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Autore: Black_in_Pain    17/04/2014    3 recensioni
Questa storia riprende da dove tutto si è concluso. Dove il libro ci ha lasciati. Semplicemente, una ghiandaia imitatrice che cerca di risanare le proprie ali e recuperare il suo canto, una volta ritrovata la libertà.
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gale Hawthorne, Haymitch Abernathy, Katniss Everdeen, Peeta Mellark, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Capitolo dieci! Avevo una voglia di scrivere la continuazione del capitolo precedente, che non c'è l'ho fatta a resistere qualche giorno. E' soprattutto per una mia soddisfazione personale. E' scritto molto velocemente, magari lo riprendeò in questi giorni e aggiungerò qualche correzione, ma speriamo che così vi piacia comunque. Un bacio e buona lettura.

Scelte


Sono in stato confusionale. Ci sono troppe cose a cui non sono pronta a reagire. Riesco solo a starmene qui, in piedi, davanti alla porta  di Peeta,  guardando avanti  come una sciocca.
Ripenso a quello che Haymitch mi ha detto e mi convinco sempre di più che ciò che sto facendo è la cosa giusta. Ma tutto il mio corpo trema, spaventato. E se non mi desse un’altra possibilità? Dopotutto me ne ha già offerte così tante da quando ci conosciamo. E la maggior parte,  sono state una tale delusione per lui. So che non me lo ha mai fatto pesare, ma io lo percepisco  e  trarne un’esatta interpretazione ogni volta, senza che lui parli o si esprima, non mi è poi così difficile.
Nonostante il mio stato, decido che è il momento di agire, quindi stringo la mano in un pugno rigido e busso per tre volte. Sto bene attenta a scandire ogni colpo, così che capisca che dall’altra parte ci sono io. Di solito questo è il nostro modo di riconoscerci l’un l’altro. Non resta che attendere, con l’ansia che sale e si mischia al terrore di un rifiuto.
Ma nessuno pare disposto ad aprire questa porta.
Cambio posizione,  avvicinandomi alle finestre, che trovo sbarrate e senza alcun filo di luce o presenza umana. Intuisco che Peeta dev’essere andato alla panetteria, come fa ogni giorno. Naturalmente, per la troppa euforia, mi sono dimenticata di questo particolare. Osservo anche il cielo, grigio e inquietante. Vedo le nuvole gonfie di pioggia, che aspettano di scoppiare proprio su di me. Maledico il tempo, Peeta e tutto ciò che mi passa per la mente. Neanche la giacca per coprirmi  mi sono portata. Ritorno all’entrata e cerco di ripararmi sotto la piccola tettoia che circonda la porta d’ingresso. Mi richiudo in me stessa, stringendo le gambe al petto e appoggiando la testa sulle ginocchia, nel tentativo di rilassami. Volevo essere io ad andare da lui, ed invece sarà Peeta a trovarmi, contro la sua volontà. Come al solito, non combino niente di buono.
Comincio a percepire un vento ghiacciato, che mi scombina i capelli, bagnandomi leggermente il viso. Alzo gli occhi e il panorama che ho di fronte è davvero triste. Eppure, mi viene da ridere. Sono una ragazza distrutta, disordinata e impresentabile, seduta sotto il cataclisma che cade giù, che aspetta l’uomo più importante della sua vita.
Niente di più malsanamente ironico.
Ho dormito poco, gli incubi mi hanno strappato il cuore più e più volte nel corso della notte. Le palpebre pesano come secchi pieni d’acqua, sul punto di riversarsi. Anche non volendolo, ho paura che mi addormenterò proprio qui, senza ritegno. Sento che non me ne importa se muoio congelata o prendo la polmonite. Voglio solo che Peeta arrivi in fretta. Se dovesse cacciarmi, lo accetterei, l’importante è che mi veda, che capisca la lotta che sto combattendo ogni giorno, per lui. Per noi. Ripenso pure a Johanna e a Gale. Lui, ormai, non è più mio ed io non sono più sua. Mi auguro trovi una persona che sappia amarlo, il doppio, se non il triplo di me. Desidero scusarmi e dirgli addio, perché tanto non vorrà più avere rapporti con la sottoscritta. Ed io acconsentirò a questa sua richiesta, come è giusto che sia. Stare lontani, per tanto, forse per sempre,  guarirà ogni ferita che ci siamo procurati a vicenda.
