoperta, vulnerabile. Ogni rumore la faceva sobbalzare. Voleva solo stare nascosta, lontana da tutto.

Conan sentiva la presa della bambina, i brividi di lei che si trasmettevano al suo corpo. Alzò il viso a guardare la scuola elementare. Tra poco la campanella sarebbe suonata, e nel mondo di Ai e Conan tutto sarebbe ricominciato come al solito, come ogni mattina. Ma quel mondo si stava incrinando. Pensò a suo padre e sua madre, in quella casa dove prima o poi loro sarebbero giunti. Pensò a Ran nel suo stupendo vestito verde, mentre gli sorrideva con le lacrime agli occhi. Pensò al dottor Agasa che rideva sotto i suoi folti baffoni, mostrandogli la sua nuova invezione. Che senso aveva cercare di nascondersi? Era davvero la scelta giusta restare nell'ombra? E se si fosse sbagliato, se fossero andati quella stessa mattina da lui, se fossero venuti a cercarlo mentre era a scuola? Se davvero quello fosse stato l'inizio della guerra decisiva, perché non cominciare fin dall'inizio?

Guardò di nuovo l'edificio bianco, così protettivo, così sicuro. In quel momento, capì più che mai che quello non era più il suo mondo. Non c'era più posto per lui lì. Non per il momento, almeno. E Ai era al suo fianco: in quel destino di adulti intrappolati in corpicini loro due erano insieme. Strinse forte la mano di lei. Non avrebbero perso.

“Ai.” le disse, voltandosi e facendo marcia indietro, “Corri!”

Un soffio di vento sembrò spingerli ancora più avanti, come a volerli incoraggiare nella loro corsa. Oppure, li stava solo allontanando da quella vita precaria ma sicura che avevano vissuto fino a quel momento: sì, per loro non c'era più posto nella dolce culla dell'incolumità. Se lo scontro doveva cominciare, allora sarebbe cominciato. Non c'era posto per i vigliacchi e i codardi in quel mondo in cui il destino li aveva beffardamente catapultati.

 

 

 

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Emh... dire che non so da dove cominciare è poco. Spero che qualcuno si ricordi ancora di me, e di questa piccola storia che non ho più avuto tempo di aggiornare da ormai ottobre se non sbaglio. Chiedo davvero scusa a tutti coloro che la stavano seguendo, e lo so che non ci sono spiegazioni che tengano, ma sono stati dei mesi davvero pieni (soprattutto l'inifito periodo di esami) e anche al di là dell'università mi sono successe talmente tante cose da ottobre a questa parte, e davvero non ho più avuto tempo di toccare questa storia. Vorrei ringraziare davvero tanto Shin17, che mi ha scritto chiedendomi se avevo intenzione o meno di continuare. Non abbandonerò questa storia finché non l'avrò conclusa, solo che ho davvero il difettaccio di essere già lenta di mio a scrivere, in più con tutti gli impegni.. chiedo davvero scusa :(

So che questo capitolo non è chissà cosa, e soprattutto io mi sento davvero molto arrugginita nello scrivere. La storia ce l'ho già tutta nella mia testa, si tratta solo di metterla su carta. Se avete tempo e volete lasciarmi un commentino, mi farebbe davvero molto piacere: ho bisogno di riprenderci la mano, e ogni consiglio è utile. Vorrei ringraziare tutti coloro che hanno recensito, e chiedere scusa a chi non ho risposto: ho letto tutte le vostre recensioni, e mi hanno sempre spronata ad andare avanti. Grazie davvero di cuore.

Vorrei mandare un forte abbraccio ad una mia carissima amica (anche se purtroppo lontana) , e farle un grandissimo in bocca al lupo per l'esame che avrà a breve, e che sono sicura andrà benone :) Sei forte Mary, non farti mai abbattere da nessuno! Ti voglio tanto bene, e grazie per tutto <3

Detto questo.. Niente, spero solo che il capitolo vi sia piaciuto almeno un pochino :)

Aggiornerò il prima possibile, e so già che il prossimo capitolo mi divertirò molto a scriverlo ;)

Grazie ancora a tutti!!

Un grosso bacio,

Flami

 

  
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