CAPITOLO
QUARANTASEI
“E
dai su, non fare il difficile!”
Jolie
alzò gli occhi al cielo sospirando
pesantemente e lasciò cadere il cucchiaio nel piatto facendo
schizzare un po’
di minestra sulle lenzuola bianche. Se non fosse stato in punto di
morte,
l’avrebbe preso a pugni molto volentieri. E invece le toccava
sorbirsi un
JamesRemus capriccioso senza opporre resistenza e che, oltretutto, la
guardava
con un sorrisetto sfrontato come per dire “Ahaha, questa
volta ho vinto io”.
Nemmeno quando stava male se lo poteva togliere. Ma cosa avevano
mangiato i
suoi genitori quando l’avevano concepito? Conoscendo Martha e
Sirius qualcosa
di pesante, sicuramente.
“Ma
sono ferito!”
La
ragazza brontolò qualcosa di incomprensibile e,
riempito il cucchiaio di minestra, lo infilò in bocca al
ragazzo che quasi si
strozzò. “Ehi, vacci piano!” si
lamentò questi.
“Hai
chiesto di farti imboccare, adesso non ti
lamentare”.
“Sì,
ma non essere violenta. Anche se so che ti è
difficile”.
“Non
mi provocare. Sono armata”.
“Non
vedo la tua bacchetta”.
“Non
mi serve una bacchetta. Ho un cucchiaio. E un
piatto. E della minestra calda”.
James
decise che era meglio non continuare a
controbattere e si lasciò imboccare senza più
aprire bocca, eccetto che per
accogliere il cibo. Era ben consapevole che l’amica sarebbe
stata in grado di
mettere in atto le sue minacce. Non minacciava mai a caso.
Jolie, seduta sul bordo del letto, si chiedeva intanto come fosse
capitata in
quella situazione. Emmie l’aveva fatto apposta, a mandarla
lì a portare la
minestra al ragazzo. Sembrava tanto innocente e santarellina, ma in
realtà ne
pensava una più del diavolo. A volte era persino peggio di
James e John messi
insieme.
“Chi
l’ha fatta?” chiese ad un tratto il moro.
“La
minestra, intendo”.
“La
Signora Weasley”, gli rispose inespressiva la
ragazza, dandogli un altro sorso di minestra. James lo
trangugiò a fatica.
Jolie poteva anche non credergli, ma davvero non se la sentiva di
mangiare da
solo. Gli tremavano le braccia se solo le alzava e reggere un piatto
caldo non
gli sembrava una buona idea. Oltretutto gli costava fatica persino
stare seduto
con la schiena appoggiata ai cuscini.
“Devo
vomitare”.
“Cosa?”
“Devo
vomit…”. Il moro non fece in tempo a
concludere la frase che un rigurgito gli risalì dalla bocca
dello stomaco e
tutta la minestra che aveva mandato giù fino a quel momento ritornò nel
piatto. Jolie infine gli passò un
fazzoletto perché si ripulisse. “Scusa”,
sospirò lui lanciandole un’occhiata
mortificata.
Lei gli sorrise rassicurante. “Non importa”.
Poggiò il piatto pieno di vomito
sul comodino e lo aiutò a ridistendersi sui cuscini. Infine
gli spostò i
capelli sudati dalla fronte mentre lui la guardava pieno di gratitudine
e col
petto che si alzava e si abbassava freneticamente nel tentativo di
incamerare
più aria possibile.
Martha,
che passava proprio in quel momento in
corridoio davanti alla stanza, lanciò un’occhiata
attraverso la porta
spalancata e restò a osservarli curiosa. “Tutto a
posto?” chiese.
“Sì”,
rispose velocemente Jolie con voce roca. Poi
si alzò dal letto e prese il piatto. “Vado a
portare questo in cucina”. E senza
voltarsi indietro uscì dalla stanza. Martha, invece,
entrò subito dopo che
l’altra se ne fu andata e, con passo silenzioso, si
avvicinò al letto del
malato e si sedette sul bordo dove poco prima c’era la rossa.
“Come
stai?” chiese al ragazzo gentilmente.
“Una
merda”, ridacchiò lui debolmente, scivolando
sui cuscini, gli occhi mezzi chiusi.
“Guarirai
presto. Sirius e gli altri torneranno
presto e porteranno la pianta”, cercò di
rassicurarlo.
“Basta
che tornino”.
La
donna, non sapendo che altro aggiungere per
essere di conforto, per quanto si può essere di conforto a
qualcuno che sta
morendo, iniziò a guardarsi attorno come per esplorare la
stanza. Notò una
chitarra poggiata contro il muro.
“Suoni
la chitarra?”
“Sì.
Si chiama Roxy”.
“Le
hai pure dato un nome! Anche io alla mia”.
