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Autore: Jane Ale    07/04/2014    6 recensioni
[Prima storia della serie "Il ciclo di Caterina", ma può essere letta indipendentemente dalle altre storie.]
Caterina e Alessandro sono migliori amici, eppure non riescono ad andare d'accordo per più di qualche minuto. Ma poi Caterina capisce di essere innamorata di Alessandro e tutto si complica. Perché lui è stronzo, ma non ne è consapevole; lei, invece, è isterica, ma non sa come smettere.
Il solito vecchio cliché? Probabilmente (no).
Dalla storia:
-L'avevo capito. Di piacerti, intendo.-
Annuii. -Era piuttosto evidente.-
Si passò le mani sul viso, poi mi fissò di nuovo. -Cate, io mi sento molto attratto da te, non posso negarlo..-
A quelle parole avvampai, ma cercai di restare distaccata. -Ma?- gli chiesi.
-Ma al tempo stesso non riesco a provare quei sentimenti che vorrei. Ti voglio un mondo di bene, ma..-
Ma non sei innamorato di me, conlusi per lui nella mia mente.
Raccolsi tutto il coraggio che avevo e sorrisi. -Non preoccuparti, Ale, non importa. Non è successo niente.-
-Cate, ascoltami.-
-No, va bene così, nessuno si è fatto male.- Sorrisi ancora.
-Tu sì.- disse con semplicità. Ed era vero, io mi ero fatta molto male, più di quello che credevo.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il ciclo di Caterina'
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Capitolo 18
Se vuoi guarire, però, prova un po’ ad innamorarti di te

 
 
 




 
 
“Qualche volta siamo spinti in una direzione
che avremmo dovuto trovare da soli.”
(dal film “Un amore a 5 stelle”)
 
 
 
 
 


 
Avevo appena finito di raccontare a Giovanni ogni singolo dettaglio della mia relazione con Alessandro, lui mi aveva ascoltata in silenzio senza lasciar trapelare alcuna emozione. Aveva atteso che il mio sfogo giungesse a conclusione, poi, per l’ennesima volta, mi aveva abbracciata.
Non so cosa lo portasse a consolarmi, ascoltarmi e consigliarmi pazientemente ogni volta, non era umanamente possibile che una persona fosse disposta a tanto solo per amicizia, tutto ciò andava al di là della mia comprensione.
O, forse, ero io a non aver chiaro il concetto di amicizia. Cosa pensavo, che l’amico modello fosse Alessandro? Che noi fossimo stati davvero amici? Che il nostro fosse stato un vero rapporto di amicizia, poi degenerato? No, quello era ciò che avrei voluto fosse reale, ma ero arrivata ad un punto di non ritorno: noi non eravamo mai stati amici, nemmeno la prima volta che ci eravamo parlati, all’età di quattordici anni, quando lui mi aveva accusata di odiarlo senza motivo. Noi eravamo stati un caos completo, dal primo all’ultimo giorno, una coppia senza definizione e senza ragion d’essere.
A cosa serviva che le persone ci scambiassero per fidanzati se poi ero quella che stava male per una frase di troppo uscita dalla sua bocca? Volevo davvero spacciare quello schifo per amicizia e continuare ad accontentarmi del niente che mi veniva dato?
Cercai gli occhi di Giovanni con i miei, ma li trovai altrove, freddi e distanti.
-Parla.- gli dissi.
-Non so cosa dirti. È un pezzo di merda.- fu tutto quello che mi rispose.
Sorrisi. –Già. Continuano a ripetermelo tutti.-
-Perché non vuoi ascoltare. Io l’avevo avvertito di non fare cazzate con te, ma niente, quello che vuole se lo prende e poi lo getta via quando si è stufato. Per non parlare di quel cretino di Emanuele!- disse rabbioso.
-No, lui lo capisco. In fondo sono migliori amici.- ammisi flebilmente.
-Avresti mai permesso a Roberta di trattare qualcuno come Alessandro ha trattato te? Lo permetteresti a me?- mi domandò.
Arrossii per il fatto che Giovanni mi avesse implicitamente descritta come la sua migliore amica e provai una fitta piacevole allo stomaco, una di quelle che si provano quando si percepisce il bene che si vuole a qualcuno.
-No, non lo permetterei.- risposi stanca.
-Appunto, quindi smetti di difendere sempre tutti. Preoccupati di te stessa per una volta, guarda che faccia che hai.- mi prese in giro cercando di farmi sorridere.
-Immagino, un’opera d’arte!- dissi ironica.
-Sei bella come sempre.- mi disse lui lasciandomi un bacio sulla fronte.
Sentii l’impulso di dire qualcosa, di mettere in chiaro la situazione, ma non sapevo neppure cosa avrei potuto dire, perché non sapevo quale situazione dovesse essere chiarita. Ero sconvolta, stanca, ferita e cominciavo a diventare mentalmente instabile. Avevo solo bisogno di dormire un po’, ecco tutto.
-Giovanni, io vado. Ho bisogno di riposarmi.- dissi il più gentilmente possibile.
-Va bene, se hai bisogno chiama.-
Annuii e lo salutai con una mano.
-Cate..- mi richiamò.
Mi voltai. –Dimmi.-
-No, niente. Riposati.- mi disse. Avevo capito che non era ciò che avrebbe voluto dirmi, ma lasciai correre. Forse non volevo sapere.
Così mi voltai e andai a casa.
 
