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Autore: insiemete    11/04/2014    3 recensioni
Jennifer
è una ragazzina di sedici anni, ha appena cambiato città con sua madre,
per trasferirsi dalla grande Detroit alla piccolissima cittadina di
Bitter Springs (AZ).
Ma a Bitter Springs avvengono fatti strani, che solo una dolorosa
scomparsa, li portano alla luce.
Il mondo non sarà mai un posto sicuro.
Genere: Fantasy, Horror, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Take me down
To the paradise city
Where the grass is green
And the girls are pretty
Take me home
I want you please take me home
- Paradise City

Guns N' Roses





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Ciao a tutti, premetto che sono nuova e che non sono ancora "esperta" diciamo.
Volevo dirvi che la mia ff è ambientata nella realtà in luoghi che esistono veramente.
Solo la vicenda e i personaggi sono frutto della mia mente.
Grazie per la lettura, ciao.




1.




"Da milioni di anni gli umani hanno padroneggiato in questo pianeta. Hanno guadagnato la loro propria immunità e il loro proprio dominio tra tutti gli esseri. Fiero, l'essere umano gira in lungo e in largo per il suo mondo. Ma nella volta celeste, negli abissi, nell'entroterra, organismi geneticamente più forti ordivano i loro piani malefici, guardando gelosamente lo sviluppo dell'uomo".




"Signorina Connor la prego di girarsi di 90° e ascoltare la lezione tenuta, grazie".
Di solito guardavo fuori durante le lezioni, non perchè non mi interessava la materia, ma perchè amavo guardare fuori.
Adoravo guardare il cielo e le sue meraviglie, non che ci fosse altro da vedere.
Eravamo persi dentro il predeserto, in un piccolo paesino di 400 abitanti, quindi non c'era molto.
"Signorina Connor, dato che non si è ancora degnata di girarsi, la mando alla lavagna".
Ah vi presento la signorina Daisy, tanto bella quanto stronza.
La sua storia ha fatto molto scalpore in città, nessuno avrebbe pensato che una signorina come lei potesse esserne capace.
In poche parole la signorina Daisy, precedentemente Guejera, messicana D.O.C. era una trafficante di droga.
Non sapevo in che bando e quando c'era dentro ma questa era la sua storia.
Ora era una persona normale, si era disintossicata e aveva frequentato una scuola serale, fino a diventare professoressa di matematica, biologia, fisica e chimica qui.
Di tutti i miei professori era lei quella che più odiavo.
Barcollando andai alla lavagna, mugugnando di tanto in tanto.
Mi fece svolgere un' equazione. Brutta troia, sapeva che non ero brava con le equazioni, poteva piuttosto farmi fare un esercizio di geometria o robe varie.
Presi un amichevole tre, un perfetto regalo pasquale.






