A
true gift
Il
rumore dei passi leggeri e veloci
risuonò sul parquet, il suo vestitino bianco svolazzava senza
che lei se ne
curasse troppo.
“Signorina,
non si corre scalzi per
casa!”
Le
urlò dietro una domestica, ma a lei
davvero non importava nulla di quello che si doveva o non si doveva
fare in
quella villa, alle regole e alle buone maniere. A lei non importava
nulla
dell’etichetta che affibbiavano alle altre figlie della
“buona società”.
Alexander
alzò la testa dal libro che
stava leggendo, seduto comodamente sulla poltrona in soggiorno. Vide
arrivare
Lilian che correva veloce sui suoi piedini per poi sporgersi dal
balcone senza
scendere le scale.
“Lawrence
Miller.”
Disse
soltanto, con un piccolo sorriso
sul visetto da bambina. Si sentiva un po’ meglio ora che almeno
era riuscita ad
aiutare suo fratello. Maximillian prese il libro che stava leggendo il
suo
padrone e che il biondo gli aveva dato in mano mentre lui si alzava in
piedi,
guardò la sorella e sorrise anche lui. Si girò poi verso
il moro e gli puntò un
dito sul petto, fissandolo negli occhi azzurri.
“Trovalo.”
Corrugò
appena la fronte in
un’espressione tesa per poi sorridere, un sorriso tirato che non
prometteva
nulla di buono, era pieno di impazienza e tensione.
“Scopri
dove abita al più presto e torna
da me.”
Non
avevano molto tempo, dovevano
sbrigarsi.
Era
uscito da scuola e stava tornando
alla sua casa, pensava che sarebbe stato solo ma quello che vide non
gli
piacque per niente, la porta della sua camera era aperta e non solo non
gli
piacque affatto ma lo mise alquanto in agitazione. Non si aspettava di
certo
che sarebbe finito in un grosso, grosso guaio.
Quando
Lawrence salì le scale ed aprì la
porta della sua stanza trovò cinque persone ad aspettarlo. La
stanza era
sottosopra, i libri, i cassetti e l’armadio erano stati rivoltati
completamente, tutti i suoi oggetti erano per terra. Un moto di rabbia
lo
colse, si sentiva improvvisamente in pericolo, più di quanto non
fosse stato a
casa di Stephen. Perché avevano cercato nella sua stanza, e
soprattutto cos’è
che stavano cercando lì?
“Chi…
chi diavolo siete?”
Il
suo sguardo si spostava
freneticamente dal ragazzo biondo che sembrava poco più grande
della sua età
seduto sul suo letto al moro altissimo che gli stava accanto a braccia
conserte. C’erano anche due altri ragazzini che si erano messi ai
lati della
finestra e un ragazzo più grande con gli occhiali che cercava
tra i suoi libri
e curiosava in giro.
“Da
dove siete entrati?”
Alexander
lo guardò perplesso, per poi
sorridere come se si stesse divertendo un mondo, pronto a chissà
che cosa.
“Dalla
porta, ovvio. Pensavi che fossimo
entrati dalla finestra?”
Rispose
sarcastico e si alzò in piedi. Cominciò
ad avvicinarsi a lui con passi lenti, era poco più alto di lui
ma lo sguardo glaciale
con cui continuava a fissarlo gli faceva davvero tanta, tanta paura.
Quegli
occhi sembravano quasi quelli di un fantasma.
“Che
cosa volete da…”
“Dov’è?”
Lo
interruppe, chinandosi appena per
guardarlo dritto negli occhi. La sua espressione era impassibile e
decisa,
anche volendo non sarebbe riuscito a disobbedirgli. Cercò di
voltarsi indietro
per vedere se almeno gli era rimasta una via di fuga ma quello che
sembrava il
suo servitore si era appoggiato all’uscio senza che se ne fosse
accorto, impedendogli
di girarsi e scappare via. Ma quando si era spostato da accanto al
letto?
“C…cosa?”
“Sai
benissimo di cosa sto parlando,
ragazzino.”
Rimase
in silenzio, le gambe gli
tremavano appena, era rimasto pietrificato al centro della stanza. Il
suo
sguardo continuava a vagare disperato tra i quattro che gli erano
rimasti
davanti, cercando di capire chi diavolo fossero e perché erano
entrati proprio
nella sua stanza, per capire cosa volessero da lui. Erano dei ladri? Lo
volevano rapire per chiedere il riscatto ai genitori? No, non era
possibile. La
sua famiglia non era così ricca e inoltre dai vestiti che
avevano indosso
sembrava che non fossero certo a corto di denaro, sembravano piuttosto
ricchi.
Il
biondo spazientito dal suo silenzio sbatté
la mano contro il muro, facendo sussultare il ragazzo che fece un passo
indietro. Vide il volto del ragazzo avvicinarsi al suo e fissarlo con
quel
ghigno sghembo che gli faceva gelare il sangue nelle vene, sembrava che
i suoi
denti fossero quasi zanne.
“Allora
Lawrence? Dove hai messo
l’amuleto?”
Chiese
ancora, sempre meno paziente.
Allungò la mano e lo prese per il colletto, strattonandolo e
tirandolo a sé.
“Ti
avverto, non sono conosciuto per la
mia pazienza.”
Lo
stava terrorizzando, gli tremavano le
gambe per il tono che stava usando con lui. Poteva non essere un
gigante o
sembrare uno di quei criminali che tengono il coltello nello stivale ma
la sua
sola presenza davanti a lui lo metteva estremamente a disagio.
Improvvisamente
il giovane alto e con gli occhiali mise una mano sulla spalla di quello
che ai
suoi occhi era un ragazzo e lo scosse appena.
“Alexander
non credo che otterrai
qualcosa spaventandolo.”
Il
biondo che aveva davanti tirò un
sospiro e lasciò andare il suo colletto, Lawrence si rese conto
solo in quel
momento che aveva smesso di respirare. Si portò una mano alla
gola e cominciò a
prendere rapidi respiri, ansimando appena. Il biondo più alto
che ora gli si
era messo davanti si accucciò fino ad arrivare alla sua altezza,
piegando le
ginocchia e appoggiandoci le mani sopra.
