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Autore: Meretrice_Thomisus    06/04/2014    1 recensioni
Ognuno di loro ha provato e causato sofferenze.
Ognuno di loro ha conosciuto la paura.
La storia di alcuni ragazzi si intreccerà, mostrando come la vita può essere sconvolta improvvisamente senza lasciarti la possibilità di cambiare le cose.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Questa storia inizierà come una semplice commedia a tratti romantica ma con l’andare avanti acquisirà un andamento più serio e più adatto al genere drammatico. Si svolgerà in prima persona da vari punti di vista. Il nome di chi al momento parla sarà segnato in alto. A fine pagine spesso saranno presenti note che serviranno a puntualizzare parole o frasi della storia, evidenziati con un *. Buona lettura!



Capitolo III


Jesus

13 Novembre 2006 (collegato al capitolo precedente)
 

Tre “Ave Maria” per le parole peccaminose dei miei compagni, due “Salve Regina” per l’abbigliamento inadeguato delle mie compagne, e dieci “Padre nostro” per me, che non potevo fare a meno di guardarle. Questo era ciò che mia madre avrebbe voluto facessi. Ma le preghiere non mi servivano a nulla, soprattutto contro il re dei bastardi, un futuro dannato: Pedro. Il male era racchiuso nei suoi occhi. Quando mi guardava la sua bocca assumeva una forma strana, come se fosse affamato. Era lui il diavolo a dare il via al mio “girone infernale”. Le sue mani mi causarono un occhio nero, anzi più che le sue mani fu il vassoio con cui mi colpì. Sapevo cosa mi avrebbe detto mia madre: era la giusta punizione per i miei pensieri lussuriosi dedicati alle ragazze. Pedro era forse un angelo mandato da Dio per mantenere pura la mia anima? Che cazzata avevo pensato. Adesso avevo paura di tornare a casa. Mia madre avrebbe cercato di lavare via i “segni del male” con l’acqua santa e una spazzola di ferro. Odiavo quei momenti.

 

Da bambino mia madre mi faceva sempre dare un bacio ai piedi del crocifisso al dì fuori della porta d’ingresso. Ma ormai mi limitavo a guardarlo per un po’ e fargli un cenno con la testa. Non volevo essere scoperto, perciò entrai cercando di fare il minimo rumore. Purtroppo mia madre possedeva un ottimo udito, come quello dei pipistrelli. Abbassai più che potevo la testa, ma non potei nascondere a lungo il marchio sul mio volto. Mia madre si portò una mano alla bocca emettendo un verso di spavento.
«Oh Santa Madre di Dio! Jesus, la mano del creatore è calata più forte del solito questo giorno! Quali peccati hai commesso?!». Mi chiese rabbiosa. Sospirai.
«Mi pento e mi dolgo dei miei peccati, madre.»
Di solito era la formula giusta per farla urlare il meno possibile.
«NON CHIAMARMI MADRE! Solo la beata vergine può essere chiamata in questo modo!»
Fece il segno della croce e chiese scusa al signore per la mia insolenza. Dovevo andarmene prima che degenerasse ancora di più.
«Scusami, mamma, pregherò per ciò che ho fatto. »
«E lo farai per tutta la sera! Non azzardarti ad uscire sinché non te lo dirò io!»
Nella mia stanza, per abitudine, iniziai a pregare un “Credo”, ma non riuscii a completarlo. Il dolore all’occhio era intenso. Come se non bastasse mi sentivo oppresso dagli sguardi accusatori dei santini appesi alle pareti. Ripensandoci, l’occhio non era niente rispetto alle frecce con cui San Sebastiano fu trafitto. L’avevo davvero pensato?! Dio mio, stavo impazzendo con quel tipo di vita.


