Fanfic su artisti musicali > Pierce the Veil
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Autore: ashtonsdimples    17/04/2014    1 recensioni
"Sentì il cuore pompare a ritmo della musica appartenente alla sua playlist preferita e, per quelle poche volte che succedeva, si sentì più vivo che morto."
Genere: Fluff, Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti, Vic Fuentes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo due.
 

    Secondo sua madre rimase in quella stanza per troppo tempo, avrebbe dovuto dormire un po’ e poi, magari, continuare con il suo lavoro. Si mise a sedere di fronte allo strumento, per lui il più complesso, sentendo la mano di sua madre toccargli la spalla sinistra. Gli chiese se avesse bisogno di qualcosa, ma lui non rispose. Gli facevano spesso quella domanda e lui restava fermo, zitto e con lo sguardo da un’altra parte, nel vuoto. Aveva bisogno del silenzio, ecco. Di stare solo con sé stesso, con i pensieri che voleva far scivolare via e insieme alla sua musica. Sentì i passi di sua madre allontanarsi, si pentì di non averle rivolto la parola ma proprio non riusciva a far uscire la voce. Si girò, guardando la sua schiena dritta e le braccia dondolanti, la mano destra poggiata sulla rispettiva coscia.
    Notò che anche lui, mentre camminava, aveva quello strano vizio. Non metteva la mano in tasca ma la sistemava sopra la coscia, mentre l’altra ciondolava nell’aria. Sorrise, chiedendosi se anche suo fratello avesse quella stessa stranezza. Pensando a lui si concentrò nuovamente sulla batteria, cercando di capirne i dettagli. Si alzò in piedi, girandoci intorno e cercando di ricordare i nomi di ogni componente, come Mike gli insegnò quando erano bambini. Riconobbe immediatamente la grancassa, fin troppo grande per i suoi gusti, i Tom, il rullante e la marea di piatti di cui non ricordava il nome o la funzione ad eccezione del Charleston. Vide il cofanetto con la marea di bacchette al suo interno e, una volta seduto, si chiede come si potesse suonare uno strumento del genere.
    Premette sul pedale, probabilmente troppo forte poiché un colpo seccò andò a finire sulla grancassa, fatto che lo fece saltare sullo sgabello, dondolarsi e cadere precipitosamente sul pavimento. Scoppiò a ridere, pensando a quanto potesse essere imbranato. Si risedette, incalcando più delicatamente il pedale e dandosi un tempo. Solo dopo si dimenticò di non aver preso le bacchette, e si maledisse. Si sporse verso il cofanetto, cercando di non perdere il ritmo. Si avvicinò sempre di più, sino a quando non si trovò a sbattere il fianco destro sul pavimento, facendolo gemere dal dolore. « Sei proprio un cretino » rise Mike, entrando dalla porta, indicandolo e mettendosi una mano nella pancia cercando di trattenere la risata. Vic alzò un dito medio, sorridente. « Questo aggeggio è opera di chissà quale demonio » disse, facendo un cenno allo strumento.
    Si alzò, risedendosi sullo sgabello e, con l’aiuto di Mike, riuscì a trovare un tempo adatto. Il minore schioccava le dita, mentre Vic premeva il pedale della grancassa. Mike si mise dietro di lui, circondandolo con le braccia e provando a fargli suonare il rullante e i Tom con il suo aiuto. Gli prese le mani ed in quel momento il maggiore si sentì tanto piccolo, ma allo stesso tempo protetto. Ricordò quando provarono a suonare insieme la batteria per la prima volta: un vero disastro. Lui cadeva in continuazione, le bacchette gli scivolavano di mano e non toccava bene con il piede il pedale del Charleston, mandando tutto a farsi benedire, finchè la pazienza non arrivava al limite e lanciava in aria le assi di legno, si sedeva sul pavimento freddo e diceva al minore di suonare per lui.
