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Autore: Darkness_Angel    11/04/2014    4 recensioni
Sono passati quasi vent'anni da quando Gea è stata sconfitto e Percy ed Annabeth sono ritornati a casa.
Aibileen è la più piccola di casa Jackson e la sua vita non è affatto facile, anche se non per gli stessi motivi dei suoi fratelli, Lilia e Lucas.
La loro vita si complicherà quando sii ritroveranno catapultati in un impresa che metterà a dura prova loro e il loro rapporto. Tra vecchi e nuovi nemici ed amici, riusciranno i fratelli Jackson a concludere l'impresa e a salvare la loro famiglia?
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Nella storia non ci sono spoiler sulla conclusione della saga, potrebbero essercene qua e là solo per chi non ha ancora iniziato a leggere la saga degli Eroi dell'Olimpo.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Nuova generazione di Semidei, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Generazioni '
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Salve a tutti, questa è la prima fanfiction su Percy Jackson che scrivo, spero sia venuto un lavoro quanto meno decente :) Come ho detto nella trama non ci sono spoiler sulla fine della saga (anche perchè non è ancora conclusa) ma soltanto qualche piccolo spoiler per chi non abbia ancora letto i libri della saga degli Eroi dell'Olimpo.
Direi che per ora è tutto, non mi resta che augurarvi Buona Lettura :)

Capitolo 1
Sopravvivo ad un altro anno
 
Allora, come potrei incominciare? Forse presentarmi è la cosa migliore.
Salve a tutti, mi chiamo Aibileen Jackson e ho dodici anni, vivo a Manhattan con la mia famiglia e sono una mezzo - mezzosangue.
D’accordo ammetto che questa parola non esiste, ma ora giuro che mi faccio capire.
Per comprendere il mio problema prima di tutto devo presentarvi la mia famiglia a grandi linee e farvi capire che non è affatto facile vivere con la mia famiglia ed essere me, pensandoci, forse è  meglio iniziare dall’inizio…
I miei genitori, Annabeth Chase e Percy Jackson (si, sono proprio quella Annabeth Chase e quel Percy Jackson), si sono sposati circa diciannove anni fa dopo aver fatto scoppiare una specie di guerra tra i miei nonni, Poseidone e Atena, in quanto la mia cara nonna non aveva la minima voglia di lasciare che sua figlia spossasse un figlio di Poseidone, ci volle quasi un anno prima di riuscire a convincerla che il rancore che provava verso Poseidone, non doveva essere riversato anche su mio padre e che ormai erano passati secoli dalla storia di Atene e di Medusa e che di conseguenza, forse, era meglio appianare le discordie.
E se io sono qui che vi parlo, non c’è bisogno di spiegare che Atena, alla fine, si convinse e diede la benedizione a sua figlia per sposarsi.
Così i miei genitori si sposarono e quattro anni dopo nacquero i miei fratelli, Lucas e Lilia.
Lucas e Lilia sono gemelli, Lucas è biodo con gli occhi verdi, ed ha tutte le caratteristiche di un figlio di Atena, mentre Lilia ha i capelli scuri e gli occhi grigi, ed ha tutte le caratteristiche di una figlia di Poseidone.
I miei fratelli sono dei mezzo sangue, hanno scoperto le loro capacità quando avevano sette anni e da allora tutte le estati vanno regolarmente al campo mezzo sangue. Sono adorati dai nostri nonni, sia quelli mortali che quelli Dei, e non si fanno problemi a darsi un po’ di arie in mezzo agli altri mezzo sangue, essendo due dei pochi figli di mezzosangue al campo.
La vita dei miei genitori era perfetta, erano sposati, avevano avuto due bellissimi bambini, cosa poteva rovinare la loro stupenda e perfetta vita insieme?
Io.
Quattro anni dopo Era decise di vendicarsi su mia madre per uno scherzo che le avevano fatto i miei adorati fratellini una volta che erano andati a trovare i nostri nonni sull’Olimpo ( oltre che per le vecchie discordie), e così, durante il mese estivo che i miei fratelli passavano con i nonni mortali, i miei genitori fecero quello che due genitori fanno quando i bambini piccoli non sono a casa, e grazie alla Dea del Matrimonio e delle Nascite capitai io.
Era pensava di punire i miei fratelli facendo avere a mia madre un altro bambino di cui prendersi cura e, di conseguenza, diminuire le attenzioni verso di loro, ma non sapeva quanto si stava sbagliando.
Lucas e Lilia si divertono sempre a raccontarmelo, quando mia madre scoprì di essere incinta di me, mio padre la trovò seduta per terra in bagno con un test di gravidanza positivo in mano che piangeva a dirotto, ma poi si era calmata e avevano detto che ero la quarta cosa più bella che gli fosse capitata.
E io ci avevo creduto, fino a quando, un anno prima, mio padre non si era lasciato scappare che lui  e mia madre, avevano preso entrambi seriamente in considerazione l’interruzione di gravidanza, non volevano un altro figlio, gli bastavano i gemelli che gli davano abbastanza grattacapi.
Poi, mia nonna, aveva avvertito la mamma che era stata Era a farla rimanere incinta e allora io ero dovuta venire al mondo per non incorrere nell’ira della Dea.
Con ciò, non voglio dire che non mi vogliano bene, anzi, me ne vogliono molto, ho sentito dire da mia madre che se non mi avesse tenuta avrebbe fatto un errore enorme, ma in ogni caso non si può dire che io abbia avuto un infanzia facile.
Da neonata, come adesso, le cose non sono cambiate molto a pensarci bene, ero il soggetto preferito dei miei fratelli per i loro scherzi, mi sono ritrovata con scritte di pennarelli colorati addosso, pezzi di lego incollati ai vestiti, incolpata per succhi di frutta caduti a terra e tutte le altre cose che vi possono venire in mente, anche se sono assurde, loro me le hanno di certo fatte.
