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Autore: Yuna Shinoda    11/07/2008    4 recensioni
Edward ha appena lasciato Bella nella foresta, da sola, per andare via e non farsi mai più vedere.
Ma Bella, ben presto, si accorge che non può interrompere del tutto i legami con Edward.
Ed è proprio questo, che incita la ragazza a partire per cercare il suo grande amore, dovunque lui sia. Lo troverà?
E, soprattutto, qual'è questo legami indissolubile?
Genere: Drammatico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Jacob Black
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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If I could, then I would,
I'll go wherever you will go
Way up high or down low, I'll go wherever you will go

And maybe, I'll find out
A way to make it back someday
To watch you, to guide you, through the darkest of your days
If a great wave shall fall and fall upon us all
Then I hope there's someone out there
Who can bring me back to you



Se potessi, allora vorrei
Andrò dovunque andrai
Dal luogo più alto a quello più basso*
Andrò dovunque andrai

E forse, scoprirò
Il modo per ritornare un giorno
Per guardarti, per guidarti
Attraverso il più oscuro dei tuoi giorni
Se una grande onda dovesse cadere
Travolgerebbe tutti noi
Bene io spero che ci sia qualcuno
Che possa riportarmi da te

The Calling – Wherever you will go

Il viaggio verso Portland non fu faticoso.

Presi un volo lowcost, tanto perché non navigavo nell’oro, ed arrivai in città verso le 20.30.

L’aeroporto era quasi deserto, solo le persone che erano sul mio volo mi facevano compagnia.

Mi diressi subito verso l’uscita, dovevo trovare un ostello o un hotel prima che facesse notte.

Iniziai a camminare più veloce – più veloce di quanto il mio peso mi facesse andare – e raggiunsi l’uscita dopo un tempo brevissimo.

Andai a prendere il bagaglio e mi diressi subito verso una zona dove c’erano si e no dei taxi.

I almeno così credevo.

Avvicinandomi di più, notai che erano tutte macchine, il taxi era solo uno.

Avanzai il passo per cercare di arrivare prima, così che nessun altro passeggero avesse potuto prendere quella vettura.

Però come al solito non ci riuscivo.

Ero troppo pesante, non riuscivo nemmeno a camminare in linea retta!

La mia lentezza non fu dalla mia parte.

Pochi passi più in là, un ragazzo mi sorpassò.

- Hei! – gridai, con tutta la voce che avevo – Serve a me il taxi! -

- Scusami, sono in ritardo! – Fece lui.

- Ed io sono incinta. –

Si fermò e si voltò per guardarmi.

Mi squadrò da capo a piedi, e chiese al tassista di aspettare.

- Scusami, non ci avevo fatto caso -

- Pochi ci fanno caso – risposi acida.

- Allora, chi prenderà questo taxi? –

- Di regola dovrei prenderlo io, visto che non mi reggo nemmeno in piedi –

- Giusto. Però io devo andare in un posto, non posso proprio fare tardi –

- Caro mio, mi dispiace ma anche io sono in ritardo! –

- Dove devi andare? –

- Cerco un ostello o qualsiasi cosa per dormire –

Ma perché gli stavo dicendo tutto questo? Ah, sì, per farmi prendere quel dannato taxi.

- Ho un’idea. Io vado dove devo andare e tu vieni con me. Poi ti accompagno con la mia macchina in un albergo. Ti và? -

- E’ l’unica idea che ti è venuta in mente? –

- Sono poco fantasioso –

- Va bene, dai che sono stanca! –

Annuì.

Entrai nella macchina con quel tizio.

Il sedile posteriore era molto spazioso, così mi avvicinai sempre più impercettibilmente verso il finestrino sinistro della vettura.

Il ragazzo entrò poco dopo nell’auto, fissandomi con aria stupita.

- Ti faccio così paura? -

- Ehm… no. E’ una distanza di sicurezza. –

Iniziò a ridere.

- Sai che sei proprio simpatica? -

Non gli risposi.

Perché si fissava di voler parlare con me? Io volevo solo una stanza d’albergo per dormire!

Cercai di ignorarlo e guardai fuori dal finestrino.

Era tardi, tutti i negozi erano chiusi e l’unica cosa ad illuminare le strade erano le insegne colorate dei vari “Gucci” o “D&G” oppure altri negozi simili.

