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Autore: Dragon_Flame    14/04/2014    3 recensioni
Chris e Darya. Lui Allenatore, lei Domadraghi. Due realtà diverse, due persone diverse, che non si conoscono.
Poi c'è l'Ordine, un'organizzazione criminale che mira alla devastazione di Hoenn.
E c'è Rocco, il Campione, che si vede costretto a prendere in mano le redini del gioco per riportare la pace e l'armonia nella sua terra.
E c'è Vera, il suo amore mai rivelato, dall'altra parte, nelle terre occupate dai suoi nemici, che ha bisogno del suo aiuto.
E ci sono due sorelle, ciascuna col suo terribile segreto.
E ci sono due Team scioltisi anni prima che si riaffacciano alla vita con intenzioni poco chiare, indefinibili.
Due persone, Chris e Darya, così complementari, così discordanti fra loro, dovranno mettere le mani nella matassa per risolvere quest'intricata situazione e ripristinare l'equilibrio in Hoenn.
E chissà cosa succederà, se si metteranno in mezzo anche i Leggendari.
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[AU! War][Presenza di OC][ RoccoxVera | Accenni VeraxBrendon | IvanxMax | AlicexAdriano ][Possibile OOC ]
Aggiornamenti molto irregolari.
Genere: Avventura, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altri, Max, Nuovo personaggio, Rocco Petri, Vera
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Videogioco
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Capitolo 2
 

Una figura solitaria passeggiava sulla battigia, rabbrividendo lievemente al fresco alito di vento che spirava, facendo danzare la rada erba che era disseminata lungo tutta l'altura su cui si trovava la casa del Signor Marino. Questi era un vecchio lupo di mare, ora capitano di una grande nave che faceva scalo nei più bei porti di Hoenn. Ovunque andasse, il Signor Marino si faceva sempre accompagnare dal fedele amico di una vita, Peeko, ossia il suo adorato esemplare di Wingull.
Darya si strinse con più forza il leggero cappotto addosso. Le dorate dita solari avevano spazzato via le nubi che ingombravano il cielo, lasciando poi lo spazio ad un pallido sole, tuttavia faceva freddo comunque. Era una giornata di fine inverno, ma la primavera s'era attardata ad arrivare. La ragazza si pentì di non aver portato con sé un cappotto più pesante, ma ormai era ben lontana da Ebanopoli, la sua città natale, per cui doveva smettere di rammaricarsi per quella sua sciocca dimenticanza.
Venti di guerra soffiavano su Hoenn da un po' di settimane, ma lei non ne sapeva nulla. S'era diretta a Petalipoli subito dopo essere partita da Olivinopoli, con destinazione Porto Selcepoli. Aveva litigato per l'ennesima volta con i suoi genitori, due persone che avevano influito, per quanto possibile, più negativamente di chiunque altro sulla sua giovane vita. Era ancora piccola quando le era stato imposto un ruolo che non le piaceva, cioé quello di rappresentante dell'onore della sua famiglia. La stirpe a cui apparteneva era antica e gloriosa e la storia dei suoi antenati s'intrecciava a più riprese con quella del Clan dei Draghi in cui era nata. Gli Spencer, i suoi familiari, erano una delle famiglie più in vista della città e perciò dovevano mantenere alto il proprio onore e la propria rispettabilità sociale.
Darya aveva un fratello maggiore, Travis, ma era partito alla volta di Altopiano Blu, all'inseguimento della corona d'alloro di cui era decorato il capo del vincitore della Lega Pokémon. Travis le aveva lasciato un pesante fardello, ma lei s'era ribellata alla situazione. Era sempre stata una gran testarda, un'ostinata e inflessibile bimbetta, ma con l'adolescenza, contrariamente a quel che speravano i suoi genitori, questa sua ostinazione s'era acuita, fortificata da una profonda avversione nei confronti della società cui apparteneva e della famiglia che le aveva imposto quell'obbligo. Era una Domadraghi talentuosa e le piaceva dimostrarlo, più che definirsi tale; però non aveva completato l'addestramento, dato che era fuggita di casa a quattordici anni, quindi non poteva fregiarsi di quel titolo.