Crebbi, ma il problema fu che con me crescevano anche i miei fratelli, super iperattivi; ho chiari ricordi di mia madre che li insegue per casa maledicendoli in greco antico, perché non le obbedivano, ed io ero lì, che li guardavo dal mio lettino dietro le sbarre di legno, aspettando che qualcuno si ricordasse della mia presenza e mi venisse anche solo ad accarezzare la testa, di solito era papà che lo faceva, entrava nella mia cameretta sorridendo, e mi prendeva in braccio stringendomi, mentre io mi stringevo a mia volta contro il suo petto sperando che quel momento non finesse mai, poi però mia madre ripassava di corsa davanti alla porta, gli gridava di darle una mano e allora la magia finiva, io venivo rimessa nel lettino, e mentre allungavo le mani verso di lui per essere ripresa in braccio, mi sorrideva triste e mi accarezzava la testolina - Torno presto piccolina - e poi se ne andava, lasciandomi di nuovo da sola.
Le cose migliorarono leggermente dopo il settimo compleanno dei miei fratelli.
Quando scoprirono di avere divisi tra di loro i poteri dei nonni, dal 6 di Giugno, quando finiva la scuola, sino al 10 di settembre, venivano lasciati al Campo mezzo sangue e io potevo passarmi un’intera estate con i miei genitori, come se fossi figlia unica, essere al centro dell’attenzione per tre mesi all’anno.
Naturalmente tutti pensavano che, viste le eccellenti doti dei miei fratelli, anch’io verso i sette anni avrei sviluppato qualche caratteristica dei miei nonni, si accettavano scommesse da chi dei due avrei preso, ma nemmeno la genetica era dalla mia parte.
Avendo due genitori mezzo sangue di prima generazione, cioè nati dall’unione di un Dio e di un umano e non da due mezzo sangue, e seguendo la prima legge dell’ereditarietà dei caratteri di Mendel, i loro figli potevano essere:
25% Dei ( cosa impossibile)
50% Semidei ( i miei adorati fratellini)
25% Umani
Indovinate di che categoria faccio parte?
Esatto, l’unica cosa che ho preso dai miei genitori è la dislessia!
Sono una semplicissima ragazzina dislessica, con gli occhi grigi, per altro l’unica cosa che ho in comune con mia sorella, i capelli mossi ma castano  scuro, quasi neri, e tutt’altro che iperattiva.
I miei genitori e nonni non mi fecero pesare la mia chiamiamola “mancanza”, ma in compenso ci pensarono i miei fratelli e i loro amici.
E così, incominciò la mia vita com’è oggi, sottoposta tutti i santi giorni alle prese in giro dei miei fratelli e lottando contro la dislessia per cercare di superare l’anno scolastico con il minimo dei voti.
Però c’è un'unica cosa di cui non mi posso lamentare e che adoro della mia vita, essendo umana, per tutto il resto della mia vita, avrò sempre quei tre mesi d’estate in cui i miei genitori mi portano a Montauk e io li ho tutti per me, non ci sono Lucas e Lilia a rovinare ogni santo giorno, ci siamo solo noi tre: mamma, papà ed Aibileen.
 
E adesso torniamo a noi, è il 5 di Giugno, ciò vuol dire che manca esattamente solo un giorno alla fine della scuola e alla partenza per il campo mezzo sangue dei gemelli, nonché dell’inizio dei miei tre mesi di libertà.
La sveglia scattò, e iniziò a trillare emettendo un suono acuto che mi penetrò nelle orecchie. Mi girai verso il comodino e allungai una mano verso di esso, a tentoni e tirando manate sul mobile, riuscì a trovare la sveglia e a spegnerla.
Aprì un occhio e guardai l’ora, manca un quarto alle sette, perfetto, avevo ancora circa un quarto d’ora prima che un estenuante giornata iniziasse.
Mi tirai su le coperte e mi misi a fissare la stanza buia che mi circondava, con l’unica luce proveniente dalla tapparella semichiusa, non mi piaceva dormire completamente al buio.
Forse posso aggiungere ancora una cosa, alla corta lista delle cose che mi piacciono della mia vita, ho la mia camera.
Quando Lilia compì dodici anni, i miei genitori proposero ai gemelli di separarsi e usare la camera più grande dove dormivano loro due per me e mia sorella, ma lei si era subito detta contraria, non aveva la minima voglia di passare le sue giornate con me, e dalla mia parte speravo di non dover condividere la camera con lei, o tutte le mattine mi sarei svegliata con uno scherzo nuovo pronto ad attendermi.
Alla fine i gemelli si erano accaparrati la camera più grande e io mi ero tenuta la mia cameretta- sgabuzzino, come la chiamavano amorevolmente i mie fratelli, contenta di poter dormire tranquilla senza il terrore che uno dei due mi aggredisse durante la notte, o almeno non tutte le notti.
Chiusi gli occhi e strinsi al petto l’unico regalo che mi aveva fatto la mia nonna materna. Quando avevano scoperto che non ero una mezzo sangue tutti avevano cercato di consolarmi, pensando che ne sarei rimasta segnata a vita, così i nonni Dei per farmi capire che mi volevano bene lo stesso, mi avevano fatto un regalo per “mortali” come lo avevano definito mentre ne parlavano con i miei genitori. Nonna Atena mi aveva regalato una civetta bianca e grigia di peluche, mentre nonno Poseidone mi aveva regalato una ninfea che non appassiva mai, e su ogni petalo vi era una lettera greca che componeva il mio nome, almeno riuscivo a leggerlo con la mia dislessia.
