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Autore: Luxij_    18/04/2014    8 recensioni
TRATTO DALLA STORIA
-Fin da quando ero piccola ero costretta a subire abusi e violenze...-mi girai verso di lui: mi stava guardando. Aveva la mascella serrata e gli occhi lucidi... Mi maledii averglielo detto...
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Justin Bieber
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un rumore arrivò alle mie orecchie ma non ci feci molto caso, credevo smettesse ma non fu così. Io più pigro che mai, mi nascosi sotto le coperte per non sentirlo più e per farmi continuare il bel sogno che stavo facendo ma continuò imperterrito facendosi strada tra lo spesso strato di coperte, arrivando di nuovo alle mie orecchie e invadendole con quel suono continuo e irritante.
 
Con un occhio mezzo aperto e ancora offuscato dal sonno cacciai la testa fuori da quell’ammasso di coperte disperdendo anche un po’ di calore. Il mio telefono vibrava sul comodino, era la sveglia che mi ero messo ma che avevo dimenticato di togliere dato che l’impegno che avevo era stato annullato.
 
Mi maledii mentalmente mentre spegnevo quel fastidioso suono, stavo facendo un sogno bellissimo. Sorrisi come un ebete ricordando le scene che stavo sognando. Mi rimisi sotto le coperte cercando di riacchiappare invano il sonno.
 
Controvoglia mi tolsi da dosso le coperte e andai in bagno per sciacquarmi la faccia. Mi guardai allo specchio ancora assonnato e quindi mezzo stordito. Mentre mi bagnavo il viso ricordai ciò che voleva fare julie, allora mi diressi verso camera sua ma aprendo la porta  non la trovai.
 
Il letto era rifatto e la stanza in ordine, andai in cucina e per mia sfortuna trovai un biglietto sopra un piatto con della carta stagnola sopra.
 
Ti ho preparato la colazione,
io me ne sono andata e non tornerò prima di pranzo.
Non aspettarmi!
Se è per qualcosa chiamami…
 
Sotto c’era il suo numero con scritto anche che non dovevo preoccuparmi e che dovevo stare tranquillo. Un groppo in gola prese a formarsi, chissà come sarebbe andata?
 
Chiusi gli occhi pensando ai dolci occhi di julie, quell’immagine mi fece sorridere ma subito dopo quell’immagine si sgretolò e un ombra nera la prendeva e la portava via.
 
Scossi la testa e riaprii gli occhi immediatamente, non volevo neanche pensarci, non volevo che succedesse…
 
Pov julie
Stavo camminando già da un po’, da casa di justin a casa mia non erano quattro passi anzi la strada era lunga e piena di ricordi.
 
Quella strada se potesse parlare, cosa direbbe? Quante volte sono andata a sfogarmi con lei? Quante volte ho pianto su quei marciapiedi? Quante volte mi è venuta voglia di seguirla, di vedere dove arrivasse, di scappare e correre su quell’asfalto grigio e duro..
 
Correre la mattina era per me uno sfogo, una parte della giornata in cui non pensavo ai problemi, ai pesi che avevo a dosso, alla vita che avevo. Pensavo solo a correre, niente preoccupazioni, niente mani sul mio corpo, niente di niente.
 
Libera, libera di vivere, libera di fare le proprie scelte, libera dalla cella in cui mi tenevano. Ora iniziavo a vivere e nessuno me lo avrebbe impedito. NESSUNO.
 
Il mio passo era aumentato, per me, camminare era una sciocchezza. In pochi sapevano tenere il mio passo, tutti gli altri li perdevo per la strada.
 
Guardandomi in torno incontrai sguardi conosciuti. Tutti mi rivolsero un sorriso, sapevano già cosa volevo fare, anche perché mia sorella non stava zitta.
 
Quelle case intorno a me, tutti sapevano tutto in quel quartiere. Nessuno si faceva i cazzi propri, tutti parlavano e come argomento preferito avevano me. Si proprio me, perché? Lo volevo sapere anche io.
 
Gente che si salutava, bambini che si rincorrevano, coppie che si tenevano per mano. Tutti felici, tutti spensierati tranne casa mia.
 
La vidi e un grosso macigno mi crollò sulle spalle. Ricordi che si ammassavano, uno sopra l’altro, tutti poco felici.
 
