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Autore: tyene_sand    08/04/2014    2 recensioni
[Primo capitolo riveduto e corretto]
Era alta, molto alta, circa una decina di centimetri in meno rispetto a lui: dunque un metro e ottanta, un metro e ottantacinque al massimo. Aveva un fisico longilineo, ma sotto ai vestiti leggeri che indossava si intravedeva una muscolatura tonica. Seni piccoli e tondi, fianchi stretti, gambe snelle. Indossava una semplice maglia nera a maniche corte, jeans grigi e attillati, stretti alle caviglie, scarpe basse e comode. La sua pelle era tanto chiara da contrastare in maniera quasi stridente col colore dei suoi capelli, neri come l’inchiostro, lucidi e perfettamente lisci, che ricadevano come una cascata sulle sue spalle, per poi lambire il suo corpo fino alla vita. Il suo volto aveva un che di esotico, con gli zigomi alti, la pelle chiarissima, le labbra rosee e piene, il mento piccolo e appuntito. Infine gli occhi. Grandi, grigi come metallo, lo sguardo volitivo, di pari durezza, nascosti soltanto da qualche filo di frangia ribelle. Scoprendosi a trattenere il fiato a quella visione, aveva dovuto ammettere a sé stesso che la trovava decisamente attraente.
Genere: Mistero, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Aoyama Masaya/Mark Aoyama
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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I know what you are

 
  1. Vibrazioni

 
 
 
    Erano trascorsi già un paio di giorni da quando si era accorto di essere seguito. All’università, sulla strada di casa, in treno, mentre correva di sera, quando andava a studiare in biblioteca: quella donna c’era sempre. Qualche passo indietro rispetto a lui, ma c’era sempre.
    Masaya Aoyama, diciannove anni da poco compiuti, studente di biologia al secondo anno, sedeva irrequieto ad un tavolo da pic-nic nel parco Inohara, cercando inutilmente di concentrarsi sul testo di chimica che aveva davanti a sé. Quella donna era lì, nascosta a pochi metri da lui, e lo stava osservando. Non poteva girarsi per accertarsene, ma ne era comunque sicuro. Sentiva i suoi occhi puntati sulla nuca, come se il suo sguardo d’acciaio gli stesse bruciando la pelle. Ogni cellula del suo corpo avvertiva la sua presenza, ogni fibra del suo essere sapeva con certezza di quegli occhi grigi fissi su di lui.
Quella strana donna non si prendeva nemmeno la briga di non farsi notare, o forse semplicemente non le era possibile.
    La prima volta che si era reso conto della sua presenza stava andando a casa a piedi, diretto verso il quartiere dove si era trasferito poco dopo aver cominciato l’università. All’improvviso, aveva avvertito uno strano formicolio alla base della nuca, come se qualcuno alle sue spalle lo stesse guardando con insistenza. Si era voltato di scatto, cercando di capire se fosse soltanto una sensazione o se il suo corpo lo stesse effettivamente mettendo in guardia. Non aveva notato nulla di insolito, quindi si era voltato e aveva ricominciato a camminare. Aveva tirato un sospiro di sollievo, tranquillizzandosi. Dopo qualche minuto, però, la sensazione di essere seguito era tornata, più forte di prima, e non aveva potuto fare a meno di fermarsi di nuovo per scrutare la gente attorno a lui. Aveva raggiunto la zona commerciale del suo quartiere. In quel momento, era fermo di fianco alla vetrina della libreria che frequentava di solito. Senza voltarsi indietro, si era messo a guardare i libri esposti in vetrina, fingendosi molto interessato all’ultimo romanzo di uno scrittore che, a dire il vero, riteneva mediocre, troppo commerciale e privo di idee interessanti. Sfruttando la superficie riflettente del vetro, aveva incominciato a scrutare i passanti. La sensazione persisteva. Inizialmente non era riuscito ad individuare nulla di strano, come prima. Poi, però, aveva notato una donna dal lato opposto della strada. Si trovava di fronte ad un altro negozio, fingendosi interessata agli abiti esposti nella vetrina decorata con colori allegri e primaverili; ogni tanto, però, si voltava, lanciando un’occhiata nella sua direzione. Dalla posizione in cui si trovava, malgrado il costante flusso di gente che riempiva entrambi i marciapiedi sbarrandogli la visuale in certi momenti, Aoyama era riuscito ad osservarla abbastanza attentamente.
Era alta, molto alta, circa una decina di centimetri in meno rispetto a lui: dunque un metro e ottanta, un metro e ottantacinque al massimo. Aveva un fisico longilineo, ma sotto ai vestiti leggeri che indossava si intravedeva una muscolatura tonica. Seni piccoli e tondi, fianchi stretti, gambe snelle. Indossava una semplice maglia nera a maniche corte, jeans grigi e attillati, stretti alle caviglie, scarpe basse e comode. La sua pelle era tanto chiara da contrastare in maniera quasi stridente col colore dei suoi capelli, neri come l’inchiostro, lucidi e perfettamente lisci, che ricadevano come una cascata sulle sue spalle, per poi lambire il suo corpo fino alla vita. Il suo volto aveva un che di esotico, con gli zigomi alti, la pelle chiarissima, le labbra rosee e piene, il mento piccolo e appuntito. Infine gli occhi. Grandi, grigi come metallo, lo sguardo volitivo, di pari durezza, nascosti soltanto da qualche filo di frangia ribelle. Scoprendosi a trattenere il fiato a quella visione, aveva dovuto ammettere a sé stesso che la trovava decisamente attraente.
    A giudicare dai lineamenti, era certamente una straniera. Non era asiatica, né tantomeno europea e nemmeno americana. Aoyama non sapeva molto dei restanti due continenti, ma era totalmente convinto di poter escludere anche quelli, poiché aveva già visto lineamenti simili a quelli della donna in passato: non era soltanto esotica, semplicemente lei non era terrestre. Teneva le orecchie ben nascoste sotto i capelli, certo, e indossava abiti terrestri, ma agli occhi attenti di Masaya qualsiasi cosa in lei denotava quanto in realtà fosse aliena non solo alla città di Tokyo e al Giappone, ma allo stesso pianeta Terra. Non si trattava solo del fatto che fosse molto più alta della media delle donne, né che non avesse con sé una borsa , né che fosse a maniche corte malgrado in vento ancora freddo di aprile, né che paresse manifestare un certo disagio nell’indossare pantaloni tanto attillati: il suo stesso modo di muoversi era differente da quello degli umani. Il suo portamento era regale. Malgrado l’altezza notevole si spostava con una grazia e una leggerezza degna di una divinità, quasi come se fluttuasse. E probabilmente sei anche in grado di farlo, signorina, aveva pensato.
    Quel giorno aveva deciso di tornare a casa e far finta di nulla, per vedere se la cosa avrebbe avuto sviluppi nei giorni successivi. Aveva pensato di allertare Shirogane, Akasaka-san e le ragazze per mezzo della sua ex, Ichigo, ma alla fine aveva desistito. Aveva l’impressione che quella donna fosse lì solo per lui, e aveva deciso di parlarne con la rossa solo quando fosse riuscito a scoprire perché l’aliena ce l’avesse proprio con lui.
 
