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Autore: May90    09/07/2008    3 recensioni
[Fiction a due voci] [Ben lontana dalla vicenda originale] [La mia prima fanfiction...^_^]
Capitolo 19 "Feelings And Desires" =
"Prese un altro sorso di vino e, una volta riappoggiato il bicchiere sul tavolo, si mise a giocare passando con finta non curanza l’indice smaltato di rosso sul bordo del calice. Un’altra scena di repertorio, ma sempre molto efficace, dovevo ammetterlo. - Fai bene a parlare di gatti. – riprese, senza mutare l’espressione rilassata, ma fissando intensamente quel gesto che fingeva essere spontaneo – In quanto felini, hanno molti istinti feroci insiti in loro e un innato desiderio di scoprire le cose di persona. Non si tirano mai indietro. Quando hanno uno scopo, poi, diventano implacabili. - - Quindi l’avresti presa come una sfida? Non voleva esserlo in ogni caso. – scrollai le spalle – Strano, comunque. Credevo che i gatti fossero soprattutto animali nobili, eleganti, amanti del benessere e della tranquillità. Non questi grandi avventurieri. – - Quando sono allo stato selvatico, finiscono per essere più simili alle tigri che ai cagnetti domestici. A meno che tu non mi stia paragonando ad un innocuo barboncino. – e alzò gli occhi affilati come lame sul mio volto. - Tu invece ti stai paragonando ad una tigre…? – commentai con una smorfia dubbiosa – E soprattutto, in che modo dovresti sembrare così selvatica? Vivi in una ricca dimora, partecipi spesso a serate mondane, hai sempre una perfetta manicure… -"
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Tyki Mikk
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2

Fear


“Le religioni sono come le lucciole: per splendere hanno bisogno della tenebra.”
(A. Schopenhauer)






Padre François era mio padre, perché non ne avevo altri.
Io non potevo fare altro che considerarlo tale: era colui che più di tutti si occupava di me e di mia madre. Per quanto sapessi che era decisamente sconveniente chiamare un uomo di Chiesa “padre” in senso letterale, mi piaceva tanto pensare che lui fosse davvero il mio genitore. Buffo come le cose siano davvero ciò che sembrano…

Era un uomo alto ed elegante, anche nella sua veste sacerdotale aveva un fascino particolare. I suoi occhi erano verdissimi, proprio come i miei. Il suo viso era sempre dolce e tenero e la sua fede era enorme, tanto profonda che non sarebbe riuscito ad evitare che attraverso di lui si infondesse in tutti. Mi diceva sempre che l’amore per Dio era qualcosa di incredibile e candido come un giglio. Io ascoltavo sempre tutto quello che diceva con la massima attenzione, con il cuore di chi vuole imparare tutto da colui che insegna. Fu così che scoprii la religione e cominciai a professarla con enorme fiducia, con grande cura…
Qualche volta ci veniva a visitare a casa. In genere restava molto a lungo, ma quando ero piccola la cosa non mi stupiva affatto. Mi rendeva felice che anche lui volesse vedermi e passare del tempo con me. In queste situazioni mi chiamava “mia piccola Vivy”. Quel soprannome mi piaceva tantissimo e cercavo sempre di convincere tutti a chiamarmi così, piuttosto che Victoire.

Io e la mamma vivevamo in una casetta su una collina vicina ad un villaggio della Provenza. Mia madre aveva origini borgognone, ma appena aveva avuto l’età per lasciare l’orfanotrofio aveva deciso di allontanarsi da quella zona e cercare riparo da qualche altra parte. Non mi aveva mai spiegato come e perché fosse arrivata fin lì, come avesse fatto a procurarsi la casa in cui vivevamo, come mai non uscisse quasi mai di casa. Allo stesso modo con cui era enormemente evasiva in certe spiegazioni, mi ripeteva sempre che era stata davvero fortunata ad aver incontrato Padre François, mi diceva che dovevo sempre comportarmi bene con lui, che era il nostro benefattore più grande. Comunque non mi era difficile fare come diceva.  
Crebbi così, in un ambiente all’apparenza sereno, calmo e sicuro.
L’unico vero problema era il mio rapportarmi con gli altri. Per mia natura non ero timida, né chiusa o introversa. Eppure c’era qualcosa in me che mi diceva di tenermi alla larga da tutti e muoveva un timore innaturale per le altre persone. L’unica eccezione era riservata a mia madre e a Padre François.
D’altra parte non c’erano ugualmente molte speranze per me di fare amicizia con qualcuno. I bambini, aizzati dai loro genitori, mi tenevano ben alla larga quando andavo al villaggio. Non una sola volta  sentii alcuni che mentre passavo mi additavano con epiteti quali “figlia del peccato” e simili. Un giorno chiesi a mia madre cosa significasse e lei disse che poteva solo essere un errore, che avevo sentito male e che di certo non dovevo preoccuparmi di una cosa simile. Ricordo, però, che parlò in un modo strano, quasi minaccioso, e c’era come una vena di violenza nella sua voce, che per fortuna sparì quasi subito quando cambiammo argomento. In quel momento provai qualcosa di insolito che identificai ingenuamente come innocua paura…

