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Autore: ALEXIANDRAisMe    11/04/2014    0 recensioni
Elijah e Roy sono due ragazzi e hanno molto in comune, molto più di quel che si direbbe a prima vista. Eppure mentre Elijah è l’arrogante e prepotente leader della Private High School of Sacramento, Roy è il classico sfigato preso di mira proprio da questi e dai suoi compagni d’elitè. Questo nonostante la sua stessa origine facoltosa.
La ricchezza, le responsabilità e l’immagine hanno un peso; esattamente come la verità e le bugie hanno un prezzo da pagare.
Chiedere aiuto è più facile di nascondersi dietro una maschera? Si può sempre contare sulla famiglia? La risposta per Elijah e Roy è sempre stata no.
Chi svelerà per primo i propri segreti?..
Genere: Drammatico, Sentimentale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Personaggi, eventi e luoghi (sebbene esistenti o meno) sono frutto della mia contorta fantasia e di quella della mia “Socia” Roh.
Ps: in seguito probabilmente volgerà al Rosso.
 


ROY
 
Mi ritrovai a terra senza accorgermene, occhi chiusi.
Non mi sembrava una cattiva idea quella di rimanere lì finché il dolore al labbro e alla testa non si fosse attenuato ma evidentemente qualcuno non era d’accordo con me.
Qualcosa mi punzecchiò la spalla. Aprì gli occhi.
- Ehi. – una ragazza, o così sembrava, aveva i miei occhiali in mano – Stai bene? –
Mi morsi un labbro per impedirmi di rispondere in un modo acido e sarcastico, limitandomi a riprendermi gli occhiali per indossarli e annuire.
Ora che la vedevo più chiaramente mi ritrovai a pensare che: Wow, era davvero carina. Il mio cervello però non era in vena di analizzare i dettagli che la tendevano tale, forse per il trauma subito qualche minuto prima.
Lei si alzò e mi porse la mano per aiutarmi a rimettermi in piedi.
Io rifiutai, da vero gentiluomo, e da vero idiota rischiai di perdere l’equilibrio una volta alzatomi troppo in fretta.
L’altra rise. Scossi il capo trovando incredibile la mia capacità di sembrare uno scemo e ancora di più quella di capire di sembrare scemo.
La mano della ragazza mi ripulì la felpa con un paio di colpetti.
- Piacere, Diana. – me la ritrovai poi vicino al petto, tesa. Scrollai le spalle sorridendo – Roy. – dissi stringendola subito dopo.
Da quanto qualcuno non mi si presentava con aria tanto amichevole? Forse qualche mese.
Lei fece una smorfia, ora sembrava imbarazzata? – Vorrei accompagnarti in infermeria ma.. non so dove si trova. In effetti non so neanche dove siamo, mi sono appena trasferita in questa scuola. –
Ah, ecco perché.. pensai sarcastico. Mi sembrava strano infatti, che qualcuno di facesse avanti in quel modo dopo che il gruppetto Vip aveva colpito ancora.
Scossi il capo sbuffando. – Non ne ho bisogno, sto bene. – risposi mentre le davo le spalle, occupato a cogliere lo zaino da terra. Di certo non ero il tipo da portare con orgoglio in infermeria i miei trofei, soprattutto non dopo una scazzottata a senso unico.
Evidentemente lei era di tutt’altro avviso.
- Tu non hai capito niente! adesso vai in infermeria e ti fai disinfettare il taglio sul labbro e poi devi farti controllare quel livido sulla tempia. – disse con aria seccata, che non ammetteva repliche.
Mi voltai, sospirai, ecco un’altra persona che pensava di darmi una mano con il suo stupido moralismo. Solo perché non conosceva le regole di questa scuola, solo perché non conosceva Elijah.