Passano i minuti ed io non ce la faccio più. Sto per crollare in un sonno profondo. Magari gli incubi non penetreranno nei miei sogni, se sono tanto persa da non farli entrare. Alla fine, non reggo. Mi spengo, come una fiamma fa sotto la pioggia.
Incredibilmente, ciò che sento è nullo. Sto galleggiando in un mare di niente. Semplicemente dispersa in un’oasi inesistente. Caldo e freddo non esistono. In questo mondo è la neutralità a fare da padrona.
Scorgo per qualche istante immagini distorte, dai colori vividi e  famigliari, ma poi il vuoto ingoia quel poco che resta della realtà. Affogherò di sicuro e non mi dispiace. E’ sempre stato il mio desidero, disintegrarmi in minuscole particelle e volare via, nell’aria.
Eppure, qualcosa mi ricompone. Individuo dove sono finite le mie braccia, il mio busto. Finche non riacquisto l’intero controllo del mio corpo. Sto per ritornare cosciente e vigile, ma non per un volere personale.  
La forza delicata di due mani gentili, mi scuote, facendomi rinvenire. Sono talmente pessimista, che credo di essere stata svegliata da Sae o addirittura da Haymitch. Quindi non mi degno neppure di aprire gli occhi e guardare chi mi sta toccando.
«Katniss?»
Sospiro, deglutendo la poca saliva che ho in bocca.
«Katniss, andiamo. Ti prenderai un malanno se resti qui.»
«Non posso. Devo aspettare Peeta» spiego con la lingua impastata.
Silenzio «Ma io sono già qui.»
Finalmente spalanco le palpebre e mi stupisco di non aver riconosciuto la sua voce. La sua splendida, avvolgente e perfetta voce. «Peeta?»
Lui annuisce.
Non  contengo il sentimento e mi sporgo verso la sua figura, abbracciandolo in una morsa indistruttibile. Devo averci messo troppa foga, perche ci troviamo a terra, in completa balia della pioggia che cade. Non capisco più nulla e piango e rido insieme. «Scusa» continuo a ripetergli. «Scusami.»
Lui mi stringe e io me ne rincuoro. La paura c’è ancora, ma adesso si sta allevando. Anche l’acqua che mi segna il viso è mia alleata. Le lacrime si confonderanno meglio e io non apparirò cos’ ridicola. Ci osserviamo, manco non ci fossimo mai visti. I miei occhi grigi si perdono nell’azzurro del suo oceano. E’ vero che ho bisogno di lui. Cosa me ne farei di una persona troppo simile a me. Troppo arrabbiata con il mondo e ferita nell’orgoglio.  Alla fine confermo di nuovo la scelta presa mesi fa. Quella tra il dente di leone e il fuoco che distrugge. Basta fiamme, io voglio l’arancio, quello del tramonto. Quello che piace a Peeta.
«Ci stiamo bagnando dalla testa ai piedi, è meglio entrare» propone lui, aiutandomi ad alzarmi.
E’ da un po’ che non visito la sua casa. E’ simile alla mia, ma molto più accogliente. Credevo di trovare un disordine terribile, visto che Johanna ci ha alloggiato per una notte, ma Peeta deve aver posto rimedio immediatamente, quando  è tornato. Andiamo direttamente in salotto, dove lui accende più velocemente che può il caminetto. Siamo fradici, eppure, non mi sono mai sentita più asciutta e pulita di così. Ci sediamo sul tappeto, restando in silenzio per qualche minuto. Lui è indeciso, io solamente incantata dal suo viso.
Parla lui per primo e gliene sono grata «Mi sono comportato male.»
«Anch’io» rispondo, cercando le sue mani. Fortunatamente, le accetta, senza respingermi. No ha esitato nemmeno un secondo.
«Non volevo, ma ero geloso» spiega. «Ero terrorizzato dall’idea che non fossi abbastanza per te e che tu volessi… volessi altro.»
Stingo forte le sue dita, scuotendo il capo. «E’ stata colpa mia. Non ti ho fatto capire in che posizione sei. E sei così in alto, te l’assicuro.»