Sorrise
dolcemente, di sicuro faceva
meno paura dell’altro. Era un sorriso tenero, per quanto forse
finto, di quelli
che scaldano il cuore. Era piuttosto bello quel giovane e ora che
sorrideva era
ancora più affascinante, sembrava quasi un bambino con quella
espressione.
Dietro le lenti aveva gli stessi occhi dell’altro, solo che i
suoi non erano
così spaventosi, sebbene il sorriso che aveva sulle labbra non
riuscisse a
raggiungere i suoi occhi. Si avvicinò a lui ancora un po’
e lo prese per le
spalle, portandoselo davanti al viso.
“Lawrence,
per favore. Abbiamo bisogno
che tu ci dica dove hai nascosto l’amuleto, è importante,
ti prego.”
Lawrence
diventò rosso in viso, poteva
sentire il respiro dell’altro sulle sue labbra. Non che volesse o
si aspettasse
di reagire in quel modo ma lo aveva preso di sorpresa, si
allontanò dal biondo
spaventato e fece un passo indietro. Ma che gli era preso a questa
gente e
perché volevano quello strano ciondolo che aveva preso dalla
casa di Stephen?
Alexander
ora se ne stava appoggiato al
muro, guardando i due piuttosto irritato.
“Credi
che invece funzioneranno i tuoi
modi da donnaiolo con quel ragazzino, Nicholas?”
Fece
una voce da dietro i due biondi, un
altro ragazzino, stavolta più piccolo di lui, era spuntata e
fece un passo
avanti e si trascinò dietro a sé l’altro ragazzino,
identico a lui se non fosse altro per gli
occhi che
teneva aperti. Se ne rese conto solo dopo, quando capì che dal
momento che
l’aveva visto in quella stanza non li aveva mai aperti.
“Facci
vedere dove lo tieni e noi non ti
daremo più fastidio.”
Suo
fratello annuì e si misero uno alla
sua sinistra e uno alla sua destra, aggrappandosi alle sue braccia. Non
potevano avere più di quattordici anni, eppure davano
l’impressione di averne
passate molte di più dei propri coetanei. Deglutì e
annuì a sua volta,
lasciando andare i due gemelli.
Davis
lo prese per mano, cercandola a
tentoni sul suo braccio.
“Io
mi chiamo Davis, lui è Damian.
Portaci a vedere dove hai messo quella… cosa.”
Lawrence
fece un cenno con la testa e
strinse la mano del ragazzino, rapidamente l’uomo che era alla
porta si spostò
e aprì la porta restando in silenzio. Alexander uscì per
primo, girandosi poi
verso il ragazzo con un sorriso meno inquietante dell’ultima
volta.
“Andiamo?”
Il
ragazzo annuì con la testa e uscì con
loro da quella stanza. Li portò fuori, camminarono un po’,
uscirono dalla sua
casa e percorsero tutto il viale alberato dove viveva. Non sapeva se
poteva
fidarsi o meno di quelle persone, sarebbe stato comunque meglio dargli
retta e
dare loro quello che volevano. Almeno lo avrebbero lasciato in pace.
“E’
qui.”
Si
avvicinò al cancello di una villa
signorile, più bella e più grande della sua casupola da
borghese, lasciò andare
la mano dei gemelli e si mise davanti al recinto, appoggiò il
piede a una
sporgenza e cominciò a scalarlo, scomparse dall’altra
parte facendo un piccolo
tonfo. Si sentì il rumore di foglie spostate, stava cercando
dentro a un
cespuglio l’amuleto che aveva nascosto. Sentirono i cani che
abbaiavano e
Lawrence che in fretta si avvicinava al recinto e provava a scalarlo
un’altra
volta. Arrivò davanti a loro con il fiatone e qualche foglia in
testa, teneva
nella mano l’amuleto che aveva preso, uguale a quello nel disegno
che il
sergente Atkingson aveva dato ad Alexander.
“Presto,
nascondetevi.”
Fece
Maximillian, aveva appena sentito
voci di persone nella loro direzione, probabilmente si erano accorti
dei cani e
dell’intruso. Spinse tutti dietro il recinto, dove cominciava il
muro ed erano
nascosti dallo sguardo dei domestici della casa.
“Perché
l’hai nascosto qui?”
Chiese
il biondo più alto, appiattendosi
contro il muro per essere sicuro di non essere visto.
“Bruciava,
non riuscivo a tenerlo in
mano.”
Alexander
prese un fazzoletto dalla sua
tasca e prese l’amuleto che Lawrence teneva in mano, lo
portò al viso e lo
esaminò attento, di sicuro era autentico ed era esattamente
quello che stavano
cercando.
“Deve
aver perso parte del suo potere.”
Lo
passò sotto gli occhi del fratello
che lo analizzò a sua volta, prendendolo in mano con il
fazzoletto per non
contaminarlo. I due fratelli si scambiarono uno sguardo d’intesa
e Alexander
passò l’amuleto ai due gemelli, Davis lo prese in mano ma
lo lasciò cadere a
terra, come se si fosse appena scottato. Fece un passo indietro e si
tenne la
mano che gli faceva male, Damian allora lo raccolse e lo prese in mano.
Tese la
bocca e si morse le labbra, aveva paura ma di certo non quanto il
fratello
visto la reazione che aveva avuto.
“Cos’hai
sentito, Davis?”
Chiese
Alexander avvicinandosi al
ragazzino, Damian si rigirava il pendaglio tra le dita, studiandolo per
quello
che poteva. Mise l’amuleto nelle mani del biondo e strinse il
fratello in un
abbraccio, più forte che poteva. Voleva cancellargli ogni paura,
voleva rassicurarlo
da quello che aveva “visto”.
“Tante
anime, c’erano tante persone che
urlavano, si disperavano, piangevano.”
Si
mise le mani tra i capelli,
rabbrividiva al solo ricordo dell’inferno che aveva appena visto
attraverso il
ciondolo, quella visione spaventosa gli era rimasta impressa nel
cervello. Si
girò nell’abbraccio di Damian e lo strinse anche lui,
fortissimo, si accucciò
con la testa sul suo petto e cercò di calmare i brividi sotto le
carezze
gentili delle dita del fratello.