Ignorai il suo sguardo e indurì il mio – Senti, si vede chiaramente che sei una brava persona e per questo ti darò ben tre consigli. – ad accompagnare le mie parole alzai tre dita della mano che non era impegnata a massaggiarsi il dolore pulsante alla testa – Uno: stammi lontano, non solo per il tuo bene ma anche per il mio. Due: stai lontana da quel ragazzo, Elijah. Non fare nulla che possa infastidirlo e non contraddirlo. – sospira ancora una volta prima di concludere – Tre: sotterra con tanto di lapide i tuoi sogni di una scuola libera dagli stronzi e dalla merda, e magari nella bara mettici anche la voglia di cambiare le cose perché tanto non ci riusciresti, nessuno ci è riuscito. –
Lei ascoltò con attenzione le mie parole, attese qualche secondo prima di puntarmi addosso i suoi grandi occhi castani. Incredibilmente, non fece una piega anzi – Capisco, sembra una questione delicata. –
- Sei seria? – diedi così voce ai miei pensieri.
- No, sono di New York. Quello che ho visto oggi, lì, lo vedevo almeno cinque volte al giorno! – rispose sprezzante incrociando le braccia al petto.
- Perché ti sei trasferita? –
Il suo sguardo mutò passando dal sorpreso al divertito. – Non sono fatti tuoi! – la sua presa sul braccio mi stupì perché a dispetto della sua corporatura minuta era inaspettatamente forte.
- Scusami! – fermò un ragazzino che probabilmente era diretto alla sua aula. Che ore erano?! La campanella del pranzo era suonata sicuramente da un pezzo. - Sapresti dirmi dove si trova l’infermeria? – continuò allo sguardo interrogativo del più piccolo che passò in rassegno il mio volto prima di risponderle - Basta attraversare questo corridoio e girare a destra, è vicina ad alcune aule di laboratorio. –
Stavo per liberarmi della sua presa ma prima ancora di provarci mi trovai trapassato da uno sguardo ammonitore. Dio santo, quella ragazza era inquietante.
Iniziò a camminare e automaticamente io la seguì, imitando la sua andatura svelta nonostante i passi piccoli. - Mi sembra di capire che non ho voce in capitolo. – borbottai.
- Esattamente. Quindi la prossima volta che ti fai pestare, perché qualcosa mi dice che questa non è la prima né sarà l’ultima volta che succede, vedi di farlo lontano da me in modo da non costringermi a prendermi cura di te per avere la coscienza apposto! –
Risi, sia per il suo modo di dire le cose con fare impettito ché per la situazione.
Solo dopo mi resi conto che la mia era una risata liberatoria e che decisamente da troppo tempo nessuno mi faceva ridere per davvero.
 
- Fermo. –
- Come diavolo faccio!? Tamponi le ferite in modo pessimo. – sbottai stringendo la presa contro la pelle della sedia.
Appena entrati in infermeria non trovammo nessuno, neanche la dottoressa di turno. Pensai che probabilmente si era presa una pausa, una delle tante. Così Diana prese di sua iniziativa batuffoli di ovatta e disinfettante.
- Hai fatto male  a farti pestare. Ora stai zitto e subisci. – il labbro bruciava in una maniera assurda.
- Non è stata colpa mia! –
- A me non è sembrato.. –
Preferì, per la seconda volta nell’ultima mezz’ora, non rispondere in modo sgarbato e lasciar cadere il discorso lì, lasciando posto al silenzio.
- Com’è iniziato il vostro amorevole rapporto? – il modo in cui me lo chiese sembrava disinteressato ma sapevo che l’argomento, almeno un po’, la incuriosiva.
- Tyler? Sinceramente non ne ho idea, forse sembro davvero un sacco da boxe ai suoi occhi da babbuino. –
Lei di tutta risposta spinse di più l’ovatta imbevuta sul taglio, facendomi sobbalzare – Non fare finta di non capire. – disse – Non mi riferivo al tizio tutto muscoli e niente cervello, infondo lui è una pedina nelle mani di quell’altro no? –
Avevo capito da subito a cosa di riferiva. Insomma, non ero così stupido come davo a vedere. – Ah intendi Elijah! – scrollai le spalle. – Nemmeno con lui c’è un motivo preciso. Ci siamo conosciuti che eravamo molto piccoli, eravamo molto amici. Poi abbiamo iniziato il liceo insieme ma a quel punto le nostre strade si stavano già separando; così mentre lui era stato scelto come playmaker nella squadra di basket e veniva eletto Presidente del Comitato Studentesco, io me ne stavo chiuso nell’aula di musica a suonare la chitarra.. da solo. – rimasi qualche secondo a fissare il vuoto prima di essere riportato alla realtà dalla sua voce.
