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Autore: sarazaretta    10/04/2014    0 recensioni
Prima di andare a nanna quando eravate bambini vostra madre vi raccontava sempre delle storie, di quelle che servono per spaventare i bambini poco ubbidienti o quelle che escono dai libri pieni di fantasiosi racconti della buonanotte. Storie in grado di dare i brividi o stimolare la fervente immaginazione di qualche ragazzino sognatore. Poi siete cresciuti però e queste storie non le ricordate più, dopotutto nessuno prende sul serio i vecchi racconti che da secoli si narrano ai bambini.
E se vi stesse sbagliando?
Dietro la ragione c’è sempre qualcosa che non si può spiegare, qualcosa legato a un mondo antico avvolto nel mistero da polverose leggende. Eventi inspiegabili, al limite dell’assurdo, che sembrano usciti da un sogno.
O forse da un incubo.
In una Londra vittoriana c’è qualcuno che opera nell’ombra da secoli, circondato dalle stesse leggende che protegge, avvolto nel mistero.
Credete ancora che siano soltanto delle storie?
Benvenuti al Nightingale.
(revisionato e corretto)
Genere: Dark, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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A true gift

A true gift

 

Il rumore dei passi leggeri e veloci risuonò sul parquet, il suo vestitino bianco svolazzava senza che lei se ne curasse troppo.

“Signorina, non si corre scalzi per casa!”

Le urlò dietro una domestica, ma a lei davvero non importava nulla di quello che si doveva o non si doveva fare in quella villa, alle regole e alle buone maniere. A lei non importava nulla dell’etichetta che affibbiavano alle altre figlie della “buona società”.

Alexander alzò la testa dal libro che stava leggendo, seduto comodamente sulla poltrona in soggiorno. Vide arrivare Lilian che correva veloce sui suoi piedini per poi sporgersi dal balcone senza scendere le scale.

“Lawrence Miller.”

Disse soltanto, con un piccolo sorriso sul visetto da bambina. Si sentiva un po’ meglio ora che almeno era riuscita ad aiutare suo fratello. Maximillian prese il libro che stava leggendo il suo padrone e che il biondo gli aveva dato in mano mentre lui si alzava in piedi, guardò la sorella e sorrise anche lui. Si girò poi verso il moro e gli puntò un dito sul petto, fissandolo negli occhi azzurri.

“Trovalo.”

Corrugò appena la fronte in un’espressione tesa per poi sorridere, un sorriso tirato che non prometteva nulla di buono, era pieno di impazienza e tensione.

“Scopri dove abita al più presto e torna da me.”

Non avevano molto tempo, dovevano sbrigarsi.

 

 

Era uscito da scuola e stava tornando alla sua casa, pensava che sarebbe stato solo ma quello che vide non gli piacque per niente, la porta della sua camera era aperta e non solo non gli piacque affatto ma lo mise alquanto in agitazione. Non si aspettava di certo che sarebbe finito in un grosso, grosso guaio.

Quando Lawrence salì le scale ed aprì la porta della sua stanza trovò cinque persone ad aspettarlo. La stanza era sottosopra, i libri, i cassetti e l’armadio erano stati rivoltati completamente, tutti i suoi oggetti erano per terra. Un moto di rabbia lo colse, si sentiva improvvisamente in pericolo, più di quanto non fosse stato a casa di Stephen. Perché avevano cercato nella sua stanza, e soprattutto cos’è che stavano cercando lì?

“Chi… chi diavolo siete?”

Il suo sguardo si spostava freneticamente dal ragazzo biondo che sembrava poco più grande della sua età seduto sul suo letto al moro altissimo che gli stava accanto a braccia conserte. C’erano anche due altri ragazzini che si erano messi ai lati della finestra e un ragazzo più grande con gli occhiali che cercava tra i suoi libri e curiosava in giro.

“Da dove siete entrati?”

Alexander lo guardò perplesso, per poi sorridere come se si stesse divertendo un mondo, pronto a chissà che cosa.

“Dalla porta, ovvio. Pensavi che fossimo entrati dalla finestra?”

Rispose sarcastico e si alzò in piedi. Cominciò ad avvicinarsi a lui con passi lenti, era poco più alto di lui ma lo sguardo glaciale con cui continuava a fissarlo gli faceva davvero tanta, tanta paura. Quegli occhi sembravano quasi quelli di un fantasma.

“Che cosa volete da…”

“Dov’è?”

Lo interruppe, chinandosi appena per guardarlo dritto negli occhi. La sua espressione era impassibile e decisa, anche volendo non sarebbe riuscito a disobbedirgli. Cercò di voltarsi indietro per vedere se almeno gli era rimasta una via di fuga ma quello che sembrava il suo servitore si era appoggiato all’uscio senza che se ne fosse accorto, impedendogli di girarsi e scappare via. Ma quando si era spostato da accanto al letto?

“C…cosa?”

“Sai benissimo di cosa sto parlando, ragazzino.”

Rimase in silenzio, le gambe gli tremavano appena, era rimasto pietrificato al centro della stanza. Il suo sguardo continuava a vagare disperato tra i quattro che gli erano rimasti davanti, cercando di capire chi diavolo fossero e perché erano entrati proprio nella sua stanza, per capire cosa volessero da lui. Erano dei ladri? Lo volevano rapire per chiedere il riscatto ai genitori? No, non era possibile. La sua famiglia non era così ricca e inoltre dai vestiti che avevano indosso sembrava che non fossero certo a corto di denaro, sembravano piuttosto ricchi.

Il biondo spazientito dal suo silenzio sbatté la mano contro il muro, facendo sussultare il ragazzo che fece un passo indietro. Vide il volto del ragazzo avvicinarsi al suo e fissarlo con quel ghigno sghembo che gli faceva gelare il sangue nelle vene, sembrava che i suoi denti fossero quasi zanne.

“Allora Lawrence? Dove hai messo l’amuleto?”