“Era
tutto scuro, pieno di rimpianti.
C’era una solitudine immensa, il buio fagocitava ogni cosa, ogni
sentimento.”
“Cos’è?”
Fece
Nicholas, spaventato dalla reazione
dei due. Quello che lui né il fratello potevano vedere lo
avevano visto più che
bene i gemelli, terrorizzati dal loro stesso potere. Damian si volse
verso gli
altri e fece un segno con il dito, un segno a forma di arco.
“…
è una porta?”
Continuò
il biondo, Damian scosse la
testa e si strinse al fratello facendo dei segni sulla pelle del suo
braccio
che solo Davis avrebbe potuto capire.
In
fondo solo lui riusciva a comprendere
quello che il fratello voleva dire, c’era un legame forte tra di
loro, tra le
loro anime, tra i loro cervelli. Quello che uno non riusciva a vedere
lo vedeva
l’altro. Le parole che uno non poteva pronunciare lo faceva
l’altro per lui.
Damian era gli occhi di Davis, Davis era la voce che Damian non aveva
mai
avuto. Per quello non potevano stare lontani, in due erano una cosa
sola.
“E’
un portale, Damian ha visto quei…
fantasmi, quelle anime. Cercano di entrare attraverso il varco tra il
mondo dei
morti e questo, per ora non riescono ad attraversarlo ma manca davvero
poco.
Bisogna trovare l’altro pezzo del portale e la chiave, prima che
chiunque abbia
deciso di attivarlo li trovi.”
Alexander
strinse l’amuleto nella mano e
lo mise in tasca, al riparo da sguardi indiscreti, fortunatamente erano
abbastanza nascosti e in quel momento non passava nessuno per quella
via.
“Intendi
l’amuleto gemello? Ma cos’è la
chiave?”
“Non
lo sappiamo, non siamo riusciti a
vederlo. L’unica cosa che siamo riusciti a sentire è che
chiedevano aiuto, non
sono loro a voler passare dal portale e venire in questo mondo,
c’è qualcuno
che le sta costringendo.”
Damian
e Davis se ne restavano
abbracciati, stretti l’uno all’altro in una morsa serrata.
Damian prese il viso
del fratello tra le mani allora e gli posò un bacio leggero
sulla fronte,
accarezzando i capelli biondi per poi far combaciare le loro fronti e
sorridere
timidamente. Sapeva che l’altro non poteva vederlo, però
lo poteva sentire.
Alexander fece una specie di smorfia di disgusto e girò la testa
dall’altra
parte.
“Dove
l’hai trovato, ragazzino?”
Tutti
si girano allora verso Lawrence
che fino a quel momento era stato in silenzio ad osservare quello che
stava
accadendo. Era pazzesco quello che gli stava succedendo, da quando era
entrato
di nascosto nella stanza di Stephen non faceva altro che succedergli
una cosa
assurda dietro l’altra. Chi erano ora quei ragazzini che
parlavano di cose come
anime, fantasmi e portali? Cosa voleva dire che erano riusciti a vedere
e a
sentire quelle cose? Ma soprattutto, perché dovevano capitare
sempre a lui
queste cose?
Sarebbe
finita la sua sfortuna?
Il
biondo più basso si avvicinò a lui e
lo scosse per una spalla, a quanto pare era come rimasto in uno stato
di trance
a guardare quei due ragazzini che parlavano di vere e proprie
assurdità per le
sue orecchie, sebbene quello che aveva visto in quella casa gli aveva
già fatto
riconsiderare paio di cosette.
“I…
io non…”
“Dove.
L’hai. Trovato.”
Insistette
il biondo, era tornato a
minacciarlo con quei suoi occhi glaciali e il sorriso terrificante.
Stavolta
sapeva però che non avrebbe avuto chance per liberarsi o sperare
in un
trattamento speciale da parte di quello che sembrava suo fratello.
Prese la
mano del biondo e l’allontanò, scrollandosi le spalle.
“Era
a casa di un mio amico, ce l’aveva
lui. Abita in questa casa.”
“Cosa…?
Un ragazzino? Sei sicuro di
quello che dici?”
Lawrence
si mise a fissare il suolo e
strinse le mani a pugno lungo i fianchi, nella sua mente scorrevano
tutte le
immagini di Stephen e come l’aveva visto le ultime volte, dei
suoi occhi rossi,
dei suoi modi così strani, di quella voce che gli era entrata
nel cervello e
non faceva altro che ripetergli quelle cose assurde.
Di
come appena era entrato in quella
stanza avesse sentito un macigno sul cuore, il peso di un’enorme
solitudine.
“Io
non lo so cosa gli è preso, Stephen
non sembra più se stesso! E’ cambiato, è strano! Ha
riempito di scritte in
latino e cerchi la sua stanza, la sua voce è cambiata, è
fredda… e i suoi occhi
sembrano posseduti, per non parlare di quel libro che tiene
stretto…”
“Libro
hai detto?”
Alexander
fece un passo in avanti verso
Lawrence ma venne fermato dal moro che lo teneva per un braccio,
bloccandolo
dal fare un altro passo.
“Fermatevi
signore, non serve.”
Il
biondo guardò dritto negli occhi
chiari l’altro, aveva ragione ma cosa poteva fare?
“Stephen
è diventato strano, non faceva
altro che chiedermi se mi sentissi solo e se volessi aggiungermi a
loro…”
Nicholas
si avvicinò al ragazzino e gli
mise una mano sulla spalla, più amichevole di quanto fosse stato
il fratello.
“Ti
ricordi cosa c’era scritto sui
muri?”
“Cum
finis qualcosa, quello che c’è
sull’amuleto… almeno credo.”
Alexander
scattò all’improvviso, fece
per andare verso la villa per poter entrare e vedere con i suoi occhi
come
stavano le cose, voleva vedere se tutto era come l’aveva visto
nel suo sogno.