Avevo compiuto da poco diciannove anni, ma in realtà già da un po’ cominciavo a domandarmi alcune cose riguardo la nostra situazione e il nostro strano rapporto con Padre François. Avevo finalmente cominciato a notare qualcosa di misterioso tutt’intorno a me. Da un po’ di tempo pregavo molto e anche in questo ero molto contraddittoria: a volte chiedevo a Dio se poteva permettere che mi venisse mostrato ciò che non capivo, a volte domandavo con un enorme sofferenza nel cuore che mi permettesse di non sentirlo, di tenerlo lontano da me. Vedevo che mia madre ogni tanto non si sentiva bene, ma che si riprendeva molto in fretta quando sapeva che doveva avvenire la visita di mio “padre”. Mi sembrava che molti miei coetanei mi si volessero avvicinare, ma che fossero incerti e come impauriti quando mi vedevano. Cominciai a chiedermi seriamente cosa avevo di così strano e diverso dagli altri…
 
Quella era davvero una giornata come tante, potrei dire allora. Eppure tutto, tutto sarebbe cambiato…
Soffro ancora enormemente a raccontarlo. Ma ne ho bisogno. Devo ricostruire tutto quanto perché sia possibile capire il legame che mi unisce alla vita che ho scelto e che conduco tuttora.

Padre François era arrivato verso l’una e ci aveva portato un po’ di verdure della bella stagione.
Mia madre era stata male poco prima: ad un certo punto aveva cominciato a tremare dalla testa ai piedi e appena mi ero avvicinata si era coperta con il lenzuolo dicendo di non preoccuparmi, che le sarebbe passato presto. Io avevo insistito e lei mi aveva spedita ad accendere il fuoco.
Ero decisamente arrabbiata, così, quando lui arrivò e vidi la mamma improvvisamente sgargiante e piena di salute correre a salutarlo, gli diressi solo un leggero saluto e andai fuori a prendere un po’ d’aria.
Passeggiai per il prato su e giù, senza fermarmi, cercando di pensare a cosa potesse avere davvero mia madre. Era di certo una malattia, qualcosa di grave…
Mentre guardavo tutt’intorno e insieme non guardavo nulla… Fu forse il colore bianco, così innaturale su quella grande distesa verdeggiante… Fu forse quello strano brivido di terrore che mi percorreva ogni volta che i miei occhi percepivano altre persone… Non ne sono sicura… Tuttavia, benché fossi immersa in fitti pensieri, mi accorsi di un folto gruppo di uomini vestiti di bianco che si accingevano a salire la collina.
Corsi in casa presa dal panico. E urlai, come se la mia stessa vita dipendesse da questo…
- CI SONO DEGLI UOMINI VESTITI DI BIANCO! STANNO DI SICURO VENENDO QUI! -
Dopo aver pronunciato quella frase mi resi conto di quanto fosse stata irrazionale. Perché preoccuparsi? Perché avere tanta paura? Avranno i loro motivi per venire a visitarci, ma noi ancora non li sappiamo. Mi sarei fatta ridere dietro da entrambi.
In realtà, però, la reazione di Padre François e di mia madre fu agghiacciante. Entrambi sbiancarono e si guardarono terrorizzati.
- François… - la voce di mia madre aveva qualcosa di roco e inquietante.
- Nell’altra stanza, Rossane… Magari non è nulla di così grave… Restate ad origliare un attimo da là, se le cose si mettono male, scappate dall’uscita sul retro… -
- Ma tu… Che ne sarà di te…? –
- Lo sapevi anche tu che prima o poi sarebbero venuti. Sarò processato. Non so come andrà a finire, ma non è di me che devi preoccuparti. Sai dove trovare il sacchetto con i resti dell’eredità di mio padre nella sagrestia, giusto…? Andate in un posto sicuro. –
In quel momento bussarono alla porta, forte. Io ero raggelata. Non capivo. Non potevo capire, ancora…
Mia madre mi trascinò per il braccio nell’altra stanza e dopo aver lanciato un altro sguardo disperato al sacerdote, chiuse la porta.

