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Autore: thecitysmith    18/04/2014    1 recensioni
"In un mondo dove le città sono personficate, la Città di Parigi non si vede da secoli, allontanata dagli orrori della guerra e da tutto il peggio che l'umanità le ha sempre offerto di sé.
Enjolras sogna di incontrare Parigi, e di condurre la Città verso un domani migliore.
Quello che non sa é che adesso Parigi é un cinico ubriacone che si fa chiamare Grantaire."

| traduzione dell'omonima storia su ao3 di barricadeuse e piuma_rosaEbianca |
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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C’era qualcosa che prudeva, nel petto di Grantaire. No, era più una stretta; la pelle appena sopra il cuore irritata e fastidiosa. Se la strofinò senza badarci troppo, mentre sedeva al suo solito tavolo, al café. Non faceva così male da allarmarlo. E, francamente, preferiva di gran lunga guardare le clavicole che spuntavano fuori dalla camicia di Enjolras, che pensare a quello.

 

Enjolras stava parlando, la testa bionda che brillava alla luce di candela e forse Grantaire aveva bevuto un po’ troppo questa volta, ma i sogni lo stavano tormentando, nell’ultimo periodo. Gli altri uomini correvano avanti e indietro portando messaggi. L’aria era densa di attesa. Stavano sciorinando numeri e contando le armi che avevano a disposizione. Non era forse eccitante? Il colore sulle guance del suo amato lo fermò dal dire alcunché, ma Grantaire era già disgustato dall’odore della polvere da sparo.

 

Il dolore al petto si fece più acuto.

 

Stava succedendo qualcosa, a Parigi. Era poco prudente fare quello che stava per fare in pubblico, ma tutti stavano guardando al loro capo senza paura, e non lui. Grantaire appoggiò indietro la schiena, chiuse gli occhi, e piano espanse i suoi sensi nelle strade. Attraverso il café (possiamo farcela/così solo/avrei un po’ di fame/guardami guardami perché Jehan non mi guarda), e poi fuori dalla porta, dove incontrò una figura famigliare.

 

Marius entrò con passo leggero nel café.

 

Grantaire si sentì improvvisamente come se avesse avuto la bocca piena di zucchero.

 

Essere una Città portava sofferenza. Ma c’erano anche sprazzi di gioia. E questo ne era un esempio. Perché se una Città poteva sentire il dolore dei suoi figli, allo stesso modo poteva sentire quando si innamoravano.

 

Ed era una sensazione che Grantaire non avrebbe scambiato con null’altro al mondo. Quando Marius entrò nell’edificio, inebriato d’amore, Grantaire poteva percepire tutto. Vibrava nel ragazzo come una canzone silenziosa. Se il suo amore per Enjolras era selvaggio, come il fuoco, come il sole, come le stelle che cadevano dal firmamento, l’amore di Marius per (Cosette, Cosette, non so cosa dire) era delicato. Non meno forte, no, ma gentile, come un’alba di primavera, come il battito d’ali di un’allodola, come (un futuro: una bambina dai capelli biondi, una cambretta bianca e rosa e lunghi giorni d’estate passati ad essere chiamato ‘papa’) e Grantaire si sentì investito di meravigliosa dolcezza.

 

Oh, amico mio, penso Grantaire, pieno d’affetto, che vita avrai.

 

(non notò, allora, che molti visi mancavano da quel futuro)

 

Era troppo impegnato a sorridere, gli occhi ubriachi fissi sul tavolo, perso nei meandri dell’amore, e non sentì Joly chiedere a Marius cosa avesse. L’esplosione di emozione che venne dal ragazzo fu indimenticabile, però; migliore di qualsiasi vino. Non sarebbe sembrato strano se avesse annusato Marius, vero? Erano amici. Annusarsi a vicenda era accettabile. Poteva avvicinarsi. Magari non troppo, per non invischiarsi in tutto quel suo fanatismo napoleonico, ma comunque. Abbastanza vicino.

 

«Riesco a vederli, adesso», disse, sognante. «Marius appartiene alla stirpe dei poeti. Devono essere degli strani amanti. Posso immaginare com’é. Estasi nelle quali si dimenticano di baciarsi. Casti sulla terra, ma uniti nell’infinito. Sono anime dotate di sensi. Dormono insieme nelle stelle.»

 

Era stato un poeta, una volta. Si era dimenticato anche quello. Gli altri ridevano delle sue parole, prendendo in giro Marius per il suo amore illuminato dalle stelle, come l’aveva definito Grantaire. Dietro di loro, Enjolras si alzò, gli occhi scuri di irritazione. Degno a malapena Grantaire di uno sguardo, sapendo benissimo da dove arrivava tutta quell’atmosfera, e si girò a rimproverare Marius.

 

Il dolore colpì Grantaire di nuovo. E questa volta non riusciva a ignorarlo. Era come delle corde di violino, tese sempre di più, sempre più strette, e gli impedivano di respirare, tutte le strade di Parigi che cadevano nel silenzio mentre lo strumento tremava, si incurvava, e finalmente le corde si spezzavano.

 

Da qualche parte, la luce di un’anima si spense.

 

La morte affligge tutte le Città, ma alcune morti sono peggio di altre. Un condottiero, o un amante, qualcuno caro alla Città o al popolo (spesso entrambi), qualcuno la cui morte avrebbe causato un grande lutto. Ma Grantaire, avvolto nella luce di Enjolras, non riusciva a vedere bene oltre a quell’alone dorato. Gli Amis erano tutti lì presenti, e non riusciva a pensare a nessun altro la cui perdita avrebbe potuto causargli una reazione simile.

 

La vista gli si sfocava, per colpa dell’alcool o della visione, non ne era sicuro. Grantaire sapeva che avrebbe dovuto parlarne ad Enjolras, ma l’altro era così intento nell’arringare gli altri e Grantaire non aveva cuore di interromperlo.