Tutto quello che gli aveva detto il ragazzino corrispondeva esattamente
all’incubo che aveva avuto qualche giorno prima che scoprisse che
l’amuleto era
stato rubato, le scritte sulle pareti e per terra, quel senso di
oppressione,
di solitudine, quel vuoto che risucchia tutto.
Maximillian
si mise davanti a lui,
impedendogli di fare un guaio ancora una volta. I due si guardarono per
un
istante negli occhi, lanciandosi quello che sembrava un lungo sguardo
di sfida.
Non servirono parole, gli bastò quello per fermarlo.
Dopotutto
quello era il suo compito,
doveva proteggerlo. Ad ogni costo.
“Che
cosa pensi di fare, dargli un
calcio nel sedere e sperare che se ne vada?”
Fece
Nicholas, guardando il fratello con
un sorriso divertito sul volto. C’era poco da stare allegri e
divertirsi, la
situazione era già grave e complicata così, non poteva
aggiungersi con le sue
battutine.
“Fermati
e rifletti, andare ora e
provare a fermarlo non servirebbe a nulla se non a farci fare una
pessima fine.
Dovremmo tornare solo quando avremo qualcosa che possa fermarlo,
qualunque cosa
esso sia.”
Il
biondo si fermò e chiuse gli occhi
massaggiandosi le tempie con la punta delle dita. Doveva pensare, e
anche
abbastanza alla svelta.
“Cos’è
che noi abbiamo e lui non ha?”
Si
rivolse al fratello, il solito ghigno
dipinto su quel bel faccino da eterno adolescente.
“Abbiamo
l’amuleto.”
“E
non solo. Abbiamo l’amuleto, il
bamboccio che l’ha visto, due ragazzini che sanno cosa stiamo
cercando, un
servitore che può trovarlo, un idiota che può scoprire
cosa è già successo, uno
che può vederlo mentre accade e una ragazzina che può
scoprirlo prima che
avverrà.”
Si
passò le mani sul colletto della
giacca e se lo sistemò bene, rivolse lo stesso sorriso a tutti
quelli che aveva
davanti. Era tornato il solito, vecchio, Alexander Hamilton.
“Andiamo,
siamo ancora in vantaggio.”
“Spiegami
esattamente per quale motivo
sei qui.”
Fece
il biondo girandosi verso Lawrence
che ora se ne stava dietro di lui e cercava in tutti i modi di
sbirciare tra le
carte e i libri che Alexander teneva aperti sul tavolo, era talmente
preso
dalle ricerche che non si era nemmeno accorto che il ragazzino non solo
non se
n’era tornato a casa sua, ma era finito nella sua villa, stava
assistendo a un
piano di massima segretezza e stava curiosando tra libri che nessuno, a
parte i
membri del Nightingale, non solo non avrebbero mai dovuto leggere ma
dei quali
non avrebbero neanche saputo l’esistenza.
“Sei
tu che mi hai detto di venire, non
ero –Il bamboccio che l’ha visto-?”
Alexander
si poggiò una mano sulla
fronte e recitò un rosario di preghiere per far sì che
Dio rendesse forte e
duratura la sua infinita pazienza, non aveva un gran rapporto con i
bambini.
“Dimmi
anche quando ti ho permesso di
darmi del tu, visto che questo proprio non me lo ricordo.”
Si
girò verso il suo fedele servitore
come a chiedere spiegazioni e lo trovò a ridacchiare
silenziosamente,
estremamente divertito da quella scenetta tra i due. Era chiaro fin da
subito
che non si erano trovati, Alexander non sopportava i
“mocciosi”; dopotutto non
era difficile capire il perché non fosse in grado di capirli
visto il poco tempo
passato a trascorrere la propria infanzia e adolescenza, essendo il
primogenito
degli Hamilton aveva responsabilità in più che doveva
affrontare da solo. O
meglio, non esattamente da solo, aveva sempre Maximillian al suo fianco.
“Temo
che siete stato voi ad includerlo
in questo piano, dopotutto è lui che ha
visto quella cosa.”
Nicholas
era lì a grattarsi la testa,
più analizzava quello che c’era scritto più tutto
gli sembrava una grandissima
stupidaggine, logicamente, matematicamente, scientificamente
impossibile. Alzò
la testa dai libri che stava leggendo e si voltò verso il
ragazzino.
“Lawrence,
sei sicuro che sia tutto…
vero? Non potresti essertelo immaginato, sognato o che sia
semplicemente una
tua proiezione mentale?”
Corrugò
la fronte e si massaggiò il
proprio mento con le dita, cercando nella sua mente qualsiasi
spiegazione che
provasse a dare un senso a qualcosa totalmente fuori dalla propria
realtà.
“Esalazioni
di metalli scadenti dalla
bettol… casa in cui vive? Non è che eri sotto
l’influsso di qualche droga?”
Il
biondo tirò un profondo sospiro e
poggiò i gomiti sul tavolo, tenendosi la testa con entrambe le
mani. Damian e
Davis dall’altro lato della stanza si riprendevano dalla brutta
esperienza
passata giocando ad imboccarsi l’un l’altro con una fetta
di torta che
Maximillian aveva portato loro, non sopportava i cinguettii di Davis e
la loro
alquanto fuorviante “fratellanza”. La sua pazienza aveva
davvero un limite per
dover sopportare ben quattro ragazzini in quella stanza. Già,
perché il quarto
era suo fratello.
“Per
l’amor di Dio Nicholas, ha quindici
anni, non è uno scaricatore di porto con una forte dipendenza da
oppiacei.”
Lawrence
sbatté la mano sul lungo tavolo
in mogano e fece un passo avanti verso lo spilungone biondo, senza
nemmeno curarsi
dell’enorme differenza tra i due non solo di ceto e rango ma
anche di altezza.
A quanto sembrava il ragazzino era piuttosto sboccato e senza vergogna.
“Quello
che ho visto era reale vi dico!
Giuro sulla mia testa che non me lo sono inventato o immaginato,
l’ho visto con
gli stessi occhi con cui sto vedendo la faccia che vi trovate!”
Sboccò
verso il biondo che si limitò a
fare una risatina divertita e a tenere le braccia incrociate sul
proprio petto.