Mi meravigliai nel vedere tutti negozi di lusso in quella via.

La mia espressione era a dir poco meravigliata.

A Forks non c’erano negozi simili…

Improvvisamente,squillò il mio cellulare.

Sobbalzai, ero ormai abituata al silenzio dell’abitacolo che non mi resi conto che stava squillando ormai da alcuni secondi.

Il ragazzo mi fissò, curioso.

- Bhè, non rispondi? -

- Fatti gli affari tuoi. –

Presi il cellulare e lessi il numero sul display.

Bene, non avrei atteso tanto per questa telefonata. Jacob.

- Pronto? – dissi sottovoce.

- Bella? Bella? –

- Dimmi, Jacob, che c’è? –

- Bella dove sei? Tuo padre è arrabbiato, tutti nel branco sono allarmati. Vuoi aiuto? Vuoi che ti vengo a prendere? –

- Jacob, per favore. Sono grande ormai. Tornerò quando sarà necessario. Quando saprò che tutto quello che sto facendo è vano. –

- Vuoi… trovare… lui? –

Esitai nel rispondere. Cercai di parlare più piano possibile per evitare che il mio compagno di viaggio potesse ascoltare i fatti miei.

- Si. Devo convincermi che non era un sogno. -

Mi stavo per commuovere.

Una lacrima mi rigò il volto quando ripensai a lui. Lui che mi toccava, lui che diceva di amarmi.

Non è possibile che sia stato tutto un sogno.

Per mia fortuna la lacrima mi scese dall’occhio verso cui guardavo fuori, così non avrei dovuto dare spiegazioni al tizio che mi era accanto.

- Bella… Pensa. Pensa che il tuo bambino sta per nascere. Pensa a lui, cazzo! -

Credimi, ci penso. Penso anche però all’esistenza del mio bambino senza suo padre.

Se riuscirò in questa ricerca… Se riuscirò a trovarli, a fargli sapere tutto… Solo allora sarò felice.

Potrà anche dirmi di non volermi più, di essere ormai disinteressato al mio amore. Però voglio solo confermare a me stessa che non è stato tutto una pura illusione.

- Jacob, per favore. Ci sentiamo. -

- Sei troppo cocciuta. Cosa dirò a Charlie? –

- Digli… la verità. Per favore, Jacob. Non farlo venire qui. Voglio provarci, diglielo. –

Non sentivo più nulla dall’altra parte del ricevitore.

Improvvisamente, Jacob parò di nuovo. Questa volta la sua voce era rotta dai singhiozzi, anche se non voleva farmelo sentire.

- Va… bene. A malincuore… lo farò. Ma… se avrai bisogno di aiuto…. Chiamami. Anche di notte. Io per te ci sarò sempre. -

Adesso non riuscivo più a trattenermi.

Le lacrime iniziarono a sgorgarmi copiose e mi bagnai tutto il viso.

Sapevo che voleva solo il bene per me. Per questo soffrivo.

Sapevo che andare via da Forks era forse uno sbaglio, ma volevo tentare, a costo di scontrarmi con un muro nero in un vicolo cieco per l’ennesima volta.

Il mio volto era già stato graffiato dalle sue parole una volta, una seconda non sarebbe stata dolorosa.

- Ciao… Jacob. – cercai di dire, non volevo stare al telefono con lui troppo a lungo. Mi faceva star male. Attaccai.

Non osavo girarmi verso destra.

Di sicuro il mio compagno di viaggio mi stava fissando e stava pensando qualcosa su di me.

Su chi mi avesse chiamata ed i motivi del perché. Perché ero lì, sola e incinta.

Appoggiai la testa allo schienale del sedile e mi lasciai andare guardando il panorama che veloce passava fuori. Poi, mi addormentai senza pensieri.

Per un tempo che non ricordai, dormii nella vettura.

All’improvviso, sentì qualcosa che mi toccava. Ero intontita, non avevo dormito dalla sera prima perché i calci del bambino me lo avevano reso impossibile. Non avevo nemmeno mangiato, non ne avevo avuto il tempo.

Aprii gli occhi. Era lui. Il tizio accanto a me intendo.

- Hei! Siamo arrivati. - La sua voce era dolce e premurosa.

Con una mano mi strofinai gli occhi, e, con il suo aiuto, uscì dalla vettura.

