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Autore: TheShippinator    13/04/2014    6 recensioni
C'è questo muro, alla NYADA, chiamato La Tela Bianca. Lì puoi essere te stesso, lì puoi scrivere, disegnare e raccontarti. Blaine non pensava che ne avrebbe mai avuto bisogno, finchè non si ritrova con un pennarello in mano ed una rosa davanti. Ancora di più, Blaine non pensava che qualcuno avrebbe deciso di trasformare quella rosa in un bouquet.
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Blaine, Sebastian e Thad sono amici e coinquilini, a New York; Kurt, Santana e Rachel anche. Blaine e Kurt non si conoscono ancora, ma Santana farà di tutto per far sì che questa lacuna, nelle loro vite, venga colmata.
• Pairings: Thadastian, Dantana, Klaine •
• Quattro capitoli, già completati •
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Santana Lopez, Sebastian Smythe, Thad Harwood | Coppie: Blaine/Kurt, Sebastian/Thad
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciao a tutti!
Ringrazio chi ha recensito o ha inserito la storia tra le seguite/ricordate/preferite: vi adoro! Ci leggiamo a fine capitolo, fatemi sapere che cosa ne pensate!

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Kurt continuò a camminare, superando il disegno sul muro e raggiungendo la fine del corridoio, pronto a svoltare l’angolo e lasciarsi alle spalle quella strana proposta senza parole…

… solo che non poteva farlo, non per davvero.
Si fermò e chiuse gli occhi, teso come una corda di violino. Prese un profondo respiro, aggrottò le sopracciglia, ed espirò. Scosse piano la testa, mugolando sconfitto e facendo dietrofront. Una volta arrivato davanti al disegno, sulla parete, lasciò cadere a terra la propria borsa e ne estrasse in fretta il pennarello. Tolse il tappo e se lo infilò tra i denti, quindi appoggiò la mancina alla parete ed osservò nuovamente l’omino che porgeva i fiori.
Avrebbe trovato il modo di far capire che aveva accettato quel regalo… ma come?
Sollevò le sopracciglia, quando la consapevolezza lo colpì come un fulmine. Se aveva ricevuto quell’invito -quei fiori- tramite un omino disegnato sulla parete, allora sarebbe stato un omino disegnato sulla parete a riceverli.
Iniziò a disegnare, senza metterci troppa fretta, ma senza nemmeno perdere tempo. Ci mise almeno una ventina di minuti, marcando con insistenza le linee di contorno per nascondere le imperfezioni. Con accurata lentezza, poi, richiuse il pennarello, levandosi il tappo dai denti, e fece un paio di passi indietro. Ammirò quello che cominciava ad essere un blando murale pieno di imperfezioni, ma che ai suoi occhi sembrava meraviglioso. L’omino che aveva disegnato lui era, come quello verde, privo di elementi che ne determinassero i tratti del volto. L’unica particolarità era il naso, che anche lui aveva fatto, anche se forse l’aveva arrotondato un po’ troppo. Aggrottò le sopracciglia, quando si accorse di aver disegnato un omino più basso dell’altro, ma non aveva importanza: forse l’altra persona era più alta di lui!
L’omino rosso era girato di fianco, rivolto verso l’omino verde. Il suo braccio destro era piegato dietro la schiena (Kurt aveva semplicemente pensato che sarebbe stato troppo complicato, per lui, disegnare un bicipite decente, quindi aveva preferito nascondere la sua incapacità facendo piegare, alla sua creazione, il braccio dietro alla schiena), il sinistro, invece, era teso verso quei fiori. Non aveva fatto sì che la mano rossa li stringesse a sua volta, l’aveva solo protesa verso di loro. Non sapeva se poteva fidarsi del tutto, di questa storia, ma forse poteva provarci. Forse poteva accettare l’invito, se l’altra persona gli avesse dato altre informazioni, altri indizi, se gli avesse lanciato altre sfide.
S’infilò il pennarello rosso in tasca, quindi ne estrasse il cellulare. Fece una foto al disegno, quindi aprì la conversazione dei messaggi di Rachel.
Digitò in fretta sul touch screen, per poi allegare la foto appena fatta ed attendere il caricamento. Una volta spedito il messaggio, raccolse la propria borsa e si affrettò ad allontanarsi, lanciando un’ultima occhiata alla parete.
Cellulare alla mano e conversazione di Santana aperta, Kurt si affrettò a scrivere anche a lei, raggiungendo la biblioteca un po’ a memoria, troppo impegnato a scambiarsi messaggi con quelle traditrici appendinfaccia che sarebbero dovute essere sue amiche.

Da Kurt a Rachel
(8:02)
Ho risposto. Ho risposto al suo disegno. Guarda!


Da Kurt a Santana
(8:02)
Okay, non gli ho lasciato il mio numero di telefono. Ho disegnato anche io un omino che sta per prendere i fiori. Sei a lavoro?

Da Rachel a Kurt
(8:08)
Kurt! Che cosa vuol dire tutto questo?

Da Kurt a Rachel
(8:11)
Non lo capisci? I fiori erano per me. Mi ha invitato a rispondere di nuovo ed io ho risposto. Non li ho presi, però… è come quando una persona ti chiede di andare a cena fuori e tu, invece, dici “meglio che prima ci vediamo per un caffè”… insomma, tieni le distanze, per sicurezza, ma intanto un piccolo appuntamento glielo concedi.

Da Rachel a Kurt
(8:12)
Oh, Kurt, è così romantico! Sembra “C’è Posta per Te”! Ma come fai ad essere sicuro di non aver appena accettato un appuntamento con una ragazza?

Da Santana a Kurt
(8:14)
Sì, sono a lavoro, Porcellana. Vergogna. Hai appena illuso/spaventato una povera ragazza indifesa. Invece di spezzare il cuore alle etero convinte (magari potrebbe anche essere lesbica, in quel caso sei riuscito a spezzare il cuore anche ad una lesbica, congratulazioni!), dovresti davvero andare a chiedere al mio amico Hobbit di uscire. Oggi sembrava un po’ depresso, potresti tirarlo su, e non parlo solo del morale.