   
 
 
    Masaya e Ichigo erano rimasti insieme per diversi anni. Quando si erano conosciuti erano poco più che bambini. A quell’età qualsiasi difficoltà dovuta alle divergenze caratteriali, d’opinione o di interessi sembra facilmente sormontabile e così era parso anche a loro, inebriati da quell’alone di sogno che le cose assumono a tredici-quattordici anni. Si poteva dire che fossero cresciuti assieme, e per un certo periodo era stato così. Poi, circa un anno prima, si erano resi conto che ormai il loro rapporto si era arenato. Giunti ad un bivio –se proseguire la loro relazione, prendendosi cura di quel rapporto ormai sofferente, o porvi la parola ‘Fine’- avevano capito entrambi che le loro diversità avrebbero finito per allontanarli sempre di più nel caso in cui avessero continuato a stare assieme, e dunque, di comune accordo, avevano deciso di lasciarsi. Il tutto si era svolto pacificamente, parlando come due persone adulte, senza liti né grida né recriminazioni. Ora, ad un anno di distanza, Masaya poteva dire di star godendosi il suo tempo da single. Lui e Ichigo, nel frattempo, erano rimasti in buoni rapporti, tanto buoni che lei ogni tanto lo invitava ad uscire e bersi un bicchiere coi suoi amici, e lui ricambiava mettendoci l’alloggio quando Ichigo era troppo ubriaca per tornare a casa.
 
 
 
 
 
