*****
Tornai
con lo sguardo davanti a me, sulla tenda che
ancora ci proteggeva dalla pioggia che, man mano che il tempo passava,
diminuiva sempre più.
Poi
cominciai a pensare a cosa avrei potuto dire e
Travis, a come avrei potuto usare al meglio le parole.
Sul
mio viso comparve un sorrisetto divertito: avevo,
finalmente, la possibilità di dire apertamente tutto quello
che pensavo di quel
ragazzo, senza filtri né divieti.
“Ricorda Travis:
totale sincerità”, lo intimai, con uno
sguardo di sbieco. Poi ricominciai
il mio monologo. “Allora…
sei pieno di
te, in un modo davvero impressionante, ed estremamente arrogante, come
se in
tutto quello che fai fossi bravo solamente tu”, mi
resi conto di parlare a
macchinetta, ad una velocità tale che, a stento, si
comprendeva ciò che dicevo.
Ero partita in quarta e sembrava che nulla avesse il potere di
fermarmi. “Sei anche molto lunatico,
infatti per la
maggior parte del tempo non riesco a capire cosa ti passi per la testa”.
Travis,
mentre il mio sproloquio procedeva senza sosta,
non si era ancora azzardato ad interrompermi oppure a ribattere, il
ché mi
sembrò a dir poco singolare, ma per fortuna le sue mani non
si erano fermate un
secondo dal massaggiare il maniera sublime sia il mio collo che le mie
spalle.
“Un’altra cosa,
Travis… quella volta nella stanza delle scope…
lì ti ho odiato davvero”,
mormorai con molta meno decisione di poco prima. Sembrava svanito tutto
il coraggio
che avevo utilizzato per parlare, o meglio criticare, quel ragazzo. Mi
sentivo
stranamente vulnerabile, privata della mia solita corazza, come ancora
non mi
era capitato.
Le
sue mani esitarono per un momento, prima di
ricominciare nella loro danza.
“Perché mi avresti
odiato davvero, scusa?”, chiese quasi offeso.
“Perché mi hai
spaventata, idiota!”, mi giustificai, cominciando
ad alterarmi. “Non mi sembra di
averti fatto un gran torto,
visto come ti stavi esibendo con le tue doti da stronzo nei miei
confronti.
Volevo solamente vendicarmi in qualche modo”,
dissi, tormentando la
cerniera della mia felpa. “Poi ho
visto
tua madre, così le ho detto semplicemente che non mi
sembravi un soggetto
adatto alla macchina fotografica, ma l’ho fatto
perché mi sembrava una cosa
stupida, insignificante… poi arrivi tu, mi fai prendere un
infarto e mi tratti
in quel modo”.
La
mia voce era poco più che un sussurro.
Quella
mia amata corazza di spavalderia e di coraggio era
andata in frantumi, lei, sempre presente e pronta a proteggermi, se
n’era
andata, lasciandomi più indifesa che mai.
Travis
si fermò di colpo e lo sentii allontanarsi da me,
sospirando.
Attesi
un momento, decidendo sul da farsi, poi mi girai
verso di lui.
I
suoi occhi erano fissi a terra, aveva le ginocchia
sollevate, con le braccia poggiate su di esse. I capelli castano
chiaro, oramai
asciutti, gli ricadevano sulla fronte, spettinati, donandogli
un’aria da
ragazzino che poteva lasciare incantati.
Non
riuscivo a distinguere la sua espressione, ma poi sollevò
il capo, allacciando il suo sguardo al mio. Quasi mi mancò
il respiro.
I
suoi occhi erano pieni di qualcosa di nuovo, forse
stanchezza, ma non la solita, quella fisica, Travis pareva provato,
stanco di
quell’assurda situazione come, d'altronde, lo ero io. Mi
fissò per alcuni
istanti, poi scosse la testa sorridendo, chissà per quale
motivo.
“Se ti ho
spaventata e trattata male, ti chiedo scusa”,
disse, con ancora quello
squarcio allegro sul viso.
Come!?
Mi stai prendendo in giro, Diva?
“L’ho fatto perché…
hai sbagliato. Te l’ho detto quel giorno: possiamo
insultarci, odiarci quanto
vuoi, ma lascia perdere mia madre. Mi crea già abbastanza
problemi senza che tu
la istighi”.