Sospirai, godendomi il tepore che veniva da sotto le coperte e la morbidezza del peluche vicino al mio viso, e poi la tranquillità svanì.
- Sveglia, sveglia sorellina mortale! Il sole è già alto! - gridò Lilia invadendo la mia camera e correndo a tirare su la tapparella in modo che il sole entrasse e mi ferisse gli occhi.
Emisi un verso di protesta e poi mi tirai su stropicciandomi gli occhi - anche tu sei mortale - le ricordai ancora mezza assonnata -  ma molto meno di te! Quindi alzati e obbediscimi! - mi si avvicinò mi diede un bacio in fronte e poi mi tirò uno scappellotto sulla nuca, per lei è un segno di affetto - ahia… - borbottai sotto voce mentre mi massaggiavo la testa e Lilia correva di nuovo fuori la stanza sbattendo dietro di se’ la porta.
Crollai di nuovo a letto stropicciandomi la faccia con le mani e sospirando esasperata.
Era, ma non dovevi punire i miei fratelli? No, sai perché in realtà ci rimetto sempre e solo io!
Sentì la porta aprirsi piano, e aspettai che Lucas mi saltasse addosso come faceva tutte le mattine per svegliarmi, invece sentì una mano scostarmi le mie dal viso e subito dopo ricevetti un dolce bacio sulla fronte.
Aprì gli occhi e trovai gli occhi grigi di mia madre, gemelli ai miei, che mi sorridevano, io le sorrisi a mia volta, poi alzai le braccia e le abbracciai il collo mentre lei mi tirava su facendomi sedere e mi stringeva. Infilai la testa nei suoi capelli d’orati e inspirai il suo dolce profumo, godendo del calore che emanava il suo corpo, sperai che quel momento non finisse mai.
Mia madre mi allontanò da sé e mi diede ancora un bacio sulla fronte sempre sorridendomi dolcemente -  Buongiorno  - mi disse scostandomi una ciocca di capelli dal viso
-  ‘giorno  - le risposi soltanto.
Lei mi sorrise  e poi si alzò -  dormito bene? - mi chiese mentre si avvicinava alla mia scrivania e prendeva dei vestiti poggiati alla rinfusa sullo schienale della sedia
- abbastanza - le dissi alzandomi e infilandomi le ciabatte
Lei mi sorrise con in braccio la roba sporca - la colazione è quasi pronta, ti aspettiamo di là - mi disse prima di uscire chiudendosi la porta alle spalle.
Sospirai, poi andai all’armadio e tirai fuori dei vestiti da mettermi. Jeans blu scuro, maglietta verde a fiorellini rosa, scarpe da ginnastica e una felpa nera con il cappuccio.
Mi infilai tutto e poi andai in cucina -  Buon giorno  - salutai, come al solito l’unico a rispondere al saluto fu mio padre, che smise di bere il caffè e mi si avvicinò -  Buon giorno piccolina - e mi lasciò anche lui un bacio sulla fronte, sorrisi un po’ rasserenata, poi mi girai verso i miei fratelli che si stavano letteralmente menando per una frittella blu.
- Buongiorno anche a te Aibileen, dormito bene? Noi si, e siamo pronti a rovinare la tua esistenza - sussurrai tra me e me mentre mi andavo a sedere a tavola, il più distante possibile dai due gemelli, e mi assicuravo la mia frittella blu e il mio latte con cioccolato.
E la mattina continuò come tutte le altre, ormai anticipavo le battute. Mia madre entrava in cucina, gridava ai miei fratelli di smetterla di litigare, loro non la ascoltavano, allora lei si avvicinava e sbatteva le mani sul tavolo davanti a loro, io prontamente immobilizzavo il bicchiere col latte in modo che non si rovesciasse, poi lei iniziava a sgridarli, loro si separavano, si dividevano la frittella, abbassavano il capo e dicevano in coro un - scusa mamma - con finta contrizione, lei gli faceva ancora una ramanzina e io nel frattempo finivo di fare colazione e andavo in bagno per finirmi di preparare.
Nonostante il puro caos che regnava in casa nostra la mattina, alle sette e mezzo eravamo tutti e tre pronti e ci ritrovammo davanti alla porta di casa.
I miei fratelli ridevano e scherzavano tra di loro spintonandosi leggermente, già con le tracolle in spalla, Lilia rigorosamente vestita con ogni tonalità di blu possibile addosso, e Lucas con addosso la felpa della scuola, bianca e nera, con ricamato sul taschino il simbolo della scuola.
Io mi ero caricata il mio zaino sulle spalle dopo essermi per bene legata i capelli in un coda alta, mi misi vicino a loro, si girarono all’unisono con sguardo famelico del tipo ora-te-ne-facciamo-una, ma per grazia divina i nostri genitori arrivarono e loro due sfoderarono i loro più innocenti sorrisi.
- Preso tutto? - chiese mia madre, la solita domanda di routine.
- si mamma! - le risposero i gemelli in coro con voce squillante
- si, mamma - le risposi io poco dopo a voce più bassa
- bene, allora andiamo -
Mia madre si fece avanti e aprì la porta, mentre invece mio padre rimaneva dietro di noi. Quando eravamo più piccoli, i miei fratelli avevano la mania di scattare in avanti e gettarsi in strada appena la porta si apriva, così mia madre apriva la porta mentre mio padre li teneva per mano come se fossero al guinzaglio e li portava sino alla macchina mettendoli sui seggiolini, aiutato da mia madre, io aspettavo nell’atrio che lei tornasse indietro a prendermi, allora le davo la mano e toccava a me essere messa nel seggiolino, poi saliva anche lei in macchina e iniziava il viaggio da incubo.