    « Se vuoi possiamo suonare qualcosa con meno pezzi, ad esempio i bonghi. Ti va? » chiese Mike, prendendone uno sottobraccio e porgendone un altro al fratello. Vic lo prese, sedendosi su una sedia al suo fianco e posizionando lo strumento in mezzo alle gambe, come di solito lui faceva. « Facciamo qualcosa di semplice » sorrise, cominciando a picchiettare con le dita sulla pelle che rivestiva il bongo. « Vedi, il suono cambia a seconda di cosa tu usi per suonare. Se usi i polpastrelli il suono diventa più acuto, quasi arzillo. Mentre, se usi l’intero dito oltre a farti più male il suono diventa più fermo e duro » spiegò, concentrando lo sguardo verso le sue mani che, passo alla volta, formavano dei ritmi che cambiavano  a seconda di quello che lui diceva. Vic rimase impassibile, con la bocca socchiusa, non riusciva a dire niente. Gli piaceva guardare il suo fratellino impegnarsi a suonare, perché alla fine la musica era la loro ragione di vita. Avevano sempre avuto quella passione e dopo aver lasciato i Before Today le giornate non erano più le stesse. Solo dopo tempo, troppo a suo parere, i due decisero di formare una band e, sotto l’etichetta Equal Vision, debuttare con un album tutto nuovo e soprattutto tutto loro.
    Perché, per quanto potesse sembrare strano, erano solo loro due: i fratelli Fuentes, con i loro strumenti, i loro scritti e la loro voglia di fare musica, perché la musica salva le vite, e questo meglio di Vic non lo sapeva nessuno. Pensò a quella sera ed un brivido gli passò la schiena, come se il vento che gli scompigliava i capelli quel giorno gli fosse rimasto dentro, come incastrato nelle arterie che portavano dritte al cuore. Chiuse gli occhi, ricordando ogni particolare che anche nel sonno si faceva vivo senza lasciargli tregua, perché la malinconia è una malattia e non ci sono cure per alleviarla o combatterla. Guardò istintivamente il suo braccialetto verde, strinse forte le dita in un pugno come se quel gesto potesse dargli tutta la forza del mondo, pensando ai suoi occhi azzurri e alla paura del suo sguardo.
    « Vic, ci sei? » Mike gli sventolò una mano davanti agli occhi, inchinandosi per raccogliere il bongo che accidentalmente aveva fatto cadere a terra. Stringendo così tanto il pugno perse la tattilità, dimenticandosi dello strumento. Schiuse le labbra, non sapendo cosa dire o fare. Non aveva mai parlato di quella sera, né a lui né tantomeno ai suoi genitori. Ci pensava spesso, chiedendosi se Mike avesse dovuto provare anche quel peso insieme a lui, ma ogni volta tornava alla stessa, identica conclusione: ne aveva sopportate troppe a causa sua, non avrebbe peggiorato la situazione ancora. Gli sorrise, cancellando quei pensieri o per lo meno provandoci, cercando di combattere stringendo i denti quel mal di testa che lo uccideva quando tentava di non pensare a niente. « Non sono portato per le percussioni, Mike. Per il momento la chitarra mi basta » scherzò, arrossendo un poco. Il più piccolo si alzò, dandogli una pacca sulla spalla e prendendogli il bongo dalle mani, rivolgendogli uno sguardo dolce ed uscendo dalla stanza, lasciandolo vagare nella sua amata solitudine.
    Si sdraiò sul pavimento, osservando il soffitto e sorrise, compiaciuto del lavoro che lui e Mike fecero in quell’arco di tempo. Abbandonarono i Before Today per varie cause: avevano tutti dei problemi per la testa, il diploma si avvicinava e la voglia di studiare era veramente poca, il lavoro era incessante le idee tardavano ad arrivare. Pensarono di farla finita insieme, abbandonando quel garage con le lacrime incastrate nelle ciglia e la gola che doleva. La musica era la loro vita, ed insieme fecero grandi cose, semplicemente il tempo scorreva troppo in fretta ed i secondi non bastavano per tutti. Il fatto di fondare una nuova band fu difficile, inizialmente. Voleva dire altre canzoni, altri pensieri, pareri ed opinioni. Il fatto delle etichette o di piacere alle persone. I testi da scrivere e l’ispirazione che non arrivava se non nei momenti meno attendibili, o alle due del mattino, magari provocata da un sogno.