“Sono
salito in camera sua ed aveva gli
occhi normali, e poi BOOM! diventano
rossi e comincia a dire cose strane e me le sento dentro la testa, mi
dice tipo
–Non ti senti solo? Diventa una cosa sola
con me – e poi SBAM! mi mette una
mano sul petto e prova a strapparmi il cuore, A STRAPPARMI
IL CUORE DICO! ma ve lo dico io, è tutta colpa di quel
dannatissimo libro, non ci si stacca mai, lo legge ad una
velocità sovraumana e
ogni volta che ho provato a toccarlo vibrava e scottava. E’ la
verità, se non
fossi scappato mi avrebbe ucciso!”
Nicholas
però sbatté a sua volta le mani
sul tavolo e si avvicinò al viso dell’altro, entrambi
rossi in volto. Non
poteva accettare una cosa del genere, non ci avrebbe mai e poi mai
creduto.
“Idiota,
non esistono i demoni! Sono
sicuro che c’è una spiegazione molto più probabile
ad alto livello scientifico
che può provare quello che hai visto. Sono sicuro che sono stati
un po’ di
congiuntivite, isteria ed allucinazioni auditive e sensoriali con
qualche
manifestazione di energia probabilmente subatomica o onde
elettromagnetiche ti
hanno fatto credere che fosse tutto reale, una volta preso il libro lo
faremo
analizzare dal macchinario e vedrete che le analisi spiegheranno
tutto!”
Non
c’era verso per il biondo di
accettare cose come l’occulto, il paranormale e
l’esoterico. Aveva passato
tutta la vita a lottare contro il fratello per convincerlo che le cose
in cui
credeva fermamente potevano essere spiegate con i suoi esperimenti e la
sua
cara scienza.
A
modo suo era il tentativo di separarsi
dal padre che entrambi avevano tanto odiato.
“Ho
detto che non sono pazzo, quello che
ho visto era reale!”
Alexander
tornò a massaggiarsi le tempie
con gesti circolari e chiuse gli occhi, cercava un po’ di pace
nel cervello tra
le urla di Nicholas e Lawrence che litigavano, il rumore di cucchiaini
e di
tazzine di Davis e Damian e i mille pensieri e ipotesi che vorticavano
nella
sua testa.
Sentì
una mano scorrere lievissima sulla
sua schiena, partire dal collo per poi scivolare giù fino alla
vita. Non si
girò, sapeva benissimo di chi fosse quel tocco così
leggero da essere quasi
impercettibile, il soffio sul suo collo dell’altro lo raggiunse
flebile e
fresco.
Maximillian
gli aveva appena mandato in
tilt il cervello.
Chiuse
gli occhi, buio totale.
All’improvviso tutta la stanza per lui era come caduta in
silenzio assoluto,
c’era solo l’altro e quella carezza che quasi non esisteva.
C’era solo il suo
respiro sempre più vicino all’ orecchio e il proprio
battito che rimbombava
fino alle tempie. Non sapeva se era quel contatto in sé o il
terrore che gli
altri vedessero e li scoprissero. Come avrebbero potuto giustificarsi
agli
occhi degli altri?
Nulla,
non doveva trasparire nulla
all’esterno. Doveva rimanere sempre lui, sempre uguale, sempre la
solida roccia
impassibile. Non era il momento e probabilmente non lo sarebbe mai
stato, non
lui, non con Maximillian. Doveva rimanere impassibile, uguale come
sempre
all’esterno. Mentre all’interno gli sembrava di morire per
un desiderio che non
sarebbe mai stato appagato.
“Guardate.”
Fu
proprio la voce del moro a risvegliarlo.
Gli indicò un passaggio sul libro che ancora non riusciva ad
essergli chiaro
nella testa, nonostante l’avesse letto e riletto non riusciva a
capirne il
significato.
“Cerca
dalla vita, trova i tre guardiani, trova la morte, torna alla
vita.”
Tradusse
dal latino Alexander, non
capendo dove volesse andare a parare l’altro, il senso
però gli era ancora
estremamente oscuro. Cosa voleva significare?
“Ci
sono tre punti, la chiave, l’amuleto
completo e il libro. Ognuno di questi era nascosto in un punto diverso
della
città. Sappiamo dove è stato trovato il primo amuleto e
il libro ma ancora non
sappiamo dove sia il secondo e dove possiamo trovare questa specie di
chiave.”
Si
guardarono negli occhi ed intuirono
tutto il resto, senza dover dire una parola di più.
“Prendi
la mappa.”
Maximillian
recuperò la carta e andò a
segnare il punto dove era stato rubato l’amuleto e dove era stato
trovato il
libro, o perlomeno pensavano si trovasse in quel momento. Armato di un
righello
e un piccolo compasso tracciò varie linee finché non
trovò l’altro punto di
quel triangolo.
La
chiesa di Westminster.
Probabilmente
era lì che si nascondeva l’altro
pezzo dell’amuleto.
“La
chiave deve essere lì.”
Maximillian
puntò al centro dell’ipotetico
triangolo.
“Passi
l’altra parte dell’amuleto, ma come facciamo a trovare una
chiave senza sapere
che forma abbia? Ho come la sensazione che non sia una vera…
chiave, sembra più
qualcos’altro.”
Si
girò verso l’altro, non rendendosi
conto che così facendo si era ritrovato ad un millimetro dal
viso di
Maximillian, i suoi occhi erano proprio davanti ai suoi, limpidi e
azzurri. Li
vide assottigliarsi, formando delle piccole rughe alle
estremità. Stava
sorridendo divertito e Alexander poteva sentire il suo respiro sulle
labbra.
Dannazione.
Dannazione,
dannazione, dannazione. Era
difficile già di per sé decifrare quei libri e risolvere
il caso, non ci si
poteva mettere anche lui con i suoi giochini del cavolo. Non davanti a
tutti,
questo non poteva accettarlo.
Cercò
di mascherare qualsiasi reazione e
si tirò indietro, si voltò verso gli altri e
sbattè la mano sul tavolo per
richiamare tutti all’ordine, grazie a Dio nessuno sembrava di
averli notati.
