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Autore: _RedRose_    10/04/2014    2 recensioni
Dal Prologo:
Le favole sono concezioni distorte della realtà. Non sono altro che un’illusione, di cui il principe azzurro fa parte. Un mondo in cui esiste l’amore vero.
L'amore è un miraggio, un inganno, che dopo averci attirati sulla soglia d'un meraviglioso giardino, si dissolve, scompare e ci lascia nel buio.
Ancora non sapevo quanto mi stessi sbagliando.
Dal Primo Capitolo:
Ero troppo scombussolata per commentare, e tra tutte le cose che aveva detto solo una mi rimbombava nel cervello: principessa.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger, Un po' tutti | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Eccomi qui con un’altra FF, questa volta sulla coppia Draco/Hermione. Ancora non so se continuerò questa long, dipende da voi. In questa FF ho voluto scrivere di una Hermione che non crede nell’amore. Devo dire che alcune parti scritte da me, le penso davvero. Ovviamente credo nell’amore, in quello vero, ma so che è raro. Ringrazio MarikaChi per l'aiuto che mi ha dato in questa e nelle altre storie, un bacio enorme. Che dire, recensite e fatemi sapere cosa ne pensate.
_RedRose_
 
Discover the love
Come le fiabe diventano realtà


 
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Prologue
 
Da bambina amavo le storie che mi raccontava mia mamma. Principesse salvate da valorosi eroi, ranocchi tramutati in principi, prodi cavalieri in sella al proprio destriero che salvano la principessa. E tutte con lo stesso finale. Vissero felici e contenti.
Crescendo, sognavo di vivere una storia simile a quelle. Una storia ricca di amore. Una storia in cui il tuo principe farebbe di tutto per te. Così ho vissuto con la convinzione che i fantomatici principi azzurri potessero esistere. Ovviamente, biondi e con occhi azzurri.
Ma più crescevo e più capivo che questa figura non esiste, era solo frutto dell’immaginazione. I ranocchi non si possono trasformare in persone, men che meno in principi. Sono destinati a rimanere così come sono.
All’età di nove anni vidi un film babbano che parlava di un mondo fiabesco un po’ revisionato e che mi colpì davvero. Forse perché lì i principi azzurri non erano i vincitori. Anzi, il principe era un orco che viveva in una palude e che poi, incontrata una principessa, se ne innamorò. La principessa, però, essendosi innamorata anche lei di questo orco, decise di prendere le sue stesse sembianze. Era la mia storia preferita. Il principe azzurro non era altro che un orco, eppure anche lui aveva trovato il suo vero amore.
Quindi, o ero io che in amore non avevo fortuna, oppure era il mondo che stava andando a rotoli. Sta di fatto, che non credevo più in quel grande sentimento.
È effimero, ma non se ne può fare a meno. L’amore è qualcosa che ti porta alla distruzione. Quanti poeti e scrittori famosi avevano descritto la loro amata come una dea, ma che poi li aveva portati alla morte. Quanti avevano e hanno tutt’ora sofferto per un sentimento che non ha né capo né coda. E adesso eccomi qui, seduta su una panchina a guardare coppie felici scambiarsi effusioni. Cosa ci trovavano di felice in tutto ciò, proprio non riuscivo a comprenderlo.
Avevo parlato di questo con la mia migliore amica, Ginny, eppure non mi era stata di grande aiuto. Quando incontrerai la persona giusta, ti ricrederai, rispondeva ogni qualvolta introducevo quel discorso.
I principi azzurri esistono, basta solo trovarli.
Non avevo tempo da perdere a cercare qualcuno che mi avrebbe fatta soffrire. Vivevo bene anche così. Le favole sono concezioni distorte della realtà. Non sono altro che un’illusione, di cui il principe azzurro fa parte. Un mondo in cui esiste l’amore vero.
Eppure io ero certa che quel tipo di amore non esistesse. Non poteva esistere, non era niente di provato dalla scienza. Era una teoria, come quella dell’origine dell’universo. Se ne parlava tanto, ma non se ne comprendeva l’esistenza. Ero cresciuta con due genitori che mi davano tutto, che si sacrificavano per me. Due genitori che si volevano bene a vicenda, ma che non si amavano. O almeno così credevo. In diciassette anni non li avevo mai sentiti dire ti amo. Questo confermava la mia teoria. E cioè che l’amore non esiste.
Così come le favole non sono reali, l’amore è solo una concezione che gli uomini antichi hanno creato per spiegare un sentimento. Infatti, per quello che non erano in grado di spiegare, trovavano sempre una derivazione. Così come all’amore. Un sentimento troppo divinizzato per esistere. Un sentimento nominato migliaia e migliaia di volte da tutti gli uomini. Un sentimento che ha portato alla distruzione.
 
