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Autore: Vella    18/04/2014    4 recensioni
Una famiglia. Una contea. Una residenza.
Jenkins. Buckinghamshire. Winslow Hall. Anno 1896.
Tre storie apparentemente scollegate fra loro. Tre mondi. Tre amori. Tre, il numero perfetto.
Daniel Shaw è un poeta profondamente enigmatico, strano, seducente, romantico. Cerca la sua musa ispiratrice, trovandola d'improvviso in Wendy, una ragazza benestante e solare, con un segreto. Così nasce un amore sconfinato, senza vie, dal sapore della proibizione e dello sbagliato. Un amore fatto di sguardi e di intensi contatti umani.
Viktor Mitchell, uomo di ventotto anni, rude, agognato, senza alcuna forma di desiderio. Veterano di guerra. Ed ora divenuto professore per l'istruzione di famiglie d'alto rango. Un uomo davvero, forse troppo, sbagliato e pieno di peccati. S'innamora perdutamente di Katherine, una ragazza di diciassette anni, giovane, ribelle, forte, eppure la sua unica alunna.
E infine Gerard Collins, ventiduenne, senza tetto, soldi o famiglia. Un gigolò in cerca di amore tra persone che non lo completano. Per questo quando incontra Henry il tumulto di sentimenti che si forma nel suo cuore, lo confonde.
Henry, Wendy e Katherine sono fratelli. Sono la famiglia Jenkins. Sono sbagliati perché non seguono le convenzionali etichette ma lo struggente filo conduttore dell'amore più remoto.
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago, L'Ottocento
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Preliminari

Fumo, fumo dappertutto, fumo cospiratorio, fumo che si insinuava tra i lunghi capelli neri, fumo che infastidiva il viso e nascondeva lacrime amare e veritiere. Fumo che brillava alla luce del sole e raggelava alla vista delle temperature più alte. Fumo che Katherine vedeva chiaramente e che le rodeva l'animo. Quel giorno aveva indosso un lungo abito cremisi, le ciglia erano state allungate da uno strano aggeggio e le labbra erano dipinte dello stesso colore del vestito. La sontuosa gonna era sparpagliata sui gradini fuori dalla tenuta dove Kath sedeva guardando dinanzi a sé. Era sera, una bella sera, una sera luminosa in cui la luna risplendeva amabilmente.

―Cosa vi affligge, Mss?― scandì Viktor a chiare lettere, la stanza semibuia e lo sguardo perso di Katherine mentre si premuniva ad evitarlo. Sentiva del calore, del rosso, sentiva preoccupazione nell'aria. Ed il petto, stretto nel corsetto, s'alzava e abbassava con evidente difficoltà.
―Nulla che possa compromettere le nostre lezioni―, nulla che possa interessarvi anche, pensò. E in quel momento lo sguardo del precettore ritornò freddo dimenticando l'accaduto e, non spingendosi oltre, continuò la lettura sulla Storia della Scozia.


Ciò non dovrebbe causarle un simile sentimento. Eppure i suoi pensieri non riuscivano ad allontanarsi dagli occhi che un attimo prima le erano apparsi di fuoco e subito si erano tramutati nel ghiaccio più intenso e freddo.

―Voi non avete aperto libro, non vi siete premurata neanche di sfogliar mezza pagina, la vostra preparazione è pari a zero e mi vergogno di questo comportamento così sfacciato e irrispettoso, voi no, Mss? Oh, che qualcuno vi salvi dalla vostra esasperante vanità―. Le guance di Katherine avvamparono ed abbassando il capo si apprestò ad ingoiare una miriade di brutti pensieri. Quel disprezzo infondato ed alterato da chissà cosa, riusciva a confonderla inesorabilmente. Era stanca di quell'uomo, era stanca di vederlo ogni giorno e sentire quelle frasette fatte e piene di ira punzecchiarle la schiena come piccole freccette affilate.
―Io sarei irrispettosa, signore? Voi siete scostumato! E non so cosa sia peggio―. Quel giorno lasciò la stanza da studio con il cuore che le batteva a mille e quando fu costretta a rivederlo, il gelo era aumentato notevolmente.