- In pratica la mia prima impressione su di te, e cioè che sei uno sfigato, era giusta! – disse cercando di non farmi notare il suo sorriso.
- Và a quel paese. Ho solo un mio stile di vita! Piuttosto, tu.. – decisi di cambiare il discorso, giusto per non calpestare di più la mia dignità. - Che ci fai qui? –
Lei prese quello che sembrava un cerotto e lo mise delicatamente sul labbro inferiore – Mi sono trasferita da New York una settimana fa insieme a mia madre a mia sorella gemella per motivi di lavoro. –
- Mmh-mmh. – aggrottai le sopracciglia. – Non vedo tua sorella da nessuna parte ora.. di solito i gemelli non hanno un rapporto molto.. stretto? – domandai.
Indietreggio per sedersi sullo sgabello davanti a me con un sorriso storto – I nostri caratteri sono molto diversi, così abbiamo fatto un tacito accordo per cui più lontane siamo e più ci vogliamo bene! –
Da questo capì subito che nemmeno la vita di quella ragazza era una passeggiata e per questo dava l’impressione che fosse il tipo di persona che odiava essere compatita, proprio come me.
- Non ci capisco molto di relazioni.. – borbottai allora.
- Ma dai, davvero? – era sarcastica, ovviamente. – Ora devo andare! – si alzò d’un tratto.
- Dove? –
- Faccio parte della redazione del giornalino della scuola quindi devo rimanere oltre l’orario delle lezioni. Se rimango qui farò tardi alla mia prima riunione e non vorrei farli aspettare.. –
Aggrottai la fronte – Fai giornalismo? –
Annuì mentre già prendeva la borsa – Mi piace molto! –
- Ma.. non è che alla fine questo è stato solo un espediente per poter scrivere un articolo su di me? –
Mi guardò di sottecchi con aria colpevole ma scoppiò subito a ridere e disse – Forse. –
Per me non c’era nulla di divertente, non mi andava a fatto di diventare famoso a causa di uno stupido articolo che poteva, oltretutto, minare alla mia incolumità.
- Ehi, ora si che hai una faccia che fa paura! Guarda che non scriverò nulla se è questo quello ch ti preoccupa, tranquillo. – poi con un ultimo sorriso si incamminò verso la porta. - Allora ci vediamo. – furono le ultime parole che disse prima di oltrepassare la soglia e chiudendosela alle spalle.
 
***Flaskback***
La giornata era primaverile, di quelle che ti mettono di buon umore appena svegli.
Era suonata la campanella del pranzo da dieci minuti, uscimmo subito per andare nel parco giochi della scuola, com’eravamo soliti fare.
L’altalena era occupata e questo mi irritò molto. Tutto per colpa della maestra che ci aveva trattenuti più del dovuto.
- Proviamo quella! – indicai con il dito la giostra formata da due torri collegate da un ponticello di corda con le ringhiere di legno, una delle due casette terminava con un largo scivolo.
Salimmo dalla scaletta di legno verticale. A pensarci ora, la vista dalla torre non era un granché ma si sa, quando si ha solo sei anni tutto appare più alto e bello di quel che è realmente. Quel panorama che si estendeva di fronte a noi piaceva anche al bambino dai capelli corvini, uguali ai miei, che era al mio fianco. Probabilmente perché sovrastare il quel modo il parco lo faceva sentire il padrone di tutto. Già d’allora aveva manie di grandezza.
- Dai vieni! – dissi avanzando attraverso il ponte di corde. Mi tenevo saldamente al legno ai lati, camminare sulle corde sospese per aria dava la sensazione di camminare su una barca mentre il mare e agitato e ti senti traballare da una parte all’altra.
Ancora pochi passi e mi ritrovai coperto dal tetto della seconda torre e solo una volta toccato il suolo stabile mi accorsi che non sentivo più la sua presenza vicino a me.
Mi voltai e lo vidi, era ancora al centro del ponte. – Elijah! – lo chiamai.
