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Autore: The queen of darkness    18/04/2014    1 recensioni
Quando la vita presenta ghirigori stranissimi prima di donare una felicità assoluta.
( questa storia è stata precedentemente cancellata per motivi di formattazione. Vi chiedo di portare pazienza; i capitoli verranno ricopiati e la storia procederà con lo sviluppo ideato precedentmente. scusate per il disagio.)
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Reid stava curvo sulla sedia addossata al muro, immobile. Teneva fra le mani un bicchiere di plastica colmo di caffè senza zucchero portatogli da Morgan quasi un'ora prima, ma non se l'era nemmeno portato alle labbra.
Garcia aveva telefonato per avvertire che Hotch, JJ e Rossi erano arrivati sani e salvi a Quantico: nonostante avessero voluto rimanere con gli altri tre agenti, la Strauss era stata lapidaria nell'esigere spiegazioni faccia a faccia, ed era stato solo per puro senso di solidarietà che non avevano lasciato partire Hotch da solo (visto che non era stato l'unico ad aver ignorato le chiamate della donna).
Fissando per l'ennesima volta la figura del dottore, però, Morgan si pentì di non averli seguiti. Preferiva di certo prendersi una lavata di capo dalla Strauss piuttosto che stare a guardare il dilaniamento interiore dell'amico, senza per altro poter intervenire.
Il giovane dottore, infatti, senza dire una sola parola aveva rifiutato qualsiasi contatto umano: si era seduto lontano dai due colleghi, aveva abbassato la testa e, talvolta, si strofinava gli indici contro le tempie. Durante il viaggio in auto per arrivare all'ospedale non aveva spiccicato parola, stando passivamente a sentire quello che veniva trasmesso al suo auricolare e senza fare nessun commento, evitando persino di rispondere alle domande fattegli da Emily.
La donna, alla fine, aveva capito l'antifona; quando vide Derek in procinto di portare a Reid un caffè fece una smorfia, ma lo lasciò andare. Non che questo gesto avesse portato dei cambiamenti significativi, del resto: aveva destato solo un lieve ciondolio del capo e un rauco ringraziamento.
Morgan scosse la testa, distogliendo lo sguardo. Odiava sentirsi così impotente di fronte allo smarrimento del giovane. Quando se ne era andato Gideon aveva visto la stessa identica scena, la stessa feroce apatia che il dottore usava per nascondere il dolore. Reid non aveva avuto paura di piangere in pubblico, di urlare, ma quella volta era stato diverso: quell'allontanamento non era paragonabile alla morte per il semplice fatto che, per quanto fosse ugualmente definitivo, era stato dettato dalla spontanea volontà di Gideon.
- Notizie di Eva? - chiese Emily, all'improvviso, avvicinandosi.
Il collega scosse la testa. - Ormai sono quasi dieci ore che è in sala operatoria.
La donna si passò una mano sul viso. - Ho chiamato Rossi; dice che sono arrivati in centrale e che aspettano notizie.
- Hotch? - chiese Morgan.
Prentiss fece un'alzata di spalle. - Nervoso, ma controllato. Come suo solito.
Nel silenzio che seguì, Morgan accennò a Reid con il mento.
- Guardalo, Emily: si sta torturando. È lì da ore, non si muove; non si sta mangiando le unghie, non sta bevendo caffè, non sta leggendo compulsivamente, non straparla; niente. Immobile come una statua.
Dall'espressione di lei, Morgan capì che il suo pensiero era condiviso. Quell'atteggiamento era decisamente anomalo.
- Qualche giorno fa - riprese lui, - mi ha detto che lui e Eva erano amici di infanzia, ma che si sono persi di vista per colpa del lavoro di lui qui, a Quantico.
Quelle parole bastarono ad Emily per capire quanto il giovane si sentisse colpevole. Quello era un tassello della storia che le mancava, e che ora faceva quadrare i conti; infatti, senza quella piccola informazione, non si sarebbe altrimenti spiegata come mai Reid sembrasse tanto sensibile riguardo alle sorti di Eva.