Chiese ancora, sempre meno paziente. Allungò la mano e lo prese per il colletto, strattonandolo e tirandolo a sé.

“Ti avverto, non sono conosciuto per la mia pazienza.”

Lo stava terrorizzando, gli tremavano le gambe per il tono che stava usando con lui. Poteva non essere un gigante o sembrare uno di quei criminali che tengono il coltello nello stivale ma la sua sola presenza davanti a lui lo metteva estremamente a disagio. Improvvisamente il giovane alto e con gli occhiali mise una mano sulla spalla di quello che ai suoi occhi era un ragazzo e lo scosse appena.

“Alexander non credo che otterrai qualcosa spaventandolo.”

Il biondo che aveva davanti tirò un sospiro e lasciò andare il suo colletto, Lawrence si rese conto solo in quel momento che aveva smesso di respirare. Si portò una mano alla gola e cominciò a prendere rapidi respiri, ansimando appena. Il biondo più alto che ora gli si era messo davanti si accucciò fino ad arrivare alla sua altezza, piegando le ginocchia e appoggiandoci le mani sopra.

Sorrise dolcemente, di sicuro faceva meno paura dell’altro. Era un sorriso tenero, per quanto forse finto, di quelli che scaldano il cuore. Era piuttosto bello quel giovane e ora che sorrideva era ancora più affascinante, sembrava quasi un bambino con quella espressione. Dietro le lenti aveva gli stessi occhi dell’altro, solo che i suoi non erano così spaventosi, sebbene il sorriso che aveva sulle labbra non riuscisse a raggiungere i suoi occhi. Si avvicinò a lui ancora un po’ e lo prese per le spalle, portandoselo davanti al viso.

“Lawrence, per favore. Abbiamo bisogno che tu ci dica dove hai nascosto l’amuleto, è importante, ti prego.”

Lawrence diventò rosso in viso, poteva sentire il respiro dell’altro sulle sue labbra. Non che volesse o si aspettasse di reagire in quel modo ma lo aveva preso di sorpresa, si allontanò dal biondo spaventato e fece un passo indietro. Ma che gli era preso a questa gente e perché volevano quello strano ciondolo che aveva preso dalla casa di Stephen?

Alexander ora se ne stava appoggiato al muro, guardando i due piuttosto irritato.

“Credi che invece funzioneranno i tuoi modi da donnaiolo con quel ragazzino, Nicholas?”

Fece una voce da dietro i due biondi, un altro ragazzino, stavolta più piccolo di lui, era spuntata e fece un passo avanti e si trascinò dietro a sé l’altro ragazzino, identico  a lui se non fosse altro per gli occhi che teneva aperti. Se ne rese conto solo dopo, quando capì che dal momento che l’aveva visto in quella stanza non li aveva mai aperti.

“Facci vedere dove lo tieni e noi non ti daremo più fastidio.”

Suo fratello annuì e si misero uno alla sua sinistra e uno alla sua destra, aggrappandosi alle sue braccia. Non potevano avere più di quattordici anni, eppure davano l’impressione di averne passate molte di più dei propri coetanei. Deglutì e annuì a sua volta, lasciando andare i due gemelli.

Davis lo prese per mano, cercandola a tentoni sul suo braccio.

“Io mi chiamo Davis, lui è Damian. Portaci a vedere dove hai messo quella… cosa.”

Lawrence fece un cenno con la testa e strinse la mano del ragazzino, rapidamente l’uomo che era alla porta si spostò e aprì la porta restando in silenzio. Alexander uscì per primo, girandosi poi verso il ragazzo con un sorriso meno inquietante dell’ultima volta.

“Andiamo?”

Il ragazzo annuì con la testa e uscì con loro da quella stanza. Li portò fuori, camminarono un po’, uscirono dalla sua casa e percorsero tutto il viale alberato dove viveva. Non sapeva se poteva fidarsi o meno di quelle persone, sarebbe stato comunque meglio dargli retta e dare loro quello che volevano. Almeno lo avrebbero lasciato in pace.

“E’ qui.”

Si avvicinò al cancello di una villa signorile, più bella e più grande della sua casupola da borghese, lasciò andare la mano dei gemelli e si mise davanti al recinto, appoggiò il piede a una sporgenza e cominciò a scalarlo, scomparse dall’altra parte facendo un piccolo tonfo. Si sentì il rumore di foglie spostate, stava cercando dentro a un cespuglio l’amuleto che aveva nascosto. Sentirono i cani che abbaiavano e Lawrence che in fretta si avvicinava al recinto e provava a scalarlo un’altra volta. Arrivò davanti a loro con il fiatone e qualche foglia in testa, teneva nella mano l’amuleto che aveva preso, uguale a quello nel disegno che il sergente Atkingson aveva dato ad Alexander.

“Presto, nascondetevi.”

Fece Maximillian, aveva appena sentito voci di persone nella loro direzione, probabilmente si erano accorti dei cani e dell’intruso. Spinse tutti dietro il recinto, dove cominciava il muro ed erano nascosti dallo sguardo dei domestici della casa.

“Perché l’hai nascosto qui?”

Chiese il biondo più alto, appiattendosi contro il muro per essere sicuro di non essere visto.

“Bruciava, non riuscivo a tenerlo in mano.”

Alexander prese un fazzoletto dalla sua tasca e prese l’amuleto che Lawrence teneva in mano, lo portò al viso e lo esaminò attento, di sicuro era autentico ed era esattamente quello che stavano cercando.

“Deve aver perso parte del suo potere.”

Lo passò sotto gli occhi del fratello che lo analizzò a sua volta, prendendolo in mano con il fazzoletto per non contaminarlo. I due fratelli si scambiarono uno sguardo d’intesa e Alexander passò l’amuleto ai due gemelli, Davis lo prese in mano ma lo lasciò cadere a terra, come se si fosse appena scottato. Fece un passo indietro e si tenne la mano che gli faceva male, Damian allora lo raccolse e lo prese in mano. Tese la bocca e si morse le labbra, aveva paura ma di certo non quanto il fratello visto la reazione che aveva avuto.