 

Altri non la pensavano così.

 

Una figura minuta corse su per le scale e tirò Courfeyrac per una manica. E Courfeyrac chiese silenzio, proprio mentre Grantaire riconosceva finalmente ciò che stava provando. La voce del ragazzino volò sopra le loro teste, alta e brusca.
«Il generale Lamarque-»

 

«-é morto.» sussurrò Grantaire. Nessuno sentì il suo eco, anche se Combeferre lo guardò, l’espressione intellegibile.

 

Ma non che importasse molto, non quando il dolore stava uscendo ad ondate dal corpo di Enjolras. E il dolore era il sentimento più orribile che una Città potesse sentire. Era salato, come il mare, navigava nei loro occhi e si solidificava sulla loro pelle. E gli umani portavano il lutto per così poco. Come le onde si portano via un’impronta nella sabbia, per loro svanisce non tanto il dolore, quanto la memoria di chi stanno piangendo. Per le Città, un lutto può durare secoli.

 

(dimmi, Enjolras, piangerai per me tanto quanto io potrò piangere per te)

 

Ma Enjolras non si sentiva così passeggero. Del resto, non faceva mai le cose a metà. Il dolore, per lui, era come un’ustione che divorava la gola di Grantaire. Enjolras si alzò al di sopra del rumore degli altri uomini, e tutti si voltarono verso di lui, e lui li guardò uno per uno, gli occhi scintillanti di lacrime, ma lo sguardo fisso, sicuro, fermo.

 

(C’erano delle lettere nel cassetto di Grantaire)

 

«Lamarque é morto.»

(Ci scrivi che ti sei innamorato di un umano)

 

«La sua morte é il segno che aspettavamo.»

 

(Non pensavo nemmeno fosse possibile)

 

«Il giorno del suo funerale, quando onoreranno il suo nome, quella sarà la nostra occasione!»

 

(I fiori stavano fiorendo di nuovo, a Delfi. Qualcuno sta venerando Apollo)

 

«Il nostro grido di battaglia raggiungerà ogni orecchio!»

 

(Quello che stai facendo é malsano- un’ossessione)

 

«Il nostro tempo é vicino, così vicino che ci agita il sangue nelle vene,»

 

(Soffrirai per questo, ovviamente. Sarai ferito e col cuore spezzato. Cadrai. E’ inevitabile. Quindi, perché non godere del volo, finché dura?)

«Ma dobbiamo essere attenti.»

 

(alcune non le aveva mai lette)

 

«L’esercito che combattiamo é pericoloso,»

 

(Cosa stai facendo? Smettila immediatamente)

 

«con uomini e armi che non potremo mai eguagliare.»

 

(Non riesco più a sentirti, cosa sta succedendo?)

 

«C’é un prezzo salato che potreste pagare.»

 

(Ti sei appena ripreso, non lasciarci di nuovo!)

 

«E’ il momento di decidere chi siete, e per che cosa combattete.»

 

(Non farlo)

 

«Per che cosa siete disposti a morire.»

 

(Non farlo)

 

«I colori del mondo stanno cambiando.»

 

(Non farlo)

 

«Il popolo lo sa, e quando chiameremo, verrà.»

 

E Grantaire stava correndo fuori, perché non riusciva a respirare. Barcollò lontano dal café, in uno dei vicoli, appoggiandosi al muro mentre cercava disperatamente dell’aria.

 

«Grantaire» la voce di Enjolras dietro di lui. «Stai bene?» la Città si chiese se avrebbe mai notato la sua assenza, se non fosse sceso in strada a mandare dei messaggi ai loro alleati.

 

«Non esattamente» disse Grantaire. Tutto intorno a lui, le strade si spostarono, di poco; si preparavano all’impatto. «Ma avevi ragione. Il tempo é adesso. Adesso.» Era troppo buio perché Enjolras potesse vedere gli occhi della Città, e quindi sorrise.

 

«Lo so. É solo l’inizio. Riesco a sentirlo anch’io.»

 

Grantaire si rialzò dal muro, nonostante le gambe che ancora sentiva deboli. La sua mano si posò sulla spalla di Enjolras, prima di accarezzargli i capelli biondi. «Sei stanco, amore mio. Vieni a letto con me?»

 

Enjolras si allontanò. «Non stanotte. Mi dispiace, ma l’ora é arrivata. Dopo questo, cambierà tutto. Avremo tutto il tempo del mondo.» Enjolras sorrise di nuovo, radioso nella luce che proveniva dal café. Grantaire rimase nelle ombre del vicolo. Così giovane… «Dopo questo, posso aiutarti a guarire.»

 

E si separarono.

 

In quell’istante, mentre guardava Enjolras andare via, Grantaire rimpianse di non averlo baciato. Il bisogno era così affilato e doloroso che lo colse di sorpresa. Scosse la testa. Non avrebbe dovuto preoccuparsi; avrebbe potuto baciarlo dopo. C’era sempre domani.

 

(quella notte, Grantaire sognò la pioggia)

 

X

 

Era il 5 giugno 1832, e il popolo stava cantando.

 

Il mattino era privo di colori, come se una secchiata d’acqua avesse lavato il cielo. Ma non era un problema, la giacca rossa di Enjolras era abbastanza. Gli stava bene. Grantaire si sistemò meglio il suo berretto rosso (una memoria di anni prima), perché gli nascondesse gli occhi.

 

Erano nelle strade, ai lati della via per la quale passava la processione funebre.

 

Grantaire prese un profondo respiro, e tutta Parigi sembrò tornare in vita.

 

I ribelli corsero avanti, prendendo possesso della carrozza, e i cavalli dei soldati. E dietro di loro, il popolo cominciò a cantare la loro canzone. Tutti i ricordi che Grantaire aveva della rivoluzione ritornarono nel suo respiro e le sue mani iniziarono a tremare. C’erano troppi soldati.