Il gesto della nuova arrivata era stato insensato, e stupido. Non si può andare spontaneamente nel covo di un serial killer con una pistola di ordinanza, le spalle scoperte e una semplice intuizione come addestramento. Sicuramente, l'uomo doveva averla stordita con un colpo appena varcata la soglia, e poi non doveva essere stato difficile legarla e buttarla in un angolo. Quella conclusione era fin troppo prevedibile, e si stupiva che una ragazza sveglia come la collega non se ne fosse subito resa conto; cosa sperava di fare, senza rinforzi né manette, in una zona isolata? Ovviamente la conclusione sarebbe stata quella che avevano davanti agli occhi.
Altrettanto sicuro era il fatto che, avendo messo a repentaglio non solo la reputazione dell'intera squadra, ma anche l'esito del caso, la giovane avrebbe pagato caro il peso delle sue azioni (e qualcosa le faceva pensare che la Strauss non vedesse l'ora di flagellare gli agenti). Per non parlare di Hotch, poi, che aveva assunto quella ragazza senza neppure saperne le credenziali, bensì pescandola in un vecchio archivio dove figurava il suo nome accompagnato dalla nota di merito di un insegnante universitario. Lo stress di quel periodo non era equiparabile alla mole di lavoro che avevano avuto in passato, tuttavia l'atmosfera non era per questo meno pesante oppure meno carica di nervosismo. Vedere il proprio capo barcollare sotto il peso delle proprie responsabilità metteva tutti a dura prova. Inoltre, se il capo in questione era Hotch, diventava frustrante persino guardarlo reprimere tutto sotto un'espressione impassibile e un numero esorbitante di straordinari.
Anche lei si ritrovò a guardare Reid, oltre il cornicione del corridoio che separava la triste sala d'attesa dal resto dell'ospedale. Li avevano confinati in una bolla solitaria; non c'era nessun altro, lì dentro, e gli unici segni di una qualche presenza umana erano dati da un camice verde da infermiere buttato su una sedia arancione nell'angolo e, sparpagliate su un tavolino basso al centro della stanza, una serie di riviste vecchie di anni con gli orli sgualciti e sudici. Si chiese come facesse una persona che sta per apprendere le sorti di un proprio caro a concentrarsi sul gossip.
- Non possiamo permettergli di continuare così, Morgan - bisbigliò Emily.
L'uomo scosse il capo per l'ennesima volta. - Credi che non lo sappia? Lo sto fissando da un'ora ed è tanto se l'ho visto sbattere le palpebre.
Lei lasciò passare un lungo silenzio. - Dev'esserci qualcosa di più oltre a quello che ti ha detto.
- So perfettamente anche questo. È anomalo reagire così per le sorti di una vecchia compagna di classe sparita per quasi vent'anni.
Prentiss sospirò. - Non mi piacciono tutti questi misteri. Non sto affatto dicendo di trovare Eva sgradevole, nonostante tutto quello che è successo, ma è avvenuto tutto troppo in fretta: l'hanno inserita nella squadra e siamo subito volati per risolvere un caso senza nemmeno il tempo per le presentazioni. E se è vero che il passato di Eva è così delicato come Hotch ha lasciato intendere, non sarebbe stato meglio dirci qualcosa, almeno a grandi linee?
Nonostante Morgan concordasse con lei e condividesse il suo stesso ragionamento, non volle prendere una posizione. Il discorso della collega era, come sempre, sensato; infatti, anche lui si trovava a disagio a parlare con la nuova arrivata perché, nonostante la schiettezza di lei invitasse alla conversazione, aveva sempre paura di toccare involontariamente tasti dolenti. Quell'atmosfera di parole non dette gli dava altamente fastidio; in quel momento, tuttavia, sentiva nel petto solo la preoccupazione per le sorti della giovane.
Alla fine decise di mettere Prentiss al corrente dei suoi pensieri: - Emily, so che hai ragione, ma non riesco a pensarci adesso. Dieci ore, capisci? Dieci ore sotto ai ferri. E nessuno è ancora uscito da quella maledetta porta per qualsiasi dannato motivo.
Si passò una mano sul viso, frustrato.
Lei gli posò delicatamente una mano sul braccio con espressione comprensiva. - Hai ragione, non è il momento per certe cose. Ed è altrettanto vero che non si può continuare ad aspettare in questo modo, sto andando fuori di testa. Vado a vedere se passa qualcuno, torno subito.
Detto questo, Derek la guardò girare l'angolo e ne seguì con l'udito i passi lungo il corridoio, fino a quando non la sentì aprire la porta a vetri che separava i vari reparti e non gli fu più possibile distinguere cosa stesse facendo.
