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Autore: niiietta    17/04/2014    0 recensioni
Era lo scoppiettio del fuoco. La brezza fresca d'estate. Il cuore di corde, pennate alle voci. Felpe profumate di sapone, alberi lucidi e bruni.
Vento fresco, brividi alla pianta dei piedi. Morbidezza di caramella, agli occhi fiocchi di neve, secche stagioni, cafféllatte, panna, torte al cioccolato e gelsomini. Muoversi di musica, limpide risate.
"E lì restavamo,
Fermi come le stelle sui boschi.
Così felici,
Il calore sembrava autentico in quelle ossa.
E quando il vecchio pino cadde cantammo,
Solo per benedire quel mattino.
Cresciamo, cresciamo, costanti come il mattino, felici come una nuova alba, costanti come i fiori.
Cresciamo, cresciamo. Diventiamo ancora più grandi."
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo secondo
Calore, occhi e luce.

 

Il marciapiede bollente del caldo cocente d'Agosto.
Uscito solo per non subirlo dentro casa, camminava senza averne voglia.

Odiava quel posto.
Certo, poteva stare lontano da suo padre, lontano dalla sua vecchia vita, lontano da tutte quelle storie a cui non gli andava mai di pensare ma decisamente odiava il sole ed il caldo.
Suo zio doveva proprio andare a vivere in un posto del genere? In Italia c'erano posti molto più freschi.
Al Nord, ad esempio. Milano, ad esempio.
E invece no. Il Sud. E, come se non bastasse, un'isola della quale non conosceva il nome fino a quel momento: la Sardegna.
Cosa c'era di così bello da aver convinto suo zio a stare lì? Probabilmente solo sua zia Milena.
Arrivò al parco di fronte al palazzo dove, ormai, abitava e superò uno dei tre cancelli verdi d'ingresso, quello che dava sulle altalene. Puntò alle panchine disposte a cerchio poco distanti, all'ombra di un grande albero posto al centro, in un aiuola. Perfetto.
Un sospiro, un'occhiata per vedere se sporco e poi i jeans scuri sul ferro più fresco.
Il rumore rilassante del vento e solo le voci di alcuni bambini distanti, ma quella era la parte più silenziosa del parco. Godeva così tanto, di quella pace, ad occhi chiusi, che perdette il senso del tempo.
Un altro sospiro, le mani nelle tasche dei jeans a cercare il pacchetto di sigarette quando dei singhiozzi troncarono l’idilliaco momento.
Dischiuse bruscamente le palpebre e cercò il colpevole. Altro non era che una ragazza.
Gli era passata davanti superandolo per raggiungere un’altalena. I palmi delle mani a fregare forte sulle palpebre, di fretta, anche il dorso delle dita.
La guardava e non sapeva perché la stava guardando. I capelli non troppo lunghi e lisci, di un biondo scuro, piccola di statura e abbronzata nei vestiti estivi.
La guardava e non pensava fosse particolarmente bella. Anzi. A malapena era carina.
Il punto era che quelle lacrime lo catturavano. Forte, gli inacidivano lo stomaco.
Piangere in un luogo pubblico come se fosse suo e disturbare la quiete degli altri.
E pensava, quanto poteva essere stupida?


Isabella

 

Erano ricci e occhi verdi.
Restai a guardarlo, con una strana sensazione addosso. Chi era?
L’avevo già visto da qualche parte...
Non diceva una parola, ma restava a fissarmi e, cercando di riconoscerlo, anche io non avevo ancora parlato. Mi resi conto del mio silenzio quando mi rivolse un sorriso.
«Hey» mi salutò, risvegliandomi dai pensieri.
«Ciao» ricambiai, mettendomi nervosamente a posto i capelli.
Era stato tutto molto veloce.
Che era successo?
Damon, quel giorno, era rientrato a casa scoglionato come non mai a disturbarmi mentre guardavo la tv.
Si era seduto come se non ci fosse nessun altro in casa e mi aveva rubato il telecomando.
«Oh! Guarda che c’è qualcuno, qui!» gli avevo urlato, ma mi aveva bellamente ignorata. Come - ogni - santissima - volta.
«Devo uscire, fra poco, Mademoiselle – mi disse, chiamandomi in quel modo che mi fece solo irritare di più – Lasciami un po’ in pace».
Io. Io.
Sentite le urla che ci eravamo lanciati, vero? Bene, perché le sento ancora anch’io e ne sono molto soddisfatta.
Ma chi cazzo si credeva?! Arriva, lì, fa quello che vuole! Bah.
Comunque.
Non riuscendo a farlo star zitto – mi chiedevo Annalisa come ci riuscisse – fui in grado solo di farmi lanciare il telecomando addosso prima che andasse a prendere il
portatile per controllare qualcosa e poi uscisse.

