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Autore: grapevine    14/04/2014    2 recensioni
"Da quando ti ho incontrata, tutte le mie convinzioni e i miei principi sono crollati. Credevo di essere l'invincibile Kuma che avrebbe combattuto per sempre, in eterno. Io non posso morire: sono uno spirito. Ma nonostante questo ho paura. Paura del vuoto, dell'oblio, della morte. Paura di sparire per sempre. Ma tu no. Tu non hai paura di niente, e credimi, Clarisse, se ti dico che sei tu quella immortale, non io."
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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3.

La casa di Clarisse era distante molti chilometri dall'aereoporto parigino: motivo per cui, quando la ghiaia del vialetto scricchiolò sotto le ruote della lussuosa automobile dei Blanchard, era già pomeriggio inoltrato. Marzo era quasi finito e le giornate si andavano via via allungando. Il sole, che era tramontato da poco, aveva lasciato nel cielo e sulle nuvole un riflesso di un arancione tenue misto al rosa. Quello era il momento della giornata che Clarisse preferiva: il tramonto, con le sue ombre ed i suoi colori caldi e rassicuranti. La sedicenne scese dalla macchina riempiendosi i polmoni dell'odore pungente dei fiori che sua madre aveva fatto piantare in giardino, mentre la Tata Amelie recuperava il grosso trolley rosa dal bagagliaio dell'auto e cominciava a trascinarlo - con evidente fatica - lungo il vialetto.
<< Posso portarlo da sola >> protestò Clarisse, andandole dietro. 
<< Sciocchezze >> disse la Tata, in tono secco, camminando più veloce come inseguita da un qualche ladro. 
Clarisse sospirò aggrottando le sopracciglia. Si mise le mani in tasca e cominciò a camminare trascinando i piedi, saltando nelle pozzanghere (aveva appena smesso di piovere) dando calci ai sassolini. Tata Amelie le rivolse un'occhiataccia, ma non proferì parola. Il vialetto era ampio e lungo, costeggiato da cespugli di rose, aiuole e piccoli arbusti. Terminava in un grande spiazzo al centro del quale si trovavano una piccola fontana, due alberi di limone e la villa dei Blanchard. Il colore principale della dimora della famiglia era il verde: il grosso portone in legno, le mura della casa, le finestre, le mansarde... tutto era colorato di una diversa sfumatura di verde. Per questo i vasetti di rose rosse poggiati sui davanzali di ogni finestra spiccavano molto e davano all'ambiente un'aria elegante e quasi romantica. Clarisse osservò la Tata che bussava al campanello in ottone. Pochi secondi dopo, la porta si aprì e la signora Marie Blanchard si mostrò in tutto il suo splendore. Fisico snello e asciutto, capelli color rame, occhi verdi, sopracciglia fini e chiare, naso alla francese: era identica a Clarisse, ma il suo sguardo era molto più severo ed altezzoso.
<< Tesoro! >> esclamò la signora, allargando le braccia per accogliere sua figlia. 
<< Maman >> rispose Clarisse, senza entusiasmo, affondando il proprio viso fra i capelli di sua madre che come al solito odoravano di rosa.
<< Ci sei tanto mancata, Clarisse cara! >> continuò Maman, stringendola. Sua madre riusciva a rendere freddo e distaccato anche l'abbraccio più stritolante. << Oh, la mia campionessa! >> le schioccò un bacio sulla fronte lasciandole sulla pelle lattacea il segno del rossetto color ciclamino.
La ragazza accennò ad un sorriso e si girò a guardare Tata Amelie, che stava inveendo (in modo educato, si intende) contro il gigantesco trolley rosa che non ne voleva sapere di entrare dalla porta. La signora Blanchard, che stava ancora cantando le lodi della sua Bellissima e Bravissima Clarisse, si interruppe e lanciò alla Tata uno sguardo infastidito.
