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Autore: xbelicapeli    17/04/2014    3 recensioni
Denti stretti, occhi bassi e cuffie nelle orecchie: i tre componenti principali di Louis Tomlinson. I denti stretti per tirare avanti, gli occhi bassi per nascondersi, e la musica come ossigeno, altro che quell’aria rarefatta del treno, troppo poca per tutti quei respiri.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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In quei pochi secondi nei quali la porta bianca scorreva, ed i medici trafficavano ancora in attesa di portare all’esterno il lettino sul quale era disteso Harry, Louis ripercorse gli attimi prima della sua morte programmata. Appena prima del suo tentato suicidio i pensieri si affollarono nella sua mente velocemente per poi sparire improvvisamente lasciando spazio al vuoto assoluto, proprio come fecero nel momento in cui attendeva di sapere se Harry fosse vivo oppure no.
E allora, prendendo in considerazione la possibilità che Harry fosse morto o stesse comunque morendo, Louis diede un senso alla vita in sé, pensò che se Harry non fosse stato più vivo, non sarebbe più stato in grado di vedere il sorriso di Louis che amava tanto, e per parallelismo, se Louis si fosse suicidato non avrebbe mai goduto di quegli occhi verde smeraldo e delle labbra morbide e carnose che lo accarezzavano spesso. Louis si rese conto che il suo tentativo di suicidio fermato da un caldo abbraccio di uno sconosciuto, fu come un istante di infinita bellezza tra la disperazione, nel quale il tempo non era più lo stesso: come un sempre nel mai. Proprio così, un sempre nel mai, come un altrove in uno stesso luogo. E allora Louis, in quell’attimo che precedeva la verità tanto desiderata, concluse che avrebbe voluto cercare quel sempre nel mai per tutta la vita, con Harry al suo fianco; quindi implorò il cielo, sebbene non fosse molto credente, di lasciargli Harry per questa missione.
La porta fu completamente aperta e un medico tirava la barella da un capo mentre una donna la spingeva dall’altro. Avvolto in un paio di lenzuola bianche candide era steso il corpo di Harry, immobile e silente.
Non appena il lettino fu del tutto fuori dalla stanza, Anne e Louis gli si precipitarono affianco cercando di constatare lo stato del riccio.
Anne afferrò la mano del figlio stringendola forte, quasi come se attraverso la stretta potesse infondergli qualche strano superpotere che gli donasse abbastanza forza da renderlo vivo.
Louis invece perse una mano tra i ricci di Harry e passò l’altra sul suo volto, soffermandosi sulle labbra: quelle labbra lo avevano riportato in vita. Poggiò due dita sulla bocca del ragazzo che sussultò muovendosi appena, aprendo un piccolo spiraglio che diede a Louis la certezza che Harry respirava ancora: non era morto. Forse il cielo aveva ascoltato le sue preghiere. Il destino gli stava dando l’ennesima possibilità, pensò Louis che era certo che qualsiasi cosa succedesse per un preciso motivo, che nulla nella vita fosse affidato al caso, ma anzi, che il caso fosse solo un soprannome che i deboli attribuivano al fato.
E nel momento in cui Harry mosse leggermente anche il capo spostando i suoi ricci tra il cuscino, Louis si convinse che scappare non sarebbe servito a nulla: non sarebbe mai potuto scappare da sé stesso, non poteva decidere di smettere di vedersi o di spegnere i rumori che aveva in testa, ma soprattutto non poteva fuggire dal legame che lo teneva ben saldo ad Harry. In fondo quel ragazzo era l’ancora che lo teneva attaccato alla vita, era la bussola che lo accompagnava nel suo viaggio indicandogli la strada da seguire, era la chiave che aveva aperto il lucchetto del suo cuore: decise che non se lo sarebbe dimenticato e che forse un giorno l’avrebbe scritto nero su bianco, inciso sulla sua pelle per sempre.
Un dottore interruppe subito tutti i pensieri e le speranze di Louis e Anne: ‘Scusate, dobbiamo portarlo via ancora un secondo.’ Poi seguì il lettino spinto da un’infermiera e si voltò appena aggiungendo ‘Arriverà un infermiere e vi dirà cosa fare.’ E scomparve tra i corridoi lasciando un sapore amaro in bocca a Louis che non ebbe il coraggio di fare nulla se non risedersi accanto ad Anne.