Ricevetti una chiamata da parte di Anna che stava per tornare e fu quando staccò che suonò il campanello. Litigate a parte – ancora – per chi si sarebbe dovuto alzare, decisi di farlo io solo perché dovevo finire di preparami prima che fosse tornata la mia dolce sposina. Dovevamo, come raramente accadeva, uscire insieme!
Ed è lì che mi trovai di fronte quei ricci scuri e quegli occhioni verdi.
Avrei potuto giurare si trattasse di un ragazzino se non fosse stato così... enorme.
E dopo il mio saluto, solo «Io... sono... cioè, abito qui sopra» tentennò, spiegandomi e continuando a guardarmi.
«Ah, sì – “Ah sì”? – Dimmi pure» buttai lì.
Aveva proprio un aria familiare. Forse l’avevo incrociato nel palazzo ma... sentivo che non era così.
«Ecco, mi chiedevo se... ehm... come si chiama? Quel... ragazzo dai... capelli biondi fosse in casa» mi spiegò ancora, muovendo forte le pupille. Parlava in modo strano.
Ragazzo dai capelli biondi? Oh. Il platinato.
«Ah, cerchi Damon! Aspetta, te lo vado a chiamare, stava per uscire» dissi e feci per rivolgermi dentro casa ma mi fermò con uno strano suono di gola che sarebbe dovuto
essere un “aspetta”.

«Eh... è che... mi... serviva proprio quello. C’è... il mio amico che è rimasto bloccato nel garage perché... c’è... quella che... credo sia la sua macchina, una... Bentley nera parcheggiata all’uscita» continuò, balbettando varie volte e muovendo le pupille.
«Se... potessi chiedergli di spostarla... per favore» concluse e... non riuscivo a smettere di guardare il modo in cui balbettava. Muoveva le labbra in modo davvero strano.
«Ho... ho capito, vado... a dirglielo?» tentai, non capendo più bene cosa dovessi fare. Non potevo chiamarlo e diceva tutto a lui? Perché ne parlava con me?
«Eh? Oh... ehm... sì, grazie» mi rispose, stavolta più veloce. Cosa... Isabella, smettila di guardargli la bocca. Non è carino se gli ridi in faccia.
Buttai lì qualcosa e, prima che scoppiassi a ridere sul serio, mi diressi da Damon che... guardava una cosa al computer. Sì, guardava. Dove cazzo era andato?
Lo chiamai a gran voce per la casa e mi rispose dal bagno. Gli dissi – sempre urlando, ma in italiano – cos’era successo e, dopo essermi presa uno strillo per averlo chiamato “cazzone” tornai da quel ragazzo che mi aveva aspettata alla porta.
«Dice che sta arrivando» lo informai, perciò.
«Va bene» mi rispose e mi rivolse un piccolo sorriso, restando a guardarmi.
Io non sapevo bene che fare. Rimasi lì ad aspettare arrivasse Damon, ma era imbarazzante.
Non staccava gli occhi dal mio viso e sapeva solo crearmi più domande.
Mi conosceva e non mi ricordavo di lui? Penso me l’avrebbe detto...
«Come ti chiami?» mi chiese poi, prendendomi quasi alla sprovvista.
«Io? – dissi, stupidamente – Isabella» riparai poi.
Il sorriso che mi rivolse in quel momento fu molto più grande del precedente. Le guance gli si ammorbidirono in fossette.
«Isabella...» ripeté e centrò lo sguardo dentro il mio.
Che stava facendo?
Un “porca puttana” interruppe la situazione, con Damon che sfrecciò fuori dalla porta di casa lasciando entrambi basiti.
Io non potevo crederci. Questo si era fatto di qualcosa o quando è nato ha battuto la testa. Forte, però.
La risata del ragazzo mi fece staccare lo sguardo da quello psicopatico che aveva pure preso le scale invece che l’ascensore. Perfetto.
Che figura di merda.
«Davvero non ci badare, è fuori di testa» cercai di rimediare.
«È divertente!» esclamò invece quello, facendomi aprire perplessa le palpebre.
Tentai una risata: «Se lo dici tu» gli dissi, ancora più perplessa.
Restò un attimo in silenzio prima di leccarsi le labbra e farfugliare un «Allora ci vediamo».
Qualcosa la ricordai e qualcosa si mosse ma non saprei bene dirvi cosa.
Ci vediamo?
«Sì, va bene» risposi.
Era troppo assurdo che delle fossette, dei ricci e degli occhi chiari mi ricordassero qualcosa.
Poco prima di andare sorrise forte.
«Io sono Harry»