<< Ah, quello >> fece, noncurante. << Sì, Amelie, portalo tu in camera di Clarisse, se non ti dispiace. >>
La Tata Amelie sorrise accennando ad un piccolo inchino, ma Clarisse immaginò che in realtà la robusta donna non desiderasse altro che ridurre Maman in una polpetta di soia (perché Maman era vegetariana).
Clarisse fu trascinata nell'ampio salone, dove il signor George Blanchard (capelli rossi, occhi verdi, naso alla francese) leggeva il giornale fumando una pipa mentre la piccola Delphine Blanchard (capelli rossi, occhi verdi, naso alla francese) suonava il pianoforte.
<< Guardate chi è tornata! La nostra campionessa! >> trillò Maman per l'ennesima volta.
Delphine smise di suonare e si girò di scatto con gli occhi che le brillavano.
<< Clary! >> esclamò la bambina, scendendo dalla panca rivestita di raso rosso e correndo incontro alla sorella. Clarisse sorrise e si chinò per abbracciarla - Delphine era l'unica cosa bella della sua vita - ma lo sguardo severo di sua madre la trafisse.
<< Delphine Sarah Blanchard, quante volte devo dirtelo? >> borbottò irritata. << Tua sorella si chiama Clarisse, non... non "Clary" >> disse "Clary" storcendo il naso, allo stesso modo in cui avrebbe potuto dire "escrementi di lumaca". << I soprannomi, roba per famigliole da quattro soldi. Dico bene, George? >>
<< Dici bene, Marie >> concordò l'uomo con aria distratta, passandosi la pipa da un angolo a un altro della bocca, ancora intento nella lettura del giornale.
<< Scusa tanto, Maman >> disse Delphine fingendo un tono risentito, stringendo le braccia attorno al collo di Clarisse. Quello sì che era un abbraccio vero. C'era affetto, dentro. Delphine le voleva bene. Maman, invece, voleva bene solo alle medaglie d'oro che la sua adoratissima Campionessa portava a casa.
All'improvviso si sentirono un forte rumore e qualche parola soffocata, segno che la tata era finalmente riuscita a far passare la valigia attraverso la porta e che adesso la stava trasportando con molta fatica su per le scale. 
<< Vado ad aiutarla. Vieni, Delphine? Così ti faccio vedere il regalino che ho preso per te! >> fece Clarisse tendendo la mano al suo clone in miniatura (erano praticamente identiche, ma i capelli di Delphine erano corti a caschetto mentre quelli di Clarisse arrivavano fino a sotto le scapole).
<< Evviva! >> esclamò la bimba, afferrando la mano della sorella e trotterellando fuori dal salotto.
<< No, ferme... >> tentò di bloccarle Maman, ma ormai le due si erano già caricate il trolley rosa sulle spalle ed erano partite alla volta del piano superiore. Amelie era ferma su un gradino con una mano sul petto; il cuore le batteva fortissimo e la corpulenta Tata aveva il fiatone.
<< Che angeli >> farfugliò mentre si asciugava il sudore dalla fronte e scendeva per raggiungere Maman. 
<< Vai a riposarti, adesso, Amelie. In cucina c'è una fetta di torta che ho conservato apposta per te >> disse Maman, aiutando la Tata a scendere gli ultimi gradini.
Al suono di quelle parole la donna parve riacquistare un po' di vigore: difatti si diresse in fretta e furia verso la cucina. Maman scosse la testa pensierosa, lanciò uno sguardo alle scale (il vociare delle sue due vivaci figlie si sentiva fin da lì) ed uscì in giardino per controllare lo stato di salute delle sue adorate rose.
***

A separarlo dalla casa del Settimo Totem c'erano un alto cancello ed un vialetto. Kuma appoggiò la fronte alle sbarre di ottone, meditando. Gli sarebbe tanto piaciuto mandare tutto al diavolo e tornare nella sua prigione, ma non poteva. Riuscire a portare l'Orso sano e salvo al Consiglio degli Spiriti significava libertà, onore ed Ambra Liquida. Da quanto tempo non la beveva? Da quanto tempo non gli era concesso dormire? Da quanto tempo non si sentiva nel pieno delle forze? Da quanto tempo aveva smesso di essere il migliore, il più forte di tutti? Secoli? Millenni? 