Capii, però, che quella giornata non avrebbe mai avuto fine quando arrivai davanti al portone e lo trovai lì ad aspettarmi.
Confesso che una parte di me era sempre stata consapevole del fatto che sarebbe accaduto, ma le altre parti che mi componevano, invece, non avevano neppure preso in considerazione la possibilità di rivederlo.
-Cosa vuoi, Alessandro?- chiesi decisa a chiudere velocemente la conversazione.
-Che tu mi ascolti e mi creda.-
-Proposta allettante, ma non credo di aver voglia di ascoltarti, figurati se sono pronta a credere alle cazzate che spari.- dissi con aria di sufficienza regalandogli una delle mie migliori occhiate disgustate.
-Non far finta di essere superiore con me, si vede che stai di merda.- sputò irato.
-Ma guarda che novità! Ed io che pensavo che questo fosse il mio aspetto normale! Mi stai prendendo per il culo?- gli chiesi trattenendomi dal tirargli un pugno sul naso. Cosa che, tra parentesi, mi avrebbe reso ancora più ridicola e non gli avrebbe procurato nessun dolore.
-Puoi, per favore, ascoltarmi?- mi domandò chiudendo gli occhi per recuperare la calma.
-Hai due minuti.- sentenziai.
Mi fissò qualche secondo, poi cominciò. –Tu hai tutte le ragioni del mondo, veramente tutte. Sono stato uno stronzo, avrei dovuto annullare tutto tempo fa perché, in realtà, a me non importa niente di Lilian. Avevi ragione, era solo una batosta temporanea ed io non sono mai stato innamorato di lei, era la situazione a farmelo credere. Io voglio te, solo te, perché sei la mia migliore amica e ci sei sempre stata, perché non ti voglio perdere e perché hai sempre avuto ragione su ogni singola cosa! E sì, sono i fatti quelli che contano, non le parole! Quindi adesso sono qui, da te, perché voglio sapere se anche tu provi quello che provo io. Devi solo chiedermi di non partire e tra due giorni io resterò qui con te, non salirò su quell’aereo e saremo felici. Chiedimelo!- mi implorò.
Non avevo metabolizzato neppure la metà delle cose che aveva detto, non avevo il coraggio di credere alle sue parole, sarebbe stato solo l’ennesimo attentato terroristico al mio disgraziato cuore. L’unica cosa che avevo memorizzato era stata la data della sua partenza: due giorni, mancavano soltanto due insignificanti giorni.
-Due giorni?- chiesi a voce così bassa che dubitai mi avesse sentita. Ma annuì.
Il centro della mia vita, il fulcro della mia esistenza consisteva nel rendersi conto dei fatti quando ormai non c’era più molto da fare: perché, dopo tutta la confusione che quella storia aveva scatenato, non mi ero preoccupata di informarmi su un dettaglio così importante come la partenza? E, porca vacca, perché a soli due giorni di distanza, la mia rabbia sembrava essere diventata inconsistente e aveva lasciato il posto alla voglia che avevo di lui? O, forse, erano proprio quei due giorni a fare tutta la differenza?