 

Annalisa

Quanto ci metteva ad arrivare?
Forse il primo bus era arrivato troppo tardi o troppo in anticipo creando confusione con gli orari, fatto sta che ero lì ad aspettarlo e sbuffavo.
Uffa! Oggi che dovevo uscire con Isabella e volevo far presto!
La pensilina mi sembrò un bel posto dove poggiarmi, gli occhi alla strada alberata, odore grigio e arpeggi alle orecchie. Tenevo la mia agendina in mano – durante il
precedente tragitto ci avevo scritto qualcosa – e mi stringevo con una mano la mia giacca in stile Montgomery al petto, decidendo solo dopo di allacciarne i bottoni.

Ricordo che amavo quella giacca così come le Timberland che portavo ai piedi. Quant’ero stata felice quando mio padre, dopo tanto tempo, era riuscito a regalarmi entrambe le cose e alla fine era diventato più grande il valore affettivo che l’oggetto stesso. Per quanto fossi una ragazza non avevo mai amato particolarmente i vestiti costosi e le grandi marche. Solo Isabella mi aveva un po’ contagiata ma continuavo a interessami ad essi solo collegandoli ad un qualcosa della mia vita, un evento od una persona, e a preferire le cose semplici.
I miei pensieri – per niente strano stessi pensando, non smetto mai di farlo– vennero stroncati dal rumore di un auto che parcheggiò a fianco alla fermata, di corsa.
Mi spaventai – la sentii nonostante la musica – e mi voltai di scatto.
Una Porsche nera.
Ancora?
Non so quante volte l’avessi incrociata dopo il giorno sul bus e sapevo per certo fosse quella. Una volta avevo anche rischiato di morirci investita.
Il proprietario scese di fretta, sbattendo bruscamente lo sportello e maledicendo qualcuno.
Mi sorpassò, suonando il campanello della casa dietro di me, piantando forte il piede per terra e sbuffando, le braccia conserte.
Aumentai di poco il volume infilando una mano nella tasca della giacca e guardai oltre la macchina per vedere se ci fosse il bus in arrivo.
Mi sentivo strana. Come una... sorta di agitazione allo stomaco.
Qualcosa mi diceva di guardare che stava facendo ma decisi di ignorare quell’inutile voce alla testa. Che problemi avevo?
Non ci fu bisogno che dessi ragione a quella voce perché, sbuffando, tornò indietro e si poggiò alla macchina, un piede a spingere sul marciapiede, lo sguardo basso e le braccia ancora conserte.
Come delle luci scoppiettanti alla bocca dello stomaco l’agitazione si fece più forte e, respirando profondamente , spostai i capelli lunghi su una spalla e mi diedi ancora della stupida.
Conoscevo quella sensazione e anche quella voce – quella che mi stava avvertendo di qualcosa – ma perché darle retta se quello era un perfetto sconosciuto?
Alla fine lo guardai, ma solo perché, non stando un attimo fermo, aveva attirato la mia attenzione.
Portava i capelli scompigliati, leggermente più scuri dei miei, un giubbotto di jeans con pellicciotto e dei pantaloni neri. Era più alto di me – non che ci volesse molto – e gli occhi erano... azzurri.
Aggrottai la fronte. Cos’era quella sensazione?
Un colpo al cuore e subito mi voltai quando quegli occhi incontrarono i miei, facendomi avvampare le guance. Ero una stupida! Davvero, che cazzo di problemi avevo?!
Si voltò subito quando la porta dietro di me si aprì.
Sollevai discretamente lo sguardo per vederlo staccarsi dalla macchina con un sorriso sul volto.
«Scusami tanto!» esclamò una voce leggera alle mie spalle.
Era di una ragazza dai capelli lunghi, mossi e bruni, alta, dal portamento perfetto. Era bellissima.
«Non preoccuparti» rise lui, stringendola in un abbraccio e baciandole rumorosamente una guancia.
Sorridendosi e tenendosi per mano l’accompagnò alla macchina ed il bus arrivò.
Non li vidi andar via. Solo il rumore della macchina e dietro di me la strada vuota.
Ancora, cos’era quella sensazione?