Da Kurt a Santana
(8:16)
Prima di tutto, non ho accettato un appuntamento, è tutto più… platonico. Secondo. Ci ho pensato bene e questa è la mia teoria: se fosse stata una ragazza, si sarebbe sentita sollevata nel notare di essere stata notata (scusa, ma non mi viene in mente un sinonimo, sto camminando), quindi avrebbe disegnato una ragazza che accettava i fiori, per ringraziarmi di averla notata (scusa di nuovo). Invece, lì non c’era qualcuno che ringraziava e diceva ciao, ma c’era qualcuno che voleva sapere CHI l’avesse notato e me l’ha chiesto porgendomi i fiori che io stesso gli avevo offerto, per non farlo sentire solo (credo che il fiore rappresentasse la solitudine). In definitiva, sì, credo che sia un uomo!
(8:16)
No! Era per Rachel! Non uscirò con il tuo amico! Io sto già uscendo con Adam! Sto solo cercando di farmi un amico!

Da Santana a Kurt
(8:18)
Wow, questo è disgustoso, Kurt. Ho rimesso la colazione, leggendo la tua intricata e dettagliata deduzione di uno scarabocchio sulla parete. Nemmeno Sherlock Holmes sarebbe arrivato a tanto. Avrei dovuto accorgermi che in realtà eri una donna, non ti ho mai visto nemmeno farti la barba.
(8:18)
Allora dovresti metterlo al corrente della regolarità del tuo ciclo mestruale, perché mi sa che ti sono arrivate. Devo tornare a lavorare, Basso Ma Benmesso è appena andato via. Te l’ho detto che va alla NYADA, vero??

Da Rachel a Kurt
(8:19)
Kurt… è una ragazza? Perché non rispondi? Oddio! È lesbica e pensava che tu fossi una donna?? KURT!!!

Kurt sbuffò, maledicendo Rachel, e smise di rispondere a Santana. Ricopiò il messaggio che aveva inviato a lei e lo inviò alla giusta destinataria, sperando che prendesse il lungo tempo impiegato a risponderle solo come un’eccessiva dedizione al voler rendere più chiara possibile la sua teoria. Attraversò la porta della biblioteca, mettendo il silenzioso, quindi si diresse al suo tavolo preferito e cominciò a cercare i libri per il suo progetto, rispondendo sporadicamente a Rachel, che ogni tanto gli suggeriva nuove mosse per scoprire l’identità del misterioso disegnatore in verde. Quando fu ora di andare a lezione, fu Adam ad andarlo a prendere.
Vederlo, fece accendere uno strano senso di colpa, nel petto di Kurt, sensazione che non riuscì proprio a spiegarsi. Non stava ufficialmente assieme ad Adam, anche se sapeva di piacergli. Allo stesso tempo, comunque, non è che lo stesse proprio tradendo, stava solo disegnando su un muro. E anche se fosse stato, non c’era alcun rapporto da tradire.
«No, non di là!» esclamò Kurt, afferrando l’altro per un braccio, quando lui svoltò in direzione dell’aula nella quale avrebbero dovuto passare l’intera restante parte della mattinata. Adam si voltò, sollevando un sopracciglio in maniera interrogativa.
«Ma la classe è proprio là dietro l’angolo…» protestò Adam, confuso. Kurt si morse il labbro inferiore: lo sapeva, ma dietro l’angolo c’era anche il muro. Non voleva passarci davanti e rischiare, poi, di distrarsi a causa di un’eventuale risposta. Era improbabile, ma non impossibile, che l’altra persona avesse già disegnato qualcosa.
«Lo so, ma… devo andare in bagno.» disse alla fine il ragazzo, indicando la direzione opposta. Sapeva che gli unici bagni, in quel piano, erano dalla parte opposta del corridoio. Una volta lì, poi, per arrivare all’aula avrebbero dovuto fare tutto un altro giro, evitando completamente la Tela Bianca.
Adam fece spallucce e cominciò a camminare verso i bagni, seguito da Kurt.
Rachel li raggiunse qualche minuto prima dell’inizio della lezione e, nonostante cercasse di chiedere a Kurt che cosa fosse successo, di nuovo, il ragazzo si rifiutò completamente di risponderle o di andare a vedere se qualcuno avesse disegnato qualcos’altro. Con una punta di fastidio, accettò anche l’invito di Adam ad uscire a prendere un caffè, quel pomeriggio, ben conscio che, se fosse uscito da lì, non sarebbe tornato indietro a controllare il murale. Sospirando, accettò l’invito, raccattò le sue cose e salutò Rachel, la quale filò dritta a casa blaterando di essere in ritardo per il doppio turno alla tavola calda.