“Cos’hai sentito, Davis?”

Chiese Alexander avvicinandosi al ragazzino, Damian si rigirava il pendaglio tra le dita, studiandolo per quello che poteva. Mise l’amuleto nelle mani del biondo e strinse il fratello in un abbraccio, più forte che poteva. Voleva cancellargli ogni paura, voleva rassicurarlo da quello che aveva “visto”.

“Tante anime, c’erano tante persone che urlavano, si disperavano, piangevano.”

Si mise le mani tra i capelli, rabbrividiva al solo ricordo dell’inferno che aveva appena visto attraverso il ciondolo, quella visione spaventosa gli era rimasta impressa nel cervello. Si girò nell’abbraccio di Damian e lo strinse anche lui, fortissimo, si accucciò con la testa sul suo petto e cercò di calmare i brividi sotto le carezze gentili delle dita del fratello.

“Era tutto scuro, pieno di rimpianti. C’era una solitudine immensa, il buio fagocitava ogni cosa, ogni sentimento.”

“Cos’è?”

Fece Nicholas, spaventato dalla reazione dei due. Quello che lui né il fratello potevano vedere lo avevano visto più che bene i gemelli, terrorizzati dal loro stesso potere. Damian si volse verso gli altri e fece un segno con il dito, un segno a forma di arco.

“… è una porta?”

Continuò il biondo, Damian scosse la testa e si strinse al fratello facendo dei segni sulla pelle del suo braccio che solo Davis avrebbe potuto capire.

In fondo solo lui riusciva a comprendere quello che il fratello voleva dire, c’era un legame forte tra di loro, tra le loro anime, tra i loro cervelli. Quello che uno non riusciva a vedere lo vedeva l’altro. Le parole che uno non poteva pronunciare lo faceva l’altro per lui. Damian era gli occhi di Davis, Davis era la voce che Damian non aveva mai avuto. Per quello non potevano stare lontani, in due erano una cosa sola.

“E’ un portale, Damian ha visto quei… fantasmi, quelle anime. Cercano di entrare attraverso il varco tra il mondo dei morti e questo, per ora non riescono ad attraversarlo ma manca davvero poco. Bisogna trovare l’altro pezzo del portale e la chiave, prima che chiunque abbia deciso di attivarlo li trovi.”

Alexander strinse l’amuleto nella mano e lo mise in tasca, al riparo da sguardi indiscreti, fortunatamente erano abbastanza nascosti e in quel momento non passava nessuno per quella via.

“Intendi l’amuleto gemello? Ma cos’è la chiave?”

“Non lo sappiamo, non siamo riusciti a vederlo. L’unica cosa che siamo riusciti a sentire è che chiedevano aiuto, non sono loro a voler passare dal portale e venire in questo mondo, c’è qualcuno che le sta costringendo.”

Damian e Davis se ne restavano abbracciati, stretti l’uno all’altro in una morsa serrata. Damian prese il viso del fratello tra le mani allora e gli posò un bacio leggero sulla fronte, accarezzando i capelli biondi per poi far combaciare le loro fronti e sorridere timidamente. Sapeva che l’altro non poteva vederlo, però lo poteva sentire. Alexander fece una specie di smorfia di disgusto e girò la testa dall’altra parte.

“Dove l’hai trovato, ragazzino?”

Tutti si girano allora verso Lawrence che fino a quel momento era stato in silenzio ad osservare quello che stava accadendo. Era pazzesco quello che gli stava succedendo, da quando era entrato di nascosto nella stanza di Stephen non faceva altro che succedergli una cosa assurda dietro l’altra. Chi erano ora quei ragazzini che parlavano di cose come anime, fantasmi e portali? Cosa voleva dire che erano riusciti a vedere e a sentire quelle cose? Ma soprattutto, perché dovevano capitare sempre a lui queste cose?

Sarebbe finita la sua sfortuna?

Il biondo più basso si avvicinò a lui e lo scosse per una spalla, a quanto pare era come rimasto in uno stato di trance a guardare quei due ragazzini che parlavano di vere e proprie assurdità per le sue orecchie, sebbene quello che aveva visto in quella casa gli aveva già fatto riconsiderare paio di cosette.

“I… io non…”

“Dove. L’hai. Trovato.”

Insistette il biondo, era tornato a minacciarlo con quei suoi occhi glaciali e il sorriso terrificante. Stavolta sapeva però che non avrebbe avuto chance per liberarsi o sperare in un trattamento speciale da parte di quello che sembrava suo fratello. Prese la mano del biondo e l’allontanò, scrollandosi le spalle.

“Era a casa di un mio amico, ce l’aveva lui. Abita in questa casa.”

“Cosa…? Un ragazzino? Sei sicuro di quello che dici?”

Lawrence si mise a fissare il suolo e strinse le mani a pugno lungo i fianchi, nella sua mente scorrevano tutte le immagini di Stephen e come l’aveva visto le ultime volte, dei suoi occhi rossi, dei suoi modi così strani, di quella voce che gli era entrata nel cervello e non faceva altro che ripetergli quelle cose assurde.

Di come appena era entrato in quella stanza avesse sentito un macigno sul cuore, il peso di un’enorme solitudine.

“Io non lo so cosa gli è preso, Stephen non sembra più se stesso! E’ cambiato, è strano! Ha riempito di scritte in latino e cerchi la sua stanza, la sua voce è cambiata, è fredda… e i suoi occhi sembrano posseduti, per non parlare di quel libro che tiene stretto…”

“Libro hai detto?”

Alexander fece un passo in avanti verso Lawrence ma venne fermato dal moro che lo teneva per un braccio, bloccandolo dal fare un altro passo.

“Fermatevi signore, non serve.”

Il biondo guardò dritto negli occhi chiari l’altro, aveva ragione ma cosa poteva fare?