Casa mia si distingueva, no perché era di un colore diverso o di una forma strana ma perché attorno a casa mia c’era un aura di terrore. Una specie di nuvola di Fantozzi, solo su casa mia.
Era come se quella casa conoscesse solo la tristezza, la solitudine. Quelle  mura di un intonaco bianco che stava cadendo a pezzi. Quegl’angoli in cui mi ci sono rifugiata più volte nell’arco della giornata. Le cose che sono successe tra quelle mura, il terrore in quella casa, la paura di non vedere mai una svolta della propria vita.
 
Ma ora bisognava andare avanti, via i brutti ricordi, via le mani dal mio corpo, via tutto e tutti. Si ricominciava.
 
Seguii il piano che avevo deciso con mia sorella. Dietro casa mia c’era un giardinetto, non grandissimo. Là  c’era la mia altalena, la vidi e mi vennero i brividi, la pelle d’oca.
 
Quell’altalena mi aveva cullato parecchie volte, quelle sbarre di ferro mezze arrugginite impiantate nel terreno, di un colore spento. Che tristezza…
 
Svolsi il piano e ogni tanto la riguardavo. Quando venne mia sorella ad aprirmi ritornai me stessa. Entrai e mia sorella mi si butto letteralmente a dosso.
-Ciao, come stai? Tutto a posto? Cosa hai fatto alla mano? Perché sembri triste? Dai, rispondi, dimmi, dimmi, dimmi-parlava così velocemente che l’anno luce gli faceva un baffo.
-Calmati, prendi fiato e stammi a sentire- annuì leggermente-Voglio andarmene il più presto possibile da qui quindi se mi faresti la cortesia di spostarti e di farmi fare ciò che devo fare. Te ne sarei terribilmente grata- si spostò e tempo che feci due passi che ricominciò a parlare.
-Hai detto che ora stai da sto ragazzo?- almeno era più calma.
-Per poco, cercherò subito un appartamento. Non devo dargli troppo disturbo- dissi con calma e con serietà mentre mi incamminavo verso camera mia al piano superiore.
-Si va bene ma…è carino?- chiese
-Non ti impicciare di fatti che non ti riguardano- prendendo una borsa e iniziando a mettere  la mia roba dentro essa.
-Allora è carino, bene, mi piace- sedendosi sul letto.
-Nessuno ha detto che è carino- era sempre la solita. Si impicciava e la cosa mi dava fastidio.
-Nessuno lo ha detto ma le tue guance lo confermano, sei diventata rossa- ridendo. Ero diventata rossa? Mi giustificai con me stessa che chiunque avrebbe trovato carino justin e anche più.
-Senti fai poco la sapientona, tu non lo hai visto. Potrebbe essere anche un cesso che cammina- ma non lo era.
-Non l’avrò visto ma conosco i miei polli ovvero te. Capisco subito quindi non mentirmi- odiavo quando aveva ragione, mi dava sui nervi.
 
Da me non ebbe risposta perché in fondo aveva ragione.
-Dai ammettilo, è carino- dovevo ammetterlo
-Ok è carino- dissi con una voce molto bassa.
-Tanto ti ho sentito- con aria soddisfatta per avermelo fatto dire.
-E che dici ci posso provare se mai me lo farai conoscere?- continuò
-Giulia!- lanciandolo un cuscino in piena faccia.
-Che c’è ho solo chiesto- con aria innocente
-È molto più piccolo di te-
-Ok come vuoi, te lo lascio, contenta?- quanto odiavo quando faceva così, era davvero irritante.
-Ma che mi lasci e mi lasci, lui ha buoni gusti. Di certo non sceglie te- spiazzando mia sorella con questa risposta.
 
Mentre mettevo la mia roba nella grande borsa che avevo scelto e continuavo ad essere torturata da mia sorella su justin sentii un rumore proveniente dal piano di sotto. Lo riconobbi subito. Il suo passo. Chiusi tutto di fretta e furia, mia sorella continuava a parlare e non se ne era accorta del mio improvviso cambio di velocità.
 
Misi la borsa sotto il letto, ben nascosta, sperando che se avesse cercato non l’avrebbe trovata. Aprii le ante dell’armadio, spostai i vestiti e mi ci misi coprendomi con essi.
 
Con l’aiuto di mia sorella, che se ne era accorta, mise i vestiti a posto aiutandomi a coprirmi  e a non farmi scoprire poi  chiuse le ante dell’armadio giusto in tempo.
 
La porta si aprì e quell’uomo che tanto detestavo, parlò. Quella voce rimbombò sulle pareti della stanza arrivando purtroppo alle mie orecchie, per quanto io cercassi di nascondermi da quella voce, per quanto io premessi sulle orecchie per non farla arrivare, era tutto inutile. Era come se fosse registrata nella mia mente, la sentivo ovunque e sapevo che me la sarei portata dietro per ancora parecchio tempo.
 