Ora i miei fratelli continuavano a gettarsi in strada, ma con meno foga e aspettavano mio padre alla macchina che usciva insieme a loro aprendola e facendoli salire, e io continuavo ad aspettare mia madre, non le prendevo più la mano, ma quei pochi metri da sole erano un momento per parlare.
Aspettai che chiudesse la porta e iniziasse a chiuderla a chiave -  oggi hai qualche compito? - mi chiese continuando a concentrarsi sulla serratura
- no, hanno detto che non ce ne fanno altri sino a domani, quando avremo gli esami finali - le spiegai mentre incominciavamo ad avvicinarci alla macchina
-  bene, così hai tempo di prepararti per bene, hai bisogno di un aiuto in qualcosa? - mi chiese dolcemente - no, ce la faccio mamma - la rassicurai
Sentimmo il clacson suonare, ci girammo verso l’auto e vedemmo Lilia sporta in avanti che ci faceva segno di avvicinarci perché era tardi, mentre mio fratello era accasciato sul sedile posteriore con le cuffiette nelle orecchie e ci guardava abbastanza scocciato.
Mia madre sospirò, poi accelerò il passo e raggiunse l’auto, dimenticandosi di me, sospirai e raggiunsi anch’io la macchina, come al solito mi toccava il posto esterno che dava sulla strada.
Aggirai la macchina, constatai che non arrivassero macchine e salì in auto chiudendomi dietro la portiera, mi allacciai la cintura e poi mio padre fece manovra per uscire dal parcheggio.
Fortunatamente i viaggi in macchina erano migliorati, Lucas li passava con le cuffiette nelle orecchie, Lilia li passava parlando animatamente con mia madre o mio padre e io  mi concentravo sul mondo che passava fuori dal finestrino della nostra auto.
Sospirai, e scivolai un po’ sul sedile stringendo la borsa poggiata sulle ginocchia con le mani. Mia sorella stava cercando di convincere mia madre a fare una super festa per il loro compleanno, che per altro è a fine Settembre, ma mia sorella ha l’abitudine di portarsi avanti, e come al solito mia madre continuava a ripeterle che ne avrebbero parlato quando sarebbero tornati dal campo e che adesso non era il momento visto che era Giugno, e che il mio compleanno era passato da poco.
Aspetta, cosa centra adesso il mio compleanno? Mi feci attenta.
Dovete sapere che io dovevo nascere a Maggio, ma per colpa di un attacco improvviso di un mostro, mia madre entrò in travaglio due mesi prima e così nacqui a Marzo.
Il mio compleanno era stato tre mesi prima, solita festicciola in casa con la mia famiglia, zio Tyson, zio Grover, anche se non è proprio nostro zio, e i nonni, quelli mortali, quelli divini mi mandano sempre un biglietto di auguri.
Nonna Sally mi aveva fatto la torta, della quale come al solito ero riuscita a prenderne solo una fetta visto la fame famelica dei miei fratelli, poi avevo aperto i regali e con quello la festa era finita.
Ora che ci penso è stato un compleanno piuttosto bello, i gemelli sono stati bravi, mi hanno persino fatto un regalo carino e non mi hanno teso nessuna imboscata, non come al mio settimo compleanno che mentre spegnevo le candeline Lucas mi aveva spinto ed ero finita con l’intera faccia dentro la torta, ma questa è un’altra storia.
Lilia guardò mia madre perplessa - e cosa centra ora il compleanno di Aibi? - chiese
Mia madre mi lanciò un occhiata e io feci finta di essere assorta a guardare fuori dal finestrino, poi si rivolse di nuovo verso mia sorella - sai benissimo cosa centra il compleanno di tua sorella, e ora chiudiamo l’argomento “festa di compleanno” sino a fine Agosto - le disse girandosi di nuovo verso la strada. Lilia sbuffò e si lasciò cadere sul sedile imbronciata e con le braccia strette al petto.
Dopo altri venti minuti di viaggio arrivammo davanti alla scuola, una scuola normale, di ragazzini normali e non per ragazzi “speciali”, con l’unica caratteristica di essere gestita da un figlio di Ermes.
I gemelli si fiondarono subito fuori dalla macchina e raggiunsero i loro gruppetti di amici, Lucas che salutava la sua combriccola con pacche sulle spalle e dandosi il cinque, e Lilia che invece salutava le sue amiche scambiandosi baci sulle guance.
Contro ogni aspettativa dei nostri genitori, i miei  fratelli erano riusciti a rimanere nella stessa scuola per ben cinque anni di fila e l’anno successivo si sarebbero diplomati, dopo di che se ne sarebbero finalmente andati da casa, non mi importava se fossero andati a vivere al campo mezzo sangue o in qualche Università, l’importante è che mi avrebbero lasciato vivere in pace il resto della mia esistenza.
Quello per me, invece, era il mio primo anno e per ora me l’ero cavata abbastanza bene. Avevo tutte le materie, non ho amici e penso che a parte i miei fratelli, nessuno sappia della mia presenza nella scuola, quindi si, me la sto cavando veramente bene.
Sganciai la cintura e mi gettai lo zaino in spalla - Buona giornata - dissi sporgendomi tra i due sedili e lasciando un bacio prima sulla guancia di mio padre e poi su quella di mia madre - anche a te piccola, e fai la brava - mi raccomandò mio padre.
Scesi e li salutai con una mano sorridendo, loro mi salutarono e poi andarono via. Sospirai e cancellai il sorriso dalla faccia, mi voltai e salì le scale che portavano all’entrata superando i gruppetti di ragazzi che parlavano tra di loro, andai dritta all’armadietto e presi i libri e i quaderni per le prime ore.
 
Alle tre in punto la campanella suonò, il professore di Matematica ci diede gli ultimi accorgimenti per poter fare i compiti a casa e poi ci riversammo tutti fuori dall’aula.