“Zitti!
State tutti zitti, diamine!”
Si
portò una mano tra i capelli corti e
prese un profondo respiro. Ora tutti lo stavano guardando, cercando di
capire
cosa volesse dire. Alexander prese la cartina in mano e indicò
il piccolo
cerchio.
“Preparatevi,
oggi si va a messa.”
Tutti
lo guardarono senza aver capito di
cosa stesse parlando, di certo non avrebbero avuto idea che quella
sarebbe
stata molto più di una “caccia al tesoro”.
Si
era già infilato il gilet e il fazzoletto
nel taschino, passò il nastro intorno al collo e per
l’ennesima volta si trovò a
maledire quel pezzo di stoffa.
“Non
vi vergognate a non sapervi ancora
allacciare una cravatta a ventisette anni?”
Si
girò verso il moro e sorrise sghembo
mentre l’altro portava le mani al suo collo, passando abile il
lembo di stoffa
tra le mani e stringendo poi il nodo alla sua camicia.
“Questo
è perché lo fai ogni volta tu
per me, Maximillian.”
L’uomo
gli porse il cappello e il
cappotto che l’altro si infilò mentre Maximillian lo
aiutava, come un fedele
servitore. Il moro lasciò andare lievi le sue dita sul collo e
sul petto dell’altro,
quasi impercettibile. Alexander però una volta vestito prese
l’altro per la
giacca, stringendo la stoffa e tirandolo a sé.
“Smettila
di provocarmi.”
Se lo
portò davanti al viso, gli occhi
del moro erano calmi, estremamente calmi. Sorrise ancora una volta, con
quel
suo solito sorriso divertito. Non lo sopportava, lo odiava più
di qualsiasi
cosa al mondo. O forse no. Forse non lo sapeva neanche lui, di sicuro
non
faceva altro che creargli problemi.
Forse
lo amava quel sorriso.
Forse
il solo pensiero di averlo così
vicino e non poterlo avere rischiava di fargli esplodere il cuore in un
milione
di pezzi. Perché dentro di sé sapeva che non avrebbe
potuto mai avere qualcosa
di più di quel sorriso sghembo.
Non
si poteva.
“Vi
sto provocando?”
Maximillian
chinò ancora un po’ il viso,
avvicinandolo a quello del biondo. Ogni sillaba della sua voce lo
smuoveva,
come una corda che vibrava dentro di lui al suono della sua voce bassa
e
limpida. Ancora non si capacitava di come ogni singola volta che si
ritrovava
in una situazione del genere il suo cervello andava in corto circuito,
era come
se si dimenticasse di tutto il resto, delle loro differenze, delle loro
posizioni, del tempo che era passato.
Non
contava più nulla.
“Sai
perfettamente cosa intendo.”
Quasi
con rimorso Alexander lo lasciò
andare. Sul suo volto le labbra erano tese dalla rabbia,
dall’insoddisfazione e
dalla paura che aveva, se solo si fosse lasciato andare, se solo avesse
ceduto
sarebbe tutto finito.
Nel
bene o nel male.
Erano
perfettamente fermi così, da anni
in quella situazione di stallo. Senza che uno facesse un passo verso
l’altro.
Avevano
così paura di cadere che nessuno
dei due osava fare un passo in avanti o indietro.
Maximillian
sospirò e fece un inchino,
lo guardò con la malizia negli occhi. Sapeva che Alexander aveva
solo paura,
che in realtà non odiava affatto
quel
rincorrersi e stuzzicarsi, anche se lo negava, anche se lo avrebbe
negato all’infinito.
Più l’altro si ritraeva più l’altro lo
rincorreva, più lo stuzzicava più aveva
voglia di vedere la sua reazione.
Non
che il biondo fosse da meno, a volte
erano i suoi occhi a inseguirlo, le sue parole a sedurlo. A volte
bastava solo
il suo sorriso da diavolo su quella faccia da ragazzino.
“Andiamo.”
Si
voltò verso la porta e uscì,
tenendosi dietro il suo servitore. Le labbra rischiavano di lacerarsi
per i
morsi che gli stava dando, tutta la rabbia che aveva in corpo lo stava
logorando, quel desiderio mai appagato lo stava mandando fuori di
testa. Se
solo lui non fosse stato Alexander e Maximillian non fosse stato
Maximillian,
se fossero stati ben lontani da quel posto infernale, se solo lui non
avesse
avuto tutto quel peso di generazioni e generazioni addosso.
Se
non fosse stato per quella
maledizione che si portava addosso, segnata sul suo viso e sul suo
corpo.
Se
fosse stato libero di volare via, con
lui.
Ancora
una volta, per paura, restavano
così.
Fermi
su un filo.
Entrarono
a testa bassa nella chiesa,
cercando di non fare il minimo rumore. Rimasero in fondo alla navata,
cercando
di non attirare l’attenzione. Si sfilò il cappello e gli
occhiali scuri e inutile
a dirsi, tutte le teste coronate delle famiglie nobiliari si voltarono
nella
loro direzione, il biondo ringraziò che almeno si era messo un
po’ in ordine.
Doveva pur mantenere una certa apparenza per il buon nome della
famiglia, fosse
stato per lui non gliene sarebbe importato molto.
Alexander
sentì gli occhi di tutti su di
lui e il fratello, di certo le cariatidi sedute sulle panche non si
risparmiarono i commenti sussurrati all’orecchio, quel vociare
fastidioso che
risuonava come un mormorio per tutta la chiesa. Percepì come gli
sguardi si
soffermassero sui suoi occhi e i suoi capelli chiarissimi, tutti
l’avevano
riconosciuto come l’erede degli Hamilton, di sicuro erano stupiti
di trovarselo
in quel posto.
Era
davvero un’occasione rara questa.
Chiamò
Maximillian con un dito,
facendolo piegare verso di sé per raggiungere l’altezza
della sua bocca. Non
avrebbe sopportato quelle vecchie pettegole un secondo di più.
“Andiamo,
non abbiamo molto tempo.”
