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Autore: Iaiasdream    16/04/2014    1 recensioni
IN REVISIONE
I sogni, chi può vivere senza? Non riesco proprio ad immaginarmelo. Possono essere: dolci, lugubri, nascondigli per i tuoi più profondi pensieri, ma fanno sempre parte di te, rappresentano l’io di una persona, e anche se non si vuole credere, loro sono inevitabili... rieccolo lì, il mio passato. Arciere che scocca la freccia nel mio punto debole: l’inconscio. Di sicuro è lui che lo manovra. Lui, con quegli occhi taglienti e beffardi, con quel sorriso strafottente, disegnati su un viso irresistibilmente affascinante, è ritornato repentinamente a invadere la mia vita, lui artefice della sofferenza che mi aveva imprigionato per un po’ di tempo. Perché stava ricomparendo senza alcun pudore? Perché ricordarlo in quegli atteggiamenti? Che cosa vuole da me dopo tutti questi anni, che non sono molti ma, ancora oggi mi sembrano un’eternità?
Genere: Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'A quel punto... mi sarei fermato '
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3.
SFOGLIANDO LE PAGINE DEL PASSATO
 
Fu un lunedì di marzo quando, ritornando a casa da scuola, ricevetti la tanto attesa notizia che avrebbe cambiato la mia insignificante vita da studentessa diciassettenne e che i miei, da tempo, avevano suscitato in me dubbi, poiché si comportavano in maniera strana.
Erano giorni che li vedevo discutere in silenzio e cambiare argomento ogni qualvolta mi vedevano comparire. Quella situazione mi stava sui nervi, facendoglielo notare più di una volta, ma loro continuavano a comportarsi noncuranti e indifferenti alle mie domande.
Con loro non ho mai avuto un rapporto molto legato come lo avevano le mie compagne di classe con i rispettivi genitori. Non c’erano quasi mai a causa del loro lavoro. Mio padre lavorava all’estero come sceneggiatore di Drama e mia madre dirigeva un’industria di cosmetici. Le poche volte che ci riunivamo come una vera famiglia, non sembravamo neanche tale. Mio padre riposava fino a tardi, mia madre ne approfittava per incontrare qualche sua amica e io mi chiudevo in camera sfogando la mia solitudine nel disegnare o inventare storie manga.
Non avevo un’amica, le mie compagne di classe non comprendevano la mia passione e alle volte, quasi facendolo apposta, mi escludevano dal gruppo. Questo però non mi faceva sentire sola. Non ho mai percepito la solitudine come un brutto momento.
Io non ero sola, a farmi compagnia c’erano i miei sogni e le mie fantasie e poi, una volta a settimana, veniva a trovarmi la sorella di mio padre, zia Agata, che possedeva un negozio di cosplay in un paesino a me sconosciuto. Mi divertivo un mondo con lei, era il mio punto di riferimento quando dovevo inventare un personaggio. Agata non si tirava mai indietro quando le chiedevo di vestirsi da fata e posare per i miei disegni, al contrario: dava vita ad una vera e propria sfilata di vestiti che avevano fatto la storia degli anime giapponesi.
Zia Agata era l’unica su cui potevo confidare. Era l’unica vera amica mai avuta in tutti i miei diciassette anni.
Quel lunedì, come appunto dicevo, quando tornai a casa, con mia più grande sorpresa, la trovai in cucina, mentre parlava con papà e mamma. Salutai per attirare l’attenzione. Me la vidi piombare fra le braccia e chiedermi quasi con foga «Rea! Sei contenta?»
<< Di vederti? Certo! >> risposi cercando delicatamente di liberarmi da quella forte stretta.
<< Ma che dici? Lo so che sei contenta di vedermi! Intendevo un’altra cosa! >>
Si allontanò mettendosi al mio fianco e avvolgendomi le spalle con un solo braccio. Guardai smarrita i miei genitori, aspettando una risposta che giunse dalle parole di papà.
<< Vedi Rea, abbiamo deciso di farti trasferire >> disse un po’ imbarazzato. Lo guardai con incomprensione.
<< Il fatto è che… >> continuò mamma << noi siamo sempre via, e tu qui vivi sola >>
Ah! Ve ne accorgete solo adesso? Mi dissi incredula. Che acuto intuito possedete!
<< Tuo padre dovrà assentarsi per quasi un anno e io non posso lasciare l’industria a mani estranee, lo capisci questo, vero? >>
<< Quindi? >> chiesi impassibile. Mio padre e mia madre si guardarono non comprendendo il mio atteggiamento freddo e inespugnabile.
<< Al-allora… >> balbettò mio padre.
<< Ti trasferirai nel mio paese e verrai a vivere a casa mia! >> esclamò con vivacità zia Agata.
Non ebbi alcuna reazione, mi allontanai da mia zia e mi diressi verso le scale, prima di salire dissi << Vado a preparare le valige >>, poi me ne andai. Salendo sentii un mormorio che diceva << L’ha presa bene non preoccupatevi… >>.
Certo che l’avevo presa bene. Ma non ero abituata a esprimere i miei sentimenti di fronte a loro. Mi chiusi in camera e mi tuffai sul letto sorridendo, volsi lo sguardo verso il cherubino di Swarovski regalato da mia nonna e dissi a me stessa “finalmente la mia vita cambierà”. Mi alzai di scatto sentendo bussare alla porta, andai ad aprire e vidi mia zia scaraventarsi fra le mie braccia. Ridemmo e saltellammo come due idiote. Quando poi ci accorgemmo che la cosa stava diventando alquanto imbarazzante ci distaccammo cambiando tutt’ad un tratto espressione seguita da brevi colpi di tosse, come se non fosse successo nulla mi recai all’armadio e presi dallo scaffale più alto la valigia. Mia zia mi aiutò a prepararla.
 