Aveva le mani serrate alla ringhiera, paralizzato guardava in basso il vuoto sotto i suoi piedi ma proprio non capivo perché sembrasse così spaventato. In genere ero io l’imbranato; lui sapeva fare tutto, figuriamoci attraversare un misero ponticello!
- Elijah, perché ti sei fermato? Che hai? – chiesi allora.
- Roy.. giù non c’è niente! Ho paura.. – sussurrò. Continuavo a non capire.
- Ci sono le corde! – dissi.
- No. No, no, no. Sotto è vuoto! – le poche parole che pronunciò erano stentate, come se gli mancasse l’aria.
- Va tutto bene! Basta che continui a camminare.. – non aggiunsi altro. Mi fissava ad occhi sgranati, come se fossi pazzo anche solo a pensare una cosa del genere. Non si mosse, ricordo che iniziai seriamente a preoccuparmi per lui.
- Elijah vieni! – feci un passo in avanti porgendo la mano verso di lui, gli sarebbe bastato tendere il braccio per afferrarla. – Va tutto bene, prendi la mia mano. – continuai, sentivo il suo respiro affannoso e il leggero tremore delle corde sotto i suoi piedi. – Avanti! – lo incitai ancora, con un sorriso.
Incerto lasciò il legno con la mano destra per stringere forte la mia. Quello che successe dopo fu molto confuso. In uno slancio di coraggio corse improvvisamente contro di me.
Nello scontro persi l’equilibrio e caddi all’indietro.
Avevo dimenticato persino che ci fosse uno scivolo alle mie spalle e in men che non si dica mi ritrovai a terra, senza nemmeno accorgermene.
- Stai bene? – chiese Elijah ancora sopra la struttura.
Sentivo qualcosa di umido sotto i palmi, era un po’ di fanghiglia che si era formata ai piedi dello scivolo a causa delle piogge recenti.
- Si, mi sono solo sporcato! – ridacchiai mostrando le mani imbrattate.
- L’avete visto? L’imbranato è caduto! – sentì una voce dietro di me, mi voltai. Era il gruppetto dei bambini dell’ultimo anno delle elementari e mi fissavano.
Mi alzai subito ma questo non fece che peggiorare le cose. Il ragazzino di prima rise ancora – Si è anche fatto addosso! –
Tutto il gruppetto sghignazzò nel guardare il fango che sporcava il retro dei pantaloni.
Non ero bravo ad ignorare, perciò feci del mio meglio per stringere i denti e non arrossire.
- Almeno se fossi caduto di faccia avremmo potuto chiamarti faccia di merda! – commentò qualcuno.
- Già avresti fatto una figura migliore! – continuarono.
Non ero bravo neanche a rispondere allora.
Mi limitai solo a deglutire e voltare loro le spalle, andandomene.
Mi ero quasi completamente dimenticato di Elijah, ancora in cima alla torre. Così nel voltarmi a cercarlo, lo vidi scivolare giù con la coda dell’occhio.
Le sue scarpe era sporche di fango ma solo quelle, perché i suoi vestiti erano ordinati e puliti come sempre.
Sorrise nella mia direzione, poi girò intorno al gruppetto e io pensai che mi avrebbe raggiunto così, senza fare nulla.
Invece stupì tutti, dando un calcio sul sedere del bulletto ancora impegnato a sghignazzare. Ora anche quei jeans immacolati erano macchiati sfoderò un sorrisino compiaciuto.
L’avevo già detto che amava sentirsi un leader affermato già allora, no?
- Ecco chi è lo scemo cacasotto adesso? – lo derise.
Tutti si zittirono, fissando la scena a occhi sgranati.
- Vieni Roy – disse raggiungendomi. – Mamma e papà hanno detto di non parlare con i pezzenti! –
***Fine Flashback***
 
ELIJAH
 
Uscì dall’edificio scolastico.
Le lezioni erano finite e quel giorno gli allenamenti di basket erano stati interrotti poco prima che iniziassero. Alcuni ragazzi erano stati accusati di aver partecipato e incitato altri ad atti di bullismo nei corridoi dell’ala sud.
