If I could, then I would,
I'll go wherever you will go
Way up high or down low, I'll go wherever you will go
And maybe, I'll find out
A way to make it back someday
To watch you, to guide you, through the darkest of your days
If a great wave shall fall and fall upon us all
Then I hope there's someone out there
Who can bring me back to you
Se
potessi,
allora vorrei
Andrò dovunque andrai
Dal luogo più alto a
quello più basso*
Andrò dovunque andrai
E forse, scoprirò
Il modo per ritornare un giorno
Per guardarti, per guidarti
Attraverso il più
oscuro dei tuoi giorni
Se una grande onda dovesse
cadere
Travolgerebbe tutti noi
Bene io spero che ci sia
qualcuno
Che possa riportarmi da te
The Calling – Wherever you will go
Il viaggio
verso Portland
non fu faticoso.
Presi un volo
lowcost,
tanto perché non navigavo nell’oro, ed arrivai in
città verso le 20.30.
L’aeroporto
era quasi
deserto, solo le persone che erano sul mio volo mi facevano compagnia.
Mi diressi
subito verso
l’uscita, dovevo trovare un ostello o un hotel prima che
facesse notte.
Iniziai a
camminare più
veloce – più veloce di quanto il mio peso mi
facesse andare – e raggiunsi
l’uscita dopo un tempo brevissimo.
Andai a
prendere il
bagaglio e mi diressi subito verso una zona dove c’erano si e
no dei taxi.
I almeno
così credevo.
Avvicinandomi
di più,
notai che erano tutte macchine, il taxi era solo uno.
Avanzai il
passo per
cercare di arrivare prima, così che nessun altro passeggero
avesse potuto prendere
quella vettura.
Però
come al solito non ci
riuscivo.
Ero troppo
pesante, non
riuscivo nemmeno a camminare in linea retta!
La mia
lentezza non fu
dalla mia parte.
Pochi passi
più in là, un
ragazzo mi sorpassò.
- Hei!
– gridai, con tutta
la voce che avevo – Serve a me il taxi! -
- Scusami,
sono in ritardo! – Fece lui.
- Ed io sono
incinta. –
Si
fermò e si voltò per guardarmi.
Mi
squadrò da capo a piedi, e chiese al
tassista di aspettare.
- Scusami,
non ci avevo fatto caso -
- Pochi ci
fanno caso – risposi acida.
- Allora, chi
prenderà questo taxi? –
- Di regola
dovrei prenderlo io, visto che non
mi reggo nemmeno in piedi –
- Giusto.
Però io devo andare in un posto, non
posso proprio fare tardi –
- Caro mio,
mi dispiace ma anche io sono in
ritardo! –
- Dove devi
andare? –
- Cerco un
ostello o qualsiasi cosa per
dormire –
Ma
perché gli stavo dicendo tutto questo? Ah,
sì, per farmi prendere quel dannato taxi.
- Ho
un’idea. Io vado dove devo andare e tu
vieni con me. Poi ti accompagno con la mia macchina in un albergo. Ti
và? -
-
E’ l’unica idea che ti è venuta in
mente? –
- Sono poco
fantasioso –
- Va bene,
dai che sono stanca! –
Annuì.
Entrai nella
macchina con quel tizio.
Il sedile
posteriore era molto spazioso, così
mi avvicinai sempre più impercettibilmente verso il
finestrino sinistro della
vettura.
Il ragazzo
entrò poco dopo nell’auto,
fissandomi con aria stupita.
- Ti faccio
così paura? -
-
Ehm… no. E’ una distanza di sicurezza. –
Iniziò
a ridere.
- Sai che sei
proprio simpatica? -
Non gli
risposi.
Perché
si fissava di voler parlare con me? Io
volevo solo una stanza d’albergo per dormire!
Cercai di
ignorarlo e guardai fuori dal
finestrino.
Era tardi,
tutti i negozi erano chiusi e
l’unica cosa ad illuminare le strade erano le insegne
colorate dei vari “Gucci”
o “D&G” oppure altri negozi simili.
Mi
meravigliai nel vedere tutti negozi di
lusso in quella via.
La mia
espressione era a dir poco
meravigliata.
A Forks non
c’erano negozi simili…
Improvvisamente,squillò
il mio cellulare.
Sobbalzai,
ero ormai abituata al silenzio
dell’abitacolo che non mi resi conto che stava squillando
ormai da alcuni
secondi.