A malapena mi reggevo in piedi, quel tipo fu davvero gentile che mi aiutò a camminare stringendomi a lui. Il peso del viaggio iniziava a farsi sentire. Il ragazzo raggiunse una panchina e mi aiutò a farmi sedere.

- Ahia… - feci, perché il bambino nemmeno quella sera voleva darmi pace.

- Cosa succede? – Sempre più premuroso o… curioso.

- Niente. –

Di nuovo. Accusai un dolore allo stomaco e in più sentii un rumore assordate.

Cercai di guardare in un’altra direzione, sapevo che mi stava osservando, ora più che mai che nella macchina, dato che qui le luci erano più alte.

Lo fissai anche io e lui si voltò, cercando di nascondere la curiosità.

Ora che lo vedevo bene, era molto carino.

Aveva dei capelli arruffati ma lucidi di colore castano. Gli occhi non riuscivo a vederli dato che era girato, ma pensai fossero verdi. Restai imbambolata a vederlo che non mi accorsi quando si girò nuovamente verso di me. Si, erano verdi.

Mentre lo fissavo, un nuovo rumore – più imbarazzante di prima – mi scosse.

Un leggero brontolio della pancia… Avevo fame. Molta fame.

- Questo non mi sembra niente. – disse ironico e divertito.

- Credimi, sto bene. –

Ripartì. Il rumore che sentii dopo fu ancora più assordante di prima.

- Cara, adesso che arriva il mio amico ti porto a mangiare. Chi sa da quanto tempo non mangerai! -

- Eh? Cosa? Il tuo amico? –

Già era stato troppo accettare la proposta di uno sconosciuto… Ancora peggio se ce n’era un altro!

- Sì. La macchina non è mia, ma io e lui dovevamo vederci questa sera, quindi… -

- Ah. –

- Eccolo lì. – Indicò un’automobile nera fiammante che stava venendo proprio verso noi due.

La macchina frenò quasi impercettibilmente. Avrei giurato che andava come un lampo. Amaramente, nel modo di frenare, mi ricordava la Volvo di… lui.

Il ragazzo si era già alzato, corse verso l’auto e vidi un finestrino abbassarsi.

- Abbiamo un ospite. – disse al ragazzo che vidi comparire dalla vettura.

Lui gettò uno sguardo verso di me, quasi esaminandomi.

- Ah. Nessun problema. -

Il ragazzo si girò verso di me, venendomi incontro.

- Allora? Vieni qui che ti porto a destinazione! -

Mi alzai, mio malgrado, dirigendomi verso la portiera di dietro.

Il ragazzo, senza che me ne accorgessi, si diresse velocemente ad aprirmi la portiera. Quel gesto, così come la frenata, mi ricordò nuovamente il mio unico amore.

Cercai di eliminare dalla mente quelle immagini del passato che mi ricordavano quel gesto, entrai nell’auto e mi accoccolai sul sedile in pelle beige.

I due ragazzi misero un po’ di musica. Niente di serio, era quella brutta roba commerciale che si metteva nelle discoteche.

- Allora, dove ti porto? – chiese l’altro ragazzo.

- Io… io non lo so. –

Vedevo dallo specchietto che fece una faccia strana.

- Come… non lo sai? -

- Ora ti spiego. Ho incontrato questa bella ragazza all’aeroporto, volevamo prendere lo stesso taxi ed era tardi. Così le ho proposto di cercare un albergo perché è appena arrivata. – Si girò verso di me e mi sorrise.

- Ah. Scusa, perché non la porti a casa tua e lo cercate domani? Hai una reggia! –

Eh? Io andare a casa di quel tizio? E chi mi garantisce che non è un maniaco, un approfittatore?

Restai allibita e dalla mia espressione si notava chiaramente.

- Hei, non è mica una cattiva idea! - disse – Ti và? -

Pensai. Se avessi detto di no di sicuro avrei dovuto passare una notte al freddo senza aver mangiato nulla. Il bambino ne avrebbe di sicuro risentito. L’avrei fatto per lui.

- O…ok. – dissi esitante.

- Allora a casa mia – disse lui.

La macchina cominciò a sfrecciare veloce sull’asfalto, quasi come se fosse la padrona della strada.

“Non pensarci, non pensare a nulla”, mi ripetevo, assalita nuovamente da un suo ricordo.

Tutto il paesaggio attorno si muoveva velocemente, come un uragano potente.