“Lo
so”.
Martha
restò a osservarlo curiosa. Quel ragazzo la
incuriosiva, molto. Somigliava un po’ troppo a Sirius e aveva
certi
atteggiamenti che… e poi c’era questa strana
sensazione che non sapeva
descrivere ma era forte. Senza quasi rendersene conto gli prese una
mano tra le
proprie notando che la sua era molto fredda.
“Mi
nascondete un segreto. Tu e gli altri, intendo”,
disse ad un tratto fissandolo, in tono quasi freddo. Ma pensava che si
fosse
addormentato e che non l’avesse sentita, così
sobbalzò quando lo sentì
risponderle. “Può darsi”. Allora lo
sentì stringerle la mano ancora di più e
lei ricambiò la stretta. “Chi è tua
madre?”
Il
ragazzo si umettò le labbra prima di risponderle,
sempre con gli occhi chiusi. “Una donna bellissima e piena di
talento. Mi
cantava le ninna nanne prima di addormentarmi”.
“Le
somigli?”
James
piegò le labbra in un sorriso sghembo. “Dicono
che somiglio a mio padre”.
E
allora fu pervasa dal senso di consapevolezza. Martha
aveva finalmente avuto la risposta che cercava e, come in automatico,
la mano
libera da quella di James corse alla sua pancia e a quella piccola
sporgenza
che ancora non c’era.
“Dovresti
dargli un’altra possibilità. A
papà”,
mormorò il ragazzo ormai mezzo addormentato.
“Joeeeeeeel!”
John
era rimasto praticamente paralizzato sul posto
quando aveva visto l’amico sprofondare di sotto e non era
riuscito a fare
niente per evitarlo.
Sirius, rimasto con gli altri all’inizio del ponte, era corso
immediatamente
nella sua direzione, senza preoccuparsi
dell’instabilità del ponte. Harry fece
per seguirlo, ma il padre glielo impedì trattenendolo per
una spalla.
Solo
quando l’uomo lo ebbe raggiunto, Paciock sembrò
risvegliarsi e subito si inginocchiò per guardare attraverso
le assi crollate.
“Joel!”
esclamò John. Il ragazzo, penzoloni, si
reggeva con entrambe le mani a un’asse di ferro che era
rimasta attaccata ad un
chiodo.
“Grazie
a Merlino!” esclamò Sirius, le guance tutto
d’un colpo tornate del loro colore normale. Ora
però bisognava tirarlo su
perché quell’asse non avrebbe retto ancora a lungo
e, se fosse caduto nel fiume
turbinoso e gelido, non si sarebbe di certo salvato. “Dammi
la mano”, gli gridò
allungandogli il braccio destro.
Il ragazzo staccò la propria, pregando di riuscire a
reggersi con una mano
sola, e la allungò verso il padre. Solo che questi era
troppo in alto e non ci
arrivava. L’uomo provò ad allungarsi oltre il
bordo ma anche lui rischiava di
cadere.
“Prendiamo
la corda!” esclamò John mettendo a terra
lo zaino.
Joel,
però, trattenendo il respiro e raccogliendo il
coraggio, usò la trave di ferro come leva e si diede una
spinta verso sinistra
per riuscire a raggiungere la mano del padre.
L’afferrò al volo e lasciò cadere
l’unico appiglio che aveva e che si staccò
sprofondando di sotto.
Allora anche John si protese per prendergli l’altra mano e,
lui e Sirius,
riuscirono a tirarlo su non senza fatica.
Si ritrovarono tutti e tre stesi sul ponte col fiato grosso e i corpi
che
tremavano, un po’ per la fatica e un po’ per la
paura.
“Andiamocene”,
concluse infine Joel, rialzandosi.
Fecero segno agli altri di muoversi e, con molta più cautela
di prima,
raggiunsero l’altra parte del ponte.
Ted
camminava avanti e indietro per la stanza,
preoccupato e nervoso come forse non lo era mai stato. Emmie, seduta
sulla
poltrona, lo guardava quasi ipnotizzata.
“E
se non tornassero in tempo? E
se non tornassero affatto?”
Victoire
sospirò per l’ennesima volta. L’amico
non
aveva fatto altro che esprimere quelle ipotesi per tutto il giorno e
aveva
cominciato a diventare noioso. Oltretutto non sopportava sentirlo
parlare così.
Non lo sopportava nessuno.
Potevano capire che il ragazzo era un po’ pessimista e che
vedeva sempre il
bicchiere mezzo vuoto, però ora iniziava a superare il
limite. Teddy, dal canto
suo, invece, se la prendeva con gli altri perché credeva che
stessero
sottovalutando la cosa e che non la stessero affrontando nella maniera
giusta.