«Okay, quindi… un doppio cheesburger -doppia salsa, niente insalata- con patatine e un hamburger grandezza media, pomodori ed insalata, ma… servito in un piatto, ogni ingrediente per sé. Niente patatine. Coca cola per entrambi.»
Rachel ricapitolò l’ordine di una giovane coppia seduta ad un tavolino in disparte, quindi si voltò con espressione stralunata e si avvicinò alla finestra che collegava la sala alle cucine. Appese il suo ordine in alto e si voltò verso Kurt, appena uscito dal retro dopo essersi infilato la divisa da cameriere.
«Ci credi che mi hanno appena ordinato un hamburger smontato?» disse lei al ragazzo, sollevando un sopracciglio, voltandosi per andare al distributore di bibite alla spina ed iniziare a spillare la coca cola.
«So che una volta la Sylvester ha ordinato un bicchiere pieno di polvere di caffè al Lima Bean.» rispose Kurt, recuperando il suo blocchetto ed una penna.
«Stai dicendo che quella è la mia Sue?» chiese Rachel, guardandolo allarmata.
«Forse…» rispose Kurt, abbozzando un sorrisino.
«A proposito di Lima Bean e polvere di caffè…» continuò Rachel, posando il primo bicchiere pieno ed afferrandone un altro. «Sai perché Santana mi ha chiesto di coprire anche il suo turno?»
Kurt si voltò, già a metà strada verso il primo tavolo della serata.
«Oh… no, non lo so, ma parlava di un corso serale che voleva frequentare. Credo sia andata alla presentazione.» rispose Kurt, avvicinandosi al tavolo, presentandosi e prendendo l’ordinazione.
Rachel posò anche il secondo bicchiere su un vassoio, sollevandolo ed andando a servire le bibite alla sua stramba coppia. Quando tornò indietro, Kurt stava appendendo la sua ordinazione ad una delle mollettine in alto.
«E a proposito di frequentare corsi… adesso vuoi rispondermi? Hai visto se qualcuno ha risposto?» domandò Rachel, sistemando il vassoio dietro al bancone e recuperando il proprio blocchetto delle ordinazioni.
Kurt la raggiunse vicino al distributore di bibite alla spina, per spillare i suoi due bicchieri di coca cola alla ciliegia.
«No, Rachel, sono stato in biblioteca finché Adam non è venuto a prendermi, poi sei arrivata tu, poi siamo andati a pranzo, poi sono andato a prendere un caffè con Adam. Ed ora sono qui, per il lavoro. Non sono andato a vedere se qualcuno ha fatto un altro disegno sul muro.» borbottò Kurt, forse più irritato di quanto sarebbe stato in condizioni normali.
La verità era che gli rodeva moltissimo non essere riuscito a scoprire se qualcuno avesse risposto o meno. Si sentiva anche in colpa per il fatto di essere stato segretamente irritato, con Adam, tutto il giorno, proprio perché a causa sua non aveva potuto andare a vedere la Tela.
«Non fare finta che non t’importi, lo so quanto t’interessa… ti ha proprio preso, vero?» domandò Rachel, abbozzando un sorrisetto malizioso.
«Rachel, com’è possibile che una cosa sciocca come questa possa “prendermi”?» domandò Kurt, posando il primo bicchiere, con cautela, e passando al secondo.
«Beh…» iniziò Rachel, avvicinandosi alla finestra che collegava le cucine e la sala, per recuperare le sue ordinazioni. «Innanzitutto, è romantico.»
«Disegnare su un muro non è romantico.» tagliò corto Kurt, afferrando il vassoio ed andando a servire le bibite, mentre Rachel portava i due piatti alla coppietta nel tavolino in disparte, interrompendo momentaneamente il discorso e riprendendolo al ritorno di entrambi.
«No, disegnare su un muro non è romantico, a meno che…» la ragazza marcò bene le ultime parole, mentre si sporgeva oltre al bancone, per raggiungere la figura di Kurt, che si era sistemato lì dietro ed era impegnato a tirar fuori i contenitori delle salse, per riempire quelli vuoti di alcuni tavoli. «… l’altra persona non sia sconosciuta e non inizi a rispondere. E ti offra dei fiori. E risponda a quello che tu disegni. Kurt, è come in “C’è Posta per Te”, tu non sai chi è questa persona, eppure ti ci trovi bene.»
«Rachel, non è come in “C’è Posta per Te” a causa di alcuni fondamentali punti.» disse Kurt, riempiendo il dispensatore della maionese. «Primo punto: in “C’è Posta per Te”, c’è posta per i protagonisti. Si scambiano delle e-mail. Parlano con le parole, si scrivono. Comunicano. Secondo punto: si scopre che lui è uno stronzo che vuole far chiudere il negozio di lei. Terzo punto: lei non sa che lui è lo stronzo, ma lui sa chi è lei e non glielo dice, e questo lo rende abbastanza scorretto. E bada, lo sai che io amo quel film e sarebbe meraviglioso trovare la propria anima gemella così, per sbaglio, spedendo una e-mail ad un indirizzo a caso o mandando un messaggio ad un numero sbagliato per errore.»
«Beh, eliminiamo la parte in cui lui è uno stronzo ed è fatta!» esclamò Rachel, allargando le braccia, con un sorriso smagliante.
Kurt le regalò soltanto un’occhiataccia, prima di essere distratto dal proprio cellulare. Quello vibrò insistentemente nella sua tasca, ma la vibrazione non si protrasse a lungo, facendogli intuire che si trattava di un messaggio. Mise da parte il dispensatore del ketchup che stava riempiendo in quel momento, per controllare il telefono, ma dalle cucine arrivò l’annuncio che il suo ordine era pronto.
«Rachel, finisci questo, per favore?» disse lui, passandole il dispensatore del ketchup ed affrettandosi ad afferrare i piatti.
Li posò cautamente di fronte ai rispettivi clienti, quindi diede loro le spalle. Neanche troppo velatamente, tirò fuori il cellulare dalla tasca ed aprì il messaggio. Era di Santana.
«È la tua anima gemella che manda per errore un messaggio ad un numero sbagliato?» domandò Rachel, impertinente, continuando a riempire i dispensatori con innocenza. Kurt le regalò un’occhiataccia.
«È Santana… oh, bontà celeste.» borbottò Kurt, voltando in fretta il cellulare verso Rachel, prima che lei avesse anche solo effettivamente il tempo di chiedergli che cosa non andava.

Da Santana a Kurt
(17:47)
Ho sperato fino all’ultimo che scherzassi su questa cosa dei disegni sul muro, ma devo ammettere, mio adorato Porcellana, che la cosa è più gay di quanto immaginassi. Non solo ti sei preso la briga di disegnare quell’orrendo e sproporzionato omuncolo rosso stamattina (seriamente, Kurt, perché ti ostini a fare cose che non sai fare, tipo dire in giro che sei un maschio o, appunto, disegnare?), ma l’Anima Solitaria che ha disegnato quella rosa verde ti ha anche già risposto! Ora non so se mi fa più pena quella persona o questa situazione!

«Oddio! E che cos’è? Perché non ti ha detto cos’è??» esclamò Rachel, eccitata, ma Kurt non la stava ascoltando. Stava già scrivendo una risposta, pigiando con veemenza i tasti inesistenti sul proprio telefono.

Da Kurt a Santana
(17:49)
Santana, per l’amor del cielo, prima di tutto dacci un taglio con tutta questa passivo-aggressività, NON È SALUTARE. Secondo, COSA?? Anzi no. Secondo: cosa ci fai alla NYADA? e terzo: COSA?? E cos’ha disegnato? Dimmelo, ti prego!

Da Santana a Kurt
(17:49)
(Quanto sei suscettibile, DIO) …aspetta, ti mando una foto.
(17:50)


Da Kurt a Santana
(17:51)
… cos’è che sarebbe quella cosa?

Da Santana a Kurt
(17:51)
Davvero? Oltre a non avere più le palle normali, ora non hai più nemmeno quelle degli occhi? È un caffè da asporto, Lady Hummel!

Da Kurt a Santana
(17:52)
Beh, SCUSA se io non sono così esperto nel riconoscere un caffè da asporto in una foto su uno schermo più piccolo del palmo della mia mano!

Da Santana a Kurt
(17:52)
Sì, certo. Prego eh, Hummel. Torna a lavorare!