“Stephen è diventato strano, non faceva altro che chiedermi se mi sentissi solo e se volessi aggiungermi a loro…”

Nicholas si avvicinò al ragazzino e gli mise una mano sulla spalla, più amichevole di quanto fosse stato il fratello.

“Ti ricordi cosa c’era scritto sui muri?”

“Cum finis qualcosa, quello che c’è sull’amuleto… almeno credo.”

Alexander scattò all’improvviso, fece per andare verso la villa per poter entrare e vedere con i suoi occhi come stavano le cose, voleva vedere se tutto era come l’aveva visto nel suo sogno. Tutto quello che gli aveva detto il ragazzino corrispondeva esattamente all’incubo che aveva avuto qualche giorno prima che scoprisse che l’amuleto era stato rubato, le scritte sulle pareti e per terra, quel senso di oppressione, di solitudine, quel vuoto che risucchia tutto.

Maximillian si mise davanti a lui, impedendogli di fare un guaio ancora una volta. I due si guardarono per un istante negli occhi, lanciandosi quello che sembrava un lungo sguardo di sfida. Non servirono parole, gli bastò quello per fermarlo.

Dopotutto quello era il suo compito, doveva proteggerlo. Ad ogni costo.

“Che cosa pensi di fare, dargli un calcio nel sedere e sperare che se ne vada?”

Fece Nicholas, guardando il fratello con un sorriso divertito sul volto. C’era poco da stare allegri e divertirsi, la situazione era già grave e complicata così, non poteva aggiungersi con le sue battutine.

“Fermati e rifletti, andare ora e provare a fermarlo non servirebbe a nulla se non a farci fare una pessima fine. Dovremmo tornare solo quando avremo qualcosa che possa fermarlo, qualunque cosa esso sia.”

Il biondo si fermò e chiuse gli occhi massaggiandosi le tempie con la punta delle dita. Doveva pensare, e anche abbastanza alla svelta.

“Cos’è che noi abbiamo e lui non ha?”

Si rivolse al fratello, il solito ghigno dipinto su quel bel faccino da eterno adolescente.

“Abbiamo l’amuleto.”

“E non solo. Abbiamo l’amuleto, il bamboccio che l’ha visto, due ragazzini che sanno cosa stiamo cercando, un servitore che può trovarlo, un idiota che può scoprire cosa è già successo, uno che può vederlo mentre accade e una ragazzina che può scoprirlo prima che avverrà.”

Si passò le mani sul colletto della giacca e se lo sistemò bene, rivolse lo stesso sorriso a tutti quelli che aveva davanti. Era tornato il solito, vecchio, Alexander Hamilton.

“Andiamo, siamo ancora in vantaggio.”

 

 

 

“Spiegami esattamente per quale motivo sei qui.”

Fece il biondo girandosi verso Lawrence che ora se ne stava dietro di lui e cercava in tutti i modi di sbirciare tra le carte e i libri che Alexander teneva aperti sul tavolo, era talmente preso dalle ricerche che non si era nemmeno accorto che il ragazzino non solo non se n’era tornato a casa sua, ma era finito nella sua villa, stava assistendo a un piano di massima segretezza e stava curiosando tra libri che nessuno, a parte i membri del Nightingale, non solo non avrebbero mai dovuto leggere ma dei quali non avrebbero neanche saputo l’esistenza.

“Sei tu che mi hai detto di venire, non ero –Il bamboccio che l’ha visto-?”

Alexander si poggiò una mano sulla fronte e recitò un rosario di preghiere per far sì che Dio rendesse forte e duratura la sua infinita pazienza, non aveva un gran rapporto con i bambini.

“Dimmi anche quando ti ho permesso di darmi del tu, visto che questo proprio non me lo ricordo.”

Si girò verso il suo fedele servitore come a chiedere spiegazioni e lo trovò a ridacchiare silenziosamente, estremamente divertito da quella scenetta tra i due. Era chiaro fin da subito che non si erano trovati, Alexander non sopportava i “mocciosi”; dopotutto non era difficile capire il perché non fosse in grado di capirli visto il poco tempo passato a trascorrere la propria infanzia e adolescenza, essendo il primogenito degli Hamilton aveva responsabilità in più che doveva affrontare da solo. O meglio, non esattamente da solo, aveva sempre Maximillian al suo fianco.

“Temo che siete stato voi ad includerlo in questo piano, dopotutto è lui che ha visto quella cosa.”

Nicholas era lì a grattarsi la testa, più analizzava quello che c’era scritto più tutto gli sembrava una grandissima stupidaggine, logicamente, matematicamente, scientificamente impossibile. Alzò la testa dai libri che stava leggendo e si voltò verso il ragazzino.

“Lawrence, sei sicuro che sia tutto… vero? Non potresti essertelo immaginato, sognato o che sia semplicemente una tua proiezione mentale?”

Corrugò la fronte e si massaggiò il proprio mento con le dita, cercando nella sua mente qualsiasi spiegazione che provasse a dare un senso a qualcosa totalmente fuori dalla propria realtà.

“Esalazioni di metalli scadenti dalla bettol… casa in cui vive? Non è che eri sotto l’influsso di qualche droga?”

Il biondo tirò un profondo sospiro e poggiò i gomiti sul tavolo, tenendosi la testa con entrambe le mani. Damian e Davis dall’altro lato della stanza si riprendevano dalla brutta esperienza passata giocando ad imboccarsi l’un l’altro con una fetta di torta che Maximillian aveva portato loro, non sopportava i cinguettii di Davis e la loro alquanto fuorviante “fratellanza”. La sua pazienza aveva davvero un limite per dover sopportare ben quattro ragazzini in quella stanza. Già, perché il quarto era suo fratello.

“Per l’amor di Dio Nicholas, ha quindici anni, non è uno scaricatore di porto con una forte dipendenza da oppiacei.”