L'amore è un miraggio, un inganno, che dopo averci attirati sulla soglia d'un meraviglioso giardino, si dissolve, scompare e ci lascia nel buio.

Ancora non sapevo quanto mi stessi sbagliando.




 
Chapter 1
 
Ogni giorno, io, Hermione Granger, mi recavo in biblioteca per dare una mano a Madama Prince. Persino oggi, sabato mattina, mentre la maggior parte della scuola si preparava per andare a Hogsmeade; ero una di quelle persone che preferiva stare tra i libri, per questo, frequentando assiduamente la biblioteca, mi era stato affibbiato il nome di So-Tutto-Io. Anche la bibliotecaria, trovandomi lì alle ore più improbabili, mi aveva dato uno speciale permesso per entrarvi anche quando in realtà sarebbe dovuta essere chiusa. Qualche volta mi capitava di aiutare a riordinare i libri, trovando spesso volumi antichi sepolti sotto cumuli di polvere.
La biblioteca era il mondo in cui amavo rifugiarmi, in cui potevo sognare ad occhi aperti e in cui non dovevo fare i conti con la realtà che mi circondava: eravamo soltanto io e quei grossi tomi pieni di pagine.
Percorrevo quei corridoi da così tanto tempo che avrei riconosciuto la strada anche ad occhi chiusi. Arrivata davanti alla porta della biblioteca, la spalancai ed entrai in quella enorme stanza che conteneva milioni di libri. Ogni volta era come se fosse la prima, il profumo di pergamene ingiallite e di inchiostro fresco conferivano a quel posto qualcosa di speciale, di magico.
Una volta salutata Madama Pince, che era concentratissima nella lettura di un grosso volume, individuai un tavolo situato in una zona tranquilla della biblioteca e, una volta avvicinatomi, adagiai la mia tracolla su una sedia e partì all’esplorazione di quegli scaffali. Mentre girovagavo da una parte all’altra, mi ritrovai,senza rendermene conto,nel Reparto Proibito. Essendo una studentessa modello, ero sul punto di andarmene, ma una curiosità più forte di me mi spinse ad avventurarmi in quella zona della biblioteca. Non sapevo nemmeno perché lo stessi facendo, sembravo come attratta da quel luogo; era come se i miei piedi si muovessero da soli. Come un Imperius.
D’un tratto mi ritrovai davanti a un ripiano vuoto, non conteneva nemmeno un libro. Guardandomi attorno, però, notai che tutti gli altri libri erano al loro posto e non ne ce n’erano sul bancone di Madama Pince –che poi nessuno avrebbe mai lasciato dei libri così potenti in bella vista. Spostai gli occhi verso il basso, per controllare la targhetta con l’argomento dei presunti libri che si dovevano trovare in quello spazio. Passaggio.
Cosa voleva significare? Forse era uno dei tanti passaggi segreti situati nel castello? Ma che senso avrebbe farlo proprio lì?
Iniziai a tastare il ripiano di legno, cercando un pulsante o qualcosa che potesse far aprire il passaggio. Poi, mentre mi stavo arrendendo, comparve una maniglia sulla parte frontale del ripiano e io, come se non fossi padrona dei miei movimenti, feci scorrere la maniglia verso destra. In quel momento non badai al fatto che potesse essere una maniglia maledetta e che l’avrei dovuta aprire con un incantesimo, ero troppo accecata dalla curiosità. Una volta aperta la cavità nel legno, misi una mano al suo interno e sentii sotto le dita un oggetto rigido e rettangolare: un libro. Lo tirai fuori dalla cavità, pronta a rimettere la maniglia apposto, come se non fosse successo nulla – per non destare sospetti -, ma essa si richiuse da sola.
Non badai molto a dove mi trovavo e, preso il libro sottobraccio, mi sedetti per terra con la schiena appoggiata allo scaffale. Iniziai ad esaminare il libro. A prima vista si trattava di un volume antico, con le pagine ingiallite e la copertina un po’ rovinata nei bordi, ma ciò che mi colpì furono i disegni su di essa. Vi era rappresentata una rosa attorcigliata con le pine attorno ad un serpente, che a sua volta, con la coda, teneva ben stretto un libro.
Mentre stavo cercando di aprirlo, sentì un rumore dietro lo scaffale e, credendo si trattasse della bibliotecaria o di qualche curioso, una volta assicuratami di non aver lasciato niente in giro, mi diressi verso il mio tavolo. Senza farmi vedere da nessuno, nascosi il libro nella tracolla. Quello non era affatto un comportamento da Hermione Granger, ma non potevo lasciare quel libro incustodito, e poi, cosa avrei raccontato alla bibliotecaria? Io nel Reparto Proibito non ci sarei dovuta entrare.