 

Si arrampicò sulla bara assieme al suo capo, guardando le guardie galoppare via. La folla applaudì.

 

«Torneranno», disse. Enjolras annuì, ma continuò a tenere ben sollevata la bandiera rossa.

 

Un segnale passò, dalle prime linee, indietro, a Combeferre, ad Enjolras. Grantaire detestava avere ragione. I soldati si erano allineati davanti a loro, ancora a cavallo. Le loro pistole scintillavano (una carica ad Agincourt, una linea di difesa a Gerusalemme, una guerra in Spagna; era una vita ben nota.)

 

«Aspettate, finché potete.» stava dicendo Enjolras a qualcuno.

 

Il popolo stava cantando. Le guardie aspettavano. Per un attimo, Grantaire pensò alla pace e al cambiamento e ai suoi fratelli uomini e sperò.

 

Poi un colpo, e una donna cadde a terra, il vestito intriso di sangue.

 

(la parte peggiore era che Grantaire poteva sentire quel ragazzo. Perché la guardia era un ragazzo. Grantaire conosceva il suo terrore e le dita nervose sul grilletto. Era un bambino di Parigi, e Parigi non poteva non conoscerlo, non poteva non amarlo. E quindi Grantaire chiuse gli occhi quando la folla lo prese e lo trascinò via dalla sua linea e, attimi dopo, lanciava il suo corpo senza vita vicino a quello della donna. Aveva avuto un figlio della sua età, una volta)

 

I soldati caricarono, e tutti i pensieri di Grantaire vennero consumati da Enjolras.

 

Quel coraggioso, magnifico pazzo aveva solo una pistola, e usava la bandiera per respingere i cavalieri che si avvicinavano troppo. Anche Marius era lì, cercando di combattere, ma Enjolras vestiva di rosso. Rosso, brillante rosso. Grantaire riusciva a percepire che metà della Guardia Nazionale notavano quel colore. Tre presero la mira.

 

Enjolras venne spinto a terra, Grantaire sopra di lui, le braccia spalancate mentre prendeva due pallottole nello stomaco. Nel caos generale, nessuno lo vide cadere. Guardò in basso e ghignò verso Enjolras, i denti macchiati di sangue, sentendosi appena un po’ selvaggio. «Non andrò al tuo funerale.»

 

«Vai, devi andartene via da qui» esclamò Enjolras, di nuovo in piedi. «Li costringeremo ad arretrare e poi alzeremo la barricata, ma tu devi andare in un posto sicuro.»

 

«É quello che ho cercato di dire a te

 

Ma quando era mai stato capace di negare qualcosa ad Enjolras? E del resto, se fosse stato scoperto lì, chissà cosa sarebbe successo. Il massacro dei ribelli per portarlo a palazzo, di sicuro.

 

Con quella paura che si addensava nella mente, Grantaire si allontanò dal centro dello scontro, una mano premuta sul suo stomaco sanguinante. Aveva subito ferite peggiori, senza dubbio, ma il dolore continuava a farsi sentire. Lembi di pelle a brandelli circondavano la pallottola, cercando di buttarla fuori. Le strade gemettero, attorno a lui, ben udibili anche sopra al fragore del combattimento, sapendo che la loro Città era ferita. Un vicoletto spuntò fuori in mezzo a due edifici, offrendogli un posto dove potersi riposare.

 

Grantaire ci si infilò con sollievo. Non appena il rumore degli spari e delle grida fu svanito in lontananza, si fermò e sollevò la camicia, con una smorfia. Anche se il tessuto bagnato si era attaccato ai buchi nel suo stomaco, non sembrava essercene dentro alle ferite, il che era positivo, dal momento che le intenzioni erano pericolose persino per le Città. Alla fine, le ferite smisero di sanguinare, espellendo il metallo e ricucendosi nel giro di qualche secondo. Grantaire sospirò.

 

Da dietro di lui provenne il suono di un moschetto che cadeva da mani paralizzate.

 

Grantaire si irrigidì, quasi fosse un cadavere.

 

Si girò, piano, pieno di orrore, e vide una Guardia Nazionale fissarlo. L’uomo era abbastanza vicino da aver visto le ferite guarire, e abbastanza intelligente da capire cosa significava.

 

«Pairigi…», sussurrò la guardia, reverente. Allungò una mano tremante, «Tu sei Parigi.»

 

In un qualsiasi altro momento, Parigi gli sarebbe saltato al collo e l’avrebbe ucciso. Parigi. Parigi l’avrebbe fatto, sì; ma Grantaire no. Era così immerso nella sua vita umana che non poteva compiere un simile atto, non lì, non adesso. Non quando, guardando dentro agli occhi dell’uomo, del giovane uomo, sapeva che aveva una famiglia; una madre e dei fratelli. Sapeva che non avrebbe davvero voluto diventare una Guardia Nazionale, ma la paga era buona, che la divisa gli irritava la pelle e che il fucile era pesante da portare. Che aveva seguito quell’uomo col berretto rosso- Parigi- nella speranza di combattere un vero ribelle invece di sparare indistintamente sulla folla.

 

E Grantaire… semplicemente non poteva ucciderlo. La guardia si avvicinò ancora, gli occhi umidi e spalancati di meraviglia e Grantaire indietreggiò.

 

«Ti prego, non andartene», implorò la guardia.

 

Era così trasfigurato dalla vista della sua Città che non vide Combeferre arrivargli alle spalle. Il rivoluzionario lo colpì alla nuca e corse verso Grantaire, controllando che non fosse ferito.