Kurt alzò di nuovo lo sguardo dal cellulare, ben conscio che probabilmente c’erano clienti, lì, che avevano bisogno di essere serviti.
«È un caffè da asporto. Una tazza di caffè da asporto. Ha disegnato un caffè da asporto sulla mano del mio omino rosso. Ma quella mano era lì per prendere i fiori…» borbottò Kurt, incredulo e confuso.
«Forse ha capito che avevi accettato l’invito e ti sta chiedendo di uscire a prendere un caffè…» tentò Rachel, prendendo in mano il blocchetto e sorridendo ad un gruppetto di quattro persone appena entrate.
Kurt si affrettò a prendere le ordinazioni di due tavoli, mentre lei si occupava dei quattro, quindi entrambi si ritrovarono davanti alla finestra delle cucine.
«Non lo so… tu dici? E se fosse qualcos’altro? Se fosse un indizio su come trovarlo, come riconoscerlo?» domandò Kurt, sospirando e dirigendosi alla spillatrice, come Rachel.
«Continui a riferirti a questa persona al maschile…» notò di nuovo Rachel, spillando bibite anche per Kurt.
«Beh, te l’ho detto, credo sia un uomo. E, di nuovo, non ha specificato il suo sesso su nessuno dei due omini…» azzardò Kurt, sospirando un po’ preoccupato. Poteva effettivamente essere una ragazza. Aveva disegnato quel caffè in mano all’omino più basso, ed in generale le ragazze tendevano ad identificarsi di più nei soggetti più bassi, quando venivano disegnate coppie etero. Vero?
«Beh, dovresti dargli qualche indizio tu, allora, adesso. Perché non provi a identificare te stesso in quel disegno?» domandò Rachel, posando quattro bibite sul vassoio di Kurt.
«In che senso?» domandò il ragazzo, mentre lei continuava a spillare coca cole ed aranciate.
«Beh, diciamo che l’altra persona si è identificata nel disegno. Diciamo che ha volontariamente scelto di immedesimarsi nella figura più bassa, mettendole in mano qualcosa che ha a che fare con lui stesso, un particolare che lo rappresenta o che so io… Forse dovresti fare lo stesso. Forse dovresti identificare te stesso nella figura più alta, per far capire all’altra persona che sei un maschio e… poi vediamo come va, no?» disse Rachel, posando anche l’ultimo suo bicchiere sul vassoio. Si allontanarono insieme, continuando a parlarsi ogni volta che si avvicinavano, mentre servivano.
«E pensi che dovrei -prego signora!- farlo subito? Tipo… uscire da qui, a fine turno -sì, è DietCoke- ed andare subito alla NYADA?» domandò il ragazzo, mentre posava i suoi bicchieri sul tavolo, davanti ai due clienti.
«Assolutamente no, Kurt, non puoi… -ecco a voi, due e due, giusto?-… non puoi andare alla NYADA quando finisci il turno, è troppo tardi. Devi aspettare!» esclamò Rachel, voltandosi a guardarlo, stringendo il vassoio vuoto al petto.
«Ma Rachel, domani è sabato e non ci sono lezioni! Un intero weekend con il dubbio e… niente disegni?» Kurt si morse il labbro, mentre parlava, conscio anche di risultare stupido. Non si preoccupava di sé stesso, si preoccupava di come sarebbe potuto rimanerci male l’altro, quando avesse visto che nessuno gli aveva risposto, lunedì mattina.
«Beh, anche meglio! La fortuna arride a chi sa attendere!» esclamò Rachel, allegra, andando verso il bancone.
«Non era la vittoria?» domandò Kurt, posando il proprio vassoio e tornando a riempire i dispensatori del ketchup.
«Nel nostro caso, vanno bene entrambe. Forse potresti anche aspettare un po’ di più, giusto per stuzzicare la curiosità altrui!» disse Rachel, congiungendo le mani sotto al mento.
«No, credo che lunedì andrà benissimo. E poi, ho il tempo di capire come identificarmi nel disegno, no?» domandò Kurt, abbozzando un messo sorriso.
Rachel annuì, quindi entrambi si avvicinarono alla finestra che dava verso la cucina, Kurt con il cuore un po’ più leggero e l’umore decisamente migliore di prima.