Recentemente era tornata a Ebanopoli per tentare una riconciliazione con suo padre, il vero, arduo scoglio da sormontare per poter vivere una vita più libera e meno soffocante. Lui però era come la figlia, incapace di farsi piegare dalle volontà altrui e non incline a un facile perdono, per cui l'accesa discussione che avevano avuto forse li aveva allontanati definitivamente.
Scuotendo la testa, Darya lasciò scorrere via quei pensieri molesti, preferendo piuttosto concentrarsi sul panorama che stava distrattamente osservando. Era proprio un bel posto, quello lì: tranquillo, sereno, quieto. Come piaceva a lei. Lanciò uno sguardo alla casa vicina al molo, pensando con invidia che chiunque ci abitasse avesse una gran fortuna.
Socchiudendo gli occhi dalle gelide sfumature metalliche, la - quasi - Domadraghi levò lo sguardo al cielo, così azzurro da confondersi quasi con il mare all'orizzonte sfumato.


I Capipalestra, i Superquattro e il Campione di Hoenn si erano riuniti in uno dei moli del Porto di Alghepoli, elaborando un piano per contrattaccare all'avanzata del Nuovo Ordine del Caos. C'era pure un giovane estraneo fra loro, ma non sembrava prestare molta attenzione alla strategia in fase di costruzione.
Chris in realtà non ne capiva neanche molto di queste cose; in fondo, lui era un semplice Allenatore di Pokémon, seppur con molta esperienza. Era da nove anni che viaggiava. Aveva figurato anche nelle selezioni per la Lega di Sinnoh, Johto e Hoenn, ma solo nell'ultima era riuscito a trionfare, finendo poi però travolto dalla potenza micidiale dei tipi Acciaio del Campione attuale, Rocco Petri. Tutto questo era successo tre anni prima, e da allora era nata tra loro una profonda, sincera amicizia. Per aiutarlo a fronteggiare l'invasione della regione, Chris si era schierato con lui e lottava al fianco di tutti i membri della Lega, anche se avrebbe voluto fare di più. Stavano perdendo. Già alcune città erano cadute in mano nemica, ma la tattica utilizzata dai conquistatori per acquisire i territori della regione non seguiva un filo preciso; sembrava che non fosse uno, ma bensì tre o quattro i gruppi criminali intenzionati a far cadere Hoenn nell'anarchia. Erano state aggredite varie zone del paese.
Fino all'incendio di Forestopoli, però, Chris non aveva mai assistito a una devastazione di così grande portata. L'Ordine portava caos - come diceva il nome - e distruzione, ma per piegare la resistenza della gente. Non s'era però mai spinto ad incendiare una città intera senza apparente motivo. Ci doveva essere sotto qualcosa.
Chris ripensò alla donna che aveva visto fuggire nella Foresta, furtiva e silenziosa come un Taillow. Pareva non volesse farsi vedere dagli altri, perché correva rapida, gettando di quando in quando un'occhiata dietro di sé. Era sfuggita all'attenzione degli altri abitanti e perfino dell'Ordine, fuggendo volontariamente per un'altra via dalla città in fiamme, evitando di unirsi agli altri fuggitivi.
[Perché è fuggita?] Chris si arrovellò il cervello con questa domanda. Non poteva essere fuggita per caso verso quella direzione. Forse era inseguita. Forse era lei l'obiettivo dell'Ordine. Ma perché? Perché? [Perché?]
I ricordi del fumo che gli perforava i polmoni con quell'odore penetrante, delle lacrime che gli offuscavano gli occhi irritati dalla cortina fumogena, del corpo debilitato dal bisogno impellente di aria pulita in procinto di cedere, lo travolsero con impeto, causandogli un attacco di nausea. Era stata un'esperienza terribile.
Però le bionde chiome fluenti di quella fuggiasca, vestita semplicemente da un abitino leggero che non l'avrebbe protetta dal gelido inverno che regnava sulla regione, richiamarono l'attenzione di lui su una questione non ancora presa in considerazione.
Forse la ragazza sapeva qualcosa di troppo, oppure era la chiave per arrivare a ciò che il Nuovo Ordine del Caos stava disperatamente cercando - [se] cercava effettivamente qualcosa. Probabilmente lui non avrebbe mai saputo cosa le era successo. Era comunque una pista su cui indagare; se si fosse rivelata utile, le indagini sul motivo dell'aggressione ai danni di Hoenn sarebbero decollate.