 

«Cosa ci fai qui? Avresti potuto essere scoperto.» Combeferre spostò lo sguardo sulla guardia e Grantaire lo vide, chiaro come la luce del giorno, mentre soppesava la vita del giovane e si chiedeva se valesse o no la pena di sprecare una pallottola. «Ce n’era solo uno? O qualcun’altra ti ha visto guarire?»

 

«No… non c’era nessun altro.»

 

«Le armi sono tutte riposte altrove. Di lui ci occuperemo dopo, ma per ora, devi andartene.» Combeferre indicò lo sbocco del vicolo, proprio dove c’era il café. Ma Grantaire rimase immobile dallo shock.

 

«Tu… tu lo sai?» La risposta fu uno sguardo esasperato. Ma certo, che domanda stupida. Combeferre sa sempre.

 

«Adesso vai! Dì a Bossuet e a Joly che arriverò presto anch’io!»

 

Grantaire scattò, la mente che volava. Dopo decenni passati a nascondersi, si era fatto scoprire tre volte nel giro di un anno. I tatuaggi non comparvero, talmente era confuso. Era questo, allora? Le lettere sulla sua scrivania, il popolo per le strade, gli umani che chiamavano il suo nome. Era questo? Era questo il suo ritorno?

 

Corse dentro il café, senza sapere bene se essere eccitato o terrorizzato; anche se sul suo viso si stava facendo strada un sorriso. Joly e Bossuet stavano bevendo ad uno dei tavoli e lui afferrò quell’ultimo, ignorando lo sguardo preoccupato che gli lanciò Joly (anche se, doveva ammetterlo, aveva un’aspetto da folle)

«Stanno arrivando!», disse Grantaire, «Stanno arrivando a costruire la barricata!»

 

«Dove?», chiese Joly.

 

«Questo é un buon posto», Bossuet era in piedi, e sorrideva. «Qui va bene.»

 

Si spostarono in strada, aspettando i loro compagni. Grantaire fece per seguirli quando una voce femminile lo fermo. «Parigi.»

 

Per un unico, isterico istante, pensò che qualcun altro lo avesse scoperto. Musichetta, forse, o la proprietaria del café, o anche una donna qualsiasi che passava per la strada, considerando come stavano andando le cose. Invece, ad avvicinarsi a lui fu una figura sottile, che si abbassò il cappuccio. Una cascata di ricci castani ne piovve fuori, e si ritrovò a guardare un familiare paio di occhi blu.

 

«Parigi», disse lei, di nuovo.

 

«Bordeaux», sussurrò il fratello. «Cosa ci fai qui?»

 

«Potrei chiederti la stessa cosa. Nel nome del cielo, cosa pensi di fare?»

 

«Quello per cui sono famoso.», Parigi cercò di sorridere. Ma dallo sguardo terrificato della sorella, capì che forse non aveva avuto molto successo. Ed era consapevole del fatto che la gente li stesse osservando. Anche nel suo stato perennemente disfatto, Bordeaux era una visione, e la maggior parte delle sue cicatrici erano nascoste dal vestito. Era troppo bella per intrattenersi con uno come lui. «Dovresti andartene di qui, tesoro, presto il combattimento arriverà qui. E non fare quella faccia, non sei stata forse tu a dirmi di- di-»

 

«Ti ho detto di andare a letto con qualcuno. Ti ho detto- Ho sperato che finalmente ti saresti divertito un po’ e avresti allontanato l’ombra di Jeanne. Non ti ho detto di cominciare una rivoluzione, di metterti in pericolo, di mettere noi in pericolo! Non ti ho detto di… di innamorarti, non di un umano.» La sua voce si spezzò, sull’ultima frase.

 

Le mani di Grantaire stavano di nuovo tremando.

 

«Cosa, sei qui punirmi?»

 

Bordeaux gli afferrò le mani e non le lasciò andare, anche quando lui provò a strattonarla. Gli occhi di lei mandavano lampi.

 

«No! Sono qui perché hai smesso di rispondere alle nostre lettere. Hai idea di quanto siamo preoccupati? Eravamo così speranzosi quando hai ricominciato a scrivere, ed é stato orribile vederti svanire di nuovo. Ti sei dimenticato che anche noi ti amiamo? Ti amiamo! Sei nostro fratello! Sei stato nostro fratello da molto prima di tutto questo!»

 

Stava piangendo. Parigi liberò le mani, piano. Non aveva risposte da dare.

 

«Dovresti… dovresti andartene, Bordeaux. Vai via.»

 

«Non posso. Sono qui per portarti via. Per tenerti al sicuro, perché l’ultima volta non ci siamo riusciti, e le conseguenze sono state disastrose.»

 

«Devi fare quello che ti dico io, Bordeaux. Io sono la Capitale.»

 

«Lo sei?» chiese Bordeaux. «Perché nessuno di noi lo sente più, ormai. Nessuno riesce a sentirti, nei confini della nazione. Sembra che tu sia già morto.»

 

«Devi andartene.»

 

«Ti prego…», gli occhi di lei erano così blu, e Parigi si chiese se anche i suoi lo erano mai stati, così brillanti. «Devi capire, questa cosa non sta succedendo da nessuna altra parte. Sono solo loro! Questa ribellione non potrà mai vincere. Non lasciare che questo tuo Apollo ti bruci, non un’altra volta.»

 

I loro occhi erano simili, si riempivano di lacrime allo stesso modo, allo stesso momento. «Lo amo.»

 

«Ed é per questo che ti farà soffrire.»

 

«Grantaire!» Riconobbe quel grido di gioia. I Les Amis stavano riempiendo la strada, correndo via dal cuore del tumulto, raccogliendo mobili per costruire la barricata.

 

«Parigi», disse Bordeaux, frenetica.

 

«Grantaire!»

 

«Parigi.»

 

Enjolras.

 

Era una scelta così facile.

