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Autore: Silver Shadow    17/04/2014    1 recensioni
Okay questa è la mia seconda fanfiction e io sono tipo "aiuto" (?) La scrivo per tutti gli appassionati di Percy Jackson che è un pezzo della mia vita. E' ambientata fra La maledizione del titano e La battaglia del labirinto, ed è incentrato sul dolore dei ragazzi dopo ciò che è successo in quella vecchia discarica degli dei. In quanto a Percabeth non attiene del tutto alla storia del libro ma a me piaceva così; spero piaccia anche a voi. Chu! >
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Nico di Angelo, Percy Jackson, Talia Grace
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il giorno dopo io, Talia ed Annabeth ci ritrovammo a colazione, ma nessuno di noi ebbe il coraggio di pronunciare una sola parola. Eravamo tutti terrorizzati e adesso non sapevamo se parlare di quello che era successo o se fingere che non fosse mai accaduto, proprio come con la morte di Bianca. Quella notte avevo avuto un incubo ancora più spaventoso degli altri, e mi ero ricordato che non avevamo mai cercato il corpo di Bianca. Era ancora lì, da qualche parte, all’interno della cabina di controllo di Talo. E ogni volta che ci pensavo un brivido mi saliva lungo la schiena.
Annabeth era la più scossa. Sembrava non aver dormito tutta la notte, e quel giorno partivamo per una breve gita nell’Ohio. Non era esattamente il giorno perfetto.
Dopo esserci avviati silenziosamente nei dormitori per preparare le valige – che io avevo già preparato visto che non sapevo che fare durante la mia ennesima notte insonne dopo il mio ennesimo terrificante incubo – decisi di chiamare Tyson, che era ancora nel palazzo di nostro padre a fabbricare armi.
Mi nascosi in un angolo dietro la scuola e versai del caffè bollente appena preso dalla macchinetta sugli ultimi residui di neve che il sole avrebbe cancellato entro la giornata. Si sollevò un sottile vapore che, incontrandosi con i deboli raggi del sole, creò un piccolo arcobaleno. Cercai una dracma dalla mia tasca e la lasciai cadere nel vapore.
- Oh, dea Iride – sussurrai, per non farmi sentire – Accetti la mia offerta. –
L’arcobaleno scintillò e la dracma scomparve nel vapore.
- Mostrami Tyson – dissi, ancora sottovoce – Castello di Poseidone. -
Mi sentivo ancora un po’ geloso –e offeso – dal fatto che papà avesse invitato lui e non me, ma d’altronde non era certo una visita di piacere e sapevo che aveva bisogno di Tyson nelle fucine.
Dopo qualche secondo, il vapore si diradò un po’ e mi mostrò l’immagine del mio fratellastro al lavoro. Stava affilando la lama, ancora incandescente (si capiva dal fatto che era ancora un po’ rossa) di una bellissima spada con l’elsa rivestita di perle marine, esattamente uguali a quelle che rivestivano il pavimento della stanza dove Tyson lavorava. Sorrisi.
- Tyson! – chiamai – Fratello! -
Tyson si girò verso l’immagine, confuso. Quando mi mise finalmente a fuoco, mollò la sua spada e mi corse incontro, raggiante.
- Percy! – esclamò. – Come stai, fratello? Tutto a posto nella tua nuova scuola? Nessuna esplosione? -
- No, Tyson – sospirai – Nessuna esplosione. -
Gli raccontai della scuola, di Annabeth e Talia che erano riuscite a venire con me e della spiacevole visita della sera prima. Tyson mi guardò, serio.
- Percy sta bene? Nico ti ha fatto male? – piegò la testa con aria preoccupata.
- No, campione,sto bene. – mi forzai di regalargli un sorriso sincero, e quando lo vidi sorridere – ma lui per davvero – ebbi una stretta al cuore perché mi sentivo come se gli stessi mentendo. Non avemmo tempo di dire nient’altro, perché una voce tuonò nella stanza facendo tremare le pareti che davano sulle profondità più oscure dell’oceano, e io capii che Tyson doveva tornare al lavoro. Sospirai mentre vedevo la sua immagine dissolversi, e per un attimo dopo tanto tempo, mi sentii veramente solo.

Tutta la mia classe si trovò davanti al refettorio, con borse e bagagli, pronta per la partenza. Individuai Talia e Annabeth poco lontane,ma Talia mi fece cenno di restare dov’ero perché Annabeth era ancora troppo scossa per sostenere il dialogo o anche solo la vicinanza con qualcun altro.
In autobus mi sedetti da solo. Era davvero tutto molto deprimente e lo sarebbe stato ancora per un po’ considerando che il viaggio non era proprio breve. Alcuni ragazzi avevano addirittura preferito rimanere in piedi piuttosto che sedersi vicino a me. Appoggiai la testa al vetro e mi addormentai.
Stavolta il mio incubo fu su Nico.
Mi trovavo in una grande stanza buia e scura, che sembrava emanare gelo nonostante il caldo che sentivo. In fondo c’era una grande trono fatto di ossa, sopra il quale sedeva uno degli dei che mi stava meno simpatico in assoluto: Ade.