Blaine stava per mettere nel lettore dvd il secondo cd della seconda stagione di Grey’s Anatomy, quando la porta dell’appartamento si aprì.
«Perché?? Perché devo frequentare lezioni assolutamente inutili su argomenti che io conosco meglio dei professori??» domandò, irritata, la voce di Sebastian.
«Che cos’hai fatto, questa volta?» domandò Blaine, inserendo il dvd, finalmente, e lasciandosi poi cadere sul divano, battendo piano sul posto alla sua destra per invitare l’amico, appena arrivato a casa, a sedersi.
«Io non ho fatto niente! Non è colpa mia se il professore non è in grado di riconoscere un modo di dire da un insulto! E dovrebbe insegnare Francese?» sbottò Sebastian, lasciandosi cadere alla destra di Blaine senza nemmeno togliersi la giacca.
«Oh, avanti, glielo metterai nel culo all’esame!» disse Blaine, dando di gomito all’altro e sollevando le folte sopracciglia.
«Grazie, ma no. Ha più del doppio dei miei anni.» rispose Sebastian, fissando la televisione mentre uno degli episodi partiva, anche se nessuno dei due gli stava davvero prestando attenzione. «Com’è andata a te?»
Blaine rimase un attimo in silenzio, ascoltando la voce di Meredith Grey introdurre l’episodio con una delle sue frasi ad effetto.
«Bene. Ha risposto.» disse, Blaine, nascondendo un sorrisetto soddisfatto.
«Chi?» domandò Sebastian.
«Mio nonno.» rispose Blaine, voltandosi a guardarlo con un sopracciglio sollevato.
«Oh! Ha risposto. Okay. Cosa?» domandò di nuovo Sebastian, cercando di trasmettere entusiasmo con la sua voce ancora irritata.
«Ha disegnato una persona con la mano protesa verso i fiori. Credo volesse dirmi che ci stava.» affermò Blaine, sorridendo alla televisione.
«Ci stava?» domandò Sebastian per la terza volta, e fu il suo turno, ora, di sollevare il sopracciglio.
«Non nel senso… che hai capito? Intendevo… che gli andava bene questa cosa dei disegni!» rispose Blaine, dandogli una piccola spinta e facendolo ridere.
«Ehi, che ne so, poteva averti scritto il suo numero di telefono sul muro!» rise piano Sebastian.
Blaine scosse il capo, sorridendo vagamente tra sé e sé.
«No… ha disegnato quella piccola persona che tentava di prendere i fiori e io invece… ho guardato quei due disegni -quello che ho fatto io e quello che ha fatto lui- e ho notato che il mio era più alto. Sai…» continuò Blaine, accoccolandosi con le gambe sul divano e voltandosi un po’ verso Sebastian. «… prima pensavo di essere io quello che porgeva i fiori, ma guardando meglio, ho visto che il suo disegno, la sua persona, era più bassa. Allora mi sono detto… “quello che ha disegnato il bouquet era lui, quindi forse sono io quello che deve accettarlo”.»
Sebastian restò a guardarlo in silenzio, con le sopracciglia aggrottate ed un’espressione meditabonda.
«Potresti arrivare a confonderlo… stai confondendo anche me.» disse, alla fine. Blaine si sedette più dritto.
«No, allora. Il suo disegno era più basso del mio e… io non sono proprio altissimo. Quindi, gli ho fatto capire che io ero quella persona. Quella che stava ricevendo i fiori. È iniziato tutto perché ho visto un ragazzo che regalava una rosa ad una ragazza. Io volevo essere quella ragazza, quella che riceveva quel fiore… e lui mi ha dato un mazzo intero. Mi sembra logico…» rispose Blaine, cominciando a temere di aver, forse, incasinato un po’ le cose. Forse era vero, forse il suo ragionamento, per quanto logico, era un po’ troppo incasinato e contorto per essere compreso appieno senza una spiegazione.
«Okay, pausa. Primo: come hai fatto a fargli capire che eri tu quella persona e… secondo: non ti viene in mente che il fatto che abbia disegnato qualcuno più basso, significa che forse è una ragazza?» domandò Sebastian, inclinando il capo e sospirando, lanciando un’occhiata alla televisione.
«Non credo che sia una ragazza, il suo omino non aveva il seno…» borbottò, per l’ennesima volta, Blaine. «Comunque, ho disegnato, nella mano del più basso, una tazza di caffè da asporto.»
Sebastian spostò gli occhi dal televisore, solo per posarli su Blaine e sollevare un sopracciglio tanto da farlo quasi entrare a far parte della sua capigliatura.
«E questo che senso avrebbe?» domandò, incerto.
«Nessuno. È… completamente fuori dal contesto. Non c’entra nulla con gli altri disegni, ed è per questo che l’ho fatto. È una parte di me, è parte della mia routine quotidiana, delle mie abitudini, non ha a che fare con il disegno. Sono io. Quel bicchiere di caffè da asporto sono io e mi sono messo in mano alla persona più piccola di quel murale.» affermò Blaine, con sicurezza, facendo spallucce.
«Secondo me è un casino e quell’altroaltra non lo capirà mai. Penserà che lo stai invitando fuori per un appuntamento.» sentenziò Sebastian, tornando a guardare la tv.
«Sì, beh… potrebbe anche essere inteso in quel modo, a me andrebbe bene.» affermò Blaine, facendo spallucce.
Rimasero di nuovo entrambi in silenzio per alcuni minuti, prima che Sebastian interrompesse di nuovo Meredith.
«Perché stiamo guardando questa roba da checche? Prendi il cofanetto di Queer As Folk.» ordinò Sebastian, sbuffando e levandosi, finalmente, il cappotto.
«Sebastian, se Grey’s Anatomy è da checche, Queer As…» tentò Blaine, prima di venire brutalmente interrotto di nuovo.
«Ho avuto una brutta giornata, ho bisogno di un po’ di vitamine B e K.»
Blaine inclinò il capo, cedendo alle richieste di Sebastian ed apprestandosi a mettere su il primo episodio di Queer As Folk.
«B e K?»
«Brian Kinney, Raggio di Sole!»