“Va bene, lasciamo
perdere…”. Travis mi interruppe con un
gesto della mano.
“Ora tocca a me”,
il suo sorriso divenne quasi un ghigno.
Mi
voltai ancora verso la tenda: non avevo nessuna
intenzione di guardare quell’odioso ed incomprensibile
ragazzo, mentre si
dilettava in un monologo dove, sicuramente, non avrebbe fatto altro che
insultarmi.
“Bene… sei così
testarda che, a volte, vorrei chiuderti da qualche parte e lasciarti
sbollire
da sola, pensi sempre di essere nel giusto, di aver ragione…
spesso mi viene da
ridere perché ci credi così tanto che riesci a
far cambiare idea anche a me”,
parlava con voce seria, anche se velata da un pizzico di ironia.
“Inoltre, hai una grande stima di te
stesse,
a volte anche troppa”.
Cosa!?
“Cerchi
di far sempre la simpatica e, nonostante a volte tu riesca nel tuo
intento, spesso non ti rendi conto di come tu possa superare il limite.
Però…”.
Un
però!? Mi degni di questo onore, Travis? Stai davvero
pensando di farmi
un complimento?
Fino
a quel momento era stato tutto una critica continua,
un’analisi superficiale del mio atteggiamento e dei miei
comportamenti, senza
magari chiedersi da cosa potessero essere dati, ma poi c’era
stato quel barlume
di speranza, quel però
che mi faceva
pensare in qualcosa di buono.
“Ti ho osservata
mentre fotografi, quando hai la tua macchina fotografica in
mano…”, ebbe un
attimo di esitazione, poi continuò a parlare. “La passione e l’impegno che metti in
quello che fai è davvero
ammirevole”.
Raddrizzai
il capo, sorpresa dalle sue parole.
Mi
ha appena fatto un complimento.
Aveva
davvero apprezzato il mio modo di lavorare. Non
potevo crederci. Mi voltai verso di lui, incredula e, alla vista della
mia
espressione, Travis rise ancora.
“Si, Maya, ho
appena fatto un apprezzamento su un particolare del tuo carattere, ma
solo
questo… per il resto sei insopportabile”,
aggiunse avvicinando per un
secondo il suo viso al mio, con aria complice.
Lo
guardai con un sopracciglio sollevato. “Come
se tu fossi un angioletto”, dissi
sarcastica.
Ci
fu un attimo, solamente un secondo, in cui i nostri
sguardi si incollarono ancora gli uni agli altri, ma quando mi resi
conto che
la pioggia aveva finalmente terminato la sua crociata contro quella
tenda, che
cominciava a diventare troppo piccola, il momento passò.
Se
ne accorse anche lui. “Possiamo
uscire ora, penso”, disse con un accenno di
imbarazzo.
Aprii
la tenda, sentendo subito l’aria fresca di
salsedine sfiorarmi le spalle ancora scoperte. Uscii sperando di
apparire il
meno goffa possibile.
Avvertii
la sabbia ancora bagnata sotto i piedi, ma non
ci badai più di tanto: ero troppo impegnata ad ammirare il
paesaggio che mi si
presentò attorno. Era da mozzare il fiato.
Il
mare agitato, con le onde increspate di bianco, sotto
un cielo pieno di nuvole grigie, ma con un particolare raggio di luce
che
risplendeva sull’acqua, come se il Sole avesse appena deciso
di riposarsi su
quel mare infuriato. Il tutto possedeva una strana aria misteriosa.
“Caspita!”.
Travis fu al mio fianco.
Mi
mossi in fretta, per paura di perdere quel fotogramma
spettacolare, e dalla tenda afferrai la mia macchina fotografica.
Cominciai a
scattare, a congelare quel momento, a renderlo indelebile ed eterno.
Il
mondo attorno a me sparì.
“Prima mi riferivo
a questa passione”, disse lui, con un sussurro
all’orecchio.
Il
mio corpo si irrigidì all’istante, sorpreso
dall’effetto provocatomi dalla sua voce. Sentivo Travis
terribilmente vicino,
per l’ennesima volta.