Mentre i miei compagni correvano come matti per poter prendere le loro cose e poi scappare via dalla scuola, io me la presi più comoda.
Dopo aver preso tutti i libri, salì come al solito al piano di sopra dove vi era la classe di letteratura, l’ultima ora dei miei fratelli, e li aspettai sull’uscio.
Quando mi videro accelerarono il passo e mi si piazzarono davanti dopo aver chiesto scusa ai loro amici per dover un attimo assentarsi:
- Che c’è? - mi chiesero in coro abbastanza scocciati
-  Torniamo a casa insieme? - chiesi mentre giocherellavo con le cinghie del mio zaino
- No Aibi, oggi io ho allenamento di basket e Lilia di nuoto, quindi non torniamo a casa con te - mi rispose sbrigativo mio fratello
- D’accordo, allora ci vediamo a casa - conclusi, girai sui talloni e mi allontanai mentre li sentivo tornare dai loro amici ridendo e parlandomi alle spalle, non ci feci caso, era normale.
Uscì da scuola e mi diressi alla metropolitana, alla mamma non piaceva molto che andassi in giro da sola a dodici anni, ma io non avevo voglia di rimanere a scuola solo per aspettare i miei fratelli e vederli elogiati dai loro compagni di squadra mentre Lucas faceva un canestro dopo l’altro e Lilia batteva i record in vasca, quindi preferivo tornarmene a casa da sola, chiusa nei miei pensieri.
In mezz’ora arrivai davanti al portone di casa, tirai fuori le chiavi dallo zaino e aprì la porta, tre giri, ero da sola in casa.
Mia madre è un architetto e lavora tutta la settimana a parte il Sabato e la Domenica e il Martedì che lavora solo la mattina, mentre mio padre, invece, lavora nella guardia costiera, torna a casa la sera, e ha il week-end libero.
Mi chiusi la porta alle spalle e andai in camera, gettai lo zaino sul letto e poi mi levai le scarpe buttandole alla rinfusa sul pavimento, mi concessi dieci minuti di televisione insieme a qualche biscotto per fare merenda, dopo di che mi misi a fare i compiti e a studiare.
Finiti i compiti di matematica, un supplizio, ma alla fine erano fatti, presi il libro di scienze e mi sedetti sul letto radunando tutta la buona volontà che possedevo e iniziai a studiare.
Devo premettere che io adoro, e sottolineo, adoro la scienza, se potessi respirerei e mangerei scienza, solo che con la mia dislessia, più vado avanti negli studi più le parole si complicano, di conseguenza meno riesco a leggerle essendo dislessica.
Iniziai a leggere, le prime parole passarono veloci e le lessi senza problemi, l’argomento mi interessava si parlava di cellule Eucariotiche e Procariotiche, divisioni cellullari, insomma roba divertente, ma poi arrivarono le parole lunghe e iniziai ad avere dei seri problemi.
La prima parola che iniziò a muoversi sulla pagina stampata fu “nucleolo”, chiusi e riaprì gli occhi un paio di volte cercando di far smettere di muovere le lettere e poi riuscì a decifrarla.
Continuai a lottare contro il libro, non avrebbe vinto lui avrei finito di leggere quel stramaledettissimo capitolo!
Arrivai ad una parola e mi bloccai, il capitolo parlava della cellula Eucariotica, ero riuscita a superare quasi indenne la descrizione del nucleo, ora proseguiva con la descrizione del citoplasma e degli organuli citoplasmatici, ci misi cinque minuti buoni per capire che vi era scritto “citoplasmatici”, e ora non riuscivo a leggere uno stramaledettissimo nome.
Chiusi e aprì gli occhi per far smettere di far girare le lettere, allontanai e avvicinai il libro, ma niente non riuscivo a leggere la parola perché ero sicura che “sissoiglimo” non fosse la parola giusta.
La mia attenzione fu attirata dal rumore della chiave che girava nella toppa, e poi con mio grande sollievo riconobbi la voce di mia madre - ragazzi sono a casa - disse entrando e chiudendo la porta - ci sono solo io - le risposi lasciando per un attimo stare la lettura.
Mia madre spuntò dalla porta sorridente  -  come mai già a  casa? - le chiesi felice di vederla
-  ho finito prima - mi rispose, io annuì poi lei andò via, andando in camera per cambiarsi mentre io mi focalizzavo di nuovo sulla parola.
Presi una matita rossa e la circondai per  delimitarla e far si che le lettere non si mischiassero con quelle di altre parole e mi concentrai.
Mia madre mi vide con la fronte corrucciata, e lo sguardo fisso in un punto su un foglio, si avvicinò silenziosa e mi si sedette accanto sul letto, io spostai solo un secondo per osservarla  e poi tornai sulla causa della mia pena.
- c’è scritto “gliossisomi”  - mi disse indicando la parola.
Le lettere si ricomposero e finalmente apparve chiaro “gliossisomi”, sospirai e abbassai il libro sconsolata - da quanto ci stavi sopra? - mi chiese guardandomi
- boh, penso mezzora ormai - le dissi abbastanza giù di morale, poi rialzai il libro e ripresi a leggere “ gliossisomi: sono analoghi hai sissomepri”.
No, direi che non ci poteva essere scritto “sissomepri”.
Mi girai verso mia madre e la guardai -  questa riesci a leggerla? - le chiesi indicando la parola
-  Perossisomi - mi rispose senza alcuna difficoltà
Sospirai -  sicura di essere dislessica mamma? dico sul serio - le dissi fissandola
Lei rise e mi abbracciò dandomi un bacio su una tempia - sai che io ho dei problemi quando devo dire le parole, a leggere ci riesco sicuramente meglio di tuo padre - mi ricordò continuandomi a stringere, poggiò la testa sulla mia e poi mi fece abbassare il libro - perché non ti prendi un po’ di pausa? Sai che se ti stanchi gli occhi è peggio - mi ricordò
- lo so’, lo so’… - la rassicurai
- se proprio non vuoi smettere prova con gli occhiali - mi raccomandò.