Il viaggio, che mi sembrò cortissimo, durò un quarto d’ora.

Quando ci fermammo, non riuscii subito a vedere ciò che circondava perché non c’era illuminazione.

Ero stanca e avevo fame e sonno. Il bambino continuava a darmi sui nervi con i calci che avrei desiderato non averlo più.

La macchina si fermò.

Non ebbi neanche il tempo di aprire la portiera che il ragazzo si precipitò ad aprirmi.

- Prego… - mi disse con voce suadente.

Non risposi, quello era già troppo.

Mi aiutò a camminare e prese il mio bagaglio. Arrivammo sotto un grande portico, la casa sembrava enorme da lì. Prese dalla tasca le chiavi e aprì. Notai che il suo amico non era venuto con noi.

- Allora, tu questa notte puoi stare di sopra. -

- Va bene –

- Ti mostro la strada –

Mi condusse verso una scala. Salii appoggiandomi al corrimano per non cadere.

Svoltammo a destra ed entrammo in un lungo corridoio. Poi si fermò davanti ad una porta.

- Ecco, entra -

Mi fece spazio ed entrai. Era carina. C’era un letto a due piazze al centro ed anche un armadio ed una scrivania e una televisione.

- G – grazie – riuscì a dire.

- Nel tuo stadio era impossibile non fare un gesto così. A proposito… non voglio essere invadente ma mi piacerebbe sapere come ti chiami –

- Io… sono Isabella. – sospirai – Bella. – mi corressi.

- Bella… Uhm. Io sono Dean. –

- Molto piacere. –

- Piacere mio – mi rispose sorridendo.

Un nuovo rumore arrivò dal mio stomaco.

- Oh. Hai fame. Vieni giù che ci prepariamo una bella cena -

Scendemmo le scale e mi portò in una bella e spaziosa cucina.

Mi disse di sedermi dove volevo, lui avrebbe preparato qualcosa di veloce che avrei potuto mangiare.

Fece prima di subito. Mi portò un piatto di spaghetti con il sugo che apprezzai moltissimo.

- Ti sono piaciuti? -

- Si, molto. – Non volevo fargli credere troppo.

Iniziammo allora a parlare… Cose futili, di tutti i giorni. Più che altro commentavamo il telegiornale che aveva sintonizzato sul plasma.

Poi arrivarono le domande personali. Direi, più che lecite, adesso.

- Tu da dove vieni? -

- Forks, vicino Seattle. – risposi sintetica.

- Ah. Io nel tuo stato non mi sarei mai mossa da lì. E’ un po’ lontanuccio… Scusa, se posso… Perché sei venuta qui? –

Mi inebriai di adrenalina. Ora più che mai, ero sicura che ciò che stavo facendo era giusto.

Dovevo trovare il padre di mio figlio, o almeno ci avrei provato.

- Io… io sono venuta per… - mi accarezzai la pancia.

- Tuo figlio. –

- Esatto. –

- Sei… giovanissima. –

- Ho… 18 anni – la mia voce sembrava un sussurro.

Vidi il suo sguardo pensieroso.

- Stai forse cercando… - vidi che ci andava cauto – il padre del bambino? -

Annuii. Non riuscivo più a parlare.

- Che stronzo. -

Mha, questo Dean non conosceva nemmeno lui e lo dichiarava stronzo. Tutti i torti non li aveva, dato che aveva lasciato me incinta e se n’era andato. No. Lui se n’era andato senza sapere che io fossi incinta. Ritiro tutto quello che ho detto.

Non risposi.

- Cioè… se io fossi stato in lui non avrei mai lasciato una ragazza carina come te… con un figlio in arrivo -

- Non sapeva… - Lo difesi.

- Non è comunque un buon motivo. –

- Ho deciso. Sono molto dispiaciuto per te… quindi, visto che ufficialmente dormirai nella mia casa… Voglio aiutarti. Non ti lascerò andare in nessun albergo. Starai qui finchè non lo troveremo. –

- Ma… non è sicuro che è a Portland. –

- Non m’importa. Ti aiuterò anche se si trova a Washington. -


Ciao! come vedete ho aggiornato anche questa storia. Prima di dormire, mi è venuto in mente un continuo e l'ho scritto. Spero vi piaccia, presto posterò anche nuovi capitolo delle altre storie!

Baci, Yuna

  
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