Avrei potuto chiedergli di non partire, probabilmente avrei dovuto farlo, sarebbe stato più semplice, avrei preso tempo e, forse, le cose si sarebbero aggiustate. Avrei potuto, in un modo o nell’altro, perdonarlo, accoglierlo tra le mie braccia e lasciare che tutto questo fosse solo il ricordo di un incubo passato. Ma non lo feci.
Dalla mia bocca non uscì neppure una parola; furono le mie gambe a muoversi verso di lui e furono le mie braccia a cingergli il collo. Poi, come mi sembrò naturale fare, lo baciai. Dapprima dolcemente, poggiando le mie labbra sulle sue in un timido sfioramento, poi, incoraggiata dalle sue mani che premevano sulla mia schiena per avvicinarmi a lui, mi aggrappai alle sue spalle e approfondii il bacio. Lasciai che le nostre lingue si trovassero e giocassero dolcemente, lasciai che mi mordesse il labbro inferiore facendomi sobbalzare dalla sorpresa, lasciai che le sue labbra vagassero freneticamente e senza meta sul mio collo. Sentii le sue mani accarezzarmi la schiena al di sotto della maglietta, sentii la morbidezza dei suoi capelli tra le mie di mani. Poi, sorreggendomi sotto le cosce, mi alzò da terra affinché i nostri occhi fossero alla stessa altezza e, come in ogni fiaba di basso genere, pronunciò le parole che mi fecero tornare bruscamente alla realtà.
-Saliamo da te?-
E la bolla di sapone scoppiò.
Avrei dovuto essere furiosa con lui, avrei dovuto mandarlo a casa a calci in culo, invece gli ero saltata addosso come fossi posseduta. E, forse, posseduta lo ero davvero, se si osservavano le mie reazioni contraddittorie. Io volevo ardentemente fare l’amore con lui, più di qualsiasi altra cosa, ma non doveva succedere. Io ero arrabbiata con lui, lui mi aveva mentito, doveva partire e allontanarsi da me. Da me che gli stavo mentendo.
Scossi la testa. –No, Ale ascoltami. Non possiamo.-
-Cosa stai dicendo?- mi domandò incredulo. –Cos’è, una tattica per farmela pagare? Non ti piaccio più?-
-Non c’entra niente tutto questo, sono io che non posso prenderti in giro. Ti amo, ormai lo sai, ma devi partire. Sono disposta a perdonarti, non me ne frega niente di quello che è successo, ma devi andare a Londra come avevi deciso. Devi darmi del tempo e, forse, stare lontani ci farà bene. Mi fido di te, Ale, ma sono convinta che questo tempo farà bene anche a te.- conclusi. Mi sarei fatta un applauso da sola, il miglior discorso mai sentito. Peccato che fosse un’enorme, colossale cazzata!
-Cosa succederà al mio ritorno?- mi chiese e, per un attimo, ebbi paura che avesse capito più di quel che doveva.
-Proveremo a vedere come va, se davvero proviamo qualcosa l’uno per l’altra o no.-
Lui annuì. –Voglio stare con te.-
Chiusi gli occhi. –Non è il momento per parlarne. Parti, vai a Londra, divertiti, pensami, se vuoi. Se dobbiamo stare insieme, accadrà comunque.-
Posò le labbra sulla mia fronte e vi lasciò un bacio.
-Ciao Cate.-
-Ciao Ale.- gli sorrisi per incoraggiarlo.
Si incamminò verso la strada, poi, raggiunta la sua auto, si voltò verso di me per ricambiare il sorriso.
Ma una lacrima era già scesa sul mio volto. Una stronza che frignava continuamente, ecco cos’ero.
 