Entrambe ci appiattimmo contro la porta. Le voci non erano molto alte, ma riuscimmo ad ascoltare alcune frasi.
La porta venne aperta con un netto cigolio.
- Buongiorno. – fece, con falsa spigliatezza e tono incrinato, Padre François.
Una voce profonda e carica di autorità rispose con pungente severità: - Voi siete Padre François Flauvers, il sacerdote della cittadina…? –
- Si, esatto. E vossignoria…? -
Non riuscii ad udire la risposta.
- La signora Villois e la figlia non sono qui ora. -
- E voi cosa fate allora a casa loro…? –
Ancora un breve scambio di battute, che non ci fu possibile ascoltare.
Poi il tono inquieto di Padre Francçois: - Dunque siete davvero qui per quelle dicerie…? –
- Ma non sono dicerie, Padre François. Noi sappiamo per certo cosa è avvenuto. E proprio per questo, vorrei presentarvi una persona… -
Si udì solo intervenire una voce bassa e calma, anche se leggermente gracchiante, ma non riuscii a distinguere le parole.
L’esclamazione del sacerdote fu sorpresa come non mai: - Esorcisti!?!?!? –
Di nuovo la voce profonda: - Conoscete l’Ordine, dunque…? –
Questa volta il tono fu quasi sprezzante: - Non abbastanza forse, dato che scopro oggi come si occupi anche di persone innocenti! –
Avrei voluto ascoltare ancora. Forse avrei dovuto. Avrei capito subito cosa mi si presentava. Ma proprio in quel momento mi accorsi che mia madre tremava di nuovo vistosamente e ripeteva sottovoce, ma ossessivamente, come una cantilena storta, una parola: - Esorcista… esorcista… esorcista… -
La presi per le spalle e cominciai a scuoterla… Non tanto perché si riprendesse ma perché la smettesse… Quella cantilena passava per le mie orecchie come una scossa elettrica nella mia testa, mi riempiva la mente con qualcosa di doloroso e mi faceva sentire malissimo…
- Mamma! Mamma! -
Lei allora mi guardò e sembrò riprendere il controllo di sé, anche se il suo sguardo era febbrile:
- Andiamo via, Victoire! Andiamo via subito! -
Corremmo via. Mia madre, presa da un vigore e da una volontà che non avevo mai visto, avanzava per le vie della città ancora più veloce di me, non riuscivo a starle dietro. Tuttavia era stata ottimista a pensare di passare davvero per la chiesa… Aveva davvero pensato che non avessero mandato nessuno a cercarci, dato che non ci avevano trovate a casa…? Per conto mio ero invece troppo frastornata per ragionare. Era strano, assurdo. Cosa volevano da noi? Perché dovevano processare Padre François? Perché stavamo scappando? Cosa sono gli esorcisti? E quando semplicemente pensavo quella parola era come se uno spillo mi pungolasse la testa…
Mi accorsi che eravamo completamente circondate quando ormai tutte le vie di fuga ci erano ostruite. Erano gli abitanti del villaggio ad avanzare verso di noi. Nelle loro mani fucili e bastoni.
- Cosa fate…? – biascicai a fatica, mentre il terrore mi immobilizzava sul posto.
Nessuno rispose. Le loro facce erano congelate nell’odio più totale.
Fu allora che qualcosa di rabbioso e acuto si mosse in me. Sentivo una forza orribile che sembrava nutrirsi della mia paura e sfruttarla per crescere, sempre più forte.
- Dobbiamo andarcene da qui! Lasciateci passare! – urlai, mentre il terrore cresceva e si mischiava a quell’acuta frenesia.
Allora si alzò una voce dalla folla: - Voi sarete consegnate all’Inquisizione! –
- A cosa…? Che state dicendo!? Non esiste più una cosa simile! -
- Due streghe come voi meritano solo questo! Dannate meretrici! –
Cominciarono ad avvicinarsi sempre di più.
Sentivo che li avrei aggrediti con tutte le mie forze. Mi sarei difesa fino alla fine. Con tutto quell’odio che sentivo.
Poi di nuovo il mio sguardo cadde sulla mamma. Il suo respiro era affannato e faticoso, il suo viso era terreo, qualcosa in lei sembrava quasi morire e consumarsi in quel momento. I suoi occhi erano strani. Brillavano di un colore giallo… Mi prese il polso, sussurrò ancora piano il mio nome. Ma qualcosa mi piombò sulla testa e la vista mi si spense.