Raphael


«Da oggi si cambia registro!»
Il mio vecchio era furioso. Avevo un modo tutto mio per capirlo, oltre al tono di voce. Osservavo le sue orecchie e quando raggiungevano un colorito bordeaux sapevo che era il momento di stare zitto. L’avevo fatta grossa, mi aveva nuovamente beccato in vela. Ero stato un coglione a farmi scoprire.
«D’ora in poi a scuola ti accompagnerò sempre io, così vedremo se avrai l’abilità di marinarla! E a casa alle 20 in punto ogni sera, nessun minuto di ritardo! »
In quel momento eravamo nella sua decappottabile sportiva rosso fiammante. Il suo unico vanto e la nostra unica passione in comune.
«Allora?! Non dici niente?!»
Se avessi parlato mi avrebbe preso a colpi. Se non lo avessi fatto, lo stesso. Prima ancora di ragionare sul da farsi, mi girai verso la strada e vidi qualcosa di insolito in lontananza. Solo dopo esserci avvicinati di più vidi quel pezzo di merda di Pedro insieme alla sua banda. Stavolta dovevano averla fatta grossa. Sembrava avessero picchiato una ragazzina, dato che loro ridevano sguaiatamente, mentre a terra c’era una ragazza in lacrime. Non aspettai neppure che mio padre si fermasse. Scesi velocemente e, senza pensarci due volte, piantai il mio pugno sul naso di Pedro che incominciò a sanguinare. Lui si coprì il volto con le mani.
«Tu! Figlio di put…».
Non riuscì a finire la frase, perché poco più avanti vide la figura imponente (era un uomo alto e ben piazzato, dallo sguardo truce, per nulla simile a me) di mio padre. Come se non bastasse le sue orecchie erano più rosse di quelle che aveva avuto in tutti questi anni (e con me come figlio era successo un sacco di volte). Lo stronzo non voleva passare casini e si limitò a sfidarmi con lo sguardo, per poi dire ai suoi seguaci di andare via. Come si allontanarono mi avvicinai alla ragazza, che nel mentre si stava asciugando le lacrime. Rimasi dubbioso perché ricordai di averla già vista. Ma dove?

«Tutto okey? Che è successo? »
«Stavo…tornando a casa… li ho visti e…stavano facendo del male a…»
Non completò la frase a causa di un singhiozzo.
«Del male a chi?»
«Ai gatti!»
Rimasi sbalordito. Tutto quanto era accaduto per dei gatti? Solo dei gatti?! Effettivamente in quel momento si sentì uno strano lamento. Vicino a noi c’era un micio bianco con il pelo sporco di fango e sangue. A giudicare dalle pietre sparse in giro gliele avevano tirate. Era sdraiato a terra. Aveva la coda spezzata e provava a rialzarsi senza successo. Notai con orrore che era l'unico sopravvissuto a una, per così dire, strage. Intorno erano appesi(al lampione vicino, alla spazzatura) i corpi di altri gattini che quei tre avevano impiccato senza pietà. Ah! Come cazzo fare cose del genere senza che gli si rivoltasse lo stomaco?
«Hei… aspetta un attimo… tu sei quel Raphael!»
Fui preso alla sprovvista dalla ragazza. Mi conosceva? Forse era una delle tante ragazze di scuola a cui piacevo e che non consideravo minimamente. Poi, però, la osservai meglio e la riconobbi immediatamente: era la ragazza che mi aveva visto compiere quello scherzo.
«Oh… sei tu…».
Tuttavia, come faceva a conoscere il mio nome? Aprì la bocca come per dire qualcosa, ma al posto del “grazie” che mi aspettavo, aggrottò le sopracciglia urlando
«Come hai potuto fare una cosa simile?! Altra violenza non è mai la risposta alla violenza! Sei uguale a quei ragazzini, sei terribile!»
Indietreggiai sorpreso da quello scatto d’ira improvviso. L’avevo aiutata e mi trattava così?
«Ferma! Ferma! Per prima cosa, avrei preferito un grazie, e seconda cosa... come diavolo fai a sapere il mio nome?!»
«Bhè, il giorno in cui hai fatto del male a quel professore ti è caduto il portafoglio e l'ho trovato!»
Maledii la sua fastidiosissima voce. Non passo, infatti, molto tempo prima di ritrovarmi preso per il colletto da mio padre.
«CHE CAZZO HAI FATTO?!»
Le sue orecchie ormai erano diventate nere.
«Non è vero! Non ascoltarla... è sottoshock per prima, si inventa le cose!»
L'espressione della ragazza divenne un misto di indignazione e sorpresa.
«Questa è una bugia!». Ribattè.
Prese il mio portafoglio dalla borsa e me lo scaraventò addosso.
«Tieni il tuo stupido portafoglio! Ringrazia che non ti ho denunciato al professore per quelle cavallette!»
«DA OGGI SI CAMBIA REGISTRO!». Ripetè violentemente mio padre fissandomi con occhi di fuoco.
«Starai barricato in casa sino alla fine dei tuoi giorni!»
Detto questo mi buttò a forza dentro la macchina dandomi subito dopo un manrovescio. Stava per partire, ma si ricordò della ragazza che, nel mentre, aveva preso in mano il gatto mettendosi a piangere per le condizioni di quest'ultimo.
«Hem...ragazzina, come ti chiami?»
«...Paoletta..»
Facendo segno con la mano di avvicinarsi, mio padre le disse in modo gentile (tono che non aveva mai usato con me)
«Dai, sali in macchina. Ti accompagniamo prima dal veterinario e poi ti riportiamo a casa.»
Lei singhiozzante annuì, salendo sull'auto. Per tutto il viaggio sperai che quella Paoletta se ne andasse al più presto.

  
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