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Autore: HarryJo    18/04/2014    1 recensioni
Le ragazze non possono fare a meno di pensare a quanto sarebbe bello dimagrire un po’. Anche chi è in forma, ha un fisico perfetto e non dovrebbe godere di certi problemi, si ritrova a dire spesso: “Devo mettermi a dieta, maledizione!”, ignorando quale sia, la vera maledizione.
Perché avere qualche chilo in più può sembrare una disgrazia, qualche volta. È una tortura mangiare quel poco che serve e vedersi ingrassare sempre di più.
Ma nessuno pensa che può esserci un altro male, molto ben più grave.

Ci sono poche cose di cui Arianna è realmente fiera nella sua vita; una di queste è l'avere un fisico perfetto nonostante si abbuffi a tutte le ore.
È motivo di vanto fino a quando un giorno, con orrore, verrà a sapere che, anche se mangiasse senza sosta, continuerà a dimagrire.
Fino a sparire, inesorabilmente.
Che ne dite di ritornare sul vostro mondo? Qualche chilo in più non sembra così male ora, non è vero?
Oppure continuate a leggere. Perché questa è la storia di una diagnosi riservata. Il verme solitario ha paura di questo romanzo, e ne avrà anche la vostra bilancia.
Siete ancora in tempo per tornarvene nel vostro mondo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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∞ Capitolo quinto ∞

I CAN’T WRITE A LOVE SONG
THE WAY I FEEL TODAY.
“My guitar lies bleeding in my arms”, Bon Jovi, These days, 1995.




 
M
entre tornavo a casa, quel giorno, avevo osservato le persone che mi erano accanto, quelle conosciute e quelle sconosciute. Quali segreti celavano dietro di loro? Cosa aveva sconvolto la loro vita esattamente come aveva stravolto la mia un numero sulla bilancia? Sembrava che fosse tutto surreale, incredibile. Parevano tutti normali, tutti felici, con le loro vite perfette e senza problemi.
È questa l’apparenza della normalità: ti fa sentire come se fossi l’unica persona ad avere delle ustioni all’anima, in mezzo a serenità e fuochi fatui.
Mi resi conto di quanto tutto quel ragionamento fosse sciocco: era risaputo che tutti avessero i propri problemi. Se non li scorgevo a vista d’occhio, non significava che non fossero presenti. La più grande abilità dell’uomo è quella di nascondersi dietro alle più felici maschere. Eppure in quell’istante era come sentirsi macchiata di un morbo che nessun altro avrebbe mai potuto comprendere. I giorni passati ad amarmi erano svaniti e io ancora non lo sapevo: una bilancia aveva disintegrato completamente il rispetto che avevo sempre avuto per me stessa. Sarebbe iniziata una salita, da allora, ma io ancora non lo sapevo; forse lo sentivo – probabilmente era quella sensazione che mi rendeva così difficile camminare tra la gente in quel momento.
Quando mi sedetti sull’autobus, vidi qualche sguardo su di me e cominciai a chiedermi cosa pensasse la gente del corpo che vedeva, del corpo che portavo. Ero sempre stata assolutamente certa di essere bella, magra, addirittura invidiata, e che quegli sguardi di sbieco fossero semplicemente reazioni di gelosia per chi non poteva permettersi un fisico slanciato come quello che possedevo io. Ma se non fosse stato così? Se quegli occhi avessero voluto invece biasimare la mia magrezza e quasi compatirmi?
Smisi di pensare, smisi di crogiolarmi su riflessioni che non avevano né capo né coda. Non ero troppo magra, ero perfetta, me l’avevano sempre detto. E nessun chilo era sparito improvvisamente dal mio corpo in maniera tale da rendermi orribile agli occhi della gente. Ero sempre io. Bella. Slanciata.
Io.
Due auricolari nelle orecchie e il mondo svanì davanti ai miei occhi.