Il ragazzo mi
fissò, curioso.
-
Bhè, non rispondi? -
- Fatti gli
affari tuoi. –
Presi il
cellulare e lessi il numero sul display.
Bene, non
avrei atteso tanto per questa
telefonata. Jacob.
- Pronto?
– dissi sottovoce.
- Bella?
Bella? –
- Dimmi,
Jacob, che c’è? –
- Bella dove
sei? Tuo padre è arrabbiato,
tutti nel branco sono allarmati. Vuoi aiuto? Vuoi che ti vengo a
prendere? –
- Jacob, per
favore. Sono grande ormai.
Tornerò quando sarà necessario. Quando
saprò che tutto quello che sto facendo è
vano. –
-
Vuoi… trovare… lui? –
Esitai nel
rispondere. Cercai di parlare più
piano possibile per evitare che il mio compagno di viaggio potesse
ascoltare i
fatti miei.
- Si. Devo
convincermi che non era un sogno. -
Mi stavo per
commuovere.
Una lacrima
mi rigò il volto quando ripensai a
lui. Lui che mi toccava, lui che diceva di amarmi.
Non
è possibile che sia stato tutto un sogno.
Per mia
fortuna la lacrima mi scese
dall’occhio verso cui guardavo fuori, così non
avrei dovuto dare spiegazioni al
tizio che mi era accanto.
-
Bella… Pensa. Pensa che il tuo bambino sta
per nascere. Pensa a lui, cazzo! -
Credimi, ci
penso. Penso anche però
all’esistenza del mio bambino senza suo padre.
Se
riuscirò in questa ricerca… Se
riuscirò a
trovarli, a fargli sapere tutto… Solo allora sarò
felice.
Potrà
anche dirmi di non volermi più, di
essere ormai disinteressato al mio amore. Però voglio solo
confermare a me
stessa che non è stato tutto una pura illusione.
- Jacob, per
favore. Ci sentiamo. -
- Sei troppo
cocciuta. Cosa dirò a Charlie? –
-
Digli… la verità. Per favore, Jacob. Non
farlo venire qui. Voglio provarci, diglielo. –
Non sentivo
più nulla dall’altra parte del
ricevitore.
Improvvisamente,
Jacob parò di nuovo. Questa
volta la sua voce era rotta dai singhiozzi, anche se non voleva farmelo
sentire.
-
Va… bene. A malincuore… lo farò.
Ma… se
avrai bisogno di aiuto…. Chiamami. Anche di notte. Io per te
ci sarò sempre. -
Adesso non
riuscivo più a trattenermi.
Le lacrime
iniziarono a sgorgarmi copiose e mi
bagnai tutto il viso.
Sapevo che
voleva solo il bene per me. Per
questo soffrivo.
Sapevo che
andare via da Forks era forse uno
sbaglio, ma volevo tentare, a costo di scontrarmi con un muro nero in
un vicolo
cieco per l’ennesima volta.
Il mio volto
era già stato graffiato dalle sue
parole una volta, una seconda non sarebbe stata dolorosa.
-
Ciao… Jacob. – cercai di dire, non volevo
stare al telefono con lui troppo a lungo. Mi faceva star male. Attaccai.
Non osavo
girarmi verso destra.
Di sicuro il
mio compagno di viaggio mi stava
fissando e stava pensando qualcosa su di me.
Su chi mi
avesse chiamata ed i motivi del
perché. Perché ero lì, sola e incinta.
Appoggiai la
testa allo schienale del sedile e
mi lasciai andare guardando il panorama che veloce passava fuori. Poi,
mi
addormentai senza pensieri.
Per un tempo
che non ricordai, dormii nella
vettura.
All’improvviso,
sentì qualcosa che mi toccava.
Ero intontita, non avevo dormito dalla sera prima perché i
calci del bambino me
lo avevano reso impossibile. Non avevo nemmeno mangiato, non ne avevo
avuto il
tempo.
Aprii gli
occhi. Era lui. Il tizio accanto a
me intendo.
- Hei! Siamo
arrivati. - La sua
voce era dolce e premurosa.
Con una mano
mi strofinai gli occhi, e, con il
suo aiuto, uscì dalla vettura.
A malapena mi
reggevo in piedi, quel tipo fu
davvero gentile che mi aiutò a camminare stringendomi a lui.