 
Il viaggio non fu lungo e neanche stancante, la villetta della zia si trovava nei pressi di un lago che quel giorno mi diede il benvenuto riflettendo sulla sua superfice sfumature del cielo al tramonto. Ero estasiata e finalmente potevo darlo a vedere, finalmente potevo esprimere i miei sentimenti, finalmente la vera Rea stava uscendo alla luce del sole.
La camera che mi affidò Agata aveva una piccola veranda che si affacciava sul lago, era una stanza molto spaziosa e tipica dei gusti di mia zia.
La prima cosa che feci quando vi entrai fu lanciarmi sul letto e sospirare rumorosamente. Non riuscivo a credere che la mia vita stesse cambiando e come inizio non era male. Mi ero subito innamorata di quel paese, era totalmente diverso dalla città. Qui potevo sentire la natura. In città, invece, la mia finestra si affacciava su strade affollate e l’odore dello smog si sentiva fin giù in cantina.
Mi alzai dal letto curiosa di vedere quel sublime panorama. L’aria della sera era fresca, il cielo illuminato da stelle e in quel momento mi resi conto di non conoscerlo veramente ‘ché non l’avevo mai visto così luminoso, e poi il lago… non trovavo parole per descriverlo. Mi appoggiai alla ringhiera e affacciai lo sguardo verso il basso. Venni attratta da un fischio e dei mormorii lontani. Strinsi gli occhi cercando di mettere bene a fuoco la situazione. C’era un ragazzo, del quale potevo vedere solo la sua silhouette che, lungo la riva del lago, lanciava qualcosa a un cane e questo da bravo amico la rincorreva per riportarla al padrone.
Fu un attimo, non mi volli sbagliare, ma credetti che il giovane dopo aver lanciato l’oggetto, si fosse girato verso di me guardandomi. Prima che potessi scoprire se fosse realtà o pura semplice fantasia, mia zia mi chiamò avvisandomi che la cena era pronta. Feci per andarmene, ma una voce attirò di nuovo la mia attenzione.
<< Demon, torna qui!! >>. Mi voltai di scatto e lo vidi mentre rincorreva il cane allontanandosi dalla mia vista.
 
 
La cena fu molto movimentata. Zia Agata faceva progetti per il nostro futuro e io l’ascoltavo divertita. Poi ritornando seria, mi disse:
<< Ho una notizia a proposito della scuola che dovrai frequentare da domani >>
<< Cos’è? >> chiesi guardandola sottocchio.
<< Il liceo Dolce Amoris, ha come preside la zia mia e di tuo padre >>
<< Cooosa?!? >> esclamai alzandomi di scatto e guardandola con occhi sgranati << stai scherzando, spero?! >>
Invece di rispondermi, Agata scosse lentamente la testa. Sprofondai sulla sedia tanto afflitta quanto sconfitta.
Zia Camille, detestavo quella donna. Quando la conobbi la prima volta avevo sette anni, fu nel periodo Natalizio, mio padre e mia madre la invitarono al cenone, poi come al solito loro se ne andarono lasciandomi da sola, ma quella volta Camille si candidò per farmi da babysitter. All’apparenza sembrava una nonnina dolce e paffutella, ma in realtà… bastò un giorno passato in sua compagnia, e a sette anni scoprii che la Befana, Babbo Natale e il coniglio di Pasqua, non erano altro che invenzioni per far sognare i bambini.
Come fece? Stavo piangendo perché il suo fastidioso cagnaccio aveva mangiato tutti i cioccolatini che, come credevo, aveva portati Babbo Natale. << Cattivo! >> gli urlai. Lei infastidita dal mio atteggiamento che ebbi nei confronti del cane mi disse in modo sprezzante << È inutile piangere! Pensi davvero che te li abbia portati Babbo Natale? Beh, sappi che non esiste! >>.  Fu un duro colpo per me sapere certe verità così spudoratamente. In poche parole zia Camille, era una strega travestita da nonnina di Cappuccetto Rosso.
Quel dolore lancinante che sentii in petto a sette anni ritornò a flagellarmi il cuore ora che ne avevo diciassette. Dopo dieci anni, mi ero liberata dall’assurda condizione della mia famiglia e adesso venivo a sapere che la direttrice del mio nuovo liceo non era altri che la strega di Hansel e Gretel? No, cavolo! Zia Agata stava di sicuro scherzando! A malincuore dovetti accettare la dura realtà.
<< Zia Camille ha saputo che tuo padre e tua madre volevano farti trasferire e, quando ha scoperto che saresti stata ospitata da me, ha insistito tanto per farti iscrivere al suo liceo. >>
<< E allora, prepara il coltello più affilato che hai! Questa volta non la passerà liscia! >>
Agata sbottò in una risata contagiosa. Risi anche io, rendendomi conto che mi ero rassegnata alla notizia.
 
 
 
   
 
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