 

Bordeaux rimase a guardare, mentre Parigi si allontanava. Grantaire le sorrise tristemente.

 

«Dovresti andartene, tesoro.»

 

L’uomo che le stava parlando non era suo fratello.

 

«Grantaire!»

 

Continuò ad allontanarsi.

 

X

 

Bossuet aveva ragione. Era un buon posto per una barricata. Il Corinthe creava un ostacolo, rue Mondetour era stata chiusa a sinistra e a destra, e l’unica via percorribile era rue Saint-Denis. Courfeyrac e gli altri chiamarono gli inquilini delle case, incitandoli a buttare giù tutti i mobili che potessero, mentre gli altri raccoglievano rocce e sampietrini e persino un carro rovesciato, per costruire la barricata.

 

Grantaire aveva ancora delle schegge di legno nella pelle, conficcate lì da quando aveva costruito altre barricate. Decenni prima, ma ancora facevano male più delle cicatrici sulla schiena. Non poteva farlo di nuovo.

 

E quindi scivolò attraverso le strade, indebolendo i cardini delle porte e dei cancelli che i Les Amis sarebbero corsi a prendere. Chiuse tutte le aperture delle case, fece sparire i vicoli, come se non fossero mai esistiti. Si fermò vicino all’apertura di una fogna, chiedendosi se qualcuno avrebbe potuto essere così disperato da usarla, ma alla fine qualcosa lo fermò (l’immagine di una ragazza dai capelli biondi). Grantaire passò oltre, lasciandola aperta. I tetti si inclinarono, pesanti di fango; sarebbe stato difficile per i cecchini appostarsi lì sopra. La strada stessa sembrò restringersi, seguendo la sua volontà, e gli uomini erano così intenti che non si accorsero dell’artista che camminava tra di loro, passando le mani sui muri.

 

La barricata crebbe. Ad ogni nuova strada bloccata riusciva a sentire un dolore acuto, come se alcune delle vene che correvano verso il cuore venissero tagliate. Ma era quello che erano le rivoluzioni, dopotutto, no? Le strade di Parigi sentivano il suo tocco. Si appoggiarono a lui, offrendogli i loro sussurri, ricordi di sangue che era entrato per sempre nelle loro pietre. Lui ascoltò, e ricordò.

 

Ricordò la prima barricata mai costruita, nel 1588, i soldati stranieri nelle sue strade e la Lega Santa che gridava contro il loro Re e sangue che inondava i gradini della chiesa. Ricordò il 1648, la fine della Guerra dei Trent’Anni ma non delle tasse. Non del sangue, quando il popolo scese di nuovo in strada. Si era unito a loro, quella volta, in piedi in cima alla barricata con i suoi (amici? Come si chiamavano? Ecco qualcosa che avresti dovuto scrivere nelle tue lettere, Parigi), senza sapere se sarebbe stato l’inizio di una serie infinita di guerre civili. Di una serie infinita di morti. C’era sempre sangue nelle strade di Parigi. Ormai lo sapeva.

 

Non erano quelli i ricordi che voleva. Ma erano quelli che le strade gli potevano dare, e quindi Grantaire li prese tutti, ogni scheggia, ogni sasso, e se li caricò sulle spalle, come tutte le Città sono costrette a fare.

 

Erano pesanti.

 

Guardo alla barricata in costruzione e pensò, Eccoci di nuovo qui, amici miei. Mi chiedo, é davvero cambiato qualcosa?

 

Non era già successo tutto, prima? Non c’era forse stato Robespierre, là in piedi, una volta, vestito di rosso? Non era stato forse Napoleone che aveva avuto la folla che cantava per lui?

 

Tutti questi uomini, non erano forse stati ragazzi, prima?

 

Gli sembrava che tutti i fantasmi del passato cercassero di sollevarsi dal terreno e trascinarlo giù. Traballò verso il fondo della strada, la mano appoggiata alla barricata, alzando gli occhi verso Enjolras prima che le gambe gli cedettero.

 

Joly gli fu immediatamente accanto, con altri Amis che lo guardavano preoccupati.

 

«Sta bene?»

 

No, no sto bene. Bordeaux aveva ragione; c’é qualcosa di sbagliato, in me.

 

Ma poi Enjolras si materializzò al suo fianco, e le sue mani calde erano sul suo viso, e Grantaire non poté fare a meno di sorridere. Enjolras lo guardò intento, prima di dire, «Liberati del tuo alcool da qualche altra parte», per non destare sospetti.

 

Se qualcuno degli altri trovò strano che Enjolras aiutasse a rialzarsi l’ubriacone che aveva appena rimproverato, non disse niente. Enjolras passò un braccio attorno alla vita di Grantaire e lo portò al riparo, dentro al café.

 

Enjolras lo aiutò a sedersi, tenendolo bene d’occhio. E sì; era per questo che Grantaire stava combattendo, per vedere i suoi capello dorati cadergli sul viso, mentre si addolciva, preoccupato. «Stai bene?»

 

«Credo di sì. I grandi cambiamenti a volte sono difficili per una Città. É un po’ come morire.»

 

E quelle erano proprio le parole giuste. Enjolras si illuminò, brillando della sua stessa luce interiore (avevi torto, Atene, come si può volere il sole quando si ha questo?). Grantaire non si era mai sentito così sobrio in anni, e comunque vacillava. Il suo amore aveva sentito la parola, cambiamento, e non l’avvertimento che l’accompagnava.

 

«Posso fare qualcosa, qualsiasi cosa?», chiese Enjolras.

 

«Non più di quanto tu non abbia già fatto.» 

 

«Ti unirai a noi?»

 

«…non adesso. Ma guarderò», Grantaire alzò gli occhi su Enjolras con uno sguardo così amorevole, così preoccupato, che quest’ultimo non riuscì a capire se le altre parole vennero dette per scherzo, o no. «Lasciami dormire qui finché non morirò.»