Quando ripresi i sensi il buio intorno a me era ugualmente densissimo. Ci misi qualche minuto a distinguere nettamente una cella umida e fredda.
Stavo cercando di mettere un po’ d’ordine tra le mie idee, ma mi era assolutamente impossibile. La sola cosa che ora capivo con certezza era che non ci si poteva fidare di nessuno. Anche gli abitanti del villaggio si erano alleati con quei presunti inquisitori. Perché? Provai una dolorosa fitta alla testa, probabilmente dove avevo ricevuto il colpo che mi aveva fatto perdere conoscenza, e quando mi guardai le gambe e le braccia notai distintamente molte escoriazioni ed ematomi. Di certo mi avevano anche picchiata parecchio. Non sapevo perché mi trovavo lì. La mia mente non riusciva a realizzarlo distintamente. Poi, qualcosa tintinnò nel mio polso e mi accorsi di un piccolo braccialetto con una croce. La mamma lo portava sempre al polso. Pensai che me lo avesse messo mentre stavamo per essere aggredite. Aveva parlato, aveva detto… Non riuscivo a ricordarlo…
Un grido altissimo, atroce, si alzò da qualche parte che non riuscivo a distinguere e mi scosse da ogni altro pensiero. Scattai in piedi come se fossi stata colpita da un fulmine. Ma le grida continuarono ancora e ancora. Le lacrime presero a scorrermi velocemente sulle guance, quando capii di chi si trattava. Padre François urlava di dolore e l’eco si propagava ovunque.
Poi una porta sbatté forte e l’urlo di sofferenza si poté udire in tutta la sua grande portata. Mi appiattii alla parete, respirando a fatica. Poi una voce rimbombò per il corridoio, un po’ acuta, ma appuntita e piena di indignazione:
- … E’ orrendo! E’ inutile e atroce! Non posso sopportare una cosa simile! -
- Non avete visto molti campi di battaglia. Ed in ogni caso sapete che questo è il solo modo… -
- Per cosa!? Vi ho detto che è stato sicuramente accecato da innocui sentimenti! Non è un malvagio! –
- Una mente debole in un corpo debole. E’ nostro compito… –
- Non è con la tortura che otterrete qualcosa! Le centinaia di anni passano su di voi come brezza estiva! Usate metodi irrazionali e antichi! Quelli che vi avevano già resi odiosi ai vostri contemporanei! –
- E voi dovreste portare più rispetto! Nonostante la vostra età non siete che un novellino nel vostro ruolo! Dovreste scrivere la storia così com’è e non tentare di cambiarla, non è così!? Il vostro comportamento non rende giustizia al vostro incarico! -
La porta sbatté di nuovo rendendo più deboli ma ugualmente strazianti le urla.
Dei passi affrettati ma molto leggeri echeggiavano verso il luogo in cui ero rinchiusa. Quando una delle piccole lampade del corridoio riuscì ad illuminare la figura che avanzava, vidi un uomo non più giovane e parecchio basso. Era completamente rasato tranne per una piccola coda che gli spuntava da in cima alla testa. Aveva degli occhi estremamente profondi e acuti, anche se segnati da scurissime occhiaie. Indossava una lunga veste nera che sembrava quasi brillare alla luce.
Mi guardò per qualche momento, come se mi stesse valutando. Oppure, come se stesse decidendo cosa fare. Io non mossi un muscolo e rimasi schiacciata in quell’angolo, ricambiando lo sguardo. Poi decise, trasse fuori una piccola chiave e aprì la cella. Mosse qualche passo verso di me, ma vedendo che cercavo di restargli il più lontano possibile si fermò ad una certa distanza.
- Victorie Villois, dico bene…? -
La sua voce bassa e un po’ gracchiante era la stessa che avevo udito attraverso la porta di casa quel giorno. Questo non mi rassicurò per nulla. La mia mancata risposta a quella domanda, tra l’altro puramente convenzionale, non lo stupì e continuò:
- Ho bisogno di sapere una cosa importante. E’ un metodo non scientifico ma credo dovrò accontentarmi. Ho bisogno di sapere che cosa provate ora. La prima emozione che vi viene in mente.-
Lo fissai un po’ sconcertata, ma non risposi. Sentivo di nuovo quell’eco nella testa, che mi spingeva a reagire con violenza, estrema violenza.  
Ma la domanda tornò, incalzante: - Ho bisogno di saperlo, Victoire. Poi vi spiegherò quanto mi sarà possibile… -
Le parole uscirono da sole, forti, nette, senza incertezze: - VOI MI DIRETE TUTTO ORA! NON INTENDO ASPETTARE UN BEL NIENTE! MI RITROVO CHIUSA IN QUESTA GABBIA! MIA MADRE E’ SPARITA! IN QUELLA DANNATA STANZA CHIUSA STATE TORTURANDO UNA DELLE PERSONE CHE HO PIU’ CARE AL MONDO! NON HO TEMPO DI ASPETTARE! -
Sentii che avrei potuto aggredirlo con violenza, ma non lo feci. Riuscii a trattenere quell’istinto primordiale meglio di quanto potessi credere. Strinsi la croce appesa al braccialetto e presi a respirare profondamente. L’uomo non si era mosso e anzi studiava con attenzione ogni mio gesto:
- Vorrei tanto pensare che si tratti solo di una motivatissima crisi isterica. Però so per esperienza che non lo è. Vi prego, Victoire, spiegatemi cosa provate. Quando quella rabbia vi riempie l’animo cosa sentite…? -
- Paura… Un’enorme paura… Di ogni cosa… - riuscii a sussurrare a bassa voce.
- …Si… Ho capito… Ma vedo anche che riuscite a controllarla… Questo mi rassicura molto. Credete in Dio, Victoire? –
- Si. Fermamente. –
Avevo di nuovo il controllo di me stessa. Il pensiero di quanto avevo imparato ad amare della fede mi rendeva più semplice parlare e rilassarmi.
- Bene. Molto bene, davvero. Allora forse posso aiutarvi. -
Lo guardai senza capire.
- Ve la sentite di entrare in un convento? –
- Cosa…? –
- E’ tutto ciò che posso offrirvi. Non ho altro modo per garantirvi la libertà. –
- Ma mia madre… Padre François… -
- Io… Non credo di poter fare nulla per loro… -
- Cosa significa…? –
Una porta si aprì di nuovo. Il vecchio mi guardò intensamente.
- Dovete solo rispondere “sì”. Con calma, con autocontrollo, come avete fatto poco fa. Tutto andrà bene. -
Ma il mio sguardo si era già soffermato su un’altra figura, imponente, avvolta in un saio bianco, che avanzava verso l’apertura della mia cella. I suoi occhi scuri mi scrutarono per qualche momento, mostrando chiaramente un enorme disgusto. Poi si soffermarono sull’anziano con un misto di divertimento e fastidio: - Cosa state facendo, Bookman!? Allora proprio non avete paura di quella donna! – il tono era maestoso e autoritario, lo stesso del primo interlocutore giunto a casa nostra.
Gli occhi dell’altro divennero fessure: - IO non ne ho motivo, come ben sapete. –
- Certo, certo. – questa ultima affermazione sembrava aver colpito nell’orgoglio l’uomo in bianco – Però ora dovete portare con voi la ragazza. E’ ora di chiedere la conferma finale. Del resto potete occuparvi solo voi, giusto…? -
- Si. –
- Allora conducetela. –
- Dove…? – riuscii a chiedere, anche se la presenza di quell’individuo sembrava impedirmi di respirare.
- Prima devo parlarvi… - intervenne l’anziano rivolto a quell’arrogante individuo.
- No! – più l’autorità bruta del grande e del forte, piuttosto che di qualche gerarchia, pesò su quella sillaba – ORA devo portare a termine il mio lavoro, Bookman! Conducete la ragazza! – e si allontanò a grandi passi.
- Non avrei mai dovuto mettere in mezzo questi gradassi dell’Inquisizione… Sono stato stupido… - sussurrò a sé stesso. Poi si avvicinò per tentare di aiutarmi, ma io respinsi la mano: - Vi seguo da sola. –
Lui annuì: - Ma ricordatevi di controllare la paura, Victoire. Altrimenti non potrò aiutarvi. –
- Come posso non avere paura…? -
- Non la paura in generale. QUELLA paura. Credo che voi abbiate capito di cosa parlo. –
Annuii e poi presi a seguirlo per il corridoio scuro.