    Vide il soffitto decorato – o rovinato, come preferiva scherzare suo padre – con i nomi più originali od improbabili che ad entrambi i fratelli Fuentes passavano per l’anticamera del cervello. Ogni qualvolta che ad uno venisse in mente un nome chiamava l’altro, prendevano una scala e scrivevano. La calligrafia non era delle migliori, ma come poteva esserlo? Il collo rivolto verso l’alto, il braccio che tremava e il pennello che sembrava prendere vita. In genere quello a salire era Mike, poiché Vic soffriva di vertigini, e come aiuto sosteneva la scala, mentre diceva quanto facesse schifo la sua scrittura e che, se proprio avesse voluto, si sarebbe potuto impegnare di più per renderla migliore. Ogni qualvolta una scena simile succedeva, il minore scendeva dalla scala, si sedeva e non si muoveva, fin quando l’altro non lo pregava corrucciando il labbro inferiore, portandolo all’esterno e guardandolo in modo troppo dolce per i suoi standard.
    Rise, pensando a quando si sporcarono con la vernice nera. Mike sventolò troppo voracemente il pennello, facendo cadere una goccia nera nella fronte del minore, che impiegò pochissimo tempo a prendere un altro pennello e, dopo vari salti, sporcare la maglia preferita del fratello. L’altezza non lo aiutava, ma trovava sempre un modo per vendicarsi, pensando che quell’atto fosse del tutto volontario e fraintendendo, come sempre. Il minore scese dalla scala, lo rincorse con tutte le sue forze e sebbene odiasse ammetterlo notò che, pur essendo piccolo, fu molto più veloce. Lo agguantò per un braccio, lo circondò facendolo ridere e, dopo tante storie, gli buttò il secchio di vernice in testa, sporcandolo da testa ai piedi, rendendolo un perfetto uomo fatto di petrolio. Vic s’infuriò, prese dell’altra vernice e gliela fiondò addosso, sporcandolo altrettanto ma non del tutto, essendo molto più basso. Imprecò, vedendo il liquido camminare nel pavimento fino a raggiungere l’angolo in qui erano poggiate le chitarre e la batteria.
    Si toccò la pancia, soffocando una sonora risata, vedendo passare nei suoi occhi l’immagine delle loro espressioni, vedendo la macchia nera estendersi. « Oh, porca troia! » dissero in coro, cercando di uscire e prendere uno straccio ed una scopa, cercando di salvare i propri strumenti e, possibilmente, le proprie vite. Non appena la madre seppe di quel casino li prese letteralmente per le orecchie, li fece correre nella loro camera con un mese di punizione: niente più strumenti. Si sentirono morire, ma nonostante tutto seppero che la pena non sarebbe mai durata così tanto, e divertiti dal misfatto appena combinato si diedero un sonoro cinque, facendo combaciare le proprie fronti come facevano da quando erano bambini.

**

    Non era mai stata brava in cucina, ma da quando i suoi genitori erano tanto occupati doveva arrangiarsi da sola, soprattutto per far trovare qualcosa di commestibile a Jason. Controllò l’orario, a minuti sarebbe tornato e l’acqua ancora non bolliva. Si chiese se fosse lei così maldestra o se quella cucina la odiava così tanto. Volle chiedere aiuto a sua madre, ma la voce le morì in gola: non avrebbe mai perso del suo tempo per un piatto di pasta, mai. Si ricordò quando un giorno prepararono insieme la colazione. L’edificio in cui abitavano non era dei migliori, c’erano vari problemi di condominio e l’aria era sporca, infetta. La vita era incasinata ed è per questo che se ne andarono in posti migliori. Prima Los Angeles, poi la California e San Diego, poi tornarono al punto di partenza: New York, ed infine nuovamente San Diego.