I fuochi d'artificio si spersero nell'aria, un cumulo di rumori non identificati e la voglia matta, più matta di un matto, che aveva di gridare in quella cacofonia era più forte di qualunque altra cosa. Si strinse lo scialle bianco opaco attorno alle spalle striminzite e sentì la risata di suo padre farsi largo anche nel giardino della tenuta. Sentiva il fruscio delle vesti mentre il vicinato danzava nel Grande Salone come ogni anno. Tutti erano riuniti nella sua dimora e lei si ritrovava lì fuori a godersi quei fuochi artificiali che sempre aveva odiato e dove la vesta rossa del Natale le stringeva il petto con fin troppa forza. Non si era mai ritrovata su quei gradini a meditare del suo comportamento che in quelle ultime due settimane era stato considerato addirittura sconsiderato e strano. Soffriva di pazzia? Era davvero pazza? Socchiuse gli occhi, suo padre aveva specializzato un medico affabile? Rise. L'ipotesi e la conseguenza erano una più assurda dell'altra. I fuochi in cielo smisero di rumoreggiare e questo la porto per un attimo alla realtà.

―Vi divertite per caso?― urlò Katherine in preda alla disperazione, con la testa leggermente incrinata e gli occhi lampeggianti di disprezzo. Ciò era successo il giorno prima e Viktor era stato più che crudele, secondo lei. Un precettore non si comporta da villano, pensava. Eppure lui sì. E questo disturbava la sua mente, il suo corpo, la sua quiete.
―Sto solo cercando di rendervi una persona migliore, Mss. Perché me lo impedite?― e il tono era stato così calmo, non alzò lo sguardo dalle sue scartoffie e Kath si sentì ancora più umiliata. Ora non sapeva più come muoversi, che vendetta adottare, contro chi avrebbe dovuto agire. Era partita con un'unica presupposizione: avrebbe ubbidito. Avrebbe ubbidito e avrebbe distrutto la barriera insensata che le era stata eretta contro fin da quando era bambina. Avrebbe assecondato il precettore, avrebbe fatto di tutto per allontanare il padre dalla sua vita, per convincerlo che, alla fine, lei non era così stupida. Ma le ultime due settimane erano state un completo fallimento.


Si alzò dai gradini non appena sentì la porta dietro di sé scattare e si ritrovò il viso di Ernest a pochi passi da lei. Lo sentì sospirare mentre la guardava e le si avvicinò: ―Domani― sottolineò. E Katherine annuì. Quella era la sua unica e prima speranza, non l'avrebbe lasciata scappare, no, non l'avrebbe fatto.



Gerard era seduto su una grossa poltrona verde dinanzi ad una finestra, e guardava, guardava, guardava. La barba gli pizzicava il mento, la stoffa della poltrona aderiva sino ai glutei e la luce della luna che c'era in quella stanza lontana dal chiasso del bordello, sembrava quasi baciargli la pelle. Completamente nudo e privo di sentimenti alcuni guardava, guardava, guardava. Gerard era un ragazzo di diciannove anni, di bello aspetto e con un animo congetturato sin da quando aveva compiuto dieci anni. Due rughette gli rubavano una sana espressione sulla fronte e le piccole borse sotto gli occhi lasciavano intravedere quanto quella notte l'avesse sfinito, del tutto. Aveva fatto sesso con una donna grassottella e sposata da anni innumerevole, aveva giaciuto con qualcuno di cui non provava nemmeno il più lontano degli interessi. E guardava, guardava, guardava. A lui, le donne, non piacevano.
Gerard era un perfetto stereotipo del mondo, lui era ciò che la società ottocentesca rappresentava, tutto ciò di cui bisognava sapere di quegli anni era racchiuso nei suoi addominali, nel petto, nel cuore, nel suo sesso, nella sua mente, nelle sue labbra screpolate, nella sua vita che, dopotutto, odiava. La porta scricchiolò e i passi di Charlotte riecheggiarono nell'abitacolo.
―Vestiti.― Gli ordinò mentre un accappatoio ricamato ricadeva sul suo corpo. Gerard non si girò a guardarla, sorrise appena e disse: ―Per l'amor del cielo, mi sto preparando psicologicamente. Lasciatemi alla mia agonia.―
―Figliolo...―
―Tacete, mamà―. Non aveva intenzione di sentirla, e il bicchiere di vetro non più ricolmo di champagne faceva capire tante cose. La donna gli si avvicinò e toccandogli una spalla si lasciò andare ad un abbraccio, ―Le carrozze sono pronte, non possiamo rimandare piccolo mio.― Gerard sospirò e si staccò dalla donna che sempre aveva avuto la premura di accudirlo. Indossò l'accappatoio ed ancora una volta non gli rivolse nessuno sguardo mentre usciva dalla camera per andarsi a vestire. Quando raggiunse la sua stanza notò i “carri” infestati di prostitute e di strascichi colorati, notò anche dei cavalli che trainavano delle vere e proprio casse ricolme. Stavano per partire. Stavano per volar lontano. Lui avrebbe rubato la virtù di ragazze indifese, e le sue compagne avrebbero fatto del loro meglio per rendere il famoso Ballo Nevoso più divertente, spassoso, bello. Si passò una mano tra i capelli sospirando, gli faceva male in petto e qualcosa gli diceva che non sarebbe ritornato come Gerard. Quel dolore lì era una visione lontana, di corpo, una scelta che solo lui poteva fare.
Gerard Collins salì a fianco di Charlotte, un gigolò con dei pantaloni in velluto e una testa fattasi pesante per via della notte insonne. Un gigolò da troppo tempo. Un gigolò che non aveva mai provato amore, un gigolò che era stato considerato tale fin da quando quella parola non aveva ancora nessun significato per lui.