Ben sapendo che quella ricerca si sarebbe rivelata inconcludente, ne approfittò per entrare nella sala d'attesa, allontanandosi dalla porta, e prendere posto abbastanza vicino a Spencer. Era rimasto in piedi tutta la notte, senza riuscire a chiudere occhio, e sentiva le gambe indolenzite; l'addestramento, per quanto ferreo, non aveva nessun valore quando si trattava di domare la stanchezza fisica.
Allungò pigramente un mano per prendere qualche rivista: se ne pentì non appena scorse i titoli. "Matrimonio principesco per la giovane stellina del porno", "Gravidanza smentita nel mondo della musica", "Scopri i colori dell'estate!". Guardò le date: oscillavano dal gennaio 2003 al marzo 2007. Rassegnato, le rimise dov'erano prima.
- Che ore sono? - gracchiò Reid, dal suo angolo.
Morgan, sorpreso, si finse impassibile. Guardò il proprio orologio da polso.
- Le dieci e un quarto.
Il dottore non rispose, ma raddrizzò un po' la schiena e si strofinò gli occhi con la mano libera. Lo vide posare stancamente il bicchiere a lato della propria sedia.
- Grazie per prima - disse, accennandovi.
Il collega fece un'alzata di spalle per dirgli che non importava. Nulla importava, ormai.
La preoccupazione, la sonnolenza e la fame avevano lasciato il posto alla più totale e assoluta forma di abnegazione che avesse mai sperimentato. Ogni singola sensazione fisica che stesse provando passò in secondo piano, e nel silenzio dei suoi pensieri gli parve di poter udire il tuonare del cuore nel petto.
- Cosa succede se... - cominciò a dire il dottore, con un filo rauco di voce - ...se l'operazione non va a buon fine? - deglutì sonoramente.
Morgan chiuse gli occhi.
- Non pensarci - rispose.
Suo malgrado, si sentiva più a proprio agio ora che Emily si era allontanata; nonostante la donna condividesse le sue ansie e i suoi pensieri, ora che poteva ragionare nella propria solitudine sentiva la confidenza che aveva con Reid farsi più acuta; ebbe l'impressione, per l'ennesima volta, che la loro amicizia ne sarebbe uscita più robusta, dopo quelle ore e, anche se era terribilmente egoistico da pensare, fremeva dalla voglia di uscire da quell'ospedale per occuparsi di questioni che poteva controllare.
Il legame che sentiva di star cominciando a nutrire nei confronti della collega gli aveva impedito di andare a Quantico, ecco la verità: era come se la giovane italiana avesse una sorta di magnetismo impossibile da ignorare che l'aveva costretto a rimanere lì, a farle forza con il pensiero.
- Come faccio a non pensarci? - mormorò flebilmente Reid. - È impossibile. Mi sto sforzando da ore, Morgan, ore, di pensare ad altro, ma il mio cervello rimane fisso su quello che è successo. 
Il collega voltò il viso verso di lui. - Non provare nemmeno per un attimo a darti la colpa di questa storia.
Spencer si morse il labbro inferiore: ecco cos'era che lo tormentava.
- Reid, ascolta: anche arrivando prima, non avremmo concluso nulla lo stesso; Eva era già partita, d'accordo? Era arrivata lì molto prima di tutti quanti. Anche guidando a sirene spiegate non saremmo mai riusciti a raggiungerla in tempo.
Il ragazzo scosse veementemente la testa, alzando finalmente gli occhi lucidi e arrossati verso di lui. Il viso pallido, smagrito dalla luce al neon, era cadaverico, e due vistose occhiaie scure lo facevano apparire più vecchio di almeno dieci anni. Tremava.
- No, Morgan, avrei dovuto capirlo! - esclamò. - Io la conosco, avrei dovuto sapere che avrebbe agito d'istinto, l'ha sempre fatto! Se solo...se solo...
- Reid, smettila - lo interruppe Morgan, con tono fermo. - Come avresti potuto prevedere quello che è successo? Per quanto bene tu la conosca devi avere la capacità di comprendere che ciò che è avvenuto in quel tugurio non poteva essere impedito allora così come non può essere cambiato adesso. Guarda in faccia alla realtà, Reid! Il nostro intervento è stato il più tempestivo possibile, e l'abbiamo portata in salvo. Punto.