    Ricordò quando aveva i capelli neri ritirati in una coda, identici a quelli di sua madre, i piatti in tavola e l’acqua per la pasta pronta a bollire. Ley la prese in braccio, facendole vedere tutte le bollicine che scoppiettavano dentro la pentola. « Le vedi? Fano bum, bum bum! » ad ogni sonoro “bum!” le faceva fare un piccolo saltello, e lei rideva, rideva genuinamente, come solo i bambini possono fare. Le diede un bacio sulla guancia, la fece mettere in piedi su una sedia, in modo che potesse vedere senza avere le mani occupate. Le raccomandò di non toccare niente o si sarebbe fatta male, e Marie, da brava bambina quale era, tenne le mani distese, immobili. Prepararono il sugo, mettendoci degli spicchi d’aglio, spellando i pomodori e schiacciandoli manualmente, come faceva la nonna. Quello fu uno dei giorni più belli della sua vita, non vide mai più sua madre con quello sguardo, con quel luccichio negli occhi che solamente a lei riservava. Spesso avrebbe voluto urlarglielo in faccia, come quando lei le urlava di stare zitta e che non capiva il motivo del suo isolamento.
    Sapeva benissimo che sua madre non stava bene, voleva aiutarla ma lei non glielo lasciava fare. La respingeva, facendola sentire sola. Sfogava la sua preoccupazione suonando la chitarra, o ascoltando musica, o cercando di pensare al nulla. Jason era l’unica ragione per cui decise di rimanere in quelle mura, avvolta dal silenzio incessante e che faceva male alle orecchie quasi volesse spaccarle. « Sono tornato » sentì la voce assonnata del fratellino. Andò a salutarlo, dandogli un bacio nella guancia e prendendogli lo zaino. « Oh, Marianne, andiamo! Non ho cinque anni, posso portarlo da solo lo zaino » si lamentò lui, guardandola esasperato. Marie lasciò lo zaino sul pavimento, raggiunse la cucina ed imprecò notando che l’acqua ancora non bolliva. Maledisse la cucina per circa cinque volte, la voglia di prendere la pentola e gettarla sul pavimento in preda ad un attacco d’isteria era tanta, probabilmente troppa, ma decise di lasciar perdere.
    « Marianne! » sentì la voce di suo padre chiamarla dal suo studio, il che le diede sui nervi. Si chiese cosa mai volesse da lei a quell’ora. Si morse un unghia, addentandola il più possibile, volendo sentire il sapore del sangue circondarle la bocca. Si avviò verso la voce, aprì la porta e rimase nell’uscio. La stanza era buia, le finestre erano chiuse e la luce del computer l’accecò per qualche secondo. Si abituò, chiedendosi poi che diavolo stesse facendo. « Sei diventato un vampiro senza che io me ne accorgessi? » chiese, con tono duro. « Non rivolgerti così a me » rispose lui, arrogante come sempre dimostrava di essere. « Non sarebbe una novità, sai? Passi il tuo giorno qui dentro, a volte non so nemmeno se esisti o no. Si chiama sarcasmo, e se non ti dispiace ho un pranzo da preparare. Cosa vuoi? » mise odio in quelle parole, sentì il cuore accelerare ed ebbe paura di un’eventuale reazione. Fece un passo indietro, portando una seconda unghia alla bocca, esitando. Tremò. « Volevo accertarmi che tu dia da mangiare qualcosa di sano a tuo fratello » rispose con fare annoiato, senza girarsi o rivolgerle uno sguardo. Le sue parole non l’avevano nemmeno toccato, e quel gesto le fece ancora più male. « E da quando te ne sbatte qualcosa di Jason? » una lacrima le rigò il volto, ma non lo diede a vedere. Sentì il cuore lacerarle in mano, come sempre succedeva quando aveva una conversazione con suo padre.