Daniel era accostato al grande finestrone del salone, gli uomini erano rinchiusi da almeno due ore nella sala da biliardo e le donne, sedute amorevolmente in un angolo, spettegolavano e ridevano su situazioni altrui, anche brutte ma che alimentavano la loro invidia e le soddisfacevano in un modo che il poeta non giustificava. Quella mattina di capodanno, mentre si faceva la barba davanti ad uno specchio un po' sporco, si era tagliato sulla guancia destra ed ora il piccolo cerotto bianco, segno che Sheila avesse fatto il suo lavoro doverosamente, gli donava quasi un'espressione di innocenza. Lui, quelle due settimane, le aveva passate in giardino, nella sua camera, tra pennellate colorate e fogli scarabocchiati ma tutto il lavoro che aveva fatto non lo trovava gradevole. La sua musa era ferma su un piedistallo e lui voleva che scendesse e che si muovesse insieme al suo corpo, voleva la passione del corpo e dello spirito oltre alla bellezza mentale. Sospirò. Ma cosa gli passava per la testa? Lui era un uomo finito e quasi morto. A chi voleva darla a bere? Sospirò ancora. E una mano sicura si poggiò sulla sua spalla, girandosi vide Henry, il suo presunto protettore.
―Pensieroso?― il giovane sorrise e Daniel ricambiò posando sul davanzale il bicchiere di champagne che aveva tra le mani.
―No. Stavo solo osservando fuori di qui... la luna... il buio...― Il poeta guardò l'angolo appartato delle donne e i suoi occhi si soffermarono sulla figura snella e rigorosa di Wendy. Digrignò tra i denti ed il compagno se ne accorse.
―Capisco. Ma non credo che tu sia interessato solo alla “luna... il buio...”― disse, Daniel guardò il suo interlocutore senza capire ed Henry rise di gusto, talmente forte che alcune nobildonne gli lanciarono occhiate perplesse.
―Oh, Dan, tutto mi sarei aspettato da te ma non...! Un animo come il tuo... la tua smania per l'avventura e costretto a nasconderti qui per...―
―Henry! Non urlare, potrebbero sentirti.― Lo rimbeccò Daniel spalancando gli occhi e sperando con tutto se stesso in una ripresa del compagno.
―Perché lei?― sussurrò il giovane avvicinandosi. Il poeta strinse le labbra ancora più impotente, e scosse la testa.
―Si può sapere cosa stai dicendo?― era irritato. Henry prese il calice dello champagne e lo impose nuovamente a Daniel che non ebbe altra scelta se non stringerlo tra le dita.
―Brindiamo, fratello. Avrei preferito Katherine, ma se Wendy è la tua scelta, cerca di essere carezzevole e meritevole di lei―. Il poeta boccheggiò aria e chiuse per pochi attimi gli occhi, sentendo lo sguardo di qualcuno osservarli. Henry, spesse volte, diceva cose senza senso, spesse volte era ubriaco, come quella sera ,e il giorno dopo non avrebbe ricordato più nulla, nemmeno l'occhiata che aveva rivolto a sua sorella e il fuoco che serbava nel suo animo si sarebbe affievolito fino a diventare un ricordo nelle sue ceneri.
―Ma se non riesco nemmeno a toccarla...― ridacchiò bevendo lo spumante, Henry non rispose, era già occupato in altre cose, in altri pensieri, in un altro mondo.
E allora Daniel rivolse un nuovo sguardo alla rossa e notò che anche lei lo stava osservando, ma il suo era un'occhiata curiosa, non c'era fuoco nei suoi occhi verdi, e il poeta alzò il calice d'argento accennando un piccolo sorriso prima di ritornare a guardare fuori dalla finestra, con un groppo in gola.