Lawrence sbatté la mano sul lungo tavolo in mogano e fece un passo avanti verso lo spilungone biondo, senza nemmeno curarsi dell’enorme differenza tra i due non solo di ceto e rango ma anche di altezza. A quanto sembrava il ragazzino era piuttosto sboccato e senza vergogna.

“Quello che ho visto era reale vi dico! Giuro sulla mia testa che non me lo sono inventato o immaginato, l’ho visto con gli stessi occhi con cui sto vedendo la faccia che vi trovate!”

Sboccò verso il biondo che si limitò a fare una risatina divertita e a tenere le braccia incrociate sul proprio petto.

“Sono salito in camera sua ed aveva gli occhi normali, e poi BOOM! diventano rossi e comincia a dire cose strane e me le sento dentro la testa, mi dice tipo –Non ti senti solo? Diventa una cosa sola con me – e poi SBAM! mi mette una mano sul petto e prova a strapparmi il cuore, A STRAPPARMI IL CUORE DICO! ma ve lo dico io, è tutta colpa di quel dannatissimo libro, non ci si stacca mai, lo legge ad una velocità sovraumana e ogni volta che ho provato a toccarlo vibrava e scottava. E’ la verità, se non fossi scappato mi avrebbe ucciso!”

Nicholas però sbatté a sua volta le mani sul tavolo e si avvicinò al viso dell’altro, entrambi rossi in volto. Non poteva accettare una cosa del genere, non ci avrebbe mai e poi mai creduto.

“Idiota, non esistono i demoni! Sono sicuro che c’è una spiegazione molto più probabile ad alto livello scientifico che può provare quello che hai visto. Sono sicuro che sono stati un po’ di congiuntivite, isteria ed allucinazioni auditive e sensoriali con qualche manifestazione di energia probabilmente subatomica o onde elettromagnetiche ti hanno fatto credere che fosse tutto reale, una volta preso il libro lo faremo analizzare dal macchinario e vedrete che le analisi spiegheranno tutto!”

Non c’era verso per il biondo di accettare cose come l’occulto, il paranormale e l’esoterico. Aveva passato tutta la vita a lottare contro il fratello per convincerlo che le cose in cui credeva fermamente potevano essere spiegate con i suoi esperimenti e la sua cara scienza.

A modo suo era il tentativo di separarsi dal padre che entrambi avevano tanto odiato.

“Ho detto che non sono pazzo, quello che ho visto era reale!”

Alexander tornò a massaggiarsi le tempie con gesti circolari e chiuse gli occhi, cercava un po’ di pace nel cervello tra le urla di Nicholas e Lawrence che litigavano, il rumore di cucchiaini e di tazzine di Davis e Damian e i mille pensieri e ipotesi che vorticavano nella sua testa.

Sentì una mano scorrere lievissima sulla sua schiena, partire dal collo per poi scivolare giù fino alla vita. Non si girò, sapeva benissimo di chi fosse quel tocco così leggero da essere quasi impercettibile, il soffio sul suo collo dell’altro lo raggiunse flebile e fresco.

Maximillian gli aveva appena mandato in tilt il cervello.

Chiuse gli occhi, buio totale. All’improvviso tutta la stanza per lui era come caduta in silenzio assoluto, c’era solo l’altro e quella carezza che quasi non esisteva. C’era solo il suo respiro sempre più vicino all’ orecchio e il proprio battito che rimbombava fino alle tempie. Non sapeva se era quel contatto in sé o il terrore che gli altri vedessero e li scoprissero. Come avrebbero potuto giustificarsi agli occhi degli altri?

Nulla, non doveva trasparire nulla all’esterno. Doveva rimanere sempre lui, sempre uguale, sempre la solida roccia impassibile. Non era il momento e probabilmente non lo sarebbe mai stato, non lui, non con Maximillian. Doveva rimanere impassibile, uguale come sempre all’esterno. Mentre all’interno gli sembrava di morire per un desiderio che non sarebbe mai stato appagato.

“Guardate.”

Fu proprio la voce del moro a risvegliarlo. Gli indicò un passaggio sul libro che ancora non riusciva ad essergli chiaro nella testa, nonostante l’avesse letto e riletto non riusciva a capirne il significato.

“Cerca dalla vita, trova i tre guardiani, trova la morte, torna alla vita.”

Tradusse dal latino Alexander, non capendo dove volesse andare a parare l’altro, il senso però gli era ancora estremamente oscuro. Cosa voleva significare?

“Ci sono tre punti, la chiave, l’amuleto completo e il libro. Ognuno di questi era nascosto in un punto diverso della città. Sappiamo dove è stato trovato il primo amuleto e il libro ma ancora non sappiamo dove sia il secondo e dove possiamo trovare questa specie di chiave.”

Si guardarono negli occhi ed intuirono tutto il resto, senza dover dire una parola di più.

“Prendi la mappa.”

Maximillian recuperò la carta e andò a segnare il punto dove era stato rubato l’amuleto e dove era stato trovato il libro, o perlomeno pensavano si trovasse in quel momento. Armato di un righello e un piccolo compasso tracciò varie linee finché non trovò l’altro punto di quel triangolo.

La chiesa di Westminster.

Probabilmente era lì che si nascondeva l’altro pezzo dell’amuleto.

 “La chiave deve essere lì.”

Maximillian puntò al centro dell’ipotetico triangolo.

 “Passi l’altra parte dell’amuleto, ma come facciamo a trovare una chiave senza sapere che forma abbia? Ho come la sensazione che non sia una vera… chiave, sembra più qualcos’altro.”

Si girò verso l’altro, non rendendosi conto che così facendo si era ritrovato ad un millimetro dal viso di Maximillian, i suoi occhi erano proprio davanti ai suoi, limpidi e azzurri. Li vide assottigliarsi, formando delle piccole rughe alle estremità. Stava sorridendo divertito e Alexander poteva sentire il suo respiro sulle labbra.