 

Louis

 

«Devi proprio andare?» le dissi, trattenendo un sospiro.
I suoi occhi mi guardarono e non riuscii più nemmeno a respirare.
«Sì – disse, le mani strette nelle mie – Ti chiamo, d’accordo?».
Non riuscivo a rispondere. Perché doveva essere sempre così presto?
Strinsi la mascella e sentii le tempie farmi male.
«Sì» dissi solo, ma non le lasciavo le mani. Quante volte la solita scena?
Sfilò le mani dalle mie e sentii perdere la presa.
Le mani di Eleanor.
Non erano molto piccole e avevano le dita lunghe. E la punta di queste sempre fredda, poteva anche esserci un caldo bestiale.
Anche ora, che mi si poggiarono sul viso, mi fecero rabbrividire il petto. E le sue labbra, che mi baciarono, lo strinsero.
«A più tardi» mi disse.
Mi punsero le labbra. Troppo poco, troppo presto.
Feci per baciarla ancora ma si strinse nelle spalle e mi guardò agitata.
Lo sapevo, si vergognava. I fotografi, le fans. Le persone.
Già. Louis Tomlinson.
Sospirai piano e la baciai su una guancia, allontanandomi e sorridendole piano.
«A più tardi» ripetei.
Sorrise più tranquilla e non ci volle molto prima che fosse sul treno diretto a Manchester. Aveva la scuola. Gli amici. La festa di compleanno di quella sua amica – non ne
ricordavo nemmeno il nome ed era finito il periodo in cui poteva stare nella casa che aveva lì a Londra.

Perché mi sentivo così? Lei era così tranquilla, dovevo capire.
Tranquilla...
La Porsche veloce, pochi minuti per essere lontano dalla stazione. Ci sarebbero stati i soliti impegni e non avrei avuto tempo per pensarci.
Era per via delle dita fredde che la presa di Eleanor non era calda?

 

Harry

 

Con gli occhi guardavo il cielo.
Sorridevo.
Isabella...

 

Damon

 

Quel tizio non la smetteva di parlare. Mio padre non la smetteva di parlare. E io dovevo sorridere, rispondere pacatamente, ascoltare e sorridere.
Mi facevano male le pieghe degli occhi e della bocca.
Anche quelle dei coglioni.
«E tu che ne pensi, Damon?» mi chiese mio padre.
Conoscevo quello sguardo. Mi stava controllando.
«Io penso dovremmo rischiare, invece» risposi, smontando tutti i discorsi fatti fino a quel momento.
Sollevò un sopracciglio, impassibile, ed io restai immune a quello sguardo. calmo come non mai.
«Nonostante sia rischioso investire su un’azienda così giovane, di questi tempi quello è un settore in notevole sviluppo, perciò penso possa essere una mossa con una
buona probabilità di successo quella di investire in questo campo» mi dilungai tenendo lo stesso tono pacato e di distacco.

Vidi il nostro importante ospite sorridere soddisfatto e cominciare a discutere con me della mia tesi.
Mio padre non accennava a smettere di guardarmi ma decisi di ignorarlo.
Pensava non mantenessi la parola? Non lo stavo di certo facendo per lui.
Eravamo nel bel mezzo di un discorso importante quando il cellulare cominciò a vibrare rumorosamente nella tasca della giacca.
Tutti mi guardarono e lo ignorai, maledicendo chiunque mi avesse chiamato.
Il telefono vibrò una seconda volta, indispettendo mio padre e continuò ancora quando mi diressi al bagno, unico luogo in disparte per vedere chi cazzo fosse.
Il mio nome che lampeggiava al centro dello schermo mi fece sbattere perplesso le palpebre.
No... non poteva essere.
«Pronto?» dissi, ma non volevo aver capito.
«Damon! – esclamò la voce di Annalisa, facendomi sospirare – Una catastrofe! Mi sono resa conto adesso che ci siamo scambiati i cellulari e qui è pieno di telefonate e
messaggi e non so cosa fare!» continuò, agitata.