Scossi la testa e mi poggiai sulla sua spalla lasciandomi stringere, mi lasciai scappare un sospiro
- è successo qualcosa oggi a scuola? - mi chiese accarezzandomi i capelli e dandomi un bacio sulla testa - no, il solito - le risposi
-  sei tornata a casa da sola… - constatò
- avevano allenamento  - le risposi lapidaria e stringendomi di più a lei
-  Aibi…  - mi disse sospirando e stringendomi -  perché non provi a stare un po’ con i tuoi compagni? - mi chiese continuando ad accarezzarmi i capelli
-  perché… mi sento… diversa da loro - le confessai guardandola negli occhi.
Lei mi sorrise  e mi accarezzò un braccio -  e invece sei molto simile a loro, pensa invece ai tuoi fratelli che nonostante tutto sono riusciti ad integrarsi - mi ricordò
Abbassai lo sguardo in modo che non potesse vedere la delusione che mi apparve sul viso, ecco la solita solfa pensa ai tuoi fratelli Aibileen, loro sono semidei e si sono integrati molto bene, anche tu devi farlo, tu sei mortale quindi devi riuscirci, sempre messa a confronto con i gemelli, tutti quelli che ci vedevano mi mettono sul loro stesso piano e appena li conoscono un po’ di più, ecco che io finisco a sorreggere il piedistallo dei miei fratelli.
- si mamma… - le risposi poco convinta, poi mi alzai allontanandomi dal suo abbraccio, sentì mia madre sospirare, poi si alzò e mi venne vicino mentre io facevo finta di mettere apposto il libro, mi strinse le spalle e mi diede un altro bacio sulla testa -  sarai simile agli altri, ma per me rimani sempre unica - mi sussurrò. Mi girai verso di lei per guardarla, davvero aveva veramente detto che per lei ero unica?
- mamma io non sono Lilia… - le dissi, mia madre scoppiò a ridere e scosse la testa
- lo so’ Aibileen, credi che non riesca a distinguere le mie due bambine? - mi ricordò, poi mi prese in braccio e mi scoccò un bacio sul naso - ora la smetti di studiare e vieni con me - mi disse mentre mi portava fuori dalla camera
- ma domani ho gli esami e poi… cosa vuoi fare? - le chiesi guardandola dubbiosa
-  mi aiuti a fare una torta per papà e i tuoi fratelli - mi disse posandomi a terra vicino ai fornelli
- quindi la facciamo blu? - le chiesi
Lei rise - quindi la facciamo blu -
 
La sveglia trilla, e al contrario di ieri scatto in piedi, sveglia.
Oggi è il sei di Giugno, ultimo giorno di scuola, primo giorno di vacanze.
Mi alzo dal letto mi infilo jeans e maglietta, non ho voglia di aspettare che venga qualcuno a svegliarmi, manca poco alla mia libertà.
-  Sveglia, sveglia piccola… - mia sorella invade camera mia come al solito, ma quando mi vede sveglia rimane delusa e non fa niente per mascherarlo - sei sveglia… - l’ho veramente delusa
- Si, sono sveglia, ora andiamo dobbiamo fare colazione - le dissi sorpassandola senza darle il tempo di darmi lo scappellotto e il bacio mattutino.
La sera prima, dopo cena, mamma e papà avevano aiutato i gemelli a preparare i borsoni con le cose per il campo mezzo sangue, ricambi, armi insomma tutto quello che gli sarebbe potuto servire in quei tre mesi, allo stesso modo io preparavo la mia valigia per andare a Montauk.
La torta che avevamo fatto io e la mamma aveva riscosso successo, papà ne era stato entusiasta e aveva passato circa dieci minuti a stritolarmi dicendomi che era la torta migliore che avesse mai mangiato, in quel momento la faccia dei miei fratelli era di pura invidia, e in quel momento avevo sperato ardentemente che avessero capito come mi sentivo io tutti i santi giorni, ma era un sogno impossibile.
In ogni caso adesso mi dirigevo verso la cucina a passo svelto, con un sorriso sulla faccia - siamo allegre sta mattina - mi disse mio padre vedendomi entrare in cucina e sedendomi a tavola sorridente - si, oggi è l’ultimo giorno di scuola - gli ricordai
Mio padre mi mise davanti il sacchetto di biscotti e il bicchiere di latte e cioccolato e mi lasciò un bacio sulla testa - anch’io ero così allegro l’ultimo giorno di scuola da bambino - mi confessò
- perché potevi rivedere la mamma? - gli chiesi, mio padre arrossì sino all’inverosimile e poi scosse la testa - ma no… alla tua età io e la mamma eravamo solo amici - mi ricordò per poi concentrarsi un po’ troppo sul suo caffè.  
Io risi sotto voce e poi continuai a fare colazione tranquilla, dopo qualche minuto arrivarono i miei fratelli che parlavano tra di loro fitto fitto, a volte pensavo che avessero una loro lingua segreta.
Mi guardarono sorpresi e curiosi allo stesso tempo di capire come mai fossi così felice quella mattina, avevo quasi voglia di canticchiare.
- come mai sei così felice Aibi? - mi chiese mio fratello sedendosi alla mia destra mentre Lilia si sedeva alla mia sinistra
- perché è l’ultimo giorno di scuola - gli risposi dando un morso ad un biscotto
- davvero… solo per questo? - mi chiese ancora
- certo! - gli risposi con una sicurezza innaturale per me
-  e smetti l’interrogatorio Lucas! Anche io sono felice che sia l’ultimo giorno di scuola! - gli ricordò la gemella, poi mi prese e mi strinse in un abbraccio che si concluse con una sfregata amorevole della mia testa contro il suo pugno, mi venne da ridere.