Dannazione.

Dannazione, dannazione, dannazione. Era difficile già di per sé decifrare quei libri e risolvere il caso, non ci si poteva mettere anche lui con i suoi giochini del cavolo. Non davanti a tutti, questo non poteva accettarlo.

Cercò di mascherare qualsiasi reazione e si tirò indietro, si voltò verso gli altri e sbattè la mano sul tavolo per richiamare tutti all’ordine, grazie a Dio nessuno sembrava di averli notati.

“Zitti! State tutti zitti, diamine!”

Si portò una mano tra i capelli corti e prese un profondo respiro. Ora tutti lo stavano guardando, cercando di capire cosa volesse dire. Alexander prese la cartina in mano e indicò il piccolo cerchio.

 “Preparatevi, oggi si va a messa.”

Tutti lo guardarono senza aver capito di cosa stesse parlando, di certo non avrebbero avuto idea che quella sarebbe stata molto più di una “caccia al tesoro”.

 

 

 

 

Si era già infilato il gilet e il fazzoletto nel taschino, passò il nastro intorno al collo e per l’ennesima volta si trovò a maledire quel pezzo di stoffa.

“Non vi vergognate a non sapervi ancora allacciare una cravatta a ventisette anni?”

Si girò verso il moro e sorrise sghembo mentre l’altro portava le mani al suo collo, passando abile il lembo di stoffa tra le mani e stringendo poi il nodo alla sua camicia.

“Questo è perché lo fai ogni volta tu per me, Maximillian.”

L’uomo gli porse il cappello e il cappotto che l’altro si infilò mentre Maximillian lo aiutava, come un fedele servitore. Il moro lasciò andare lievi le sue dita sul collo e sul petto dell’altro, quasi impercettibile. Alexander però una volta vestito prese l’altro per la giacca, stringendo la stoffa e tirandolo a sé.

“Smettila di provocarmi.”

Se lo portò davanti al viso, gli occhi del moro erano calmi, estremamente calmi. Sorrise ancora una volta, con quel suo solito sorriso divertito. Non lo sopportava, lo odiava più di qualsiasi cosa al mondo. O forse no. Forse non lo sapeva neanche lui, di sicuro non faceva altro che creargli problemi.

Forse lo amava quel sorriso.

Forse il solo pensiero di averlo così vicino e non poterlo avere rischiava di fargli esplodere il cuore in un milione di pezzi. Perché dentro di sé sapeva che non avrebbe potuto mai avere qualcosa di più di quel sorriso sghembo.

Non si poteva.

“Vi sto provocando?”

Maximillian chinò ancora un po’ il viso, avvicinandolo a quello del biondo. Ogni sillaba della sua voce lo smuoveva, come una corda che vibrava dentro di lui al suono della sua voce bassa e limpida. Ancora non si capacitava di come ogni singola volta che si ritrovava in una situazione del genere il suo cervello andava in corto circuito, era come se si dimenticasse di tutto il resto, delle loro differenze, delle loro posizioni, del tempo che era passato.

Non contava più nulla.

“Sai perfettamente cosa intendo.”

Quasi con rimorso Alexander lo lasciò andare. Sul suo volto le labbra erano tese dalla rabbia, dall’insoddisfazione e dalla paura che aveva, se solo si fosse lasciato andare, se solo avesse ceduto sarebbe tutto finito.

Nel bene o nel male.

Erano perfettamente fermi così, da anni in quella situazione di stallo. Senza che uno facesse un passo verso l’altro.

Avevano così paura di cadere che nessuno dei due osava fare un passo in avanti o indietro.

Maximillian sospirò e fece un inchino, lo guardò con la malizia negli occhi. Sapeva che Alexander aveva solo paura, che in realtà  non odiava affatto quel rincorrersi e stuzzicarsi, anche se lo negava, anche se lo avrebbe negato all’infinito. Più l’altro si ritraeva più l’altro lo rincorreva, più lo stuzzicava più aveva voglia di vedere la sua reazione.

Non che il biondo fosse da meno, a volte erano i suoi occhi a inseguirlo, le sue parole a sedurlo. A volte bastava solo il suo sorriso da diavolo su quella faccia da ragazzino.

“Andiamo.”

Si voltò verso la porta e uscì, tenendosi dietro il suo servitore. Le labbra rischiavano di lacerarsi per i morsi che gli stava dando, tutta la rabbia che aveva in corpo lo stava logorando, quel desiderio mai appagato lo stava mandando fuori di testa. Se solo lui non fosse stato Alexander e Maximillian non fosse stato Maximillian, se fossero stati ben lontani da quel posto infernale, se solo lui non avesse avuto tutto quel peso di generazioni e generazioni addosso.

Se non fosse stato per quella maledizione che si portava addosso, segnata sul suo viso e sul suo corpo.

Se fosse stato libero di volare via, con lui.

Ancora una volta, per paura, restavano così.

Fermi su un filo.

 

 

 

Entrarono a testa bassa nella chiesa, cercando di non fare il minimo rumore. Rimasero in fondo alla navata, cercando di non attirare l’attenzione. Si sfilò il cappello e gli occhiali scuri e inutile a dirsi, tutte le teste coronate delle famiglie nobiliari si voltarono nella loro direzione, il biondo ringraziò che almeno si era messo un po’ in ordine. Doveva pur mantenere una certa apparenza per il buon nome della famiglia, fosse stato per lui non gliene sarebbe importato molto.

Alexander sentì gli occhi di tutti su di lui e il fratello, di certo le cariatidi sedute sulle panche non si risparmiarono i commenti sussurrati all’orecchio, quel vociare fastidioso che risuonava come un mormorio per tutta la chiesa. Percepì come gli sguardi si soffermassero sui suoi occhi e i suoi capelli chiarissimi, tutti l’avevano riconosciuto come l’erede degli Hamilton, di sicuro erano stupiti di trovarselo in quel posto.

Era davvero un’occasione rara questa.