- In salvo, Morgan? - disse, con espressione disperata. - In salvo? Dieci ore di operazione al cervello non sono "in salvo"!
L'altro sospirò. - Non è torturandoci così che riusciremo a superare questa storia, lo sai bene quanto me.
Il dottore si bloccò di colpo. Spalancò gli occhi castani, rabbrividendo, e lo fissò dritto in faccia. In quello stesso momento Morgan si accorse del proprio madornale errore. Superare questa storia.
"Merda".
Reid rimase a lungo in silenzio.
- Quindi tu pensi che morirà - nonostante lo sguardo deciso, la voce era incrinata.
- Non ho detto questo...
- È come se l'avessi fatto, invece! 
Si alzò in piedi di scatto, passandosi entrambi le mani sui capelli scarmigliati.
- Io...mi dispiace. Sto impazzendo, non riesco a reggere un minuto di più. Troppo... - sembrò voler cercare il termine adatto, ma poi si arrese. - ... Troppo, capisci?
Abbozzò un sorriso stanco, prima di risedersi nella posizione iniziale.
Morgan sapeva che se l'avesse lasciato marcire nel proprio silenzio avrebbe ottenuto una nuova chiusura emotiva in Reid e, sebbene si rendesse conto di aver portato la situazione all'estremo per propria stupidità, cercò di non far scivolare Reid nel baratro in cui era calato.
- Non devi scusarti - disse, a voce bassa. - Siamo tutti stanchi. Sono sicuro che non ci vorrà ancora molto, Reid. Dobbiamo solo avere fiducia.
L'altro annuì, poco convinto. Cercò di cancellare dalla propria testa le immagini del ritrovamento, del sangue che macchiava il terriccio, degli occhi vitrei di Eva che fissavano a vuoto l'oscurità.
Ma non ci riuscì.

**

Prentiss sbuffò. - No, nessun'infermiera, a quanto pare.
Rossi, dall'altra parte del telefono, emise un sospiro sconfitto. - Quanto pensi ci voglia ancora?
- Sinceramente? Non ne ho idea. All'inizio pensavo che passare tutta una notte in sala fosse più che normale, soprattutto per un intervento così delicato. Ma dieci ore? E ancora nessuna notizia! Niente di niente! È questo che mi fa ammattire!
- Ti capisco perfettamente - rispose l'uomo. - È logorante anche per me che, bene o male, sono riuscito a dormire due ore.
Quell'accenno al sonno la fece rendere conto di quanto in realtà fosse stanca. Appoggiò la schiena al muro, esausta per il dover continuare a girare a vuoto: in quella decina di minuti aveva amaramente scoperto che quel piano sembrava davvero disabitato, nonostante fosse già mattina inoltrata.
- Hey, Rossi, sai per caso che ore sono?
L'uomo accennò ad una risata. - Emily, non vuoi davvero saperlo.
Anche lei si abbandonò ad un sorriso stanco.
- Hai ragione, non voglio. Ma sono così preoccupata, Rossi. Non riesco a pensare a nient'altro, siamo tutti presi allo stesso modo, qui.
- E Reid?
Il sospiro di Prentiss fu molto eloquente. - Non parla, non reagisce. L'ho lasciato un po' da solo con Morgan, non so se abbia fatto progressi. Come se non bastasse l'ansia nei confronti di Eva, poi.
Ebbe come l'impressione che Rossi stesse scuotendo la testa, nell'altra linea.
- Povero ragazzo. Chissà cos'ha di tanto misterioso da nascondere, riguardo ad Eva.
- Un ennesimo carico morale da sopportare, a quanto pare. Spero davvero che tutto si risolva in meglio.
Il collega più anziano non disse nulla per un po', cosa che non le fece affatto piacere.
- Scusa Emily, devo andare. A quanto pare è arrivato il mio turno e, a giudicare dalla faccia di JJ, non sarà piacevole. Ci sentiamo più tardi.
Prentiss annuì. - Va bene. Fammi sapere.
Chiuse la comunicazione con un ultimo sospiro.
Ascoltando silenzio che regnava là intorno, ebbe l'impressione che l'attesa sarebbe stata ancora molto, molto lunga.
  
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