Erano quasi le dieci quando sentii il telefono vibrare per l’arrivo di un sms. Era di Roberta.
“Cate, lo so benissimo che ce l’hai con me, ma dobbiamo parlarne. Hai tutte le ragioni, ma devi ascoltarmi.”
Ci avevo riflettuto, non era del tutto colpa sua, in fin dei conti era la ragazza di Emanuele, ma non riuscivo a perdonarle il fatto di aver anteposto un ragazzo alla nostra amicizia. Sembrava veramente la trama di un pessimo telefilm. Aspettai qualche minuto, poi le risposi.
“Okay, al momento giusto ne parleremo.”
-Caterina!- sentii mia madre chiamarmi dalla lavanderia.
-Che c’è, mamma?-
-La gonna a vita alta, quella nera, la vuoi?-
-Sì, assolutamente!-
La sentii trafficare rumorosamente qualche minuto, poi apparve sulla soglia della mia stanza.
-Sei sicura di quello che stai facendo?- mi domandò preoccupata.
-Sì, mamma, è da ieri che me lo chiedi, ma ci ho pensato parecchio e sono assolutamente convinta.- le dissi.
Lei annuì, poi aggiunse: -Non vuoi proprio dirglielo?-
Sospirai. –No, non deve sapere niente. Almeno per ora.-
-E sei assolutamente convinta di non voler andare da lui?-
-Adesso?- le chiesi spalancando gli occhi.
-Adesso, stanotte, domani… Non vuoi rivederlo?-
Per un attimo la odiai per aver posto quella domanda, poi mi ripresi. –No, sto bene così.-
Mi guardò come si guarda un fiore ormai appassito, poi chiuse la porta e mi lasciò sola.
Mi chiesi se mia madre non avesse ragione, se non fossi dovuta andare da lui, parlargli, dirgli la verità, baciarlo ancora.
Il punto, mi resi conto, era che io l'amavo. Non importava che gli avessi gridato contro migliaia di volte, che gli avessi detto che sarebbe dovuto partire, che avevo bisogno di tempo. Io l'amavo.
E no, cazzo, non avrei voluto perderlo. Se avessi dovuto fare quello che realmente volevo, avrei corso per i 12 km che ci separavano, sarei andata da lui e gli avrei detto che lo odiavo come lo avevo sempre odiato, forse di più, che mi aveva rovinato la vita, mi aveva stravolta, fatta a pezzi, ridotta ad un insieme di ossa. Dopo, però, l'avrei abbracciato e gli avrei detto che volevo finirla con quella sceneggiata, non avrei sopportato di stare un altro giorno lontana da lui, che, pur di riaverlo indietro, avrei soppresso tutti i miei sentimenti sbagliati.
Ma no, non potevo farlo. Avevo preso la mia decisione ed era quella giusta. Non avrebbe avuto senso buttare tutto all'aria, non sarei mai riuscita a mettere da parte quello che sentivo. Ci avevo riflettuto, se avessi dovuto scegliere tra averlo accanto subito, pentendomi di non averci pensato abbastanza, o ricominciare da sola, lontana da lui, avrei scelto sicuramente la seconda.
Egoista? Sì, forse. Ma non sarebbe stato un atto egoista anche il suo volermi accanto subito, dopo tutto quello che era successo?
Gli volevo bene, anzi no, lo amavo, adesso che lo avevo capito non avevo più paura ad ammetterlo. Nonostante ciò, non potevo pensare a lui.
Come dicevano nei film? "Ti ho lasciato perché ti amavo troppo."
No, io lo abbandonavo perché, per la prima volta in diciotto anni, stavo provando a conoscere qualcun altro: me stessa. Perché, senza amore per me stessa, nemmeno quello per lui avrebbe avuto senso.
Così, come la più grande delle stronze, stavo per partire di nascosto, senza sapere quando avrei fatto ritorno.
 
 



 
 
 
Note dell’autrice:

 
Salve! :)
 
Dopo secoli sono tornata! In effetti mi dovrei vergognare per il colossale ritardo e vi chiedo umilmente scusa.
Questo capitolo è stato molto difficile da scrivere e, probabilmente, non è neppure ciò che vi aspettavate, ma non poteva andare diversamente. La scelta e il comportamento di Caterina possono sembrare surreali, irrazionali, stupidi, ma non è così: ha improvvisamente deciso di partire (ancora non si sa per dove, come e perché), forse per allontanarsi da Ale, forse per il suo bene, chissà, le ragioni potrebbero essere molteplici e tutto verrà spiegato al momento giusto. Vi chiedo solo di non giudicarla troppo severamente, in fin dei conti è solo una quasi diciottenne. E a diciotto anni le decisioni sono le cose più difficili da prendere.
 
Ringrazio tutti coloro che hanno inserito “Frammenti” tra le seguite, ricordate e preferite, coloro che hanno dedicato un minuto del loro tempo alla recensione di questa storia e coloro che, anche se in silenzio, leggono la vita di Ale e Cate.
Grazie, siete davvero importanti!
 
A presto!
Baci,
Jane
  
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