Salutai Madama Pince e mi diressi, senza dare nell’occhio, verso il ritratto della Signora Grassa, che era intenta a cantare qualche canzone lirica.
“Cioccorana,” dissi scandendo bene le parole, ma la Signora Grassa sembrava non avermi sentito.
Ritentanti con la parola d’ordine e questa volta ottenni qualche accenno di interesse da parte sua ma, una volta guardatami, continuò con il suo canto.
“Senta Signora, non vorrei essere maleducata, ma io avrei bisogno di entrare …” dissi. Non ricevendo alcuna risposta continuai, “Sa, mi devo allenare con il canto …” inventai su due piedi e questo sembrò ridestarla dalla sua interpretazione mal riuscita di Carmen.
“Oh cara! Perché non me lo hai detto subito? Se ti serve aiuto io sono qui, sarò felice di darti una mano!”
Così, dopo un sorriso di cortesia, entrai finalmente nella Sala Comune, per una volta completamente vuota. Salii le scale e mi diressi verso l’unica stanza singola del dormitorio femminile di Grifondoro, uno dei molti i vantaggi dell’essere Caposcuola. Appena entrata, mi assicurai di chiudere bene la porta e per sicurezza usai un Muffliato per insonorizzare la stanza: non si poteva mai sapere chi potesse entrare.
Posai il libro sul letto lo esaminai ancora una volta: non avevo idea di come aprirlo. Andando ad intuito, appoggiai la mano sulla serratura ma, come immaginavo, non successe niente. Spostai di poco la mano, fino a sfiorare la rosa con il serpente ed essi al mio tocco si separarono, facendo scattare la serratura laterale del libro. Era strano che un libro trovato nascosto nel Reparto Proibito si aprisse con tanta facilità, ma non avevo tempo per pormi domande. Mi sedetti sul letto e presi il libro sulle ginocchia, esaminando ancora una volta quei disegni della copertina che sembravano talmente reali. Una volta preso un bel respiro, cercando di non pensare alle conseguenze di quel mio gesto avventato, aprii il libro e ciò che vi trovai dentro mi fece rimanere alquanto delusa.
Elfico. Il libro era scritto interamente in elfico; erano poche le persone che sapevano leggerlo e io –per mia sfortuna– non ero una di quelle. Sapevo riconoscere la lingua, ma nient’altro. Ovviamente i libri non ne parlano, essendo una lingua con cui si esprimono soltanto i grandi maghi e gli elfi, ma non ne potevo chiamare uno dalle cucine perché sarebbero andati a dire tutto a Silente. Anche se avevo fondato il C.R.E.P.A. avevo compreso che gli elfi preferivano lavorare e che chiunque lottasse per la loro libertà –ad esempio me-, non erano molto accettati dalla maggior parte di loro.
Mi trovavo punto e a capo.
Stavo quasi per arrendermi definitivamente, quando notai che alcune immagini simili a quelle della copertina sembravano apparse dal nulla.
C’erano un drago sputa fuoco e un cavaliere armato che cercava di sconfiggerlo, una principessa rinchiusa in una torre che sventolava un fazzoletto al vento, e girando le pagine molte altre. Quel libro sembrava voler rievocare una fiaba: ciò a cui non credevo, ciò che per me non aveva senso. Girando un ulteriore pagina notai l’immagine più realistica delle altre:sembrava uno specchio, con una bellissima cornice d’oro finemente lavorata, ma più che un vetro, la superficie sembrava fatta di acqua. Dentro allo specchio era rappresentato un stupendo bosco fatto di querce e conifere, con delle foglie di un verde vivido. Si poteva intravedere una radura, delimitata da rigogliosi cespugli di bacche e di fiori dai mille colori. Ero talmente presa dal disegno che mi sembrava di sentire il rumore delle foglie che frusciavano e il calore del sole. C’erano anche degli uccellini che cantavano allegri …
Sentii che qualcosa non andava. Alzai lo sguardo giusto in tempo per vedere la stanza girare e, come se avessero una volontà propria, le pagine del libro che iniziavano a sfogliarsi da sole. Era iniziato tutto all’improvviso, e fu così che finì. La stanza tornò immobile come era sempre stata, e il libro mi cadde dalle mani. Mi chinai per prenderlo, ma non feci a tempo a sfiorarlo, che una mano uscì dalle pagine, mi arpionò il polso e mi trascino con lei in quel libro.
Mi sentii cadere nel vuoto, mentre con una mano cercavo degli appigli, senza aver fortuna. Ebbi perfino il tempo di pentirmi di essermi comportata in quel modo così avventato. Non seppi per quanto continuai a cadere, ma le palpebre si stavano facendo sempre più pesanti e, senza accorgermene, caddi in un sonno profondo.
 