Chris decise di parlare con gli altri del suo sospetto, augurandosi ardentemente che potesse rappresentare una pista attendibile.
Cercò Rocco tra le persone che discutevano lì in modo animoso, scervellandosi per trovare una tattica utile a fronteggiare l'avanzata di quei criminali dell'Ordine. Quando lo vide, distolse quasi immediatamente lo sguardo. Un cipiglio tormentato aleggiava sugli occhi d'acciaio del suo amico. E quell'espressione preoccupatissima era diretta a lui. Ci dovevano essere cattive notizie che lo riguardavano.


La cosa che parve strana a Darya - dopo un bel po' di tempo, in cui si era impegnata nel cercare il perché - era la mancanza di gente. Non c'erano i soliti bambini rompiballe - a lei i bambini non piacevano per niente - a giocare sulla spiaggia a costruire dei castelli con la sabbia, rincorrersi o allontanarsi a nuoto a una distanza tale da far esasperare le madri ansiose. Non c'erano le coppiette che passeggiavano lungo la battigia tenendosi per mano e sbaciucchiandosi - o letteralmente [mangiandosi la faccia], come era solita asserire la castana. Non c'erano i bulletti sfigati che facevano i prepotenti con tutti gli Allenatori e che appena vedevano l'ombra di uno dei suoi draghi colossali se la davano a gambe come vigliacchi, pallidi in volto come un panno lavato. Non c'erano i vecchi lupi di mare che, memori e nostalgici degli anni passati a fronteggiare tempeste e a percorrere acque immote sotto il sole cocente, se ne stavano per ore al molo della casa del Sig. Marino - ma lei non sapeva a chi appartenesse quella casetta accanto al pontile legnoso - a osservare il turbinio delle acque solitamente agitate della zona. Insomma, non c'era gente da nessuna parte. Sembrava sparita come un Diglett sotto terra.
La spiaggia era fin troppo tranquilla per essere così vicina a una delle città principali di Hoenn. Petalipoli era una cittadina abbastanza piccola, ma piuttosto vivace e frenetica. Inoltre ospitava una Palestra prestigiosa attraverso la quale passava sempre un sacco di gente.
Forse era accaduto qualcosa, si disse la Domadraghi. Magari c'erano problemi. Problemi che non la riguardavano. Problemi in cui non sarebbe dovuta andare a impelagarsi.
Ben presto, come prevedibile, la sua curiosità mordace ebbe la meglio sulla prudenza. Darya abbandonò quasi subito la spiaggia spenta su cui era atterrata a dorso del suo fiero Salamence. Camminando a passo veloce, la castana risalì su per l'altura che l'avrebbe portata dritta a Petalipoli.
Imboccando la stradina che conduceva alla città, Darya si bloccò, allarmata.
La cittadina era circondata. Da chi, non sapeva dirlo. Non aveva mai visto quelle persone. Molte di esse erano abitanti di Petalipoli, si vedeva dagli abiti borghesi che indossavano e dall'espressione sgomenta e spaventata che segnava i loro volti. Ma altre erano lì con chiare intenzioni bellicose. Imbracciavano armi semiautomatiche e vestivano uniformi scure e aderenti che risaltavano la marzialità dei loro corpi. Grossi Houndoom e feroci Arcanine ringhiavano e tenevano a bada quei pochi Allenatori presenti nella città, seguendo gli ordini a loro assegnati per evitare eventuali controffensive.
La Domadraghi sarebbe stata presto vista dagli offensori, se non fosse stata trascinata improvvisamente nell'alta erbaccia secca che spuntava appena dopo essere usciti da Petalipoli. Una mano era posata sulla sua bocca, un grido le si era bloccato in gola.
Ma non aveva urlato. Aveva compreso istintivamente che non si trattava di una persona con intenzioni malvagie. Non sapeva né perché né percome, ma aveva la singolare certezza di essere stata appena tratta in salvo da quelle persone in uniforme nera che tenevano sotto la minaccia dei Pokémon e delle armi una cittadina innocente.