Il peso del viaggio
iniziava a farsi sentire. Il ragazzo raggiunse una panchina e mi
aiutò a farmi
sedere.
-
Ahia… - feci, perché il bambino nemmeno
quella sera voleva darmi pace.
- Cosa
succede? – Sempre più premuroso o…
curioso.
- Niente.
–
Di nuovo.
Accusai un dolore allo stomaco e in
più sentii un rumore assordate.
Cercai di
guardare in un’altra
direzione, sapevo che mi stava
osservando, ora più che mai che nella macchina, dato che qui
le luci erano più
alte.
Lo fissai
anche io e lui si voltò, cercando di
nascondere la curiosità.
Ora che lo
vedevo bene, era molto carino.
Aveva dei
capelli arruffati ma lucidi di
colore castano. Gli occhi non riuscivo a vederli dato che era girato,
ma pensai
fossero verdi. Restai imbambolata a vederlo che non mi accorsi quando
si girò
nuovamente verso di me. Si, erano verdi.
Mentre lo
fissavo, un nuovo rumore – più
imbarazzante di prima – mi scosse.
Un leggero
brontolio della pancia… Avevo fame.
Molta fame.
- Questo non
mi sembra niente. – disse ironico
e divertito.
- Credimi,
sto bene. –
Ripartì.
Il rumore che sentii dopo fu ancora
più assordante di prima.
- Cara,
adesso che arriva il mio amico ti
porto a mangiare. Chi sa da quanto tempo non mangerai! -
- Eh? Cosa?
Il tuo amico? –
Già
era stato troppo accettare la proposta di
uno sconosciuto… Ancora peggio se ce n’era un
altro!
-
Sì. La macchina non è mia, ma io e lui
dovevamo vederci questa sera, quindi… -
- Ah.
–
- Eccolo
lì. – Indicò un’automobile
nera
fiammante che stava venendo proprio verso noi due.
La macchina
frenò quasi impercettibilmente.
Avrei giurato che andava come un lampo. Amaramente, nel modo di
frenare, mi
ricordava
Il ragazzo si
era già alzato, corse verso
l’auto e vidi un finestrino abbassarsi.
- Abbiamo un
ospite. – disse al ragazzo che
vidi comparire dalla vettura.
Lui
gettò uno sguardo verso di me, quasi
esaminandomi.
- Ah. Nessun
problema. -
Il ragazzo si
girò verso di me, venendomi
incontro.
- Allora?
Vieni qui che ti porto a
destinazione! -
Mi alzai, mio
malgrado, dirigendomi verso la
portiera di dietro.
Il ragazzo,
senza che me ne accorgessi, si
diresse velocemente ad aprirmi la portiera. Quel gesto, così
come la frenata,
mi ricordò nuovamente il mio unico amore.
Cercai di
eliminare dalla mente quelle
immagini del passato che mi ricordavano quel gesto, entrai
nell’auto e mi
accoccolai sul sedile in pelle beige.
I due ragazzi
misero un po’ di musica. Niente
di serio, era quella brutta roba commerciale che si metteva nelle
discoteche.
- Allora,
dove ti porto? – chiese l’altro
ragazzo.
-
Io… io non lo so. –
Vedevo dallo
specchietto che fece una faccia
strana.
-
Come… non lo sai? -
- Ora ti
spiego. Ho incontrato questa bella
ragazza all’aeroporto, volevamo prendere lo stesso taxi ed
era tardi. Così le
ho proposto di cercare un albergo perché è appena
arrivata. – Si girò verso di
me e mi sorrise.
- Ah. Scusa,
perché non la porti a casa tua e
lo cercate domani? Hai una reggia! –
Eh? Io andare
a casa di quel tizio? E chi mi
garantisce che non è un maniaco, un approfittatore?
Restai
allibita e dalla mia espressione si
notava chiaramente.
- Hei, non
è mica una cattiva idea! - disse –
Ti và? -
Pensai. Se
avessi detto di no di sicuro avrei
dovuto passare una notte al freddo senza aver mangiato nulla. Il
bambino ne
avrebbe di sicuro risentito. L’avrei fatto per lui.
-
O…ok. – dissi esitante.
- Allora a
casa mia – disse lui.
La macchina
cominciò a sfrecciare veloce
sull’asfalto, quasi come se fosse la padrona della strada.
“Non
pensarci, non pensare a nulla”, mi
ripetevo, assalita nuovamente da un suo
ricordo.