“Che fai, Mat?” Quando tornai a casa lo trovai sul tavolo, intento a scrivere qualcosa mentre aspettava il mio arrivo. Non si alzava mai da tavola prima che arrivassi io nonostante avesse finito già da un bel po’ di pranzare.
“Cerco di fare qualche disegno per la nostra storia.”
“Quella del pira-poeta?” Mi sedetti accanto a lui, dove un piatto di ravioli mi attendeva, fumante. Mi sentivo molto più allegra di quanto lo fossi stata durante tutta la giornata.
“Esatto. Abbiamo scritto la storia completamente,” mi indicò i fogli sparsi sul tavolo, metà scritti e metà bianchi, “lasciando lo spazio per i disegni. La maestra ha detto che sono facoltativi ma io vorrei che li facessimo perché renderebbe tutto molto più bello, visto che dobbiamo poi farne dei librettini.”
Annuii, piano. Se c’era una cosa che sapevo nella mia vita era quanto mio fratello fosse affezionato alla scrittura e al renderla più artistica possibile. “Quindi come stanno venendo?” chiesi, notando che stava nascondendo il foglio dove prima stava disegnando.
“Non molto bene,” ammise. “Non sono poi così bravo a disegnare.”
Ricordai i disegni di improbabili navi e case che faceva solitamente e che avevano generato non poche ilarità in famiglia e intuii che quel “non molto bene” stesse a significare un completo disastro. “Ale non sa disegnare?”
Scosse la testa. “Ale disegna solo macchine, nient’altro, forse qualche supereroe. Poi se fosse per lui non dovremmo nemmeno fare i disegni, dice che basta così. Per quello ci stavo provando io.”
“E Agnese?”
Mattia mi guardò. “Non lo so.”
“Perché non glielo chiedi?” lo spronai.
“Perché è Agnese,” rispose, calcando particolarmente il nome. “Quella matta. Non credo di poter affidare il pira-poeta nelle sue mani.”
Soffocai una risata. Era proprio mio fratello, non c’era alcun dubbio. “Magari a disegnare invece è brava, potrebbe darti una mano. Poi se non è brava ci riprovi tu.”
Fece una smorfia. “Non potresti aiutarmi tu?” Sembrava che nel suo tono di voce ci fosse l’ultima sospirata implorazione: era evidentemente disposto a tutto purché non si trovasse costretto a chiedere una mano alla sua compagna di classe.
“Mi piacerebbe, ma non sono molto brava, Mat. Inoltre ho moltissimi compiti da fare in questi giorni, non ti dedicherei il tempo che vorresti.” Gemette. “Dai, Mat. Ti prometto che se nemmeno Agnese è capace di fare alcunché ti do una mano, ma prima provate a farlo tra di voi, il lavoro è vostro.”
Non mi rispose nemmeno, sembrava combattere con se stesso. Forse era un bambino un po’ troppo orgoglioso, ma io vedevo solo una certa tenerezza in quel modo di comportarsi, cercando di non chiedere aiuto a nessuno, di dimostrare di essere capace di fare qualunque cosa. Con la sua determinazione, ne ero certa, sarebbe arrivato molto in alto.
“Va bene, Ari. Com’è andata oggi dal medico?” Evitava il mio sguardo, come se sembrasse preoccupato. Capii in quel momento che avrebbe voluto chiedermelo nello stesso momento in cui avevo messo piede a casa, ma si era trattenuto solo per non sembrare ansioso. Mi si strinse un nodo allo stomaco.
“Niente, mi ha fatto gli esami. Un’infermiera mi ha stretto un tubicino lungo il braccio e tolto sangue, mentre continuava a chiedermi perché una bella ragazza come me non avesse un fidanzato.”
“Le hai risposto che è perché sei scema?” domandò, sembrando un po’ più sollevato.
“Ehi, ma come ti permetti!” Gli arruffai tutti i capelli. Sapevo benissimo cosa intendesse dire: se non mi fossi fossilizzata su Francesco, probabilmente la mia vita sentimentale avrebbe avuto qualche risvolto negli ultimi anni, invece era rimasta più piatta di un elettrocardiogramma effettuato su una persona morta.
Lo guardai, ancora una volta. I suoi occhi, il suo viso dolce e ingenuo, la sua purezza. Pensai distrattamente a come sarebbe stata la mia vita senza di lui e la immaginai vuota, insignificante. Istintivamente lo afferrai e lo strinsi più forte possibile a me.
“Ehi!” mugugnò, soffocando tra le mie braccia. Ma dopo poco più di due secondi ricambiò l’abbraccio con tutta la sua forza.
“Quando saprai i risultati?” La sua voce era debole, come se non avesse voluto davvero domandarlo.
“Due giorni.” Mi chiesi quando fosse diventato così fragile, quando fossi diventata io così importante nella sua vita, al punto di stare così in ansia per uno stupido esame. Un macigno affondò nel mio stomaco e venni pervasa da alcuni sensi di colpa inspiegabili e dalla rabbia per mio padre, che aveva dato il via a tutto questo, a questa inutile inquietudine che aveva coinvolto un innocente bambino di dieci anni. “Non ti devi preoccupare per me,” sussurrai.
Non sono sicura che mi avesse sentito, non disse nulla. Cercò solo di tenermi più stretta ancora, come se avesse paura che sarei scivolata via da un momento all’altro.
Era come se se lo sentisse. Era come se lui avesse capito ciò che ancora era oscuro a tutti noi. Questo rende speciale Mattia: il suo animo, da sognatore, che gli permette di cogliere l’importanza di ogni attimo molto più delle altre persone. E se avessi saputo come sarebbe andata a finire, avrei fatto in modo che quell’istante stretta a lui non finisse mai.