Però, accidenti… si trattava di James, del suo
migliore amico, di… della
persona a cui voleva più bene al mondo insieme alla sua
famiglia. Praticamente
per lui era quel fratello che non aveva mai avuto.
“Ti
vuoi dare una calmata, Teddy? Stai scavando un
buco nel pavimento”, gli fece notare Vicky, spostandosi una
ciocca di capelli
biondi sfuggita alla treccia.
Il
ragazzo però continuò la sua passeggiata come se
da ciò dipendesse la sua vita.
“Sapete
dov’è Ariel?” chiese la bionda.
“Non
lo so. Forse dai Weasley”, le rispose Emmie,
incrociando le gambe sulla poltrona.
“Uff…
sparisce sempre quando c’è qualche
problema”.
“E’
fatta così”.
Ted
in quel momento la capiva benissimo, anche lui
avrebbe voluto sparire, da un lato. Dall’altro,
però, sentiva la necessità di
stare lì, vicino a James. E poi, lui non era uno che
scappava di fronte ai
problemi.
Vicky,
ad un tratto, si allontanò dalla sua
posizione vicino al camino, si avvicinò al ragazzo e,
presolo per le spalle, lo
spinse verso la sedia più vicina. Non lo mollò
finché non ebbe annegato i
propri occhi in quelli dorati di lui. “Datti una calmata. Mi
stai facendo
venire mal di testa”. Ted restò a guardarla come
un cucciolo ferito. “Gli altri
torneranno presto e James starà bene”. Gli sorrise
dolcemente e il ragazzo si
sentì subito più confortato e le sue spalle si
rilassarono. Victoire gli faceva
sempre quell’effetto, il suo sorriso, le fossette sulle
guance che le
comparivano… quella ragazza aveva un potere su di lui che
nessun altro aveva. “E
adesso resta seduto lì che ti faccio una bella tazza di
tè”.
La bionda si allontanò ancheggiando per raggiungere il
fornello, mentre lo
sguardo di Ted la seguiva come attratto.
Vicky era bellissima, innegabilmente bellissima.
E
tu sei un fottuto licantropo, Ted.
“Hai
fame?”
Joel
quasi sobbalzò sentendo la voce del padre che
gli si era avvicinato da dietro. Doveva stare più attento,
non poteva distrarsi
così.
“No,
sono a posto”.
Sirius
gli si affiancò e rimase accanto a lui a
guardare le stelle che splendevano in cielo. “Quella
è la costellazione di
Orione”, indicò a un certo punto, puntando
l’indice verso un gruppo di stelle.
“Lo
so. Me l’hai insegnato quando ancora non sapevo
parlare”.
“Oh,
allora ho fatto qualcosa di utile”.
Joel
gli lanciò una strana occhiata e poi scoppiò a
ridere, seguito dal padre. “Sì, l’hai
fatto”.
“E
che altro ti ho insegnato?”
“Be’…
mi hai insegnato a volare. Sono più bravo di
James. E di Ariel. Ma lei soffre di vertigini per cui non
vale”.
Sirius
rimase in silenzio. Chissà come era stato per
loro, com’era stata la loro vita, com’era stato
come padre. Non vedeva l’ora di
scoprirlo e non vedeva l’ora di crescere quei ragazzi che,
certo, ne avevano
viste tante, però erano così…
così speciali.
Se una volta gli avessero detto che avrebbe avuto dei figli e che ne
sarebbe
stato felice… non ci avrebbe mai creduto e avrebbe preso per
pazza questa
persona.
“E
a loro cos’ho insegnato”.
Joel
si girò verso il padre e lo guardò con
espressione seria. “Non sono bravo coi sentimentalismi. A
quello ci pensa James”.
L’uomo
sorrise e gli
pose una mano sulla spalla. “D’accordo. Come vuoi.
Meglio se ora dormiamo. Domani
abbiamo ancora strada da fare”.
MILLY’S
SPACE
Sicuramente
vi siete chiesti che fine ha fatto Milly. Non
sono morta, tranquilli. Solo sono stata sommersa dai libri, dalla
scuola e da
tutte le altre cose che mi hanno tenuta parecchio impegnata. Chiedo
scusa.
Spero vi ricordiate ancora di questa storia.
Va
be’, non vi trattengo molto. Lasciatemi qualche
recensione e venitemi a visitare sulla mia pagina Face.
Un
bacione,
M.
PUFFOLA_LILY:
ehehe, piaciuta la scenetta tra JamesRemus e Jolie? Comunque, come hai
potuto
vedere, Joel si è salvato. Eh, mica potevo ucciderlo.
Comunque, scusami per il
ritardo, cercherò di non farlo più succedere.
Spero di risentirti ancora,
chissà se ti ricordi di me e di questa storia ^^ ahaha, un
bacione. M.