Mi svegliai quella mattina presto, verso le cinque e mezza perchè quella notte continuavo ad avere degli incubi. Sognavo ripetutamente una porta con dei strani graffiti, tipo delle unghiate. Mi chiesi il perchè, perchè quello strano sogno, non avevo mangiato male la sera prima. Comunque non tornai sotto le coperte, decisi di alzarmi e fare colazione. L'alba stava facendo capolino dalle fessure della porta e dalle finestre di legno. Era una bellissima giornata calda e splendente. Verso le sei e mezza uscii di casa, la scuola sarebbe iniziata un'ora dopo ma volevo farmi un giro per le praterie.
Ormai mi ci ero abituata a vivere in quel paesino, avevo fatto amicizia con alcune ragazze e durante il pomeriggio andavo a fare volontariato al centro anziani. Mi piaceva passare il tempo con quei vecchietti perchè mi raccontavano le storie, quelle storie che solo gli abitanti di Bitter Springs potevano sapere.
Mi affascinavano tutto sommato, ovviamente io non ci credevo, ma adoravo ascoltarle perchè avevano qualcosa di magico dentro, qualcosa di affascinante e misterioso.
Gwen era la più anziana tra loro, era una scienziata tempo fa.
Le donne dicevano che lei non era uguale a loro, che lei sapeva qualcosa in più, che lei nascondeva un segreto.
Secondo me non era vero, invece. Era solo una donna buona e taciturna, che non parlava mai ma che ascoltava e capiva. Poi in fin dei conti aveva 96 anni, era ovvio che non si esprimeva molto.
Giocammo a dama, a scacchi e tombola per ore. Inutili i miei tentativi di unire la signora Kormova (era originaria della russia) ai giochi.
Ammiccava sempre la testa negando.
"Signora Kormova, le va di mangiare un buon pezzo di torta con noi?" chiesi gentilmente prendendole la mano.
Non si espresse, continuava a guardarmi con occhi grandi, analizzando il mio viso. E lo stesso facevo io: la sua pelle grezza, le sue varie rughe, le sue zampe di gallina e le profonde occhiaie. Non dormiva da giorni, si poteva intuire. E poi, nascosto dalle folte sopracciglia bianche, c'era una cicatrice. Era profonda e grossa, la pelle sopra faceva tante grinze, confondendola come una grossa ruga, ma si riusciva a capire che non poteva esserlo.
La donna si girò verso destra, aveva notato che guardavo sconcertata quella cicatrice. Dalla sua reazione pensai che le sue colleghe non se ne fossero mai accorte, cosa davvero plausibile.
Le altre sette anziane vivevano in un mondo tutto loro, fatto di pettegolezzi e di telenovele, non gliene fregava niente della signora Kormova. Così, mentre le nonnette erano impegnate a vedere 'Beautiful' io tornai dalla vecchia.
Stava strofinando un fazzoletto bianco tra le mani, lo accarezzava come se fosse una fragile colomba ferita. Lungo l'orlo era bruciato e c'erano delle chiazze di sangue. Vedendo l'usura dovevano essere di tanto tempo fa.
Alla donna scappò una lacrime, che scese furtiva giù per la rugosa guancia fino a estinguersi sulle labbra. Io ero lì, dietro di lei, che osservavo quella dolorosa scena, che poteva farmi piangere a momenti.
Ed ecco le lacrime, le lacrime di Gwen cadere a goccioloni giù per il viso, annegando i suoi grandi occhioni verdi , accompagnati da un pianto silenzioso.
Girai lo sguardo verso le altre signore, non se ne accorgevano del suo pianto. Mi domandavo quante volte era successo questo.
Mi cadde anche a me una lacrima, ero così dispiaciuta per quella vedova.
La donna strinse forte il fazzoletto, stava cercando di tirarlo, strapparlo, romperlo i tutti i modi che poteva, ma poi si fermava. Piangendo ancora.
Piangeva lacrime disperate che solo una perdita affettiva molto importante erano in grado di portare.
Non riuscivo più a guardare, continuava a stare male così.
L'abbracciai da dietro, la strinsi forte contro il mio petto, come se lei fosse la mia cara nonnina o mia mamma. Le stavo trasmettendo amore che non poteva avere.
La donna prese le mie mani e le portò alla sua bocca, dando dolci bacini sul dorso.
Sentivo le sue labbra grinze e bagnate contro la mia pelle calda, mi rabbrividirono.
Mi sedetti davanti a lei, senza staccare le mani oramai intrecciate alle sue.
Mi sorrise, un piccolo sorriso dolce.
Come quando viene l'arcobaleno dopo un pianto, qualcosa che non c'è perfettamente, ma che si fa vedere. Insomma un po' di felicità.
Le chiesi come stava, se le piaceva vivere qui, se le andava qualcosa da mangiare.
Ma lei continuava a guardarmi cercando di sorridere, e poi di nuovo piangere.
Piangeva ancora, anche se la vedevo. Forse ero l'unica persona ad averla vista piangere.
"Signora Kormova lei ha figli? Non ho mai visto un suo parente venire a trovarla. Non ha nemmeno nipoti?".
"Ho un nipote bellissimo. E' biondo e con gli occhi azzurri. Non so come siano i suoi capelli. Forse sono lunghi o corti. Ma forse ha la cresta oppure gli ha tagliati. O magari si è tinto. Dovrebbe avere 17-18 anni se non sbaglio. All'incirca due o tre più di te ragazza mia ".
Non mi aspettavo che mi rispondesse, una risposta così lunga per giunta.
"E lui dov'è?"
"Da qualche parte, con suo padre".
La signora guardò fuori dalla grande finestra, guardava in fondo, dove c'era la fossa, giù per il Grand Canyon.
  
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