 
    Normalmente era una persona pacata e molto paziente. Ora però, dopo due giorni di pedinamento ininterrotto, dopo esser stato seguito perfino quando, il giorno prima, aveva dovuto ricorrere all’uso di un bagno pubblico, Masaya Aoyama comprese che la misura era decisamente colma. Senza preavviso, si voltò e scrutò gli alberi attorno all’area pic-nic. Come previsto, lei era a pochi metri da lui, dietro un albero abbastanza grande da nasconderla. La donna si ritrasse, sopresa, e dopo aver pronunciato una qualche imprecazione in un linguaggio incomprensibile, cominciò a correre via, verso il folto degli alberi. –Ehi!- le gridò dietro Aoyama. – Aspetta!
    Lei non si fermò. Masaya si ritrovò a correrle dietro e, dannazione, quella maledetta correva veloce quasi quanto lui. Ma non abbastanza perché lui non riuscisse a raggiungerla. Quando ormai si trovavano soli nella macchia accelerò il passo e, dopo un paio di falcate particolarmente potenti, allungò un braccio e riuscì ad afferrarle un polso. Presa! Sgranando gli occhi per lo stupore, lei rimase paralizzata per alcuni istanti, ma subito dopo iniziò a divincolarsi nel tentativo di sfuggire alla sua presa. –Lasciami! Lasciami, ho detto!- sputò tra i denti. –Perché mi segui?- ribattè lui, con il fiatone. Per tutta risposta ricevette un diretto sulla mascella da parte della mano libera, che gli fece quasi mollare il braccio della donna per la sorpresa e il dolore. Ancora boccheggiante per il colpo ricevuto, si allungò verso di lei e riuscì ad afferrarle l’altro polso, bloccandole così entrambe la mani, ma lei continuava a divincolarsi. Nel giro di pochi istanti si ritrovarono a terra, lottando. Cazzo, pensò. Normalmente non imprecava, ma quello era un caso particolare. È forte quasi quanto me, la maledetta. Per quanto provasse a spingerla a terra per immobilizzarla, lei riusciva sempre a contrastarlo. Scalciava, mordeva, lo colpiva con qualsiasi parte del corpo. Era una fortuna che si trovassero in una zona isolata del parco, altrimenti un qualsiasi passante avrebbe potuto pensare che stesse cercando di aggredirla. Il che in verità non è del tutto errato, anche se è lei ad aggredire me. Ma cos’hanno al posto dei denti, dalle sue parti? Rasoi?! Con un’ultimo sforzo, dopo quelle che a Masaya  parvero ore, riuscì ad issarsi a cavalcioni su di lei, tenendola schiacciata a terra col proprio peso e bloccandole i polsi sopra la testa. Avevano entrambi il fiatone ed erano sudati come due marciatori durante una competizione olimpica. La maglia nera di lei, leggerissima e praticamente inzuppata, aderiva al suo corpo come una seconda pelle, lasciando intuire la forma del seno privo di sostegni. Rendendosi conto di essersi imbambolato a fissarlo, ragazzo distolse lo sguardo dal corpo della donna, imbarazzato, per puntarlo sui suoi occhi. Lei sostenne il suo sguardo senza timore.
 
    In quel preciso istante, qualcosa nel profondo dei loro esseri vibrò. Fu come un riconoscimento, come se i loro corpi stessero ritrovando, dopo lungo tempo, qualcuno che conoscevano da sempre. Un’ondata di calore li pervase, assieme ad una sensazione insostenibile ed inquietante che nessuno dei due riuscì ad interpretare. Tremavano. Le labbra dischiuse per la sorpresa, gli occhi sgranati, entrambi rimasero impietriti. Cos’era? Cos’era?!
Aoyama era sicuro che anche lei doveva averlo sentito, poiché sul suo volto si specchiavano le stesse emozioni che lui stava provando. Sorpresa. Confusione. Stordimento. … gioia?!
–Non voglio farti male- le disse, con voce calma. –Voglio solo sapere perché mi stai seguendo.- Lei non rispose, anzi serrò le labbra e voltò il capo lateralmente per non guardarlo. Ora che poteva osservarla da vicino, Masaya si rese conto che era molto giovane. Doveva avere all’incirca la sua età, al massimo un paio di anni in più. Era veramente bella.
    Mentre lui si perdeva nelle proprie elucubrazioni, la ragazza aveva ricominciato a divincolarsi. Cercò di liberarsi con un colpo di reni ma Aoyama, risvegliatosi dal suo torpore, la spinse nuovamente a terra. –Ti prego, non cercare di fuggire. Voglio solo parlare con te. So che mi stai seguendo, ma non so perché. L’unica cosa che so è che vieni da un altro pianeta. So cosa sei.-
-Anch’io- rispose la donna in un sussurro, decidendosi a parlare. Tornò a fissarlo, stavolta con un’intensità tale da far sì che un brivido gli corresse lungo la schiena –Anch’ io so cosa sei.
 
 
 
Sono tornata, e questa volta il mio protagonista è Aoyama. Non ho mai avuto niente contro di lui, anzi, personalmente lo trovo un personaggio abbastanza sottovalutato, perciò ecco qui I know what you are.
Chi è la donna che ha seguito il povero Masaya perfino nel momento del bisogno? Perché lo sta seguendo? Nel prossimo capitolo, che è ancora in stesura, cercherò di rispondere a questi interrogativi.
Un paio di spiegazioni a mio avviso necessarie: nella mia fantasia, da adulto Aoyama è diventato alto, taaaaanto alto. Circa un metro e novantacinque, non chiedetemi perché. Probabilmente perché da ragazzino era abbastanza promettente dal punto di vista fisico –ricordiamoci che aveva sui 13-14 anni, e quindi si può dire che fosse ancora bambino. Essendo la storia ambientata circa cinque anni dopo la battaglia finale, ho trovato che potesse starci. Inoltre, da buono sportivo qual è, credo che sia plausibile che il nostro non abbia mai smesso di allenarsi, e che dunque oltre ad essere veloce nella corsa possa anche essere forte e avere un fisico abbastanza scolpito.
Per quanto riguarda il carattere, Aoyama è fondamentalmente un buono, anche se sappiamo che ha anche la sua abbondante parte di lato oscuro. Una volta cresciuto, ho immaginato che potesse iniziare ad essere un po’ più spontaneo e che col tempo abbia cercato di venire a patti con il suo lato ‘cattivo’; malgrado ciò, spero di riuscire a renderlo al meglio senza stravolgerlo.
 
Fatemi sapere cosa ne pensate, le vostre opinioni mi interessano!
  
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