«Non morire, ma rinascere.» Enjolras gli baciò la fronte, senza curarsi di chi poteva vederli. «Il popolo si solleverà, e così anche tu

 

Il cielo era ancora coperto.

 

Grantaire guardò arrivare altri volontari. Una folla varia, giovani ragazzi e ispidi lavoratori, ricchi e poveri, ciascuno con le sue armi. E, ovviamente, Gavroche, che si spostava quasi ballasse, distribuendo ordini a destra e a manca e comportandosi da piccolo imperatore.

 

«Non posso darti una pistola», aveva detto Enjolras al ragazzino, che si era limitato a guardarlo e a rispondere, «Se sarete tutti uccisi prima di me, ne prenderò una delle vostre.»

 

Grantaire rise, a quella risposta, e arruffò i capelli del ragazzino quando si avvicinò per un paio di parole (e per rubare del vino). Stava per dirgli qualcosa di confortante, o magari ancora prenderlo in giro, quando l’aria cambiò. Grantaire inspirò a fondo l’aria, una volta, due volte. C’era un nuovo odore, freddo e metallico, in mezzo alle nuove reclute.

 

Le osservò, per vedere cosa sarebbe successo. Erano tutti vestiti uguali, con coccarde tricolori e berretti rossi… a parte uno. Certo, c’era una coccarda sul suo cappotto scuro, ma non la indossava allo stesso modo degli altri. Grantaire lo guardò da lontano. Non osava espandere la sua coscienza, non con i combattimenti e tutta la morte che ancora aleggiava nelle strade circostanti. La coscienza era esattamente quello che Grantaire voleva mantenere. E per quanto riguardava quell’uomo: massiccio, dalla faccia rapace, priva di espressioni. L’odore veniva da lui. Come di acciaio.

 

Come un soldato.

 

Si voltò verso Gavroche, che stava guardando a sua volta l’uomo, con un’espressione particolare sul viso. Come quella di una piccola volpe, che aveva appena snidato un coniglio. Grantaire si abbassò e gli sussurrò all’orecchio, «Tieni d’occhio quello per conto mio, va bene?»

 

«Sicuro, Monsieur Paris.»

 

Grantaire, che aveva bevuto un’altro sorso, lo spruzzò fuori. Guardò il ragazzino pieno di sconvolgimento. Gavroche, quella piccola carogna, ebbe il coraggio di scrollare le spalle, assolutamente tranquillo.

 

«Solo perché sono ancora un cucciolo non vuol dire che non presti attenzione», indicò con la testa gli adulti, e disse, soddisfatto, «Non come loro.»

 

«D’accordo…», Grantaire non riusciva neanche a reagire normalmente. «Vai… Fai che andare, allora.», e nemmeno fermò il ragazzino, quando prese un sorso dalla bottiglia, prima di correre di nuovo in strada.

 

Fuori, Enjolras stava chiedendo di andare a spiare le guardie, e dopo poco quell’odore di metallo svanì. Grantaire bevve di nuovo, non per apatia, ma perché sapeva bene che Gavroche avrebbe fatto quello che gli aveva chiesto. Forse Grantaire aveva ancora fede in qualcuno, dopotutto.

 

Per la terza volta in quella giornata, Grantaire sorrise.

 

X

 

Calò la notte. 

 

Gli uomini erano stati gioviali per tutto il giorno, o almeno abbastanza energici. Cantavano, si tiravano pacche sulle spalle mentre la barricata cresceva, ma ora uno strano silenzio cominciava a diffondersi tra di loro. Vennero distribuite le pallottole- ciascuna destinata ad uccidere un uomo- e la realtà di quello che stavano facendo li colpì.

 

I tamburi risuonavano in tutta Parigi. Tutti potevano sentirli, ora, un ritmo basso che sarebbe potuto facilmente essere scambiato per il pulsare del sangue nelle loro orecchie. Gli uomini respiravano piano, ben consapevoli delle vecchie storie delle Città. Alcuni pregavano, come succedeva nelle battaglie antiche, chiedendo la protezione della loro Città.

 

Grantaire si voltò.

 

Sopra le loro teste, la bandiera rossa sventolava.

 

X

 

Fu quasi contento quando Grantaire gli saltò in braccio, sussurrando, «So chi é!»

 

L’odore di metallo era tornato.

 

Era una distrazione, se non altro. Gavroche si allontanò e Grantaire si spostò avanti, pronto ad intervenire, mentre guardava la scena svolgersi.

 

Il finto ribelle stava parlando agli altri. «Sono stato nelle loro linee, ho contato i loro uomini. É pericoloso; hanno uomini in abbondanza.»

 

«Non aver paura, se conosci i loro movimenti, possiamo anticiparli», Enjolras afferrò la spalla dell’uomo e gli occhi di Grantaire si strinsero. «Ci sono modi in cui un popolo può combattere.»

 

«Abbiamo tempo di pianificare tutto. Non attaccheranno stanotte. Vogliono prenderci per fame e poi concentrare le loro forze sul fianco destro-»

 

«Bugiardo

 

Tutti gli occhi si voltarono verso il ragazzino che adesso stava in cima alla barricata, il suo viso sottile illuminato mentre ghignava e si inchinava beffardo alla spia.

 

«Buonasera, caro Ispettore.»

 

Ogni testa ritornò a guardare la spia.

 

Meglio di un’opera!, pensò la parte selvaggia di Grantaire. Anche Gavroche si stava divertendo da morire. Puntò il dito e continuò.

 

«Conosco quest’uomo, amici miei! Ha cercato di arrestarmi neanche una settimana fa! E’ l’Ispettore Javert! Sta con la Guardia Nazionale, e tutto quello che vi sta dicendo é una frottola!»