Stesa - o meglio, gettata - fra le sterpaglie, Darya osservò con stupore e un certo sollievo la ragazzetta di non più di sedici anni che l'aveva sottratta alla vista di quei criminali. C'erano con lei un giovanotto della stessa età e una ragazza di pressappoco quattordici anni. L'attenzione della Domadraghi si soffermò tuttavia su quest'ultima, intenta a guardarla con diffidenza. I suoi occhi violetti non riflettevano la spensieratezza e la serenità che dovevano caratterizzare l'adolescenza di ogni giovane. Quegli occhi duri e diffidenti rispecchiavano il cinismo e la corruzione di un adulto. Quelle pozze viola erano abissi di freddezza e indifferenza, erano indice di una vita consumata e logorata, di una mente cresciuta, corrotta, vissuta. Non erano innocenti occhi da bambina, quelli. Quella ragazza [non] era quel che sembrava. Non poteva essere un'adolescente.
Gli altri due ragazzi - pressappoco della stessa età di Darya, che era diciassettenne - si sporsero in avanti, sorridendole timidamente. Il giovane aveva un buffo cappello bianco in testa, sfrangiato all'estremità, e degli occhi che un tempo avrebbe definito [vispi]. Quelli non erano occhi vispi. Erano scaltri. Anche quel ragazzo doveva aver subito una crescita forzata, forse in una situazione estrema.
La prima ragazza - che dimostrava di essere il leader del trio - aveva una bandana rossa a trattenerle i capelli castani in una capigliatura normale. L'espressione sulle sue iridi azzurre era impassibile e non lasciava trasparire alcuna emozione, sebbene il fatto che stesse a debita distanza dalla Domadraghi tradisse la sua diffidenza nei confronti di quest'ultima.
Alla fine, il ghiaccio fra i quattro fu rotto proprio da Darya.
"Perché mi avete trascinata qui? E chi siete voi? E quei criminali che stanno minacciando gli abitanti di Petalipoli?"
La castana con la bandana diede subito una risposta ai suoi dubbi.
"Ti spiegheremo dopo il motivo della nostra azione. In quanto a quei mascalzoni... beh, ti spiegheremo più tardi anche quello. Ora, l'importante è che tu ti fidi di noi, perché altrimenti rischi di finire in un casino che non avrà più fine. Ah, già, dimenticavo... io sono Vera, un'Allenatrice di Pokémon, e questo qua è il mio amico Brendon. Lui è un Coordinatore. E lei... beh, lei è Amber, una nostra amica." Li indicò uno per uno.
"Io mi chiamo Darya. Sono una Domadraghi - quasi - e sono qui perché pensavo di trovare un po' di tranquillità almeno a Hoenn." La ragazza scosse la testa, soffocando una risata amara. "Evidentemente però la sfiga ha deciso di seguirmi fin qui da Ebanopoli, perché già mi ritrovo in un guaio."
"Il guaio non è colpa tua" la smentì Brendon. La sua voce sottile vibrava di spavento e un'altra emozione che Darya non riuscì a decifrare. "Il guaio l'abbiamo causato noi. Siamo noi tre - io, Vera e Amber - il motivo di questo casino."
"Specialmente io" aggiunse l'altra giovane, facendo rabbrividire lievemente Darya con la sua anormale voce da adulta. Solo allora la Domadraghi notò che Amber indossava una semplice veste di lino, presumibilmente da camera, sotto un cappotto pesante. E che aveva dei capelli dorati e lunghissimi, che le arrivavano oltre la vita. E che, più che per il freddo, sembrava tremare di terrore. Di puro, completo terrore.
"Perché siete voi la causa?" fu la legittima domanda di Darya. Cominciava a sentirsi spaventata da quella situazione assurda.
***


Angolo dell'autrice:
Salve a tutti! :D
Beh, che dire... intanto, spero che la storia non faccia schifo come mi viene da pensare, data anche la mancanza di recensioni che smentiscano o confermino il mio dubbio.
Termino subito, per carenza di tempo e per lasciare a voi la possiobilità di giudicare questa storia.
Bon, aspetto recensioni. Giusto per sapere cosa ne pensate.
Buon pomeriggio e buon inizio settimana ;)
A lunedì prossimo!

Flame
  
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