Thad li aveva trovati, circa un’ora dopo, a saltellare inquieti sul posto, ancora seduti, al ritmo di You Think You’re a Man, direttamente dall’episodio. Dopo averli sgridati, per essersi messi a vedere la prima puntata di Queer As Folk senza di lui, si era sistemato tra le braccia di Sebastian per godersi il finale. Tra commenti vari, risate e battute d’apprezzamento, avevano finito l’episodio e proposto anche di continuare con la maratona. Blaine, però, si era alzato e li aveva obbligati ad andare a farsi una doccia. I motivi erano due e se ne stavano nelle loro mutande e lui non aveva alcuna intenzione di guardare tutto il secondo episodio con quei due intenti a strusciarsi e a flirtare tra loro, a causa delle scene fin troppo veritiere di sesso gay. Brontolando, Sebastian si trascinò Thad fino alla doccia e Blaine si alzò per preparare la cena. Mise su una pentola d’acqua, quindi iniziò a rimestare e tagliuzzare, intenzionato a preparare un sugo con il quale condire la pasta che stava per cucinare.
«Sto per buttare la pasta, muovetevi, voi due!» esclamò Blaine, battendo piano sulla porta del bagno con le nocche della mancina.
«Italiano, stasera??» chiese la voce di Thad.
«Davvero Thad? Davvero Blaine???» esclamò la voce affannata ed irritata di Sebastian. Blaine tornò in cucina ridendo, procedendo con la cena.
Circa venti minuti dopo, erano tutti e tra seduti al tavoli, impegnati a divorare quello che sembrava un intero pacco di pasta da mezzo chilo. Sebastian e Thad avevano ancora i capelli bagnati, Blaine lo sguardo perso nel vuoto.
«Blaine, tutto okay?» domandò Thad, fissando l’amico con sguardo intenso.
«Eh? Sì sì, stavo solo pensando…» disse il ragazzo, prendendo un’altra forchettata di pasta.
Prima ancora che Thad potesse chiedergli “a cosa?”, Sebastian si intromise nel discorso, anticipandolo.
«L’Innamorato Anonimo di Blaine ha fatto un altro disegno sul muro, Blaine ha risposto e adesso è preoccupato perché il suo ragionamento sul disegno che ha fatto potrebbe essere troppo contorto.» spiegò il ragazzo, mentre Blaine tirava fuori il cellulare.
«Ho fatto una foto…» disse il ragazzo, mentre Sebastian lasciava cadere la forchetta nel piatto e sollevava le mani.
«E perché non me l’hai fatta vedere prima?!» disse, con espressione confusa.
Sia Blaine che Thad lo ignorarono. Il latino si sporse verso il cellulare, osservando la foto che Blaine aveva fatto. Thad restò in silenzio qualche istante, quindi s’infilò una forchettata di pasta in bocca e guardò Blaine, annuendo.
«In effetti, somigli più a quello basso.» disse soltanto.
«Vero?» affermò Blaine, sollevando le sopracciglia verso Sebastian, come a dirgli “visto? Lui l’ha capito!”.
Sebastian sbuffò, indicando entrambi con la sua forchetta.
«Voi due avete una qualche sorta di neurone collegato da quando vi siete conosciuti in prima liceo, tutto ciò non è valido. Sono giustificato!» esclamò Sebastian, tornando a riempirsi la bocca, mentre gli altri due iniziavano a ridere piano.
«Cos’hai intenzione di fare?» domandò alla fine Thad, osservando Blaine di sottecchi.
«Per adesso, posso solo aspettare e vedere che cosa farà. Speravo di trovare una risposta, prima di tornare a casa, ma niente… dovrò aspettare lunedì.» disse Blaine, facendo spallucce, nascondendo la sua inquietudine e l’emozione all’idea di vedere la risposta dell’altro il lunedì successivo.
Un volta finito di cenare, Thad e Sebastian si occuparono di lavare i piatti, mentre Blaine aspettava di poter sfruttare l’acqua calda per lavarsi. Non ci misero molto e, nemmeno un’ora dopo, Blaine strofinava vigorosamente i suoi indomabili ricci con un asciugamano umido, infilato nel suo pigiama blu e grigio.
Passò davanti alla camera di Sebastian e Thad, lanciando un’occhiata oltre la porta per mera curiosità, visto che era aperta, e quello che notò fu Sebastian appiccicato al vetro della finestra, intento a fissare qualcosa dall’altra parte del cortile interno del loro complesso di condomini.
«Che fai?» domandò Blaine, entrando nella camera ed avvicinandosi a lui.
«Blaine? Oh! Finalmente! Guarda! Ve lo dicevo, io, che esisteva!» esclamò Sebastian, arretrando ed afferrando Blaine per un braccio, tirandolo verso di lui.
«Di che cosa stai parlando?» domandò Blaine, stupito, lasciandosi trascinare fino alla finestra. Si mise a guardare a sua volta, senza capire, però, su che cosa dovesse concentrarsi.
«Il ragazzo della finestra!» esclamò Sebastian di nuovo.
«Lo Spogliarellista Fantasma?? Dov’è? Esiste sul serio??» esclamò Blaine, frugando tutte le finestre illuminate, del palazzo di fronte, con lo sguardo.
«Guarda, è quella finestra lì, tra la mia e quella della cucina. Non si riesce a vedere, da lì, perché lui si cambia sempre in quell’angolo della stanza. Da qui, però, si riflette nello specchio e posso vederlo.» affermò Sebastian, ghignando.
«Non so cosa dire, pensavamo che te lo stessi inventando… oh! Lo vedo! Hai ragione! Thad!» esclamò Blaine, sussultando ed appiccicando il naso al vetro, quando un movimento di un braccio, riflesso in uno specchio, catturò il suo sguardo. I due palazzi non erano troppo lontani. Se avessero voluto, avrebbero tranquillamente potuto aprire la finestra e conversare con quelli che abitavano davanti a loro.
Blaine restò immobile, a guardare attraverso il vetro, mentre il braccio diventava un busto, con tanto di collo, mento, bocca… Peccato che fosse ancora completamente vestito.
«Amico… ci devi provare. Vai a chiedergli lo zucchero, le uova, qualcosa! Fallo per me!» esclamò Sebastian, sottovoce.
Blaine si voltò a guardarlo, un sopracciglio sollevato ed un’espressione a metà tra lo sconvolto ed il divertito. Una piccola parte del suo cervello prese comunque in considerazione l’idea di seguire il suo consiglio.
«Beh, chi non va nel palazzo di fronte, a chiedere lo zucchero, quando ha decine di altre famiglie, nel proprio condominio, alle quali può chiedere?» rispose Blaine, ridacchiando e scuotendo il capo. «E poi, perché dovrei farlo per te?»