Sembrava esserci persino un testimone pronto a dare il nome del capo gruppo della rissa, Tyler Darby. Proprio questi ora si trovava di fronte al preside Chambers, sicuramente intento a corromperlo con la grana e l’influenza del padre. D’altronde poteva permetterselo essendo lui il manager dei Sacramento Kings, la squadra da cui la nostra scuola aveva preso il nome.
Ancora irritato dai recenti avvenimenti quasi mi sbattei alle spalle lo sportello della Mercedes Benz nera e lucida sui cui ero salito.
- Non è stato quello sfigato ma allora chi? – mormorai tra me e me prima di rivolgermi a Nill, l’uomo che lavorava per noi come autista da quando ne avevo memoria.
- Suo fratello non è ancora uscito, signorino Elijah. Ho ricevuto l’ordine di venire a prendere entrambi e riportarvi a casa per la cena con i vostri genitori. – rispose Nill, guardandomi dallo specchetto con l’espressione stanca di chi spera di non dover convincere un bambino a non fare i capricci.
La cena del venerdì a cui si riferiva era intoccabile per mamma e papà. Niente poteva impedirla, tranne l’assenza di questi ultimi. Sbuffai.
Proprio in quel momento il lato destro si aprì. Il ragazzo mi guardò e, ben conscio del fatto che non mi sarei spostato, richiuse lo sportello.
Il tempo di fare il giro salendo dall’altro lato e finalmente Nill mise in moto.
Attraversammo le strade della città e imboccammo l’autostrada che ci avrebbe portato subito nel quartiere delle villette a schiera con piscina privata, tutto questo quasi in religioso silenzio.
Nill, l’uomo nero al volante, seguiva la musica della radia con la testa.
Mio fratello aveva gli occhi chiusi e un paio di cuffie enormi di un colore improponibile, arancione evidenziatore, da cui sentivo alla perfezione la musica dai ritmi rock che trasmettevano a tutto volume nelle sue orecchie.
Io ero concentrato sull’icona della chat sul display del mio Blackberry Q10, le cui notifiche aumentavano in maniera snervante, ignorando alcuni sms e rispondendo solo ad un paio di mittenti.
Quando passammo oltre il cancello in ferro color petrolio della Residenza Reynolds e Nill parcheggiò nel cortile, sentì con rammarico la mancanza della mia Jeep Cherokee SRT8 grigia cromata. Era il motivo per cui ero stato costretto a farmi scorrazzare dall’autista: il mio bisogno di d’indipendenza era in qualche modo alimentato dal mio amore per la guida e non era strano perciò che la punizione perfetta, secondo mio padre, fosse proprio quella di requisirmi le chiavi.
Cosa che andava avanti da oltre una settimana ormai.
Io e mio fratello scendemmo insieme dall’auto; io con un movimento fluido, lui con fare impacciato mentre cercava di non ingarbugliarsi con il filo collegato all’iPod.
Lo affiancai e insieme entrammo in casa, senza parlare o accennare a nessun saluto.
La signora Katy, la governante che ci aveva visti crescere, ci accolse con un sorriso e ordinò in topo professionale a Lenny di annunciarci – Avverti anche la signora Lana che i gemelli sono arrivati! – poi si rivolse a noi, più premurosa – Signorino Elijah, signorino Roy, avete il tempo di rinfrescarvi prima della cena con i vostri genitori. –
 
Angolo Autrici:
Sorpresa! Nel primo capitolo non si poteva certo pensare ad una possibile relazione di questo tipo tra i nostri due protagonisti ma ci sono ancora tante cose da scoprire, segreti da svelare e avvenimenti che rivoluzioneranno la vita dei gemelli.
Speriamo di non avervi fatto perdere l’entusiasmo già dal secondo capitolo di questa storia ma possiamo assicurarvi che tutto vogliamo tranne deludervi.
(El): Il titolo di questo capitolo è anche il nome della canzone di Christina Perri feat Jason Mraz che ho ascoltato durante la stesura della flashback.. in effetti è abbastanza azzeccata.. immagino..^^
Ringraziamo i lettori, chi salva questo storia tra i seguiti o i preferiti.
Speriamo di leggere dei vostri commenti con le considerazioni al riguardo
  
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