Appiattendosi
sul fondo della chiesa si
defilarono verso la navata laterale senza fare rumore, Nicholas
notò che alle
sue spalle Lawrence e i due gemelli li seguivano a distanza, cercando
di non
farsi notare.
“Dove
pensate di andare? Voi restate
qui.”
Sussurrò
il biondo a Lawrence, notando
il disappunto nello sguardo dei ragazzini. Bhe, almeno in quello di
Damian e
Lawrence.
“Ma
noi vogliamo venire a vedere, non
potete lasciarci qui!”
Alexander
si limitò a massaggiarsi le
tempie per non alterarsi ulteriormente, portarsi un cieco col suo
accompagno e
un ragazzino impiccione? Impossibile, avrebbero solo combinato guai e
sarebbero
stati come una palla al piede. Nicholas si portò un dito alle
labbra e intimò
al gruppetto di fare silenzio.
“Non
se ne parla nemmeno, restate qua ed
aspettateci.”
Il
maggiore tra i due fratelli si voltò
semplicemente e li abbandonò lì mentre l’altro
biondo fece qualche passo ma
Lawrence lo fermò tirandolo per la giacca. Provò quindi a
fare l’espressione da
cucciolo bastonato per intenerirlo e spingerlo a portarselo appresso,
peccato
che non funzionò a nulla, Nicholas fece una faccia quasi
disgustata e se lo
scrollò di dosso con uno strattone.
“Ho
detto che restate qui, tutti e tre.
Non si discute!”
Nicholas
si girò e andò a raggiungere il
fratello, defilandosi sempre più lontano dal vociare sommesso
delle preghiere e
il suono dell’organo che riempiva la cattedrale ed entrare
nell’oscurità delle
navate laterali illuminate solo dai cerini votivi dei fedeli che
illuminavano
tombe e statue di chi era stato abbastanza ricco o santo in vita da
farsi
seppellire lì.
Uscirono
da una porticina laterale ed
andarono a infilarsi in uno dei corridoi laterali, si trovarono in un
atrio dal
quale si dipartivano altri corridoi che andavano in direzioni diverse.
Alexander si fermò, non sapendo che direzione prendere.
Dove
poteva trovarsi l’amuleto gemello?
Poteva essere ovunque, come avrebbero fatto a trovarlo?
“Dove
andiamo?”
Nicholas
continuava a girare intorno per
i corridoi scuri, cercando come un disperato il minimo segno di una
corrente d’aria
che li portasse in un uscita sicura da qualche parte.
“Stai
zitto.”
Alexander
si portò le mani alla testa
per cercare il modo di tirarli fuori da quella situazione, non avevano
molto
tempo prima che la funzione finisse senza contare che quella contro “quella cosa” era una battaglia dal
tempo contato.
“Alexander
non penso che…”
“Ho
detto stai zitto!”
Il
biondo si voltò verso il fratello e
cercando di tenere la voce più bassa che poteva lo zittì
un’altra volta. Doveva
pensare e doveva farlo alla svelta.
Sbatté
un pugno al muro, col rischio di
farsi male e di farsi scoprire.
Ci
doveva essere un modo per riuscire a
trovare l’amuleto.
“Concentratevi.”
Come
un’ombra scura si ritrovò
Maximillian alle sue spalle, non si era neanche accorto che
l’aveva raggiunto e
che ora era così vicino. Sussurrò al suo orecchio e lui
fu costretto a
deglutire piano e riprendere la situazione in mano.
Fece
scivolare la sua mano fino alla
tasca del cappotto e prese tra le dita l’amuleto. Lo strinse
forte e chiuse gli
occhi, cercò di concentrarsi e scacciare via dalla sua mente
tutti i pensieri
estranei.
Eliminò
le note ovattate dell’organo e
il canto del coro, eliminò i rumori indistinti della strada
sopra di loro,
eliminò i passi nervosi e gli insulti tra i denti di suo
fratello. Eliminare il
pensiero di Maximillian che gli respirava così vicino al suo
orecchio fu più
difficile di quanto credesse.
Creò
il nulla.
Strinse
ancora di più l’amuleto
incompleto tra le sue dita, lo strinse talmente tanto da potersi quasi
ferire
con la gemma e le sue sfaccettature. Ora lo sentiva pulsare nella sua
mano, se
solo continuava a concentrarsi così poteva sentire le vibrazioni
e il calore
che andava aumentando sempre di più, tornando a come le
sentivano appena l’avevano
trovato. Stava entrando in risonanza con l’altro elemento del
triangolo.
Doveva
essere vicino, molto vicino.
Poi
lo vide. Vide le anime che si
accalcavano per riuscire a passare quella porta, sentì il dolore
eterno e la
frustrazione, sentì la solitudine e la disperazione.
Sentì
l’avidità di chi rivuole indietro
la vita, una vita perduta.
Fu
allora che si stabilì il contatto ed
ebbe la percezione dell’altro amuleto, non sapeva bene come, non
sapeva dove ma
doveva essere lì vicino. Lui lo sentiva dentro di sé, non
poteva sbagliare.
“Seguitemi.”
Senza
neanche rifletterci prese un
corridoio laterale che li portò a delle scalette che scendevano.
Scesero per
qualche minuto fino a trovarsi in un ambiente scuro, illuminato
soltanto da
qualche fiaccola che chissà come era riuscita a mantenersi
accesa nonostante la
pochissima aria. Arrivarono a una specie di botola che aprirono con
estrema
attenzione, calandosi poi in basso per entrare in una stanza più
grande.
Una
volta entrati c’era il buio più
assoluto.
Maximillian
prese una torcia dal muro e
tirò fuori dalla tasca un accendino. All’improvviso fu
luce e potettero
guardare meglio intorno a loro. C’erano altre statue, mobili e
forzieri coperti
da teli, c’erano teche di vetro con ori, croci e reliquie di
santi.
Era
la cripta.
Nicholas
si guardò intorno con l’aria
stupita, la solita aria da bambino che non lo abbandonava mai. Girava
intorno
alla stanza curiosando tra un’antichità e l’altra,
era incredibile quanti
tesori c’erano in quel posto.