Lui
posò ancora le sue mani sulle mie spalle, facendomi
partire un brivido lungo la schiena.
“Non era l’unico
complimento che volevo farti, Maya”, disse ancora
con tono flebile,
accattivante. “Quando prima ti ho
detto
che mi metti a disagio per il tuo aspetto, mi riferivo al tuo viso, ai
tuoi
lineamenti… al tuo fisico”.
Cosa!?
Lo
stupore invase il mio viso, facendomi perdere l’uso
della parola. Non riuscivo a credere che proprio
lui, lo stesso ragazzo che mi aveva insultata e quasi
minacciata, mi stesse
confessando delle cose simili.
“Sei di una
bellezza disarmante e, probabilmente, neanche te ne rendi conto, ma ti
posso
assicurare che, il primo giorno che hai varcato la porta della piscina,
gli
sguardi degli atleti erano tutti rivolti a te”.
Cosa
stava facendo? Come si stava comportando? Quella
confessione mi lasciò a bocca aperta.
Non
poteva essere vero. Non ci volevo credere, non
potevano essere vere, quelle parole. E per quale motivo mi stava
dicendo quelle
cose?
Una
valanga di domande mi investì la mente, come un treno
in corsa. Non riuscivo più a pensare lucidamente.
Le
mani di Travis ripartirono nel loro viaggio sulla mia
pelle, facendomi rabbrividire ancora. Le gambe nude, poi, non erano
d’aiuto.
“N…
non è vero, Travis, ne sono sicura!”, la
voce mi mancò dalla tensione e dall’imbarazzo.
Mi
prese la macchina fotografica dalle mani e lo sentii
posarla ancora all’interno della tenda, poi tornò
dietro di me, posandomi la
coperta sulle spalle e lasciandomi le mani su di essa. “È davvero strano vederti così
in imbarazzo quando ti si fa un
complimento”, disse con una risata. “Te
l’ho detto, non te ne rendi conto, ma hai la
capacità di attirare lo sguardo di
chiunque”, aggiunse avvicinandosi ancora a me.
Presi
un profondo respiro, ignorando il continuo
subbuglio che ribolliva dentro di me e sperando che, dalle mie labbra,
uscisse
un tono di voce apparentemente tranquillo.
“Come potrei
attirare lo sguardo di chiunque? Non mi sembra di essere
così attraente da
potermelo permettere”. La mia sicurezza era andata
a farsi un giro.
“È questo il punto:
non ti sembra, ma lo sei”.
L’ennesimo
incidente di percorso, l’ennesima sensazione
di essere stata appena investita da qualcosa di troppo veloce e pesante
per me.
“Facciamo una cosa,
Maya: proseguiamo con il gioco di poco fa, ricominciamo a parlarci con
sincerità”, disse voltandomi verso di
lui. “Oramai ho capito che non mi
sopporti, quindi non farti tanti scrupoli:
insultami, criticami… voglio sapere tutto quello che ti
passa per la testa”.
Un irritante sorriso si stampò sul suo viso. “Non mi sembra che ti sia fatta tanti problemi, poco
fa”.
Ce
la posso fare!
Dovevo
recuperare quella sicurezza, quel carattere tanto
spavaldo, quella sfacciataggine che tanto mi contraddistinguevano ,
perché ne
avevo abbastanza di tutta quella sensazione di vulnerabilità.
Perché
Travis era ancora così vicino a me? Perché non
manteneva le distanze?
Per
quanto mi sforzassi non riuscivo a trovare una
risposta esauriente alle mie domande.
Gli
occhi cangianti di quel ragazzo non mollavano per un
secondo i miei, facendomi sentire più imbarazzata che mai.
Piegò
leggermente la testa di lato e mi fissò
incuriosito, per un momento. “Io ho
già
detto qualcosa, ora tocca a te”, esclamò
con ancora il sorriso a
contornargli le labbra.
L’avrei
volentieri preso a schiaffi.
Respirai
profondamente, in cerca delle parole giuste da
utilizzare, ma nulla occupava la mia mente. C’era solamente
il vuoto.
“Comincio ad odiare
questo gioco”, mormorai.