 

L’ispettore venne immediatamente catturato.

 

E così anche Gavroche.

 

Ma mentre l’uomo veniva legato, Courfeyrac fece volare il ragazzo, ridendo di gusto. Tutti gli altri uomini si complimentarono con lui, e Gavroche si illuminò d’orgoglio, soprattutto quando vide la sua Città, e Grantaire sollevò la bottiglia in un gesto di saluto.

 

Per Javert le cose andarono diversamente. Gli uomini lo presero, portandogli via la pistola e il cappotto, e tirandolo verso il café. Enjolras vibrava di rabbia, e la mano che teneva ben salda la spia tremava, mentre la colpiva. Javert sputava parole di rabbia, e minacce. «Uccidetemi! Ho visto che avete dei coltelli!»

 

Enjolras ritornò in sé con difficoltà. «Noi», disse, a denti stretti, «Non siamo assassini. Sarà il popolo a giudicare il tuo tradimento, non io.»

 

E con quello, fece cenno agli altri di andarsene, esitando quando Grantaire non lo fece. Enjolras era chiaramente poco contento di lasciarlo nella stessa stanza con la spia, ma non c’erano altri posti. Era l’unico spazio ancora aperto per loro; le finestre delle botteghe vicine erano state chiuse e barricate. Grantaire non era l’unico a ricordarsi il passato.

 

«Starò bene, tu vai. Gli uomini hanno bisogno di te.» disse con calma Grantaire.

 

«Non lo voglio vicino a te», Enjolras gli posò una mano sulla guancia e Grantaire inclinò la testa, verso il suo tocco. Dall’angolo venne un verso.

 

«Disgustoso.»

 

Gli occhi di Enjolras divennero freddi come il ghiaccio. Ma niente poteva compararsi a quello che provò Grantaire. La Città inclinò la testa.

 

«Vai. Me ne occuperò io.»

 

Uno sprazzo dei tatuaggi, ed Enjolras arrossì un poco, prima di annuire.

 

Quando se ne fu andato, Grantaire si voltò e riservò a Javert un ghigno che forse aveva qualche dente di troppo. «Dovreste proprio concentrarvi sui vostri problemi, ispettore, prima di giudicare gli altri.»

 

«Non ho bisogno di giudicare. Le stelle hanno visto le tue colpe», ribadì l’uomo. Guardò Grantaire mentre anche lui abbassava lo sguardo, e i loro occhi si incontrarono.

 

Avrebbe dovuto fare più attenzione.

 

Le Città possono sentire le loro strade, o perlomeno i quartieri attorno a loro, se si concentrano abbastanza. Sentono le emozioni delle persone, i loro pensieri, se sono loro vicine, fisicamente o emotivamente. Ma se incrociano gli occhi con un umano… riescono a vedere la sua anima.

 

E a volte, quell’umano può vedere a sua volta.

 

Entrambi voltarono la testa allo stesso momento, rabbrividendo.

 

«Tu… tu sei… Non capisco», disse Javert. «Come puoi stare dalla stessa parte di questi ribelli? E’ una disgr-»

 

«Non avere la presunzione di conoscermi, umano» ribatté Grantaire, torreggiando sopra l’altro uomo. Javert cercò di allontanarsi dai suoi occhi.

 

«Ma la legge…»

 

«Non é l’unica forza, in questa terra. Né é la più importante.» Javert gli lanciò uno sguardo smarrito, mentre la sua risoluzione scivolava via. Grantaire si sentiva dispiaciuto, quasi, per quell’uomo che sapeva di metallo. Quest’uomo duro, mai spezzato. Ma il metallo di frantumava, se messo sull’incudine. Fu la pietà che gli impedì di dire qualsiasi altra cosa se non questa,

 

«Ti sei sempre sbagliato, sai? Su tua madre. Era Roma, é vero, ma ti amava comunque. Riesco a capirlo già solo dai tuoi ricordi»

 

Javerti abbassò lo sguardo.

 

Per un momento, Grantaire continuò ad osservarlo (dentro di lui, attraverso di lui, e poi oltre), e la Città di Parigi sentì l’acqua salirgli alla gola. Non era lui che stava annegando, quella volta.

 

Oh, Javert, pensò, che vita avresti potuto avere.

 

 

Dalla strada arrivò un grido, e Grantaire cercò di correre fuori nello stesso momento in cui fu costretto a piegarsi su sé stesso, in preda all’agonia. Qualcuno era appena morto. Riuscì ad uscire fuori, e seppe subito quello che stava per vedere.

 

L’uomo che giaceva morto sui sampietrini della strada (altro sangue da ricordare), aveva rifiutato di lasciar passare il ribelle che chiamavano Le Cabuc. Ed era stato ucciso. Ucciso da qualcuno che diceva di combattere per i diritti e la libertà di tutti. Grantaire si sentiva male. Come cambia in fretta, la marea. Quanto in fretta i ribelli diventano tiranni.

 

Le Cabuc era in ginocchio.

 

Enjolras era lì vicino, e quando vide Grantaire con la coda dell’occhio, la sua furia divenne qualcosa di puro, e terrificante. Avvicinò la sua pistola alla testa dell’omicida e disse, semplicemente, «Dì le tue preghiere, se lo desideri.»

 

Non sarò un tiranno, pensò Enjolras, per chi? Per Grantaire? Per sé stesso?

 

Apollo era il dio dell’ordine. Della malattia. Della profezia. Non della pietà. Mai della pietà.

 

Morte, mi servirò di te.

 

La pistola sparò. Gli altri non poterono fare altro che guardare mentre il corpo che una volta era Le Cabuc cadeva a terra. Enjolras annuì, l’espressione ancora impassibile, «Spostatelo da lì.»