Lucas scosse il capo e poi si concentrò sulla sua colazione, mentre anche io e Lilia riprendevamo la nostra colazione.
Anche se era l’ultimo giorno di scuola, come ogni mattina alle sette e mezzo eravamo davanti alla porta, tutti e tre pronti ad uscire, i miei genitori arrivarono parlando tra di loro animatamente come se non si fossero accorti che anche noi eravamo lì.
-  Hai sentito cosa ha detto! -  disse nostro padre a nostra madre sussurrando ma comunque abbastanza irritato -  si, e ti dico che è il posto più sicuro, lo sai benissimo - gli rispose mia madre a tono
-  Annabeth, ragiona! - le disse gesticolando e infervorandosi
Mia madre diventò rossa per la rabbia, mai dire alla figlia della Dea della saggezza di ragionare
- Ora smettila Testa d’Alghe! Ne riparliamo dopo! -
Qualcosa non andava, i nostri genitori si chiamavano con i loro soprannomi solo in due casi:
Il primo, e quello più frequente, era quando erano in vena “amorosa” si abbracciavano e poi seguiva sempre un bacio appassionato che noi ci guardavamo bene dall’osservare.
Il secondo caso, cioè quello appena avvenuto, era quando litigavano, ma non una lite qualunque, una lite di quelle grosse, di cui bisogna preoccuparsi.
Mi girai verso i miei fratelli che a loro volta mi stavano guardando, Lucas mi fissò serio e poi sillabò “ non-una-parola” e fece segno con due dita di chiudere una cerniera immaginaria sulla sua bocca. Io annuì e poi ci girammo sorridenti verso i nostri genitori che adesso erano davanti a noi
-  preso tutto? - chiese nostra madre fingendo un tono allegro e tranquillo
-  si mamma! - le rispondemmo in coro anche noi stampandoci in faccia un sorriso a pieni denti.
Uscimmo di casa tutti e tre insieme, sapevo che se fossi rimasta sola con mia madre, come tutte le mattine, non ce l’avrei fatta a non chiederle cosa ci fosse che non andava, era un mio difetto, io dovevo aiutare tutti.
Salì in macchina, al solito posto verso la strada, nostro padre aveva aperto l’auto ma con il comando a distanza, ed era rimasto sulla porta a parlare animatamente con nostra madre.
Da lì non riuscivamo a sentirli ma doveva essere una cosa davvero molto importante per protrarsi anche fuori da casa e soprattutto davanti a noi
-  secondo voi per cosa litigano? - chiesi all’improvviso senza riuscire a trattenermi oltre
-  non lo so’ Aibi, ma vedrai che risolveranno - mi rassicurò Lilia sorridendomi dolcemente.
D’accordo, possono avermi fatto di tutto, ma rimaniamo pur sempre fratelli, e quando succede qualcosa di grave loro ci sono sempre stati, come quando loro avevano dodici anni ed io otto, i nostri genitori si erano messi ad urlarsi contro in casa perché un mostro aveva attaccato la scuola cercando Lilia e Lucas, e ci era mancato poco che ci finissi di mezzo anche io.
Appena avevano iniziato a litigare, loro si erano seduti di fianco a me, mi avevano messo le mani sulle orecchie e si erano messi a cantare a squarcia gola tutte le canzoni che gli avevano insegnato al campo in quegli anni, all’inizio avevo pensato che fosse un nuovo tipo di gioco inventato per torturarmi, ma poi avevo capito. Ora che ci penso non li ho mai ringraziati.
Io le sorrisi un po’ rassicurata, anche se la mia faccia diceva tutt’altro.
I nostri genitori arrivarono e salirono in macchina, il viaggio fu molto, molto lungo e silenzioso, si poteva vedere la tensione tra i miei genitori.
Arrivati a scuola, stavamo per scendere quando nostro padre ci fermò, lo guardammo sorpresi
-  oggi pomeriggio tornate a casa insieme - ci disse serio
-  ma… ma non venite a prenderci per andare al campo… perché ci andiamo, vero? - chiese Lilia sorpresa e preoccupata.
Facevamo così tutti gli anni, loro tornavano a casa, prendevano le valigie poi ci venivano a prendere a scuola, dopo di che portavamo i gemelli al campo, un saluto veloce e poi partivamo per Montauk, perché invece adesso dovevamo tornare a casa?
Nostro padre stava per parlare quando nostra madre lo fermò, si girò verso di noi e ci sorrise, si vedeva lontano un miglio che era un sorriso finto:
-  certo che ci andrete! Ma io non riesco ad uscire prima dal lavoro, quindi ci vediamo tutti a casa - ci spiegò continuando a sorriderci
-  d’accordo…  - le risposero i gemelli e poi scesero dalla macchina raggiungendo i loro amici.
Mentre stavo per scendere vidi mia madre tirare una gomitata a mio padre e guardarlo con aria truce -  mamma… papà…  - chiesi prima di scendere
Loro si riscossero, probabilmente pensavano che fossi già scesa -  dicci tesoro - mi disse mia madre continuando a tenere quel tono di finta allegria
-  ma… noi ci andiamo a Montauk? - gli chiesi titubante
-  certo che ci andiamo piccolina, ma cosa ti viene in mente! - mi rispose mio padre sorridendo, lui invece era sincero -  d’accordo, allora a dopo - li salutai con il consueto bacio sulla guancia e poi scesi dall’auto ed entrai subito nell’edificio continuando a pensare a tutto quello  che era successo quella mattina.