Socchiuse gli occhi grigi, che erano cerchiati di nero - altro effetto collaterale della lunga prigionia e dell'astinenza da Ambra Liquida, principale (se non unico) sostentamento degli Spiriti. Ora non gli restava che aspettare che quella dannata ragazza uscisse di casa. Sentiva la minaccia di Hyldegard incombere sul tetto della villa in lontananza, sulle chiome degli alberi e sulle rose rosse e umidicce. Il cielo si era fatto scuro. Ogni traccia del tramonto era svanita e il vento soffiava sempre più forte. Kuma indietreggiò e si accovacciò per terra, poggiando le spalle al muretto e passandosi la mano segnata da cicatrici fra i capelli di un castano chiaro, tendenti quasi al grigiastro. Pian piano si stava abituando al suo corpo da umano, anche se trovava fastidioso il fatto di non poter più né volare né materializzarsi da un posto all'altro. Che vita noiosa che avevano i mortali. 
Non gli restava che aspettare, seduto lì, sveglio come lo era da anni ed anni, perso nel grigio dei suoi pensieri.
***

<< Vi sembra il momento di provare l'aquilone? Sono le nove di sera ed avete appena cenato, dovreste essere già a letto! >> Maman incrociò le braccia con fare autoritario, scrutando negli occhi le due sorelle.
<< Sì che ci sembra il momento >> disse piano Delphine << guarda che bel venticello che c'è! >>
<< Vi sporcherete, vi prenderete un'influenza e, cosa più grave, rovinerete le mie rose! >> la donna era irremovibile. Diede tre mandate al portone e conservò le chiavi di casa nella tasca della camicetta lilla.
<< Filate in camera vostra, adesso. Clarisse, mi meraviglio di te, dovresti dare il buon esempio a tua sorella e invece non fai altro che insegnarle cose strane, dire parolacce e combinare guai >> aggiunse, severa. 
<< Insegnarle cose strane? >> protestò Clary. << Tipo? >>
<< Tipo giocare con gli aquiloni o saltare nelle pozzanghere o... cos'era quella gara che stavate facendo prima a cena? >> Maman quasi rabbrividiva per l'orrore. 
<< La gara di rutti, Maman >> rispose Delphine in tutta tranquillità.
<< Appunto >> la donna fulminò le due sorelle con lo sguardo. << Non voglio vedervi fare mai più una cosa del genere, ed ora mettete via quell'affare prima che ve lo stracci in mille pezzi >> aggiunse, indicando l'acquilone di un giallo brillante che la piccola Delphine teneva stretto fra le braccia.
<< Non puoi stracciarlo, è il regalo che mi ha portato Clary dall'America... >> cominciò Delphine.
<< C-L-A-R-I-S-S-E, non Clary! >> sibilò Maman allo stremo delle forze. << Vuoi dirmi che il regalo che hai portato a tua sorella da New York è... questo stupido coso volante? Con tutti i negozi di alta moda che ci sono a New York le hai comprato... questo? >> aggiunse scandalizzata rivolta alla figlia maggiore.
Clarisse si strinse nelle spalle, portandosi una ciocca di capelli rossicci dietro l'orecchio a punta.
<< Lo sai che a Delphine non piacciono i vestitini >> disse, noncurante.
<< Sì che le piacciono! >> disse Maman stizzita. 
<< Veramente no >> disse Delphine.
<< Adesso basta, mi avete stancata. A letto, tutte e due, subito! >> strillò la donna, battendo un piede per terra, in collera.
Clary e Delphine si incamminarono in fila indiana verso le scale, a testa bassa, senza dire una parola. La bambina aveva ancora l'aquilone in mano. Le loro due camere erano al piano di sopra, poste una di fronte all'altra. Clarisse aprì la porta della sua. 