Lo
scrutai ancora una volta, prima di distogliere
definitivamente lo sguardo. Come potevo trovare le parole giuste per
criticarlo?
Eravamo
passati sull’aspetto fisico, da quel poco che
avevo capito, e, per quanto mi costasse ammetterlo, riguardo a quello
non aveva
nulla da invidiare a nessuno.
Optai
per la schiettezza.
Sarà
l’ultima volta in cui lo vedrò, in cui gli
parlerò, tanto vale essere
sinceri.
La
mia mente viaggiava alla velocità della luce nella
speranza di trovare un modo per uscire indenni da quella situazione.
“Allora… per quanto
il tuo carattere possa lasciare a desiderare, riguardo al tuo
aspetto…”, la
mia voce era ancora flebile. Strinsi i denti, mi decisi a darmi una
svegliata
e, dopo aver incontrato ancora i suoi occhi, ricominciai a parlare.
“Riguardo al tuo aspetto non ho
niente da
dirti, sono sincera. Penso che tu sia un bel ragazzo, con un viso anche
fin
troppo giovane ed angelico per il tuo carattere e… con un
bel fisico”.
L’avevo
detto. Nel momento stesso in cui quelle parole
uscirono dalle mie labbra, sentii le guance diventare di fuoco.
“Anche se in quella palestra, di
fisici scartabili,
ne ho visti ben pochi”, aggiunsi, infine, per
sviare l’argomento, agitando
confusamente una mano.
Un
lampo divertito si posò sullo sguardo di Travis,
facendolo sembrare un adolescente davanti ad un videogioco. “Tutto qui?”, chiese, fingendosi
geloso,
quando quell’aria soddisfatta lasciava intendere anche troppo.
Aveva
avuto quello che volevo: io avevo abbassato la
guardia ed avevo giocato le sue stesse carte. Si era sentito elogiato e
lui
sembrava esserne felice.
I
suoi occhi parevano ardere, pieni di una qualche
sensazione o emozione particolare, a cui non riuscivo a dare un nome.
Mi
chiesi da dove arrivasse tutta quella mia agitazione.
Sentivo
ogni muscolo fuori uso, pietrificato da quel suo
sguardo.
Cosa
significano queste fitte allo stomaco?
“Tutto qui!?
Probabilmente non ti rendi conto di quanto sia imbarazzante, per me,
dire
queste cose apertamente”, esclamai esasperata.
“Tu la fai facile… beh,
per me non lo è!”. In un batter
d’occhio
avevo recuperato la mia voce.
Quel
sorriso divertito, ancora lì a tormentarmi, sembrava
non volersene andare e cominciavo ad odiarlo come mai prima di allora.
“Non è facile
nemmeno per me, ma mi rendo conto che questa, probabilmente,
sarà l’ultima
volta in cui parleremo, quindi cercherò di non crearmi
problemi a dirti in
faccia quello che penso”. Si avvicinò
ancora a me, mentre era occupato nel
suo sproloquio.
Si
trovava, per la centesima volta, fin troppo vicino a
me, sovrastandomi con i suoi numerosi centimetri in più del
mio scarso metro e
sessanta.
Provai
a non sentirmi eccessivamente insignificante.
“Per questo motivo
cercherò di essere sincero: come ti ho detto prima, non te
ne rendi conto, ma
sei davvero attraente, Maya”, disse abbassandosi
leggermente verso di me e
sfiorandomi una guancia con le nocche.
Sentii
la pelle bruciare, come fosse stata appena
inondata da un getto di acqua bollente
“E c’è un qualcosa
di terribilmente affascinante nei tuoi occhi”,
continuò, sfiorandomi lo
zigomo. “Quando prima ti ho vista in
costume da bagno, poi quando sei uscita
dall’acqua… pensavo mi stesse per
prendere un infarto”.
Terra
chiama Maya! Terra chiama Maya! Houston abbiamo un problema!
“Che
stupidaggine questo gioco della sincerità, Travis”,
mormorai in preda alle emozioni.