Come accennato dal medico, un uomo con una divisa azzurra si avvicinò ai due ‘Siete i parenti di Harry Styles, giusto?’
‘Si.’ Rispose Anne alzandosi di scatto, seguita poi da Louis che poggiò una mano sulla sua spalla quasi per trattenerla.
‘Allora seguitemi.’ Concluse l’infermiere cominciando a camminare velocemente per i corridoi; Louis ed Anne gli stavano dietro cercando di mantenere la calma.
Louis ogni tanto incrociava con lo sguardo qualche lettino: prima un’anziana attaccata ad un respiratore, poi un uomo sanguinante e ancora un bambino piangente in preda al panico. La paura lo assaliva sempre più, fin quando non arrivò davanti ad una stanza, la numero 23. L’uomo aprì la porta e dopo aver ricevuto il permesso dal medico lasciò entrare Louis ed Anne. Entrambi si precipitarono accanto al lettino sul quale era sdraiato Harry, ma dopo qualche istante il dottore prese la donna da parte e la portò fuori a parlare. Così Louis rimase pietrificato accanto al corpo immobile del riccio; cominciò ad accarezzargli dolcemente i capelli mentre a stento tratteneva le lacrime. Dopo qualche minuto Harry mosse la testa e molto lentamente aprì leggermente gli occhi, come quando stai al buio per tanto tempo e il bagliore della luce accieca.
Gradualmente le palpebre si allontanavano l’una dall’altra e Louis osservò i suoi occhi più rossi che verdi, Harry non parlò ma lo fulminò con un’occhiata, quasi a dirgli “tu mi hai ridotto così”. Allora Louis scoppiò in lacrime lasciando che le ciglia non trattenessero più quelle goccioline negli occhi: piangeva per il senso di colpa, ma allo stesso tempo era un pianto di felicità e sollievo, in fondo Harry era lì, vivo e sveglio di fronte a lui. Quindi cercò di controllare il respiro e l’unica cosa che riuscì a dire fu ‘scusa amore.’, lo sussurrò quasi fosse un segreto e poi poggiò la sua testa sul petto dell’altro che gli pose una mano sul capo accarezzandolo. Quando si riprese si ritirò su e si asciugò il viso velocemente con le maniche della felpa, poi pose di nuovo lo sguardo su Harry che ancora lo fissava. Il riccio fece una smorfia di sforzo e prese fiato per parlare: ‘Non mi sono pettinato abbastanza per vederti’ lasciò uscire con voce roca. Il volto di Louis sorrise istintivamente e venne ricambiato da quello di Harry che fece lo stesso, poi l’altro prese la parola ‘Sei su un letto di ospedale e sei ancora tu quello che prova a farmi sorridere. Mi sa che ora tocca a me’ e cercò la sua mano, non appena la trovò sentì al tatto qualcosa di ruvido e abbassò lo sguardo: vide un grande cerotto che copriva tutta la parte superiore della mano di Harry e che teneva fermo un grosso ago al quale era collegata una flebo. Rabbrividì e si bloccò per un attimo, poi tremante intrecciò le sue dita tra quelle di Harry con la massima cautela: non l’avrebbe lasciato solo, non l’avrebbe fatto mai più.
Anne entrò rapidamente dopo aver udito una voce e si accorse che Harry era sveglio, quindi lo abbracciò, per quanto potesse dato che si trovava su un lettino, e cominciò a parlare ininterrottamente con le lacrime agli occhi ma venne presto interrotta: ‘Mamma calmati.’ E lei ubbidì tacendo.
Non appena il cuore di Anne aveva davvero di battere molto più velocemente del quotidiano, la donna riprese lucidità e notò le mani dei due ragazzi che ancora non si erano staccate, indenni da ogni vergogna e pregiudizio. Il suo istinto le impose di fare delle domande, ma il suo buon senso la bloccò subito rimandando il tutto in un contesto più quieto, e ricordandole quanto fosse bello trascorrere del tempo con gli amici o la persona che si ama, quindi si congedò con un semplice ‘Io vado di nuovo dal medico, ci vediamo tra un po’..’ e con nonchalance uscì dalla stanza richiudendosi la porta alle spalle.