Scossi il capo con forza, e strinsi gli occhi pensaci dopo Aibi, ora hai cose più importanti a cui pensare! mi ricordò la mia coscienza.
Mi fermai all’improvviso e impallidì leggendo un cartellone colorato appeso alla parete.
Si, avevo cose più importanti a cui pensare, oggi era il giorno degli esami di fine anno, e se non volevo ripetere la prima media, dovevo passarli tutti.
 
La giornata sembrò durare anni invece che le solite sette ore.
La campanella delle tre suonò, tutti i ragazzi uscirono dalla scuola gridando e lanciando fogli per aria. Io non ero in vena di festeggiamenti, gli esami erano andati bene, ma finita quella preoccupazione, era tornata quella della litigata dei miei genitori.
Presi tutta la roba dal mio armadietto e poi uscì sulle scale davanti al portone dell’edificio dove ci eravamo dati appuntamento con i gemelli, li trovai che mi aspettano, Lucas corrucciato e Lilia leggermente preoccupata, ma appena mi vide mi sorrise.
-  Allora piccola mortale, come ti è andata? - mi chiese cingendomi con un braccio per le spalle
- penso di essere riuscita a passare l’anno - le risposi sorridendole mentre scendevamo le scale, Lucas che ci precedeva - brava sorellina! - mi disse dandomi una pacca sulla schiena.
Io le sorrisi, poi raggiungemmo Lucas e andammo a prendere la metropolitana.
Mi sorpresi a parlare con mia sorella per tutto il viaggio verso casa, da quando a Lilia importava qualcosa della sua sorellina?
Lucas ci ascoltava e ci guardava sorridendo, seduto nel sedile davanti a noi e ogni tanto scuoteva la testa.
Mancava una fermata a casa nostra, ad un certo punto Lucas si alzò avvicinandosi a noi e diede un leggero colpo a mia sorella indicandole col capo il fondo del vagone, ci girammo entrambe e vedemmo quello che preoccupava nostro fratello.
Infondo al vagone c’era un uomo che faceva finta di leggere il giornale, dico finta perché si vedeva chiaramente che stava osservando noi, o almeno i miei fratelli.
- quando arriviamo alla fermata, scendete all’ultimo, almeno non rischiamo che ci segua - ci sussurrò.
Il treno si fermò sferragliando sui binari, le persone si assieparono all’uscita, noi rimanemmo seduti, mentre l’uomo ci osservava, poi quando l’ultima persona stava salendo, ci alzammo di scatto e scendemmo tutti e tre insieme, mentre le porte si richiudevano alle nostre spalle e l’uomo alzava lo sguardo dal giornale stordito, mentre il treno ripartiva.
I gemelli risero e si batterono il cinque, era da nove anni che facevano quella vita, io invece non mi ci ero ancora abituata.
Salimmo in superficie e andammo a casa, quando Lilia aprì la porta, girò la chiave solo una volta, e ci accolsero le voci dei nostri genitori - siamo a casa! - gridò Lucas
Vendemmo arrivare nostro padre che ci sorrideva - eccovi finalmente, allora, posate gli zaini che partiamo - ci disse chiudendo la porta alle nostre spalle
- evviva! - i miei fratelli corsero in camera loro a cambiarsi
- allora, com’è andata? - mi chiese mio padre cingendomi le spalle e sorridendomi
- bene, credo di avercela fatta - gli dissi fiera
- brava la mia piccolina - mi diede un bacio sulla fronte e poi mi diede una leggera pacca sul sedere - ora vai a cambiarti così partiamo - mi disse
- e la mamma? - gli chiesi cercandola con lo sguardo
- sta finendo di prendere alcune cose, ma è pronta anche lei - mi rassicurò
Andai in camera mia, posai la cartella e presi la mia borsa, ricontrollai di aver preso tutto e aggiunsi le ultime cose, poi uscì e andai in sala aspettando gli altri.
I miei fratelli mi raggiunsero dieci minuti dopo, con i loro borsoni in spalla, e la loro collana con le nove perle dei nove anni che avevano passato al campo.
I nostri genitori ci raggiunsero sorridendoci, anche mia madre sorrideva sincera, sembrava che la litigata della mattina fosse lontana.
- allora, Lilia Lucas avete preso tutto quello che vi serve per il campo? - chiese guardando i borsoni
- certo mamma, tutto quello che ci hai detto di portare - la rassicurarono sorridenti
Lei annuì e poi guardò me -  tu Aibi? Preso tutto? - mi chiese
Annuì con vigore - bene! Allora andiamo! - concluse nostro padre, tutti e tre corremmo fuori di casa fiondandoci alla macchina, nostro padre ci rincorse per aprire la macchina, noi gettammo le valigie nel bagagliaio, per poi fiondarci sul sedile posteriore.
I nostri genitori fecero ancora un giro della casa chiudendo acqua e corrente elettrica, poi uscirono, mia madre chiuse la porta e salirono in macchina.
Come tutti gli anni, quando finalmente partimmo, i miei fratelli esultarono, nonostante avessero sedici anni non li dimostravano per niente.
I miei genitori risero, io invece mi accasciai sul sedile e mi lasciai sfuggire un lamento, dovevo resistere, mancava meno di un giorno alla mia libertà, o almeno così pensavo.


Ed ecco qui il primo capitolo, cosa ne pensate?
Mi raccomando recensite e ditemi dove posso migliorare e la vostra opinione sulla storia, critiche e consigli sono sempre bene accetti :)
Non so' tra quanto pubblicherò il secondo capitolo, spero presto.
Direi che non c'è altro per ora, spero che il capitolo vi sia piaciuto, a presto
Un bacio e un abbraccio,
Darkness_Angel
  
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