    Non sapeva nemmeno chi fosse, cosa facesse, su cosa si concentrasse così tanto. Avrebbe voluto aiutarlo, qualche volta. Mettere l’odio che provava nei suoi confronti da parte e rendersi utile, vederlo sorridere e magari suonare insieme a lui, qualche volta. Quando compì dodici anni le regalò la sua chitarra, dicendole che a lui non serviva, che la musica era solamente una perdita di tempo. Lo mandò al diavolo, sbattendo la porta e ritornando in cucina, vedendo le bolle scoppiare incessantemente dalla pentole. Quella cucina si divertiva a prenderla in giro. Pensò di sorridere, ma tutto quello che ne uscì fu un singhiozzo. Batté i pugni sulla cucina, sentiva i nervi annodarsi nella in ogni parte del suo corpo. Mise la pasta e raggiunse il bagno, chiedendo al fratellino di controllare il suo pranzo.
    Jason la seguì, abbracciandola dalle spalle, poggiando la testa nella sua schiena con forza e tenendola il più stretto possibile. Marie scoppiò a piangere, stringendo le mani del suo fratellino, girandosi e baciandogli la fronte. « Non è niente, dai » gli sorrise, asciugandosi le lacrime e perdendosi nei suoi occhi. « Hai fame? » chiese, prendendolo per mano e portandolo verso la cucina, ma lui si bloccò prima. « Devi smetterla » sibilò, guardandola con sguardo fermo, imperscrutabile. Aprì la bocca senza farne uscire alcun suono, si chiese quanto fosse simile a suo padre in quel momento e credette di piangere nuovamente. « Ti sentirai male, scoppierai, Marianne » continuò, prendendole una mano. « Un abbraccio vale più di mille parole, no? Per cui abbracciami » sorrise, guardando gli occhi di sua sorella inumidirsi. Si abbracciarono, il cuore di Marie scoppiò in quell’istante, insieme alle sue lacrime. Pensò di sentirsi male, di svenire o di non avere più una testa a causa del troppo dolore, ma Jason era lì con lei, e non si sentì più poi così tanto sola.



Spazio autrice:
eccomi, con il secondo capitolo di questa storia.
Come già vi annunciavo negli scorsi capitoli quasi sicuramente avrei cambiato il titolo di questa fan fiction, difatti ora piuttosto che intitolarsi "Alone" si intitola "Bring me to life", e scoprirete il motivo. Ovviamente non subito, anzi. Ci sarà molto su cui lavorare. Ho le idee chiare e spero di ricavarne qualcosa il prima possibile. Spero che il cambiamento non vi dispiaccia.
Perdonatemi le frasi sgrammaticate o prive di senso, se ci dovessero essere eventuali errori anche a livello grammaticale, ma è tutto il giorno che scrivo, i miei occhi chiedono perdono e spero di non avervi deluso.
Come ripeto ogni volta tengo tantissimo a questa fan fiction, ci metto tutta me stessa, spero quindi che possa uscirne qualcosa di buono e che possa piacervi.
Venendo - finalmente! - al capitolo, troviamo una situazione particolare in entrambe le famiglie. Per quanto riguarda Vic, in questa parte di storia viene sommerso dai ricordi, dai momenti felici e a mio parere divertenti passati insieme al suo amato fratellino, Mike. Personalmente amo il loro rapporto, e se mai avessi avuto un fratello penso che l'ideale sarebbe stato un misto tra il Mike Fuentes ed il Jason di questa storia. Parlando della famiglia di Jason, ancora non si sa molto della storia di Marie, della loro famiglia, del motivo per cui traslochino così tanto. Scoprirete tutto, non preoccupatevi.
Inoltre, vediamo che esistono i Pierce the Veil, che devono ancora far uscire l'album di debutto, e qui se fossi una lettrice mi farei la domanda:"Ma questi due s'incontreranno mai?". Lo scoprirete.
Il mio spazio autrice è sempre più grande del capitolo. Che brutta cosa.
Aspetto una recensione, un bacio.
ashtonsdimples
  
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