‘Beh Louis, hai qualcosa da raccontarmi?’ interruppe il silenzio imbarazzante Harry che divideva le sue forze tra il parlare e respirare.
‘Mi sa che sei tu quello con più novità qui.’ Sorrise Louis sapendo che anche l’altro l’avrebbe fatto.
‘Forse hai ragione, ma il fatto è che non ricordo un granché, quindi tocca a te parlare.’ Lo incitò nuovamente a spiegargli il motivo della sua fuga.
‘Beh, sono andato da zia… Che tra l’altro ora è a casa’ si dilungò nei particolari più insignificanti ‘Abbiamo mangiato.. Abbiamo parlato..’
‘Di cosa avete parlato?’ chiese con poca voce Harry che aspettava solo una parola del discorso dell’altro per approfondire.
‘Del più e del meno’ rimase sul vago inizialmente ‘Della scuola.. Della famiglia.. Di te – pronunciò queste due parole molto velocemente quasi fosse costretto moralmente a dirlo ma non volesse farlo sentire – e le solite cose insomma..’
‘Di me?’
‘Ah allora l’hai sentito.’ Risero all’unisono.
‘Prima parlami di te’ colse l’imbarazzo Harry che cercava di fare un passo alla volta.
‘Beh, insomma.. Ho capito che forse io non chiederei la pace nel mondo.’ Come sempre iniziò il discorso in modo ambiguo. ‘Non fraintendetemi, so che può sembrare egoista, ma io chiederei la mia pace. La tranquillità nella mia testa, come se i pensieri che prima si mescolavano come dentro ad una lavatrice, di colpo si stoppassero e tornassero al proprio posto come il bucato piegato pronto per essere riposto negli armadi.
Il paragone con i panni sporchi probabilmente non è dei più poetici, ma rende l’idea: in questo momento non sono di certo il capo di abbigliamento preferito di qualcuno, anzi mi sento come una di quelle magliette inutili che si usano solo per fare i lavori sporchi, perché tanto non importa se si rovina. Sono stato sporcato, strizzato, bagnato e maltrattato e dopo tanto tempo a marcire nel cesto dei vestiti da lavare, sono finito in lavatrice dove giro incessantemente. Questa centrifuga provoca dei veri e propri capovolgimenti, una confusione tale da non capire nemmeno dove ci si trovi. Qualche giorno sembra arrivare qualcuno che mi stende appeso dolorosamente per due mollette e dopo una decina di ore a penzoloni mi butta su qualche sedia o a volte persino mi ripiega e mi ripone nell’armadio. Aspetto forse invano di non essere più quel capo rovinato, bensì di essere la maglietta preferita di qualcuno, quella comoda e bella che sfoggi sempre con un sorriso sulle labbra.’ Concluse la sua poesia.
‘Sei la mia maglietta preferita, quella che metterei nelle occasioni importanti, quella che metterei tutti i giorni e starei ben attento a non sporcarla, non graffiarla, non rovinarla.’ Lo seguiva Harry nel discorso.
‘E se una cucitura saltasse?’
‘Ti ricucirei subito con le mie stesse mani, e poi magari non sarai più quello di prima, ma sarà merito mio.’
Gli occhi di Louis si fecero lucidi e la sua mano strinse un po’ quella di Harry, non troppo per non fargli male.
Un pittore non può privarsi del suo modello preferito. Un cantante non può rinunciare al palcoscenico. Una ballerina non può far a meno delle sue scarpette. Se solo lo facessero, smetterebbero di essere tali. Allo stesso modo, se davvero Louis Tomlinson fosse riuscito a non pensare più e a rinunciare ad Harry Styles, avrebbe smesso di esistere.

 

angolo dell'autrice:
Beh sono stata buona ed Harry è vivo haha
Poi vabbè questo capitolo è proprio da diabete, ma quando sono in vena mi sbizzarrisco con tutte ste cose dolci.
Spero che vi piaccia e che siate impazienti di scoprire il finale a sorpresa. MANCANO SOLO 3 CAPITOLI!
Aspetto sempre i vostri pareri prima di proseguire.
Un abbraccio, Marta.

 
   
 
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