“Dove
pensi che sia l’amuleto?”
Il
fratello non gli rispose, non lo
stava ascoltando. Si ritrovò davanti ad una parete spoglia, al
contrario delle
altre tre che delimitavano la stanza. A tentoni con i palmi Alexander
cercò di
studiarla. C’era qualcosa che gli diceva che era proprio in
quella direzione
che doveva cercare.
Bussò,
era vuota dall’altra parte.
“E’
un passaggio segreto.”
Alexander
si voltò verso il fratello e
Maximillian, cominciando a frugare e a spostare cose per tutta la
stanza.
“Ci
deve essere una leva… solo, dove?”
Mentre
lui continuava a cercare Nicholas si
fermò, si
mise una mano sul mento e cominciò a massaggiarselo piano.
Abbassò lo sguardo
ai suoi piedi e fece vagare lo sguardo più il là, senza
che nemmeno lui sapesse
esattamente cosa stesse cercando.
A
quel punto lo trovò, più o meno.
Qualcosa
gli diceva che se avessero
spostato la teca con le ossa sacre di chissà quale martire la
parete si sarebbe
aperta, non era niente più di un’intuizione però.
“Aiutatemi!”
Tutti
e tre spostarono la pesantissima
teca di qualche centimetro, tanto bastò a sollevare una piccola
pedana sul
pavimento che mise in moto la leva tramite un meccanismo idraulico. La
parete
scivolò su se stessa e si aprì un varco.
Entrarono
nella stanza che si era appena
aperta e non fu difficile trovare l’amuleto. Proprio davanti a
loro era posato
su un piedistallo, sotto una campana di vetro. Sopra di essa erano
iscritte
decine, centinaia di frasi in una lingua che non riuscirono a
decifrare, non
erano scritte in una lingua conosciuta, non l’avevano mai vista
prima.
Fecero
appena in tempo ad uscire dalla
stanza che la parete si richiuse alle loro spalle. Quando guardarono
davanti a
loro però non furono affatto felici di quello che trovarono.
“Devo
proprio ringraziarvi, Hamilton.”
Davanti
ai loro occhi se ne stava
appollaiato su una credenza quello che doveva essere Stephen o meglio,
quello
che era rimasto di lui. Quello che si aspettavano ancora di meno
è cosa stesse
tenendo in mano per il colletto.
Lawrence
penzolava giù nel vuoto,
scalciando per divincolarsi e scappare.
“Senza
di voi non ce l’avrei mai fatta a
prenderlo.”
Con
un balzo scese giù da quel mobile
così alto con il ragazzino che urlava e scalpitava invocando
l’aiuto dei due
biondi per atterrare poi su un mobile più basso.
Quell’essere allungò la mano e
sorrise, mostrò denti che sembravano affilatissime zanne mentre
i suoi occhi
rossi risplendevano nell’oscurità. Era
un’espressione mostruosa, di una
cattiveria e rabbia sovraumane, storpiava sul volto da ragazzo di
Stephen, era
davvero il volto di un demone.
Ciò
che fino a quel momento avevano
temuto era lì davanti a loro.
“Dammelo.”
Lui
allungò una mano verso di loro,
allargando ancora di più il sorriso.
No,
non poteva essere davvero Stephen,
era troppo forte per essere semplicemente un ragazzino di quindici
anni. I suoi
occhi rossi poi non toglievano alcun dubbio, era lui il mostro di cui
Lawrence
aveva parlato.
“Non
ci penso proprio.”
Rispose
Alexander, fermo ed impassibile
al contrario di Nicholas che sembrava assolutamente non capire cosa
diamine
stesse succedendo. Come se non capisse che davvero davanti a sé
c’era un
ragazzino dalla forza di un mostro con gli occhi rossi e le zanne, o
meglio, si
rifiutava di crederci.
“Ah
no?”
Sorrise
ancora, sempre più perfido.
Scese
ancora una volta, mettendo i piedi
per terra. Sbatté il ragazzino a terra e gli mise un piede sopra
lo stomaco,
facendolo gemere di dolore mentre continuava a urlare e a dimenarsi
mentre
provava di scappare. Quella cosa era molto più pesante di quanto
non potesse
sembrare all’apparenza.
Si
chinò con la mano sul suo petto e gli
sfiorò il tessuto della camicia, fermandosi con la mano proprio
sopra il cuore.
“Sei
proprio sicuro di non volermelo
dare?”
Strinse
allora le dita sul suo petto e
dentro di sé Lawrence sentì come se stesse provando a
tirarglielo fuori dalla
gabbia toracica, come aveva provato a strapparglielo la prima volta che
era
entrato nella sua camera e l’aveva trovato.
“Basta,
ti prego basta!”
Il
ragazzino strinse il braccio di
quello che era il suo amico con le dita per provare a scansarlo ma
quello era
troppo forte. Allungò l’altro braccio allora verso i due,
guardandoli negli
occhi e continuando a invocare aiuto.
“No!”
Nicholas
balzò in avanti ma il fratello
lo fermò, guardandolo torvo. Non si era spostato di un
millimetro, sempre
fermo, sempre di ghiaccio, mentre il fratello stava letteralmente
andando nel
panico. Non poteva fare niente mentre l’altro rischiava di
morire, non poteva
lasciare che quello che ai suoi occhi era un pazzo psicopatico gli
schiacciasse
le ossa come fossero quelle di un uccellino.
Sarebbe
davvero finita così per
Lawrence?
Bhe, in confronto agli altri questo capitolo è uscito abbastanza presto, no?
Piano piano vedrete che tutto ciò che non è chiaro sarà spiegato e ogni tassello verrà svelato, chi è questo demone che si è impossessato di Stephen? Sarà l'unico o ce ne dovremo aspettare altri? Qual'è il dono che accomuna i fratelli Hamilton? Qual'è la natura della relazione tra Maximillian e Alexander? Avete già capito quali sono le altre coppie? Ce ne sono tante di cose che succederanno, vedrete!
Che ne pensate del capitolo? Fatemelo sapere con una recensione! Ringrazio chi ha seguito la storia e chi la seguirà <3