Ricordo il sangue. Tanto. Però cosa vidi di preciso in quella stanza l’ho quasi rimosso del tutto. Persone, tante, vestite di un bianco stranamente sgargiante in tutto quel rosso. Una figura stava appesa alle catene. Dovevo sapere chi fosse. Di certo era una persona che conoscevo. Ma davvero non riuscivo a riconoscere quella maschera di sangue. Le lacrime scendevano senza che le chiamassi. Due mani si posarono delicatamente sulle mie spalle ma ero tanto assorta che neanche le percepii. Tremavo. Poi la voce profonda, con uno strano atroce trionfo nella voce: - Ebbene, François Flauvers, ex-sacerdote, riconoscete la qui presente Victoire Villois come vostra figlia, avuta nel peccato con Rossane Villois? –
Quelle parole avrebbero dovuto destare in me qualcosa, ma non lo fecero. Vero o falso che fosse, era solamente ciò che avevo saputo da sempre tradotto in parole.
- S…si… -
Alzai gli occhi verso di lui. Aveva risposto al suo nome, doveva essere lui. Eppure…
- Creatura dannata dal Cielo, che tu viva nel dolore! Maledetta tentatrice! Vaga per l’Inferno insieme alla figlia nata dal tuo sangue dannato! -
La presa sulle mie spalle si fece più forte e mi trascinò via.
La voce pacata di Bookman mi risvegliò dal mio stato: - Venite. Torniamo alla cella. –
- Non era lui… -
Il silenzio seguì le mie parole, ma poi disse, piano: - No, state tranquilla… - si leggeva una dolce pietà in quella frase menzognera.