Porcadi unaputtana.
Avevo quella riunione importante il giorno e le chiamate dovevano esserci per quel motivo. Mi sembrava strano non aver ricevuto alcuna chiamata, quel pomeriggio...
«Che cazzo, Anna! Come hai fatto a prendere il mio cellulare?!» dissi forte, cercando di non urlare.
Entrambi i telefoni li tenevamo sul tavolino di fronte al divano e lei era uscita prima di me perciò era per forza stata colpa sua.
«Damon, dai... – sospirò, stringendomi lo stomaco – non... l’ho fatto a posta e... dovevo lavorare, non potevo rispondere».
Stette in silenzio poi sospirò ancora: «Fra poco finisco il turno, perciò se passi di qui possiamo scambiarceli di nuovo» aggiunse.
I nervi, cercavo di tenerli calmi. Nervi, che saltavano per il modo in cui lo stomaco continuava a stringersi e a rendermi inquieto.
«Non importa» sbottai e chiusi secco la chiamata, cellulare di nuovo nella giacca ed un umore più cupo che potessi avere.
Quando tornai, il sorriso irritante, me lo stampai di nuovo sul volto.
«Scusatemi» dissi, un lieve sospiro dalle narici.
Mio padre continuava a guardarmi, continuava a studiarmi. Ed io continuavo ad irritarmi.
«Purtroppo ho ricevuto una chiamata per una riunione importante, e devo lasciarvi» dissi, sperando mio padre non mi desse noia.
Mi guardò, a fondo. Poi mi rivolse un sorriso: «Sì, so di che riunione si tratta. Continueremo noi, Damon, va pure» mi disse poi.
Per fortuna: «Va bene. È stato un piacere» dissi poi, rivolto a quello che era uno dei soliti azionisti con cui trattava mio padre.
Feci in fretta per dirigermi alla macchina. Se proprio dovevo dirlo, era stata una fortuna.
Corsi velocemente da Annalisa, il Tamigi alla mia sinistra.
Stavo per voltare per la strada interna che mi avrebbe portato al The Hart quando la vidi alla fermata dl bus.
Cambiai velocemente freccia e proseguii diritto, fermandomi poco distante.
Quando scesi dalla macchina mi diressi verso di lei. Mi guardava perplessa.
Io molto più alto di lei, lei sempre con quegli occhi molto più grandi.
«Non... pensavo saresti venuto» cominciò a spiegarsi.
Odiavo che mi dovesse spiegare. Odiavo che mi guardasse così.
«Sì, lo so – le dissi e porsi il cellulare in avanti – Tieni».
Mi guardò ancora, poi sospirò.
«Grazie – mi disse, e prese il suo cellulare per porgermi il mio – Ecco a te».
Lo presi e controllai subito le chiamate e i messaggi. Sentivo i suoi occhi ancora sul mio viso e poco dopo scostarsi.
Quante chiamate erano quelle? Tutte... di... lessi un messaggio.
La riunione era stata anticipata.
Alla riunione non mi ero presentato.
Strinsi le dita ed ebbi l’impulso di spaccare il cellulare a terra.
«Cazzo!» urlai, stringendolo talmente forte che avrei comunque potuto romperlo.
«Damon! – urlò a sua volta e cacciai il cellulare dentro la tasca – Che succede?» mi chiese. Preoccupata.
«Che succede?! Per colpa tua ho perso quella cazzo di riunione!» sbottai.
Restò immobile a guardarmi. Poi abbassò lo sguardo, prima di sospirare forte.
«Io... mi dispiace» tentò, ma la bloccai.
«Un cazzo! – urlai, per niente consapevole di star urlando per strada – Perché quando sei uscita non hai controllato? Eh?!» continuai.
«Mi dispiace! È che--» urlò a sua volta ma la bloccai.
«Non me ne sbatte un cazzo se ti dispiace, cosa faccio io adesso?! Porto le tue scuse come giustificazione?!»
I suoi occhi mi guardavano spaesati finché urlò ancora: «Mi spieghi qual'è il tuo problema? Nemmeno tu ti sei accorto che-» cominci, ma vidi che fissò la strada. Il bus che avrebbe dovuto prendere ci passò di fronte e alzò le braccia al cielo.
«Perfetto!» esclamò per aria, prima di lasciarle andare sbattendole lungo i fianchi.
Vidi gli occhi pulsarle forte e fu come una doccia d’acqua fredda. I suoi occhi...
Sentii stringersi nuovamente lo stomaco e sbuffai un sospiro. Il nervosismo si prosciugò.
Io... avevo esagerato.
«Annalisa» tentai.
«Lasciami stare» sbottò, frugando veloce dentro la borsa cercando chissà cosa. Lo faceva sempre, quand’era nervosa, per ignorarmi e impegnarsi.
Le dita sulle tempie, cercai di controllare il fiato.
Odiavo questa situazione.
La promessa fatta a mio padre, gli impegni dovuti da questo, la scuola, i falsi sorrisi. I mal di testa, gli affari da svolgere anche a casa. I nervi ad accumularsi.
E ora me la stavo prendendo con lei. Come al solito.
Con lei.
«Vieni con me a casa» sospirai, scostando la mano dal viso.
Mi fulminò: «Damon, non ne ho voglia. Davvero, lasciami stare» mi disse.
«Ti ho fatto perdere l’autobus. Siamo pari – tentai, non smettendo di guardarla – Non ho... neanche più nulla da fare».
Stavolta mi incenerì con lo sguardo: «Come pretendi di piombare qui, urlarmi come un pazzo in mezzo alla strada e poi di volermi riaccompagnare a casa?!» sbottò, con la
voce che le tremolava.