<< Buonanotte, Del >> sussurrò la ragazza.
<< Buonanotte, Clary >> rispose in un soffio Delphine.
Clarisse entrò e si chiuse la porta alle spalle. Accese la lampada del comodino e una luce soffusa illuminò la stanza. Letto grande e pieno di cuscini, pareti color celeste carta da zucchero, una finestra dalle tende anch'esse celesti, una piccola libreria stracolma (Clarisse adorava leggere), una scrivania, una comoda sedia, un tappeto color crema, tante foto (che ritraevano principalmente paesaggi naturali), medaglie d'oro appese ovunque e tante coppe di equitazione sistemate in bella mostra su uno scaffale apposito. La ragazza si spogliò, si infilò il pigiama e si sistemò nel morbido e caldo letto accanto al suo peluche preferito, quello a forma di orso. Lo osservò per qualche tempo, incapace di prendere sonno. Si rigirò su sé stessa più volte, poi si alzò e si affacciò alla finestra. La luce dei lampioni illuminava il vialetto ed i cespugli di rose. Fortunatamente non aveva più piovuto; c'era ancora un bel vento ed erano le nove e trenta. Un'idea folle le balenò nella mente. Clarisse Blanchard non era una di quelle persone che si lambiccavano il cervello per ore, ragion per cui si fiondò a vestirsi. Si mise gli stivaletti, le calze, un elegante vestitino di velluto nero dalla gonna a pieghe che le arrivava al ginocchio (tutti i jeans nel suo armadio erano spariti in circostanze misteriose) e l'impermeabile. In punta di piedi uscì da camera sua e bussò alla porta di sua sorella. Delphine le aprì qualche minuto dopo, assonnata, con i capelli rossi tutti scompigliati.
<< Che c'è? >> sussurrò sorpresa. 
<< Vestiti e prendi l'aquilone >> rispose Clarisse, piano.
Delphine sorrise radiosa e in meno di sessanta secondi fu pronta. Trascinandosi dietro il grosso aquilone giallo, le due sorelle scesero silenziosamente le scale.
<< Come facciamo? La mamma ha chiuso a chiave la porta! >> sussurrò Delphine.
Clarisse ci pensò un attimo, poi guidò la bambina di nuovo su per le scale.
<< Scendiamo dal tuo balconcino >> sibilò la maggiore mentre apriva la porta della camera di Delphine.
<< E se cadiamo? >> rispose la piccola.
Clarisse ridacchiò. << Sembri Maman >> sussurrò. Scostò le tendine verdi ed aprì il balconcino. Erano a quasi due metri da terra e sotto di loro c'era il muretto che separava il giardino e gli alberi di limone dallo spiazzo con la ghiaia che dava inizio al viale.
<< Vado prima io >> disse Clary. Era alta per la sua età e le lezioni di salto a ostacoli di equitazione l'avevano resa agile e - soprattutto - coraggiosa. Scavalcò la ringhiera del balconcino prima con un piede e poi con un altro, sentendosi un po' come la protagonista del film "Titanic", uno dei suoi preferiti. Delphine la osservava, apprensiva, pronta ad intervenire in caso di emergenza. La ringhiera era un po' scivolosa, ma alla fine, vuoi per miracolo, vuoi per bravura, con un piccolo salto Clarisse si ritrovò in piedi sul muretto. Con il cuore che le batteva forte, si fece passare l'aquilone da Delphine e lo appoggiò con cura sul ramo dell'albero di limone che aveva accanto.
<< Vieni, ti tengo io >> disse poi, rivolta alla sorella.
Delphine aveva circa sei anni e studiava danza classica da quando ne aveva quattro, quindi era agile quanto Clary, se non addirittura di più. La bambina scavalcò anche lei la ringhiera - forse con un po' più di fatica, visto che era più bassa di sua sorella - poi Clarisse la prese in braccio e la fece atterrare sul muretto rischiando quasi di cadere.