- Portatela dalla madre! -
Una forza inaspettata comparve nella voce del mio anziano accompagnatore: - No! Non è necessario! –
- Dobbiamo svegliare i suoi poteri! -
- So io cosa bisogna fare! Devo portarla…-
- Fate ciò che vi dico! –

Mia madre era perfettamente lucida, o almeno così sembrava. Legata alle catene lanciava intorno occhiate malevole, ma taceva, come se fosse in attesa di qualcosa. Mi avvicinai tentando di farmi riconoscere, ma sembrava non mi vedesse e il suo sguardo mi passava quasi attraverso.
- Lo vedete. – disse Bookman, con astio – Non riconosce neanche sua figlia. -
- Ma voi ci avete chiesto di intervenire  per ben altra ragione, giusto!? –
- Si, però, adesso fatemi portare via la ragazza! –
- E’ tempo di piantarla con questa storia! Volete o no controllare…? –
L’uomo prese un respiro profondo e si avvicinò alla prigioniera:
- Victoire, allontanati. -
Poi guardò mia madre con un misto di pietà e inquietudine: - Vorrei davvero essermi sbagliato… -
Ad alta voce: - Rossane Villois, io sono Bookman, legato dell’Ordine Oscuro. Ora dimmi, riconosci cos’è questo…? –
Allungò verso di lei la mano. Da questa, improvvisamente spuntarono come delle punte di spillo acuminate. La reazione di mia madre fu sconvolgente. I suoi occhi si spalancarono e guardarono quello strano fenomeno con folle frenesia, le sue iridi divennero gialle e il colore della sua carnagione diventava sempre più grigio. Poi sangue scuro prese a scorrere dalla sua fronte. Un urlo selvaggio e atroce: - INNOCENCE! –
Bookman abbassò la testa affranto. Mi guardò con la coda dell’occhio e scosse la testa verso il grande inquisitore in bianco.
- Quindi cosa aspettate a fare quello che dovete!? - commentò quello, con scherno.
Sapevo per istinto cosa stava per succedere e chiusi gli occhi. Una forte luce avvolse la stanza e il riverbero fu percepibile anche attraverso le mie palpebre chiuse. Di nuovo piansi, ma in modo innaturale, come se quelle lacrime non fossero mie. Quando due braccia vigorose mi sollevarono, provai di nuovo la paura. Tanto intensa che sembrava pronta a distruggere tutto e uccidere... Per fortuna, quando mi gettarono nuovamente nella gabbia, quel timore si trasformò in solo odio e infine svanì di nuovo nella più assoluta disperazione.

Udii da lontano, di nuovo, la voce dell’anziano: - Ora che tutto è concluso, devo parlarvi. –
- Ancora, Bookman!?!? E poi, no, non è concluso niente! Quando vi occuperete di quella ragazza!? -
- E’ appunto di lei che devo parlarvi. Avete notato che davanti alla dimostrazione dei miei poteri non ha reagito…? -
- Si, certo. Ma non capisco dove volete arrivare. Ha il sangue di quella strega, giusto!? –
- Di questo sono ormai sicuro. Ciò è inevitabile. Ma il nostro Ordine vuole tentare un esperimento… -
- Non sono stato avvisato di nulla di simile… -
- Ne sono a conoscenza. Ma è un progetto di un nobile esorcista… Conoscete per caso, Cross Marian…? –
- No, per nulla. –
- Non ha importanza. Egli sostiene che in determinate circostanze si possa addirittura salvare delle anime dannate… -
- Questo non mi interessa e non mi compete. Il succo è che non avete intenzione di uccidere la ragazza. –
- No. –
- E quindi cosa volete fare…? Spero non lasciarla libera! Ne va anche dell’onore del MIO ordine! –
- Vorrei che le venisse permesso di entrare in un convento. E’ una giovane molto religiosa nonostante la sua origine nefasta. –
- Mi sembra un’idea assurda! Se tuttavia garantisse il VOSTRO ordine… -
- Garantisco io. Spero vi sia sufficiente. –
- Comunque io non mi prendo responsabilità. –
Entrambi si avvicinarono alla mia cella. L’uomo in bianco esclamò, inorridito: - Vuoi diventare davvero una suora per il resto della tua vita…? –
Strinsi forte la croce del bracciale: - Si. –
Distolse lo sguardo da me e si rivolse all’altro: - Chiederò che venga inserita in un convento di clausura lontano da qui. Questa è l’ultima cosa che farò. Il resto è responsabilità dell’Ordine Oscuro. -
Bookman si inchinò con rispetto mentre l’inquisitore si allontanava compunto.