Chiamò Maximillian con un dito, facendolo piegare verso di sé per raggiungere l’altezza della sua bocca. Non avrebbe sopportato quelle vecchie pettegole un secondo di più.

“Andiamo, non abbiamo molto tempo.”

Appiattendosi sul fondo della chiesa si defilarono verso la navata laterale senza fare rumore, Nicholas notò che alle sue spalle Lawrence e i due gemelli li seguivano a distanza, cercando di non farsi notare.

“Dove pensate di andare? Voi restate qui.”

Sussurrò il biondo a Lawrence, notando il disappunto nello sguardo dei ragazzini. Bhe, almeno in quello di Damian e Lawrence.

“Ma noi vogliamo venire a vedere, non potete lasciarci qui!”

Alexander si limitò a massaggiarsi le tempie per non alterarsi ulteriormente, portarsi un cieco col suo accompagno e un ragazzino impiccione? Impossibile, avrebbero solo combinato guai e sarebbero stati come una palla al piede. Nicholas si portò un dito alle labbra e intimò al gruppetto di fare silenzio.

“Non se ne parla nemmeno, restate qua ed aspettateci.”

Il maggiore tra i due fratelli si voltò semplicemente e li abbandonò lì mentre l’altro biondo fece qualche passo ma Lawrence lo fermò tirandolo per la giacca. Provò quindi a fare l’espressione da cucciolo bastonato per intenerirlo e spingerlo a portarselo appresso, peccato che non funzionò a nulla, Nicholas fece una faccia quasi disgustata e se lo scrollò di dosso con uno strattone.

“Ho detto che restate qui, tutti e tre. Non si discute!”

Nicholas si girò e andò a raggiungere il fratello, defilandosi sempre più lontano dal vociare sommesso delle preghiere e il suono dell’organo che riempiva la cattedrale ed entrare nell’oscurità delle navate laterali illuminate solo dai cerini votivi dei fedeli che illuminavano tombe e statue di chi era stato abbastanza ricco o santo in vita da farsi seppellire lì.  

Uscirono da una porticina laterale ed andarono a infilarsi in uno dei corridoi laterali, si trovarono in un atrio dal quale si dipartivano altri corridoi che andavano in direzioni diverse. Alexander si fermò, non sapendo che direzione prendere.

Dove poteva trovarsi l’amuleto gemello? Poteva essere ovunque, come avrebbero fatto a trovarlo?

“Dove andiamo?”

Nicholas continuava a girare intorno per i corridoi scuri, cercando come un disperato il minimo segno di una corrente d’aria che li portasse in un uscita sicura da qualche parte.

“Stai zitto.”

Alexander si portò le mani alla testa per cercare il modo di tirarli fuori da quella situazione, non avevano molto tempo prima che la funzione finisse senza contare che quella contro “quella cosa” era una battaglia dal tempo contato.

“Alexander non penso che…”

“Ho detto stai zitto!”

Il biondo si voltò verso il fratello e cercando di tenere la voce più bassa che poteva lo zittì un’altra volta. Doveva pensare e doveva farlo alla svelta.

Sbatté un pugno al muro, col rischio di farsi male e di farsi scoprire.

Ci doveva essere un modo per riuscire a trovare l’amuleto.

“Concentratevi.”

Come un’ombra scura si ritrovò Maximillian alle sue spalle, non si era neanche accorto che l’aveva raggiunto e che ora era così vicino. Sussurrò al suo orecchio e lui fu costretto a deglutire piano e riprendere la situazione in mano.

Fece scivolare la sua mano fino alla tasca del cappotto e prese tra le dita l’amuleto. Lo strinse forte e chiuse gli occhi, cercò di concentrarsi e scacciare via dalla sua mente tutti i pensieri estranei.

Eliminò le note ovattate dell’organo e il canto del coro, eliminò i rumori indistinti della strada sopra di loro, eliminò i passi nervosi e gli insulti tra i denti di suo fratello. Eliminare il pensiero di Maximillian che gli respirava così vicino al suo orecchio fu più difficile di quanto credesse.

Creò il nulla.

Strinse ancora di più l’amuleto incompleto tra le sue dita, lo strinse talmente tanto da potersi quasi ferire con la gemma e le sue sfaccettature. Ora lo sentiva pulsare nella sua mano, se solo continuava a concentrarsi così poteva sentire le vibrazioni e il calore che andava aumentando sempre di più, tornando a come le sentivano appena l’avevano trovato. Stava entrando in risonanza con l’altro elemento del triangolo.

Doveva essere vicino, molto vicino.

Poi lo vide. Vide le anime che si accalcavano per riuscire a passare quella porta, sentì il dolore eterno e la frustrazione, sentì la solitudine e la disperazione.

Sentì l’avidità di chi rivuole indietro la vita, una vita perduta.

Fu allora che si stabilì il contatto ed ebbe la percezione dell’altro amuleto, non sapeva bene come, non sapeva dove ma doveva essere lì vicino. Lui lo sentiva dentro di sé, non poteva sbagliare.

“Seguitemi.”

Senza neanche rifletterci prese un corridoio laterale che li portò a delle scalette che scendevano. Scesero per qualche minuto fino a trovarsi in un ambiente scuro, illuminato soltanto da qualche fiaccola che chissà come era riuscita a mantenersi accesa nonostante la pochissima aria. Arrivarono a una specie di botola che aprirono con estrema attenzione, calandosi poi in basso per entrare in una stanza più grande.

Una volta entrati c’era il buio più assoluto.

Maximillian prese una torcia dal muro e tirò fuori dalla tasca un accendino. All’improvviso fu luce e potettero guardare meglio intorno a loro. C’erano altre statue, mobili e forzieri coperti da teli, c’erano teche di vetro con ori, croci e reliquie di santi.

Era la cripta.