Non riuscivano a credere di avercela fatta: presero l'aquilone dall'albero e scesero dal muretto dirigendosi in punta di piedi verso il giardino. In quel modo non avrebbero fatto rumore con le scarpe sulla ghiaia e sarebbero state nascoste dal muretto e dagli innumerevoli ed alti cespugli di rose.
Il vento soffiava forte. Clary e Delphine srotolarono un po' per volta il filo tagliente dal rocchetto in cui era avvolto, fino a quando l'aquilone giallo non si librò in aria.
<< Guarda che bello, Clary! >> esclamò la bambina, con gli occhi verdi puntati al cielo. 
<< Tieni stretto il filo, Delphine, e attenta a non farti male >> disse la sorella maggiore, con i capelli ramati che le andavano in faccia per via del vento.
<< Stavolta sei tu che sembri Maman >> borbottò Delphine, tenendo ben saldo il rocchetto.
Clarisse le fece segno di stare zitta; non voleva che i suoi genitori si svegliassero proprio sul più bello. Ma se George e Marie Blanchard dormivano beati, ignari di ciò che stava succedendo, qualcun altro era sveglio e vigile e spiava le due ragazze appoggiato al cancello d'ingresso.
Kuma alzò un sopracciglio ed i suoi freddi occhi cerchiati di nero inquadrarono l'adorabile scenetta: il Settimo Totem e sua sorella minore che trasgredivano le regole di mammina per giocare con un... cos'era, quel rombo giallo in alto nel cielo? Non l'aveva mai visto prima. In realtà in quel momento tutto era nuovo per lui; le uniche cose che riusciva a ricordare di aver visto erano il muro scrostato, le squame di Hyldegard, il volto pieno di collera di Atlante, il cadavere di Aloo e le sbarre della prigione.
Kuma decise di spostarsi più in là per osservare meglio l'Orso e studiare da subito i suoi movimenti; del resto a breve avrebbe dovuto, in qualche modo, istruirla ed addestrarla a salvare il mondo. Cose da niente. Mentre camminava andò a sbattere contro qualcosa e a stento riuscì a soffocare un'imprecazione. Altro difetto dell'essere intrappolato in un corpo umano: il dolore. Agli Spiriti una cosa soltanto poteva infliggere dolore, ma era riservata a quelli condannati dal Consiglio degli Spiriti. Per il resto il male fisico non esisteva: una figata.
Delphine non sentì niente, intenta com'era a far volare il suo aquilone, ma Clarisse drizzò le orecchie. Si sentiva osservata e qualcosa le diceva che era meglio rientrare in casa il prima possibile.
<< Delphine... >> sussurrò, cercando di mascherare la nota di panico che aveva nella voce. << Delphine, andiamo, ti aiuto a salire dal balcone... >>
<< Di già? >> si lagnò la bambina, sbadigliando.
<< Dai, non vedi che stai morendo di sonno? Andiamo >> disse la sorella maggiore, insistendo. Tirò l'aquilone verso terra e riavvolse il filo nel rocchetto, poi lo poggiò di nuovo sul ramo dell'albero di limoni. Il più veloce che potè, salì sul muretto, prese in braccio Delphine e la aiutò ad arrampicarsi sulla ringhiera del balconcino. Le cose non adarono lisce come la prima volta, perché le due sorelle, entrambe stanche e un po' spaventate, rischiarono di cadere un bel po' di volte.
Kuma le osservava da lontano, attento e incuriosito.
Comunque, poco dopo Delphine fu sana e salva sul balconcino di camera sua.
<< E tu non vieni? >> chiese la bambina.
<< Ho dimenticato l'aquilone >> disse Clary << vado a prenderlo. E devo anche raccogliere dei... rametti... per... la lezione di scienze di domani. Ce l'ha detto la professoressa. Sai, questo potrebbe richiedere del tempo. Anzi, sicuramente richiederà del tempo, perciò tu mettiti il pigiama e vai a dormire >> aggiunse, rassicurandola. 