Una mezz’ora più tardi ero in camera – cuffie alle orecchie, libro di filosofia inutilmente aperto sopra alla scrivania e pensieri tutti rivolti ai Pentimento, un gruppo sconosciuto che avevo appena incontrato nella mia strada musicale – quando squillò il telefono.
Sullo schermo lampeggiava un nome: Francesco.
Non riuscii a trattenere un sorriso, prima di schiacciare il pulsante per rispondere.
“Buongiorno!” esclamai.
“Ohilà, Ari. Disturbo?” La sua voce mi giunse alle orecchie e mi fece sorridere ancora di più. Ero un caso irrecuperabile.
“Sai che non disturbi mai.” Come poteva dopotutto disturbarmi la presenza di un tale angelo? Avrei voluto, piuttosto, che disturbasse più spesso di quanto faceva.
“Magari stavi studiando.”
Guardai il libro aperto distrattamente sopra al tavolo, pieno di parole che ancora non avevo azzardato nemmeno a leggere. E il giorno dopo c’era una bella verifica che mi aspettava. “Nah, non ti preoccupare.”
“Senti, volevo dirti che sabato non riesco a venire a vedere la cover band dei Queen.”
“Cosa? Me l’avevi promesso!” Aspettavamo una data dei Toys da mesi, ormai, e quando avevamo scoperto che avrebbero suonato al nostro pub preferito avevamo deciso che ci saremmo andati insieme, cascasse il mondo. Quindi, come minimo, doveva essere caduto un meteorite che aveva abbattuto la sua casa, tutta la sua famiglia e il suo cane. “Perché?”
“Esco con Ilaria.”
Ecco. Il meteorite aveva colpito me. “Ah… le hai chiesto di uscire quindi?”
“Sì, oggi dopo scuola.”
“E ha accettato.”
“Sì. Le ho chiesto se potevamo uscire domenica pomeriggio ma lei era impegnata.”
Cercai di mantenere un tono di voce che non lasciasse trasparire nessun buco che si era appena formato dentro di me. “Ma aspettavamo questa data da mesi, Fra’. Non potreste uscire la prossima settimana?”
“Aspetto anche da mesi di uscire con lei, Ari, lo sai.”
Deglutii sonoramente. Mesi. Avrei voluto che sapesse da quanti anni io aspettavo di uscire con lui, qualche mese non era niente a confronto. “Va beh.”
“Mi dispiace, Ari, ci andremo la prossima volta.”
“Sì.” Guardai di fronte a me, ma vidi solo una parte della mia camera appannata, come se fosse ricoperta di un velo invisibile. “Ora devo studiare.”
“Ok, ciao, Ari.”
Non risposi nemmeno, chiusi la chiamata e appoggiai lentamente il telefono sulla scrivania. Continuavo a ripetermi che sarei stata forte anche questa volta, che c’ero già passata spesso, che non mi importava, che c’ero abituata. Rimisi le auricolari alle orecchie, ascoltando distrattamente la canzone che era appena iniziata.
We're just friends 'cause that seems to be what makes sense, too bad it's all we'll ever have…
Non mi trattenni più. Non riuscivo a credere di essere di nuovo caduta in quell’incubo, avevo sperato di evitarlo per un tempo molto più lungo. Erano passati solo pochi mesi dall’ultima ragazza. Erano passati solo pochi mesi dall’ultima volta in cui il mio cuore si era spezzato e avevo fatto tanta fatica per provare a ricucirlo nel miglior modo possibile.
E ora si ricominciava da capo.
Espirai piano, cercando di non fare scendere alcuna lacrima. Mi alzai dalla scrivania e andai in bagno, senza reale motivo. Mi guardai allo specchio.
Ripensai a quello che mi avevano detto tutti i giorni da quando avevo memoria ogni persona che mi aveva conosciuto. Quanto sei bella! Che bel fisico, i maschi ti guarderanno tutti! Ma che senso aveva avere quella magrezza, quel corpo perfetto, se l’amore non ti degnava di uno sguardo? E se nemmeno i tuoi genitori ne andavano fieri, ma, anzi, ne facevano motivo di preoccupazione?
Non mi trattenni più e piansi tutte le lacrime che avevo in corpo.






{ Spazio HarryJo.
Ciao a tutti. Vi ricordate di me? Lo so, okay, merito la fucilazione. Siamo tutti d'accordo su questo, credo che nessuno abbia alcun dubbio e non so come farmi perdonare - se sono perdonabile.
Sono passati troppi mesi, più di un anno, dall'ultima volta in cui ho aggiornato questa storia e mi dispiace perché so che molti di voi l'avevano molto apprezzata e aspettavano con impazienza mie notizie. Immagino che potrei trovarvi con i forconi sotto casa, sigh.
Comunque alla fine ho deciso che volevo provare a ritornare qui su EFP poiché mi mancava l'ambiente, le persone che avevo conosciuto e proprio anche il mio account. Così ho deciso che potevo fare di nuovo un tentativo, qui, con voi; spero che siate contenti della mia decisione e di non deludervi troppo - sempre se non volete che ritorni dove me ne stavo u.u
Questo è il nuovo capitolo di questa storia. Spero che vi sia piaciuto e che possa continuare a interessarvi, poiché rimane sempre una delle storie a cui io mi sento più legata in assoluto.
Fatemi sapere che ne pensate se siete ancora vivi e se non mi odiate troppo! Vi spedisco tanti cuoricini comunque. :*
Un bacio grande,

Erica.

P.S.: Se a qualcuno di voi può interessare, ho iniziato anche una long noir, Contaminati, a cui tengo davvero molto. Se vi va fateci un salto! :)
   
 
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