Tutto il
paesaggio attorno si muoveva
velocemente, come un uragano potente.
Il viaggio,
che mi sembrò cortissimo, durò un
quarto d’ora.
Quando ci
fermammo, non riuscii subito a
vedere ciò che circondava perché non
c’era illuminazione.
Ero stanca e
avevo fame e sonno. Il bambino
continuava a darmi sui nervi con i calci che avrei desiderato non
averlo più.
La macchina
si fermò.
Non ebbi
neanche il tempo di aprire la
portiera che il ragazzo si precipitò ad aprirmi.
-
Prego… - mi disse con voce suadente.
Non risposi,
quello era già troppo.
Mi
aiutò a camminare e prese il mio bagaglio.
Arrivammo sotto un grande portico, la casa sembrava enorme da
lì. Prese dalla
tasca le chiavi e aprì. Notai che il suo amico non era
venuto con noi.
- Allora, tu
questa notte puoi stare di sopra.
-
- Va bene
–
- Ti mostro
la strada –
Mi condusse
verso una scala. Salii
appoggiandomi al corrimano per non cadere.
Svoltammo a
destra ed entrammo in un lungo
corridoio. Poi si fermò davanti ad una porta.
- Ecco, entra
-
Mi fece
spazio ed entrai. Era carina. C’era un
letto a due piazze al centro ed anche un armadio ed una scrivania e una
televisione.
- G
– grazie – riuscì a dire.
- Nel tuo
stadio era impossibile non fare un
gesto così. A proposito… non voglio essere
invadente ma mi piacerebbe sapere
come ti chiami –
-
Io… sono Isabella. – sospirai – Bella.
– mi
corressi.
-
Bella… Uhm. Io sono Dean. –
- Molto
piacere. –
- Piacere
mio – mi rispose sorridendo.
Un nuovo
rumore arrivò dal mio stomaco.
- Oh. Hai
fame. Vieni giù che ci prepariamo
una bella cena -
Scendemmo le
scale e mi portò in una bella e
spaziosa cucina.
Mi disse di
sedermi dove volevo, lui avrebbe
preparato qualcosa di veloce che avrei potuto mangiare.
Fece prima di
subito. Mi portò un piatto di
spaghetti con il sugo che apprezzai moltissimo.
- Ti sono
piaciuti? -
- Si, molto.
– Non volevo fargli credere
troppo.
Iniziammo
allora a parlare… Cose futili, di
tutti i giorni. Più che altro commentavamo il telegiornale
che aveva
sintonizzato sul plasma.
Poi
arrivarono le domande personali. Direi,
più che lecite, adesso.
- Tu da dove
vieni? -
- Forks,
vicino Seattle. – risposi sintetica.
- Ah. Io nel
tuo stato non mi sarei mai mossa
da lì. E’ un po’ lontanuccio…
Scusa, se posso… Perché sei venuta qui?
–
Mi inebriai
di adrenalina. Ora più che mai,
ero sicura che ciò che stavo facendo era giusto.
Dovevo
trovare il padre di mio figlio, o
almeno ci avrei provato.
-
Io… io sono venuta per… - mi accarezzai la
pancia.
- Tuo figlio.
–
- Esatto.
–
-
Sei… giovanissima. –
-
Ho… 18 anni – la mia voce sembrava un
sussurro.
Vidi il suo
sguardo pensieroso.
- Stai forse
cercando… - vidi che ci andava
cauto – il padre del bambino? -
Annuii. Non
riuscivo più a parlare.
- Che
stronzo. -
Mha, questo
Dean non conosceva nemmeno lui e
lo dichiarava stronzo. Tutti i torti non li aveva, dato che aveva
lasciato me
incinta e se n’era andato. No. Lui se n’era andato
senza sapere che io fossi
incinta. Ritiro tutto quello che ho detto.
Non risposi.
-
Cioè… se io fossi stato in lui non avrei mai
lasciato una ragazza carina come te… con un figlio in arrivo
-
- Non
sapeva… - Lo difesi.
- Non
è comunque un buon motivo. –
- Ho deciso.
Sono molto dispiaciuto per te…
quindi, visto che ufficialmente dormirai nella mia casa…
Voglio aiutarti. Non
ti lascerò andare in nessun albergo. Starai qui
finchè non lo troveremo. –
-
Ma… non è sicuro che è a Portland.
–
- Non
m’importa. Ti aiuterò anche se si trova
a Washington. -