Nicholas si guardò intorno con l’aria stupita, la solita aria da bambino che non lo abbandonava mai. Girava intorno alla stanza curiosando tra un’antichità e l’altra, era incredibile quanti tesori c’erano in quel posto.

“Dove pensi che sia l’amuleto?”

Il fratello non gli rispose, non lo stava ascoltando. Si ritrovò davanti ad una parete spoglia, al contrario delle altre tre che delimitavano la stanza. A tentoni con i palmi Alexander cercò di studiarla. C’era qualcosa che gli diceva che era proprio in quella direzione che doveva cercare.

Bussò, era vuota dall’altra parte.

“E’ un passaggio segreto.”

Alexander si voltò verso il fratello e Maximillian, cominciando a frugare e a spostare cose per tutta la stanza.

“Ci deve essere una leva… solo, dove?”

Mentre lui  continuava a cercare Nicholas si fermò, si mise una mano sul mento e cominciò a massaggiarselo piano. Abbassò lo sguardo ai suoi piedi e fece vagare lo sguardo più il là, senza che nemmeno lui sapesse esattamente cosa stesse cercando.

A quel punto lo trovò, più o meno.

Qualcosa gli diceva che se avessero spostato la teca con le ossa sacre di chissà quale martire la parete si sarebbe aperta, non era niente più di un’intuizione però.

“Aiutatemi!”

Tutti e tre spostarono la pesantissima teca di qualche centimetro, tanto bastò a sollevare una piccola pedana sul pavimento che mise in moto la leva tramite un meccanismo idraulico. La parete scivolò su se stessa e si aprì un varco.

Entrarono nella stanza che si era appena aperta e non fu difficile trovare l’amuleto. Proprio davanti a loro era posato su un piedistallo, sotto una campana di vetro. Sopra di essa erano iscritte decine, centinaia di frasi in una lingua che non riuscirono a decifrare, non erano scritte in una lingua conosciuta, non l’avevano mai vista prima.

Fecero appena in tempo ad uscire dalla stanza che la parete si richiuse alle loro spalle. Quando guardarono davanti a loro però non furono affatto felici di quello che trovarono.

“Devo proprio ringraziarvi, Hamilton.”

Davanti ai loro occhi se ne stava appollaiato su una credenza quello che doveva essere Stephen o meglio, quello che era rimasto di lui. Quello che si aspettavano ancora di meno è cosa stesse tenendo in mano per il colletto.

Lawrence penzolava giù nel vuoto, scalciando per divincolarsi e scappare.

“Senza di voi non ce l’avrei mai fatta a prenderlo.”

Con un balzo scese giù da quel mobile così alto con il ragazzino che urlava e scalpitava invocando l’aiuto dei due biondi per atterrare poi su un mobile più basso. Quell’essere allungò la mano e sorrise, mostrò denti che sembravano affilatissime zanne mentre i suoi occhi rossi risplendevano nell’oscurità. Era un’espressione mostruosa, di una cattiveria e rabbia sovraumane, storpiava sul volto da ragazzo di Stephen, era davvero il volto di un demone.

Ciò che fino a quel momento avevano temuto era lì davanti a loro.

“Dammelo.”

Lui allungò una mano verso di loro, allargando ancora di più il sorriso.

No, non poteva essere davvero Stephen, era troppo forte per essere semplicemente un ragazzino di quindici anni. I suoi occhi rossi poi non toglievano alcun dubbio, era lui il mostro di cui Lawrence aveva parlato.

“Non ci penso proprio.”

Rispose Alexander, fermo ed impassibile al contrario di Nicholas che sembrava assolutamente non capire cosa diamine stesse succedendo. Come se non capisse che davvero davanti a sé c’era un ragazzino dalla forza di un mostro con gli occhi rossi e le zanne, o meglio, si rifiutava di crederci.

“Ah no?”

Sorrise ancora, sempre più perfido.

Scese ancora una volta, mettendo i piedi per terra. Sbatté il ragazzino a terra e gli mise un piede sopra lo stomaco, facendolo gemere di dolore mentre continuava a urlare e a dimenarsi mentre provava di scappare. Quella cosa era molto più pesante di quanto non potesse sembrare all’apparenza.

Si chinò con la mano sul suo petto e gli sfiorò il tessuto della camicia, fermandosi con la mano proprio sopra il cuore.

“Sei proprio sicuro di non volermelo dare?”

Strinse allora le dita sul suo petto e dentro di sé Lawrence sentì come se stesse provando a tirarglielo fuori dalla gabbia toracica, come aveva provato a strapparglielo la prima volta che era entrato nella sua camera e l’aveva trovato.

“Basta, ti prego basta!”

Il ragazzino strinse il braccio di quello che era il suo amico con le dita per provare a scansarlo ma quello era troppo forte. Allungò l’altro braccio allora verso i due, guardandoli negli occhi e continuando a invocare aiuto.

“No!”

Nicholas balzò in avanti ma il fratello lo fermò, guardandolo torvo. Non si era spostato di un millimetro, sempre fermo, sempre di ghiaccio, mentre il fratello stava letteralmente andando nel panico. Non poteva fare niente mentre l’altro rischiava di morire, non poteva lasciare che quello che ai suoi occhi era un pazzo psicopatico gli schiacciasse le ossa come fossero quelle di un uccellino.

Sarebbe davvero finita così per Lawrence?





Bhe, in confronto agli altri questo capitolo è uscito abbastanza presto, no?
Piano piano vedrete che tutto ciò che non è chiaro sarà spiegato e ogni tassello verrà svelato, chi è questo demone che si è impossessato di Stephen? Sarà l'unico o ce ne dovremo aspettare altri? Qual'è il dono che accomuna i fratelli Hamilton? Qual'è la natura della relazione tra Maximillian e Alexander? Avete già capito quali sono le altre coppie? Ce ne sono tante di cose che succederanno, vedrete!
Che ne pensate del capitolo? Fatemelo sapere con una recensione! Ringrazio chi ha seguito la storia e chi la seguirà <3
  
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