 

E con quello, si allontanò. Jehan e Combeferre lo sfiorarono, mentre passava, senza condannarlo, solo semplici ancore per il loro capo. Enjolras tese una mano a Grantaire, che fece un passo indietro da quella figura in rosso, i fantasmi del passato davanti agli occhi.

 

(la linea sul collo pungeva. Anche la ghigliottina canta; lo sapevate?)

 

«Non aver paura di me.» disse Enjolras, con calma. I suoi occhi blu lo stavano pregando. «Non diventerò mai quello.»

 

Grantaire si costrinse ad annuire.

 

Quella notte, dormirono l’uno nelle braccia dell’altro. Non c’erano stelle, nel cielo.

 

X

 

Furono i tamburi a svegliarlo. Grantaire ci era ormai così abituato che all’inizio pensò fossero solo nella sua testa. Ma poi realizzò che non erano i tamburi celtici, quanto piuttosto il rumore ritmico di un battaglione in avvicinamento. In un batter d’occhio fu in piedi, tirando su con sé anche Enjolras.

 

«Sono qui!»

 

La sentinella stava già gridando, e i ribelli correvano verso la barricata. Si disposero nelle file ordinate che avevano ideato settimane prima. Dall’altra parte della barricata, i soldati si fermarono e si alzò una voce.

 

«Chi va là?» 

 

Enjolras tirò indietro la testa e gridò, «La rivoluzione francese!»

 

«Fuoco

 

La barricata tremò, schegge di legno che volavano in ogni direzione e detriti che cadevano a terra. Enjolras gridò di aspettare che i soldati si avvicinassero, prima di sparare. A differenza loro, i Les Amis non avevano retroguardie pronte a rimpiazzarli.

 

Arrivò un’altra scarica di proiettili, e con un rumore secco, la bandiera rossa cadde.

 

Un uomo (Parigi sapeva: Padre Mabeuf, che voleva evitare che i ragazzi facessero qualcosa di assolutamente stupido) cercò di rimetterla a posto e venne colpito. Il sangue colava, e la sua giacca era ormai rossa come la bandiera. Enjolras e Jehan si allungarono a recuperare il cadavere e all’improvviso i soldati si stavano avventando su di loro.

 

«Attenzione!», strillò Gavroche mentre le guardie cercavano di scavalcare la barricata. Regnava il caos. C’era Combeferre, una pistola in ogni mano, e Bahorel vicino a lui, che rideva mentre combatteva per proteggere i suoi amici. Altri soldati caddero, altri soldati arrivarono.

 

«Respingeteli! Respingeteli!», gridava Enjolras. Macchie nere danzavano davanti agli occhi di Grantaire. Fratelli che uccidevano fratelli. Sembrava che il suo collo volesse dividersi in due, gridando dal dolore. Le sue interiora si contorcevano, rivoltandosi l’una sull’altra, come serpenti che si nutrivano della carne dei loro fratelli, e c’era veleno nel suo petto, nel suo cuore.

 

Altre grida, i soldati venivano respinti ma due- no, tre erano riusciti a saltare giù dalla parte opposta e adesso il combattimento si era fatto confuso. Uno cadde. Poi un altro. E Courfeyrac era vicino a lui, e gridava «Dov’é Jehan? Dov’é Jehan?», prima che una pallottola gli entrasse nel petto.

 

Andava tutto bene. I soldati erano in minoranza. Ma Grantaire poteva comunque sentirli, smarriti e feriti e arrabbiati e spaventati (voglio solo tornare a casa) o erano i ribelli? Ragazzi. Tutti solo ragazzi.

 

L’ultimo soldato cadde a terra e con uno sforzo finale i Les Amis rimandarono indietro le ultime guardie, respingendole giù dalla barricata, e gli uomini già stavano esultando, macchiati di sangue, e Enjolras stava ancora gridando ordini, la paura che appestava ancora l’aria-

 

-e poi Bahorel venne passato da parte a parte da una baionetta, e morì.

 

Grantaire smise di respirare.

 

 

 


 

 

Note delle traduttrici

Il motivo per cui abbiamo deciso di portare questa storia su EFP é semplice: Paris Burning é un capolavoro che va al di là della semplice fanfiction, é un worldbuilding spettacolare che tutti dovrebbero leggere, anche al di là del fandom di Les Misérables. Entrambe l'abbiamo letta, ci abbiamo pianto lacrime amare, l'abbiamo adorata, e abbiamo deciso di provare a tradurla. Non eguaglieremo mai lo stile dell'autrice, della nostra R (si firma così davvero e afferma che sia solo una fortunata coincidenza), e anzi, se potete, andate anche a leggere l'originale. Noi qui abbiamo il nostro piccolo tentativo 

Da qui si va di corsa verso la fine. Preparate i fazzoletti, perché i feels e le emozioni vere cominciano adesso.

Per questo capitolo, la traduzione è di barricadeuse e il betaggio di  piuma_rosaEbianca, a bbiamo deciso di alternarci un po', per dividerci il lavoro. Per qualsiasi domanda, o annotazione, anche tecnica, non esitate a chiederci. E se avete qualcosa che vi incuriosisce sulle Città, sentitevi liberi di lasciare un messaggio privato.

 

Abbiamo deciso di pubblicare un capitolo a settimana: ci siamo già portate avanti per non avere problemi o ritardi, quindi possiamo dire con sicurezza che d'ora in poi il giovedì sarà il giorno di Paris Burning. E quindi il giorno dei feels. Ci rivediamo il 24 aprile.

Ringraziamo chi ha commentato e messo Paris Burning tra preferiti e seguiti: continuate a crescere e ad avvicinarvi anche all'originale, cosa di cui siamo contentissime (e anche dopo aver letto quel capolavoro riuscite ancora a farci dei complimenti, siete meravigliosi)

The Cities are still burning,
al prossimo capitolo,
b + c.

  
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