«Lo so – risposi, solo, ma non le diedi davvero ascolto – Dai, andiamo»
Continuò ad essere riluttante e a rifiutare categoricamente, ma alla fine accettò. Non rivolgendomi la parola.
Salimmo in macchina e andai più lento.
Avevo sbollito la rabbia e sentivo male al petto per averlo fatto su di lei. Ma che avrei potuto fare? Ero così pieno da esplodere. E lei faceva così... lei mi guardava così e...
Mi voltai, per vederla con lo sguardo fisso e distante, oltre il finestrino.
Lo stomaco si strinse più forte. Non riuscivo a guardarla.
Arrivammo ad un semaforo che il silenzio mi stava suonando nelle orecchie.
Mi voltai di nuovo.
Non riuscivo a stare così... il dolore allo stomaco mi torturava.
Fu come strapparmi la pelle quando, facendo tacere i pensieri, diedi retta all’impulso.
Sbuffai, ed allungai un braccio verso di lei. Le poggiai una mano sul capo, le dita fra i capelli, e glieli carezzai piano. Si voltò verso di me quasi di scatto, guardandomi confusa negli occhi.
Sì, lo sapevo. Non conoscevo la tenerezza, nemmeno sapevo consolare le persone. Ma sapevo quanto lei fosse sensibile e quanto fosse il mio esatto opposto. Quanto,
nonostante tutto, lei fosse tenerezza e consolazione.

E quanto la facevo star male urlandole contro così.
Lo stomaco cominciò a torturarmi davvero oltre la sopportazione quando sussurrai un “Mi dispiace”.
Sentivo quanto fosse sconvolta e schermai il mio sguardo. Non volevo vedesse. Sapevo avrebbe visto.
Scivolai con le dita sulla sua guancia prima di sospirare, mettere in marcia e partire di nuovo, il semaforo scattato.
Restò ancora in silenzio ma sentivo quanto fosse diverso. Anch’io mi sentivo diverso.
Quando fummo dentro il garage, fuori dalla macchina mi diressi all’ascensore che avrebbe portato al nostro piano ma sentii i suoi passi fermarsi. La guardai.
«Cosa?» chiesi.
Mi raggiunse e intrecciò un braccio al mio – che faceva, mi prendeva a braccetto?
«E’ tutto okay» disse, e – dopo un po’, facendo così mi aveva tolto il fiato – camminai con lei così.
«Alla fine sei un bravo ragazzo» rise e alzai gli occhi al cielo, sospirando piano.
«Stupida» dissi e la sentii ridere.
Dovevo concentrarmi ancora di più... dovevo sforzarmi.
Per lei. Solo per lei.






Ecco anche il secondo capitolo! Ringrazio tutti quelli che hanno letto il primo e chi leggerà questo... sperando il meglio.
Un bacio forte!

  
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