Delphine la guardò sospettosa per un po', ma alla fine il sonno ebbe la meglio.
<< Allora lascio il balcone aperto. Starai attenta? >> chiese, con le palpebre che si chiudevano.
<< Attentissima >> rispose Clarisse.
<< Buonanotte >> salutò Delphine sbadigliando. Si tolse gli anfibi di gomma scalciando e si infilò sotto le coperte con ancora l'impermeabile addosso. Clarisse aspettò che sua sorella fosse caduta in un sonno profondo, poi scese dal muretto e recuperò l'acquilone. Il vento non soffiava più così forte, ma erano le undici e faceva piuttosto freddo. Spinta da un coraggio e da una faccia tosta che la ragazza non aveva mai creduto di avere, si avvicinò piano piano al cancello di ingresso. Un ragazzo era appoggiato con la fronte sulle sbarre di ottone. Aveva un certo fascino, ma incuteva  paura, con quegli occhi freddi, le occhiaie, e quell'espressione strana.
<< E-ehm. Posso aiutarti? >> pigolò Clary, pentendosi immediatamente di ciò che aveva fatto. Perché non era salita anche lei in camera con Delphine? E se quel tizio fosse stato un malintenzionato?
<< No, non puoi aiutarmi, a meno che tu non abbia una sorgente di Ambra Liquida nascosta nel tuo Giardino delle Meraviglie >> fece Kuma con un sorriso sghembo, ancora con la fronte poggiata al cancello. Clarisse indietreggiò. Quanti grammi di cocaina doveva aver inalato quel bell'imbusto prima di arrivare a parlare di sorgenti di Ambra... Ambra che?
<< Ah >> disse Clarisse. << Ah, be'... sono spiacente ma non ho una sorgente di... come hai detto? >>
<< Ambra Liquida. >>
<< Ambra Liquida, ecco. No. >>
<< Peccato >> Kuma si strinse nelle spalle. << Be', Totem Numero Sette, molto piacere, io mi chiamo Kuma e sono il tuo nuovissimo e bellissimo Spirito Guida. Ti va di imparare a diventare una guerriera sanguinaria, di venire al Consiglio degli Spiriti con me e di uccidere un certo lucertolone di nome Hyldegard? >>
Sogghignò all'espressione di sgomento che comparve sul volto della ragazza e immaginò Atlante che scuoteva la testa con disappunto.
<< Totem che cosa? >> fece Clarisse in un sibilo acuto. << E di che lucertolone parli? >>
<< Hai ragione, non è proprio un lucertolone; in realtà l'ultima volta che l'ho visto era una libellula gigante con le squame, ma può cambiare forma a suo piacimento >> fece Kuma, tranquillo, in tono divertito. 
<< Credo di dover andare >> nella fretta di scappare via, la ragazza inciampò e si ritrovò col sedere per terra.
<< Attenta, Chioma di Fuoco >> disse Kuma ridacchiando mentre si infilava le mani in tasca. 
<< Tu sei pazzo >> farfugliò il Settimo Totem mentre si alzava spolverandosi via la polvere e la ghiaia dalla gonna del vestito e dall'impermeabile. 
<< Può darsi >> acconsentì lo Spirito Guida. << Ci vediamo domani! >> le urlò dietro con un sorriso sghembo mentre la osservava correre via lungo il vialetto. Dove aveva sbagliato? Forse - ma forse, eh - il tipo di approccio non era stato quello giusto. Ma quello era il bello dell'essere uno Spirito Guida: spaventare a morte i nuovi Totem.
Si avviò lungo la strada, sorridendo amaramente, pronto a vagabondare per tutta la notte - perché lui, traditore, altro non poteva fare.
Che noiosi, i mortali.



Scusate il ritardo!
Spero che questo capitolo vi piaccia, l'ho scritto di fretta quindi perdonate gli eventuali errori.
Tante recensioni, mi raccomando ;)
Grazie a tutti per aver letto!
Alla prossima.
  
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