Sorride, ed è bello da morire,  poi la serietà lo riafferra «Ho ancora paura, Katniss. Perché sei qui?»
Libero le mani dalle sue e gli afferro il viso, avvicinandomi pericolosamente. Mi mancavano i suoi lineamenti.
 «Perché ti amo» confesso. «E tu mi ami. Vero o falso?»
La schiena trema, e anche il mio cuore. L’ultima volta che gliel’ho chiesto ho ricevuto una ferita straziante, che potrebbe riaprirsi e uccidermi all’istante. Può salvarmi o condannarmi con una sola parola. Lui ha questo potere su di me.
Attendo che risponda, ma invece di farlo, annulla la distanza che ci separa, unendo le nostre labbra nel bacio più caldo che ci siamo mai dati. Potente, aggressivo, disperato. Peeta mi possiede usando unicamente la sua bocca. Sono in estasi, non vorrei altro da lui, per il resto della vita. Mi basterebbe questo, per sempre.
«Vero» mormora, tra un bacio e l’altro. «Non farmi questo mai più.»
Piango di nuovo come una bambina e mi aggrappo alla sua camicia, che sa di pane e della sua essenza. Ci stacchiamo ansimanti e Peeta mi osserva con aria preoccupata. «E con lui? Cosa hai deciso di fare con lui?»
«Gale è libero, adesso» dico, volendo tornare a fare ciò che abbiamo interrotto. «E lo stesso vale per me.»
«Ti sbagli, non sei libera» sorride lui. «Tu appartieni a me.»
Arrossisco e Peeta torna a baciarmi, come mai ha fatto prima. Cadiamo a terra e il tappeto attutisce il colpo. Sento la sua protesi schiacciarmi la coscia e il suo petto impedirmi di respirare, ma va bene. Non lo separerò mai più dal mio corpo.
Però, con mio rammarico, si scosta, chiedendomi scusa. «Ho esagerato» lo dice con un’espressione colpevole.
«Esagera quanto vuoi.»
Ridiamo entrambi al mio tentativo di essere sensuale e alla fine l’atmosfera si raffredda.
«Torni a casa?» gli domando.
Lui dondola il capo, indeciso «Sì, ma c’è Johanna ora.»
Io lo guardo scettica «Johanna si troverà un altro posto. In più credo che partirà presto, probabilmente domani.»
Peeta ha un’aria interrogativa, ma io non ne sono ancora sicura, quindi non intendo dargli spiegazioni.
Alla fine, ci ricomponiamo, senza allontanarci troppo o per molto tempo. Lo aiuto a cucinare qualcosa, dobbiamo farlo velocemente, perché lui deve tornare al Forno. Staccarci mi provoca un certo dolore dentro, ma cerco di non farglielo vedere. Mi accompagna a casa e ci abbracciamo come se non dovessimo rivederci mai più.
«Torno presto, d’accordo? Non cambiare idea nel frattempo.»
Io annuisco e stringo più forte «Non succederà.»
Lo saluto in continuazione, finche non riesco più a scorgerlo, poi apro la porta e accedo la luce. Johanna è in casa, che gironzola da una parte all’altra, con un sacco di vestiti suoi appoggiati sull’avambraccio. La osservo, provando a capire cosa diavolo stia facendo. Non arrivandoci, glielo chiedo.
Lei alza le spalle e mi viene in contro, dandomi un buffetto sulla guancia «Levo le tende, ragazza di fuoco.»
Lo sapevo. Temo che insieme a Gale, non rivedrò più neanche lei. Magari per sempre. E per sempre, è tanto tempo.

  
Eccoci qui, un'altro capitolo è andato. Ho paura che sia il più brutto e corto cha abbia mai scritto, e mi scuso. Mi auguro possa piacervi comunque, nonostante la miriade di difetti che presenta. Se non gradite, avete ragione e  provvederò a sistemarlo. In quel caso, siate fiduciosi e resettate la memoria finche non avrò riscritto il capitolo in modo più decente XD Bhe adesso, quel che è fatto è fatto e non mi viene in mente nulla per migliorarlo. Chiedo nuovamente perdono per la banalità del racconto e spero vorrete recensire ugualmente.
Una buona notte. Bacio!
Pain
  
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