****
 
Sentii qualcosa che mi solleticava il viso e, quando decisi di riaprire gli occhi, mi trovai sdraiata in mezzo ad una radura verdeggiante con il sole che mi scaldava la pelle. Mi guardai in giro per capire dove mi trovavo e quando i miei occhi videro com’ero vestita, riuscii a pensare una cosa sola: che fine aveva fatto la mia divisa scolastica? Quello che mi trovavo cucito addosso era un abito elisabettiano con tanto di tulle e ricami dorati. Mi arrivava sino alle caviglie ed era porpora con delle rifiniture sulle maniche e sullo scollo a barca. L’avrei trovato anche carino, se solo non avessi idea di quello che stava accadendo. Non sapevo perché, ma quel luogo mi sembrava di averlo già visto, soprattutto quei fiori meravigliosi che mi circondavano, e quelle bacche sui cespugli …
Sentendo un rumore di passi, alzai lo sguardo ancora perplesso e notai un sentiero che si diramava dalla radura, e qualcuno che si stava avvicinando. Era una donna sulla cinquantina, vestita con abiti semplici. Man mano che si faceva più vicina notai che era trafelata e sembrava molto preoccupata per qualcosa; quando mi vide la sua espressione si rilassò e mi disse:
“Principessa! Vi ho trovata finalmente, il re vi ha fatta cercare per tutto il palazzo. Ma dove vi eravate cacciata? Venite che vi accompagno nelle vostre stanze, non penserete di andare al ricevimento conciata così! Oh povera me, e poveri i tuoi capelli,” disse, trascinandomi verso il fantomatico palazzo.
Ero troppo scombussolata per commentare, e tra tutte le cose che aveva detto solo una mi rimbombava nel cervello: principessa.
Quella donna doveva essersi sbagliata, anzi, doveva essere tutto un sogno.
Camminammo un po’, e quando uscimmo dalla boscaglia, mi bloccai sul posto, perché quello che vidi mi lasciò a bocca aperta.
“Si sbrighi, principessa, a palazzo sono tutti preoccupati per lei!” disse la donna.
Davanti a me si stagliava un enorme castello in pietra, pieno di torrette e finestre, e ai suoi piedi c’era un immenso lago nero. Era tutto fin troppo familiare.
Quel castello era Hogwarts.
 

 
  
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