- Non puoi pensare di andare in giro ad uccidere le persone così – tuonò la sua voce, rivolta perso un ragazzino inginocchiato ai suoi piedi, con la testa bassa. Era piuttosto malandato e la sua faccia diceva chiaramente che non dormiva da un po’. Nico.
- Lo so padre.. Non volevo ucciderli, volevo solo spaventarli. Non è giusto quello che hanno fatto.. E’ solo colpa loro se.. Se lei.. – balbettò, nervoso.
Ade lo fissava duramente, ma sotto quell’espressione truce si nascondeva un profondo dispiacere per suo figlio, affranto per la morte della sorella. Immaginai che neppure per il Signore dei Morti dovesse essere piacevole vedere la morte della propria figlia e non poter fare nulla.
- Io la rivorrei solo indietro. Per favore padre,lasci che.. – provò a dire Nico, con la voce tremante.
- Non ci pensare nemmeno! – Ade urlò così forte che le parenti della stanza tremarono. Poi sembrò accorgersi dell’esagerazione del suo tono, si schiarì la voce e continuò.
- Ascolta, Nico. Le persone muoiono in tutte le circostanze e nella maggior parte dei casi ingiustamente, fidati, ho esperienza. Ma se qualcuno muore, non puoi pensare di riportarlo in vita. Sarebbe egoista da parte tua, e poi tutti i miei spiriti mi assillerebbero con storie tipo “Hai fatto favoritismi perché quella era tua figlia” e bla bla bla. Se i vivi sapessero che è possibile riportare in vita i morti,cercherebbero in ogni modo di resuscitare i loro cari. E questo sarebbe un grosso problema, lo capisci vero? – dichiarò con voce ferma ma calma.
Nico abbassò la testa, e la sua espressione in quel momento mi fece capire quanto era distrutto.
- Si, padre. – disse con un filo di voce.
- Bene – si rilassò Ade, sistemandosi sul suo trono – Adesso va’, e non agire più d’impulso o sarai severamente punito. – detto questo, la stanza si oscurò e io mi svegliai.
- Percy.. Percy? Svegliati.. Siamo arrivati! – qualcuno mi stava strattonando per il braccio e mi stava intimando di aprire gli occhi. Fui sorpreso quando vidi che quello di fronte a me era il viso di Annabeth, ancora profondamente segnato dalle occhiaie.
- Io.. Nico.. Il sogno.. – balbettai in modo confuso. Annabeth inarcò un sopracciglio e quando sentì il nome di Nico mi strinse di più il braccio e trasalì. Dopodiché si guardò intorno.
- Non qui. Sistemiamoci nelle camere e poi mi racconti. – era incredibile perché in un attimo sembrava essere la ragazza di sempre. Sapevo quanto il nome di Nico la rendesse nervosa ma sapevo che si sforzava di comportarsi come prima per non farmi preoccupare. Le fui improvvisamente molto grato.
Una volta entrati nell’albergo, ci divisero nelle camere. Io ero nella stanza da solo, come tutti gli altri ragazzi perché, essendo solo 14 in classe, erano riusciti a darci una stanza a testa. Così, dopo aver sistemato tutte le mie cose, corsi nella stanza di Annabeth .
- Allora? – mi fece lei, guardandomi, seduta con le gambe incrociate sul letto di fronte a me. Okay, ammetto che quella situazione mi imbarazzava, soprattutto perché era sera e io ero nella stanza di Annabeth seduto sul suo letto. E lei era in pigiama.
Mi sforzai di rimanere serio e concentrato e le raccontai del mio sogno. Lei restò immobile a guardarmi mentre parlavo, e si mosse solo il tempo di risistemarsi dietro l’orecchio una ciocca di capelli che le era finita davanti al viso. Alla fine del mio racconto, chiuse gli occhi e sospirò.
- Dovevamo aspettarcelo – disse solamente, lasciandomi col dubbio che lei lo sospettasse – o, in qualche modo, lo sapesse – già.
- Ad ogni modo, non credo che possiamo fare molto. Anche se provassimo ad avvicinarci.. Bhe.. Hai visto no? – la sua espressione era afflitta e io decisi di non continuare oltre la conversazione. Cercai di calmarla posando una mano sulla sua e le sorrisi.
- Andrà tutto bene, vedrai – le dissi, anche se non ci credevo molto neppure io.
Lei distolse immediatamente lo sguardo, senza però lasciare la mia mano, e annuì piano. D’un tratto mi sentii terribilmente in imbarazzo, così cercai di levarmi di torno il prima possibile.
- Allora, ehm – provai a dire, sfilando a malincuore la mano dalla sua – ci vediamo domani. -
- Buonanotte, Testa D’Alghe – mi sussurrò lei, con lo sguardo basso sul piumino dell’albergo. Mi sentivo un idiota e un insensibile e mollarla lì in quel modo,ma avevo già sforato il coprifuoco di molto e non potevo di certo restare a dormire con lei. Mi costrinsi a chiudere la porta alle mie spalle e, dopo aver controllato che non ci fosse nessuno in corridoio, mi infilai nella mia stanza che, per fortuna, era proprio di fronte a quella di Annabeth.
Mi infilai in fretta nel letto, aspettando di addormentarmi con una fitta al cuore che non sembrava volermi abbandonare.
 
  
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