Ero
decisamente terrorizzata da quello che sarebbe potuto
succedere se non fossi riuscita a fare marcia indietro ed allontanarmi
da quel
ragazzo, ma una parte di me desiderava che, quel qualcosa,
succedesse. Una piccola parte, davvero insignificante, ma
perfettamente capace di annebbiarmi la mente. Inoltre, avevo paura di
come
sarebbe cambiata la situazione se i nostri volti si fossero avvicinati
ancora
di pochi centimetri, ma sempre quella piccola parte di me stessa voleva
scoprirlo.
Mi
resi conto di come, la mia idea su Travis, potesse
mutare con tanta facilità.
“Lo penso anche io,
Maya, ma almeno ora sappiamo che, tra noi, non c’è
solamente odio e disprezzo”.
Lui
si avvicinò ancora, facendo quasi aderire i nostri
corpi.
Se
io, in quei giorni, ero divenuta un’incognita, quel
ragazzo per me continuava ad essere sempre lo stesso mistero.
La
realtà era innegabile: quel sincero confronto
sull’aspetto fisico aveva innescato la miccia e, per quanto
mi costasse
ammetterlo, lui davanti a me era un continuo richiamo.
Che
cosa superficiale,
pensai.
Sentivo
il bisogno di avvicinarmi ancora, per bruciare
quella breve distanza che ancora ci separava, ma poi la mia mente
cominciò ad
espormi a gran voce le sue solite paranoie ed i soliti flussi di
pensieri che
si contraddicevano a vicenda.
Non
sapevo cosa fare!
E
se per una volta nella mia vita mandassi al diavolo tutto?
Quel
pensiero dilagò nel mio cervello come un’epidemia.
Mi
dissi che, si, potevo mandare tutto e tutti a quel
paese per una volta e seguire solamente i miei istinti. Alle
conseguenze avrei
pensato in un secondo momento.
Avrei
pensato in un’altra occasione al mio lavoro, a mio
padre alla sua disapprovazione se fosse venuto a conoscenza anche solo
di un
minimo particolare, perché in quel momento vedevo solamente
Travis ed i suoi
occhi, pronti a divorare ogni singola parte di me.
Eravamo
a pochi centimetri di distanza l’una dall’altro,
infatti potevo sentire il suo respiro sfiorarmi il viso.
Percepivo
il mio corpo svuotato da ogni cellula vitale,
immobile ed inerme di fronte a lui, ma al tempo stesso pieno di
energia,
euforia ed eccitazione, come se lo sguardo di quel ragazzo avesse la
capacità
di rinvigorirmi e di farmi sentire più viva che mai.
Una
mano di Travis continuava a viaggiare sul mio viso, sulla
mia guancia, con una delicatezza incredibilmente piacevole, poi scese e
si aprì
sulla linea del mio collo, provocandomi una serie di brividi su tutto
il corpo.
Piegai
leggermente la testa, per facilitare lo scorrere
di quelle carezze tanto caste quanto peccaminose.
Nessuno
aveva ceduto lo sguardo: continuavamo a scrutarci
attentamente, in attesa di chi avrebbe avuto il coraggio di fare la
prima
mossa.
Poi
mi avvicinai a lui, riducendo ulteriormente le
distanze e poggiando leggermente il mio corpo al suo.
Ancora
mi chiedo da quale remota parte di me stessa
trovai la forza, la sfacciataggine di fare la prima mossa.
Perché
mi ero alzata sulle punte dei piedi ed avevo preso
tra le mani i capelli ancora umidi di Travis? Perché mi ero
avvicinata ancora
di più?
Mi
sentivo stranamente piena di coraggio e di insicurezze
al tempo stesso. Speravo solamente che l’espressione sul mio
viso non mi
tradisse, che non mostrasse la mia agitazione.
“Stai
avendo una brutta influenza su di me, Travis”.
Non riuscii a fermare quelle parole prima che uscissero dalla mia bocca.
Ciao bella gente! Che dire...
Questo capitolo non è tra i più convincenti, ma è stato buttato giù di getto: volevo mantenere la mia parola e postarvi il seguito prima della mia partenza!
Comunque... Come sempre grazie a chi legge, a chi mi segue e a chi solamente legge in silenzio! Un bacione enorme a tutti <3
Ci "vediamo" la prossima settimana!
Un mega abbraccione a tutti voi,
Chiara
p.s. Ovviamente fatemi sapere cosa pensate di questo capitolo! :)