L’anziano tentò di avvicinarsi ma lo tenni lontano con uno sguardo ardente: - State lontano da me!-
Lui si fermò, per nulla colpito dalla mia reazione: - Vorrei potervi spiegare, Victoire. –
La rabbia stava tornando. Il mio tono divenne alto e acuto: - Cosa dovreste spiegare!? Avete ucciso mia madre e mi state salvando dalla stessa fine solo in base ad un vostro misterioso esperimento!  Non mi fido di voi! Non mi fido di nessuno! –
- E’ naturale. Non avete incontrato nella vita altro che persone che vi hanno fatto del male. E’ inevitabile. -
- Allora andatevene! –
- Certo. Lo farò. Ma prima voglio darvi ancora qualche consiglio. Spero che li seguiate. Perché voi sarete l’ultima persona a cui cercherò di dare il mio aiuto. Davvero questo comportamento non fa parte del mio ruolo, quindi non potrò farlo mai più. –
Alzai gli occhi e vidi profonda amarezza riflessa nei suoi: - Voi non potete credere negli uomini, lo capisco. Ma dovete anche il più possibile evitare di temerli. E’ l’unico modo che avete per sfuggire al male che ha colpito vostra madre. Lei era la Follia. Voi siete la Paura. Lo so che non capite, ma se cercassi di spiegarvi per voi sarebbe ancora più difficile. Voi dovete sfuggirgli, Victoire. Voi non dovete ascoltarlo. Lui vi parlerà, vi racconterà tante cose, vi farà credere di essere solo lui nel giusto. Ma non è così. Perché anche se gli uomini vi hanno delusa, voi credete in Dio. Questo vi salverà. Nutritevi di quell’amore, Victoire, e vi salverete. – e lanciò un veloce sguardo al mio ciondolo.
Si chiuse la cella alle spalle, ma poi si fermò e attraverso le sbarre disse, piano: - E’ la prima volta che credo alle parole di quel pazzo di Cross… Ma spero che abbia ragione e che voi possiate davvero vivere… -

Entrai nel convento con la forza di chi vuole ricominciare, di chi vuole dimenticare. Avevano avuto ancora molti dubbi gli inquisitori sull’idea di permettermi di “sporcare” un ambiente sacro. Non ci avevo fatto caso, non mi interessava. Contava solo essere viva e lontana da tutti quegli orribili esseri umani.
La veste del convento era blu. Non avrei potuto chiedere nulla di meglio. L’idea di vestirmi di bianco mi avrebbe tormentato. Ogni tanto mi capitava ancora di sognare quegli individui con le tuniche bianche…
Le altre sorelle mi trattavano bene. Certamente non sapevano come mai fossi stata condotta presso di loro. Con il tempo riuscii anche a sopportare tranquillamente la loro presenza, anche se non potevo fare a meno di tenere ugualmente le distanze. “Inevitabile”, aveva detto quell’anziano uomo. Eppure, più restavo là, più mi sembrava che il mio atteggiamento fosse sbagliato anche se non ne conoscevo altri. Bisognava amare le altre creature, non temerle. Mi sentivo di nuovo totalmente sbagliata…
Tuttavia, avevo scoperto di avere una bella voce ed ero stata inserita come solista nel coro della cappella annessa. Amavo cantare e quando ero immersa in quell’attività mi sembrava che il cuore diventasse leggero. Cantavo per Dio, in risposta alla bontà che mostrava per me garantendomi di vivere lo stesso, nonostante tutto quello che era accaduto…