Sebastian si leccò in fretta le labbra, quindi portò entrambe le mani a posarsi sulle spalle di Blaine, restando posizionato dietro di lui.
«Guardalo. Guardalo e basta! Ci farei ginnastica, con lui. Ginnastica orizzontale, molto volentieri e molte volte, se mi capisci.» disse, a bassa voce, continuando a fissare il ragazzo. Blaine lo osservò a sua volta. Il ragazzo ancora non si era spogliato, ma stava, chiaramente, prendendo in mano dei vestiti, forse un pigiama.
«Che succede, qui?» domandò la voce di Thad. Né Blaine né Sebastian si voltarono.
«Sto provando a Blaine che non me lo sono inventato, il ragazzo della finestra. Che non è una leggenda metropolitana e che esiste davvero. Guarda anche tu!» esclamò il secondo, facendo cenno a Thad di avvicinarsi.
«Stai dicendo che lo Spogliarellista Fantasma esiste davvero?» domandò Thad, affiancando Blaine, che annuì.
«Beh, a me sembra molto vero…» commentò il ragazzo, mentre quello riflesso nello specchio portava le mani al bordo della maglietta.
«Pensavate sul serio che me lo fossi inventato? E smettetela di chiamarlo in quel modo, non riesco a decidere se la cosa mi inquieta o mi eccita, perché mi ricorda un porno che ho visto al liceo, in cui questo fantasma s’impossessava di…» disse Sebastian, impossibilitato a proseguire a causa di una lieve gomitata di Thad.
«Il terrore che si spoglia nella notte…» borbottò Blaine, ridacchiando.
«Vi farà diventare i peli pubici bianchi dalla paura…» continuò Thad, mordendosi il labbro inferiore per non scoppiare a ridere.
«Io, piuttosto, direi “tenetevi strette le vostre erezioni”, perché non l’avete ancora visto nudo.» commentò Sebastian, sollevando un sopracciglio.
«Perché tu sì?» aggiunse Thad, voltandosi verso di lui con sguardo critico.
«Solo da qui. Ehi. EHI. Non è colpa mia, okay? È il terrore che si spoglia nella notte, no?, non dipende da me. È lui che infesta quell’appartamento, non io!» si difese, sarcastico, Sebastian.
Lui e Thad iniziarono a punzecchiarsi, mentre Blaine, invece, restava a guardare il ragazzo del palazzo di fronte. Riflessa nello specchio, poteva vedere la sua immagine che si levava i vestiti, probabilmente pronto ad infilarsi il pigiama o ad andarsi a fare la doccia. Sapeva perché lui e Thad avevano deciso di chiamarlo Fantasma, ed i motivi erano due. Primo tra tutti, nessuno, prima, l’aveva mai visto tranne Sebastian, e questo aveva fatto credere ad entrambi che se lo stesse inventando, solo per divertirli o far ingelosire il suo ragazzo. Secondo, dalle descrizioni di Sebastian, la pelle di quel ragazzo era così chiara da essere quasi bianca. In effetti, aveva ragione. Continuò a guardare, mentre Thad, durante quella che era diventata una gara di solletico, lo urtava un po’. Il ragazzo dello specchio si stava levando anche i pantaloni e, nel farlo, si abbassò tanto da mostrare anche il proprio viso. Blaine, da quella distanza, riuscì solo a notare i capelli tirati su, sul davanti, a lasciare libera la fronte, ed un piccolo naso a punta, un po’ all’insù. Qualunque altro particolare, era invisibile. Immediatamente, Blaine fece alcuni passi indietro, allontanandosi e temendo di poter essere visto, riflesso nello stesso specchio dell’altro.
«AHI! AHI! Non lo guardo più, lo giuro, lo giuro!!!» esclamò Sebastian, scuotendo Blaine da quel torpore nel quale era sprofondato. Thad teneva Sebastian con la faccia contro il muro e gli stringeva saldamente i polsi tra le mani, le braccia piegate dietro la schiena.
«O… kay… credo che sia ora che io me ne vada!» esclamò Blaine, come se nulla fosse, affrettandosi ad uscire dalla stanza e richiudendosi la porta alle spalle.
S’infilò in camera sua, cercando di svuotare la mente e provando a concentrarsi sulla parte assegnatagli come esercizio di Recitazione, solo per evitare di mettersi a fantasticare sul misterioso ragazzo dello specchio.
Prese il copione in mano e cominciò a leggere le battute, ma più andava avanti e più la mente si dissociava dalle parole. Arrivò a fine pagina senza la minima idea di cos’avesse appena letto, quindi ricominciò da capo. Del tutto inutile: bastarono tre parole per farlo sprofondare di nuovo nel mondo dei sogni ad occhi aperti, in cui il ragazzo dello specchio si accorgeva che lui lo stava guardando e, invece di chiudere le finestre, sorrideva malizioso ed iniziava a provocarlo; in cui lui ed il ragazzo dello specchio si incontravano per sbaglio vicino al portone del condominio e finivano a pomiciare duramente, nascosti dietro ad un pilastro nel cortile…
Il murale sulla Tela Bianca, improvvisamente, non sembrava più così importante. La presenza del ragazzo dello specchio era decisamente più reale e fisica di quella d’inchiostro dell’Anonimo della NYADA, nonostante fosse chiaro che, almeno a livello di anima, i due erano sulla stessa frequenza d’onda.
Blaine scosse il capo, forzandosi a svuotare la mente e a concentrarsi sulle parole.
«Smettila di fantasticare, Blaine Anderson. Non sei più un liceale dell’Ohio che non può essere sé stesso e deve per forza vivere di fantasie. Finisci di leggere questo maledetto copione, provalo e poi chiama Santana.» disse a sé stesso, sottovoce.
La ragazza gli aveva detto mille volte di telefonarle, se avesse voluto uscire ed andare a divertirsi. Inoltre, era da un po’ che pensava di presentarla a Sebastian e Thad. Non sarebbe stata una cattiva idea, proporre un’uscita tutti insieme, ed anche se non avesse combinato niente, per lo meno, si sarebbe divertito.
Rinfrancato dalla nuova idea, Blaine finalmente si mise al lavoro con la mente lucida, mentre le risate di Sebastian e Thad -ed anche rumori un po’ più espliciti- cominciavano a superare lo spessore delle due porte chiuse che c’erano tra loro e riempivano, fastidiosamente, il silenzio della sua camera.