George era annoiato, da tutto e da tutti. Sua sorella sedeva di fronte a lui e la sua compagnia non poteva definirsi una delle migliori. Parlava, incespicava, balbettava, urlava, rideva, peggio di un infante. Accese la sua pipa mentre la carrozza sballottava i loro corpi da una parte all'altra dell'abitacolo. Quel giorno, il conte indossava un gessato nero, perfettamente in armonia nei suoi panni, nel suo gilet, con l'orologio da taschino che ticchettava nella tasca, con i capelli diligentemente laccati e senza barba sul viso. I suoi occhi apparentemente stanchi nascondevano una miriade di sfumature luminose, di segreti, di importanti congetture che avrebbe serbato e portato con sé fin nella tomba.
―Perché poi la notte di capodanno? Io non capisco! Sei così silenzioso, non mi spieghi niente e...― George scosse la mano e la zittì velocemente.
―Per l'amor del cielo, Elizabeth, sta' zitta! E riposati prima che il viaggio si concluda. Non vorrai presentarti nuovamente alla famiglia Jenkins spossata dal sonno e dall'attesa―.
La sorella scrollò le spalle e corrugò i lineamenti del volto, facendo irritare ancor di più George.
―Tu non riposi, fratellino? Vuoi forse accogliere Wendy tra le tue braccia senza un minimo di forza? Che tipo di prestazione le daresti?―
A quel punto il conte non ci vide più, e strattonò il braccio della ragazza, guardandola con quell'aria truce e vendicativa che poche volte le aveva riservato. Come poteva mettere in dubbio la virtù della sua quasi promessa sposa? Rise. Ma a chi voleva prendere in giro? Eppure quelle messe in scene gli rendevano la giornata più divertente.
―Non provare, mai e dico mai più, a dire una cosa del genere, Elizabeth.―
E la ragazza parve particolarmente dispiaciuta, abbassò il capo e sospirò: ―Perdonami, perdonami davvero. Lo sai... sono... sono euforica! Non posso crederci... io che partecipo al Ballo Nevoso! Non mi ci hai mai portato, e nemmeno papà. Sarà un debutto, sarà qualcosa di magnifico, più di quanto io stessa immagini.― E sarà l'evento giusto con Henry, la ragazza era convinta che lui l'avesse aspettata senza indugi, era totalmente e sconsideratamente elettrica.
George si irrigidì di nuovo sul suo posto e lasciò che lo sguardo cadesse su quelle eterne pianure verdeggianti ed avvolte da un freddo cospiratorio.
―Sì, sarà qualcosa di magnifico.―
Una magnificenza che nessuno mai avrebbe colto nelle sfumature dei suoi occhi e nei suoi pensieri malsani.


Spazio scrittrice:
Siamo agli sgoccioli!
Questo capitolo era pronto da ormai quasi dieci giorni e non mi decidevo a pubblicarlo uWu.
Perché? Perché ora arriva il bello e dovevo mettere in chiaro le idee! Questo capitolo è davvero di passaggio perché appena subentreremo nel Ballo Nevoso, miei cari, lì arriverà davvero di tutto!
Di solito per convincere i lettori a continuare la lettura è consono spoilerare l'abbondante presenza di sesso, ebbene... ci sarà.
E no! Non è il fulcro del Ballo, perché... perché ragazzi non immaginate neppure cosa succederà a Viktor °w°, a Gerard, a... a... alla nostra gentaglia!
ç_ç Sono sovreccitata, mi dileguo e spero di aggiornare il più presto possibile °w°.



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