Ero rimasta là già da parecchi anni quando avvenne quello strano incontro. Lo ricordo benissimo, quel magnifico dono della Provvidenza. Quello straniero che bussò alla porta del convento. Sperava anche di essere aperto! Sarei stata cacciata e se lo avessero saputo quelli dell’inquisizione questa volta mi avrebbero ammazzata davvero. Eppure la curiosità mi spinse a guardare e bastò quello… Quel ragazzo aveva la paura negli occhi… Era molto semplice paragonarlo con lo sguardo impaurito di Padre François quando ci intimò di nasconderci… E poi… Quel bimbo svenuto in braccio mi mosse un sentimento fino ad allora sconosciuto nel cuore… Io potevo fare qualcosa. Dovevo farlo. Così insegnava la mia fede, non potevo fare finta di nulla. Avevo una paura terribile, però, e questa si trasformò di nuovo in quella strana asprezza. Tuttavia, mi ripetevo continuamente che stavo facendo del bene, che non c’era nulla di male, che andava bene così, che non mi sarebbe successo nulla. Questo mi aiutò molto. Mi permise di fare qualche passo verso il superamento del mio terrore.
Certo, quell’uomo mi inquietava un po’… Addirittura un ateo… Una vera e propria offesa a ciò per cui avevo vissuto per tutto quel tempo… Poi, dopo qualche giorno arrivai come a farci l’abitudine. Ci misi poco a capire che nonostante fosse così strano e bizzarro, era un bravo ragazzo. Tutto quell’affetto per quel bambino, nonostante non avesse con lui alcun legame di sangue era ammirevole e in un certo qual senso incomprensibile per me, che avevo ricevuto amore solo da chi condivideva parte della mia identità. Era gentile, in fondo, anche se un po’ insopportabile. Schietto e diretto fino all’eccesso. Negli ultimi momenti passati assieme riuscivo addirittura a dimenticarmi di aver paura…
Quando se ne andarono un po’ mi dispiacque anche… Ma mi avevano donato qualcosa di bellissimo: la speranza, questa volta più forte e motivata, di riuscire a superare la triste malattia di mia madre. Ci sarei riuscita sicuramente. Avrei avuto la possibilità di volgere quel sentimento di puro amore per Dio, verso gli uomini, dimenticando per sempre quanto male avevo ricevuto da loro… Dimenticando quell’oscuro presentimento che mia aveva sempre tenuta lontana da tutti…

Passarono ancora alcuni anni, non saprei dire quanti, da quell’incontro così felice. Quella sera ero particolarmente in pace con me stessa e cercavo di prendere sonno.
Quando lo sognai.
Sognai Padre François appeso alle catene, i suoi occhi sbarrati, i suoi urli atroci e poi quelle parole di maledizione, crudeli e dolorose. Mi ripetevo che non era lui, che non poteva esserlo, che lui mi voleva bene e che quindi doveva essere un altro. Allora gli inquisitori mi avevano ingannata. Malvagi, crudeli, maledetti. Poi mia madre, mi guardava ma non mi vedeva, folle. Mi aveva sempre nascosto cosa aveva, cosa le succedeva. Mi aveva nascosto la verità. Non mi voleva bene, no di certo. E quel Bookman… L’aveva uccisa, mi aveva fatta chiudere nel convento, per farmi morire da sola nella mia stanzetta, da sola. Come gli abitanti del villaggio mi avevano catturata perché morissi sola in una cella dell’Inquisizione! Eppure l’aveva detto chiaramente che ero il suo esperimento e anche in quel momento mi stava usando! “Gli uomini mi odiano! Ma loro devono essere maledetti, loro!” urlava qualcosa di strano e odioso nella mia testa.
Poi la mia mente sembrò scoppiare. Un dolore atroce sulla fronte mi costrinse a stringermi le tempie tra le mani. Le sentivo bagnate. Le guardai: erano piene di sangue, dello stesso sangue che sentivo scendermi copioso dalla fronte. E ciò che ancora di più mi lasciò sconvolta fu, però, il colore della mia pelle: era scura, come grigia, come cadaverica.
Sentivo il bisogno di urlare ma mi trattenni con tutte le mie forze. Quella voce rimbombava ancora nella mia mente, quando mi misi a correre per il corridoio scuro, fino alla cappella. Rivoli di sangue mi scivolavano anche sugli occhi e la fronte mi bruciava in modo insopportabile.
Mi prostrai sotto l’altare, piangendo. Avrei voluto riuscire a scacciare quella paura e quell’odio selvaggio che di questa si nutriva. Avrei voluto sovrapporvi i visi sorridenti e gentili di quei due giovani che tanto mi avevano aiutata, ma non ci riuscivo. Allora guardai in alto il crocifisso, gridando con tutte le mie forze:
- Ti prego, Signore! Scaccia da me questo dolore! Non mi merito nulla ma ti prego, scaccia da me questa sofferenza, questa orribile paura! -
- Non lo farà. Non può farlo. Perché voi non gli appartenete per nulla, Victoire. –
Mi girai di scatto verso il punto da cui avevo udito quella voce innaturale, allegra e giocosa mentre proferiva quella condanna… Era l’essere più assurdo che potessi immaginare e per qualche momento pensai davvero che fosse solo frutto della mia immaginazione, ma quando venne alla luce e potei vedere nettamente i suoi crudeli occhietti gialli… Allora capii le parole di Bookman, capii che era di lui che parlava… Quell’individuo oscuro che dovevo fuggire ad ogni costo… Ma capii anche che in ogni caso non potevo fare nulla per tenerlo lontano da me…


  
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