«Let the dream begiiiin… let your darker side give iiiin… to the power of… the music that I wriiiite…»
Kurt si passò le mani sul volto, espirando e spargendo piccole goccioline d’acqua praticamente dappertutto, passandosi le dita tra i capelli e liberandoli dalla schiuma dello shampoo.
Ignorò completamente il bussare alla porta, alzando, se possibile, ancor di più la voce e continuando a cantare.
«Help me make the music of the… night!»
La porta si spalancò di botto, e Kurt poté notarlo da due cose: prima tra tutte, la corrente di aria gelida che andò ad assalire il suo corpo nudo e bagnato; secondo, dal fatto che la voce di Santana ora non era più bloccata dal legno spesso sistemato tra loro. La tenda della doccia, comunque, grazie al cielo, le impediva di vederlo. Istintivamente, il ragazzo si portò le mani alle parti basse, coprendosi e sollevando anche un po’ una gamba.
«SANTANA PER L’AMOR DEL CIELO! Non hai qualcosa di meglio da fare il venerdì sera, piuttosto che rompermi le scatole?? Hai una ragazza, dovresti essere nel suo letto!!» gridò, inferocito, premendo la schiena sulla parete fredda della doccia, quasi a cercare di proteggere ogni parte di sé.
«Due cose, Lady Hummel.» disse Santana, chiudendo la porta dietro di sé, senza troppi complimenti. Si diresse allo specchio e prese una serie di barattoli dal suo scomparto del bagno.
«Ero stufa di sentirti strillare come una gallina che depone un uovo particolarmente grosso; devo fare il mio scrub serale del venerdì e…» continuò lei, voltandosi verso la tenda da doccia, che ovviamente nascondeva Kurt. «… andiamo, l’hai detto, sono lesbica, non è un problema se stiamo in bagno insieme. Non mi interessa se tra le gambe hai una biscia o un Basilisco, non lo vorrei comunque nella mia Camera dei Segreti. E in ogni caso, Dani si è presa il turno alla tavola calda, oggi, così domani possiamo andare in quel gay bar che ti dicevo. Serata in maschera!»
Kurt sbuffò, scuotendo il capo e combattendo l’istinto di arrossire ancora di più.
«Sarei uscito tra dieci minuti al massimo!» esclamò il ragazzo, azzardandosi a spostare le mani dai genitali, per tornare a lavarsi.
«Avresti chiuso l’acqua tra dieci minuti, poi avresti passato almeno un’altra ora a sistemarti i capelli e a passarti creme puzzolenti dappertutto.» disse Santana, con un gran rumore dato dai barattoli che stava sbatacchiando qua e là.
Kurt prese una piccola manciata di crema per capelli, iniziando a massaggiare la sua capigliatura.
«Spero che, almeno, lo scrub sia efficace.» disse alla fine, sbuffando anche troppo vigorosamente. Era chiaro che non era veramente arrabbiato, ma non poteva dargliela vinta.
«Miele, zucchero ed olio d’oliva. È un vecchio impasto della mia abuela…» disse piano Santana. Kurt non le chiese altro, a riguardo, perché sapeva che le faceva ancora male, quando veniva nominata la nonna.
«È ottimo. Devi farmelo provare.» disse soltanto, sovrastando il suono scrosciante dell’acqua, mentre si preoccupava di sciacquare via la crema per capelli.
«Prima della prossima doccia, Kurt.» rispose Santana, e quando lo chiamava per nome era sempre un buon segno.
Rimasero in silenzio, l’unico suono era quello dell’acqua della doccia e qualcosa di metallo o plastica che Santana stava maneggiando.
Quando Kurt ebbe finito, chiuse l’acqua e tirò fuori una mano dalla tenda della doccia. Santana gli passò l’accappatoio, quasi senza nemmeno bisogno di sentirlo chiedere. Una volta avvolto nel suo accappatoio azzurro, Kurt uscì dalla doccia e cominciò a tamponare cautamente i suoi capelli e a strofinare piano la pelle, per asciugarsi. Osservò indagatore Santana che si spalmava l’impiastro giallo acceso sul viso, strofinando le guance, le sopracciglia, la fronte, il naso. Si preoccupava di strofinare ogni parte del viso con cautela e dedizione. Era chiaro che si teneva.
«Perché eri alla NYADA, Santana?» domandò Kurt, all’improvviso. «Non mi hai risposto, oggi pomeriggio.»
Santana gli lanciò un’occhiata attraverso lo specchio.
«Sono andata ad informarmi per i corsi serali privati. Voglio davvero tenermi in forma. E sono brava. Non ha senso che l’unico esercizio che faccio sia quello orizzontale o lo slalom tra i tavoli di un ristorante.» borbottò lei, strofinandosi con cautela la pelle della fronte con il suo impiastro giallo.
Kurt spalancò gli occhi, piegandosi per asciugarsi le gambe, senza però spostare lo sguardo da lei.
«Sono piacevolmente stupito! Complimenti, Santana, questo è davvero responsabile, da parte tua!» affermò Kurt, sorridendo.
«Il corso costa. È solo per quello che sto facendo così tanti turni alla tavola calda e ho preso anche quel lavoro da Starbucks…» continuò lei, anche se probabilmente non era necessario. Voleva sfogarsi, era chiaro. Kurt non disse nulla.
Santana aprì la bocca per dire qualcos’altro, ma non continuò. La stanza si riempì delle note della suoneria del cellulare della ragazza. Si lavò in fretta le mani, lei, afferrando il telefono con la punta delle dita ancora umide e controllando il nome sullo schermo.
«Oh, a proposito di Starbucks!» esclamò lei, lanciando un’occhiata maliziosa a Kurt ed avvicinando il cellulare all’orecchio destro. «Ehi, Americano Medio!»
La voce metallica e bassa, che proveniva dal cellulare, era irriconoscibile. Kurt afferrò la sua crema idratante, posò un piede sul coperchio del water, abbassato, ed iniziò a passarsi la crema sul polpaccio, fissando incuriosito Santana. Aveva uno sguardo che non lasciava presagire nulla di buono.
«Ma certo che mi farebbe piacere! Sai, in effetti c’era questa sorta di evento al quale volevamo andare io, la mia ragazza ed i miei amici.» disse lei, squadrando, finalmente, Kurt e facendo una smorfia a vederlo intento a spalmarsi la crema sulla coscia. Si girò dall’altra parte, lei, e Kurt sbuffò.
«Cosa??»
Santana aggrottò le sopracciglia.
«No, è solo il mio imbarazzante ed indecentemente gay coinquilino. È un evento in maschera, si tiene in quel gay bar a due fermate, di autobus, da qui. Andando verso est. Sì, quello all’angolo, esatto. Ah, per maschera si intende… maschera per coprire il viso. Non costumi o roba del genere.»
Santana sorrise, salvo poi fare una smorfia dopo aver guardato di nuovo, accidentalmente, Kurt: ora, era impegnato a spalmarsi l’idratante sul petto ed aveva abbassato l’accappatoio fino alla vita. Santana si affrettò a sporgersi sul lavandino, quando una goccia dell’impiastro che aveva in faccia cadde miracolosamente sul pavimento e non sul suo vestito.
«Senti, adesso devo andare… Mi ha fatto piacere, però! Ci sentiamo domani pomeriggio per gli orari, okay?»
Rimase al telefono ancora qualche secondo, quindi rise piano ed allontanò il cellulare dall’orecchio. Lo poggiò sul bordo del lavandino, quindi si voltò verso Kurt, che era intento a massaggiarsi i bicipiti.
«Devi davvero essere molto dotato, Hummel, perché quello…» disse lei, indicando, con l’indice, un invisibile cerchio rivolto alle sue gambe. «… non può essere considerato sexy nel tuo mondo.»
«Pagheresti, per vedere Dani che si spalma l’idratante sulle gambe, ipocrita.» commentò solo Kurt, continuando a passarsi la crema sulla pelle.
«Non ne ho bisogno, lo spettacolo per me è gratis.» disse Santana, prima di gettarsi una buona dose di acqua sulla faccia e lavare via tutto l’impiastro giallo.
Ci mise qualche minuto, ma alla fine si asciugò il volto, soddisfatta, e prese la via per la porta.
«E comunque…» iniziò Kurt, poco prima che lei uscisse.
«Sì, ci vieni!» lo interruppe lei, sbattendosi la porta alle spalle.

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Uh-oh. E adesso che faranno? Il prossimo capitolo non è molto incentrato sul tema principale della ff, ovvero lo scambio dei disegni anonimi, ma credo che vi piacerà comunque xD
Come al solito, vi invito a lasciarmi una recensione, se volete, e se invece preferite insultarmi per le mie ff precedenti o fare due chiacchiere, vi lascio il link della mia Pagina d'Autore su fb (Cliccate pure qui)!
Se volete contattarmi potete farlo anche su Twitter (The Shippinator), su Tumblr (TheShippinator (Ship All The Characters!)) e su Ask (Andy TheShippinator)
Ci leggiamo domenica prossima, con il secondo capitolo!

Un bacio, Andy <3

  
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