Risentire quella voce, quella che mi aveva perseguitato per anni era un incubo.  Quella voce che risuonò alle mie orecchie come lo schiocco della frusta risuona nella mente dello schiavo. Il mio respiro era accelerato sentendo il suo passo duro e pesante sopra le assi di legno scricchiolanti.
 
Cercando di non farmi vedere, guardai per l’ultima volta quell’uomo che per l’anagrafe era mio padre. Che vergogna, che disprezzo provavo per quell’essere…
 
Lo scrutai attentamente con gli occhi che solo un assassino può avere, non nascondo che proverei piacere a vederlo soffrire, vedere quegl’occhi spegnersi lentamente, vederlo chiedere aiuto ma senza ricevere alcuna risposta,vederlo impaurito con la speranza che gli muore dentro. Mi basterebbe solo una volta per fargli capire cosa io abbia passato in 18anni con lui…
 
Vestito dalla solita maglia blu a righe sottili orizzontali di diverso colore, jeans scuro tra il blu notte e il nero, scarpe da ginnastica grigie scuro con punta e tacco più chiara e la base di un bianco ingrigito, entrambe consumate dal tempo.
 
Aveva una macelleria a qualche chilometro da casa e dentro essa aveva due celle frigorifero di all’incirca tre metri di profondità. Se anche quelle celle frigorifero potessero parlare, direbbero così tante cose brutte su quella persona che neanche potete immaginare.
 
Quando eravamo piccole ci portava nella macelleria e ci sfruttava facendoci fare le pulizie, facevamo i turni io e Giulia chi spazzava a terra, chi lavava, chi puliva i vetri e così via dicendo. Aveva pure coiti con ragazze di facili costumi nel retro bottega e a quel punto noi dovevamo stare di guardia all’ingresso dicendo a chi veniva che al momento lui non c’era e che se per cortesia potevano tornare più tardi.
 
Voi vi starete chiedendo, e le celle frigorifero che c’entrano? Adesso ci arrivo. Quando non c’era da fare niente o ‘mio padre’ parlava con una delle sue amichette io e mia sorella stavamo nel retro bottega a sperare che quella giornata finisse in fretta.
 
Ogni tanto, per non dire spesso, alla macelleria non arrivava nessuno e l’essere che disprezzavo tanto veniva dietro e una di noi, scelta a caso, doveva fargli un ‘servizio’ non so se mi spiego…
 
Costui alla fine decideva se l’avevamo fatto bene o no. Chissà perché non lo facevamo mai bene e ci rinchiudeva nelle celle frigorifero. Capitava anche che lui dovesse sfasciare un animale di grossa taglia e non poteva farlo fuori, allora lo faceva in cella e lo sfasciava davanti a noi minacciandoci che l’avrebbe fatto a noi se avessimo detto qualcosa di ciò che ci succedeva a qualcuno.
 
Quell’uomo era un mostro, una persona che non potevi contestare, una persona falsa, meschina, disonesta. Quella persona voleva credersi ciò che non era, cambiava a seconda dell’essere che si trovava davanti, voleva fare l’uomo acculturato quando invece era solo un povero deficiente. Che pena mi faceva, vederlo affogare nella sua stessa ignoranza.
 
Quell’uomo si mosse verso mia sorella con passo prepotente e con uno sguardo beffardo.
-Dato che quella troia di tua sorella se ne è andata dovrai tu soddisfarmi per entrambe- mettendogli le mani sui fianchi. La mia sorellina dovette soccombere a quel mostro avendo un coito con lui.
 
Chiudendo quel poco di anta che avevo aperto, sprofondai nella vergogna più assoluta, l’oscurità dell’armadio mi avvolgeva, quella strana sensazione di cadere e le lacrime che non mancavano mai all’appello. La parola piangere con me aveva perso di significato, chi piange di gioia, chi di dolore, chi per motivi futili, io piangevo e basta, il dolore non sapevo più cosa fosse, la gioia non si era mai fatta vedere e magari avessi dei motivi futili per piangere…
 
Volevo letteralmente sotterrarmi . Io che dicevo che volevo salvare mia sorella e poi non avevo il coraggio di uscire fuori da quell’armadio. Che razza di sorella ero?
 
Il rumore del letto che si muoveva, il respiro affannato di mio padre, il dolore che tratteneva mia sorella per non farmi sentire, l’arrivo all’apice di quell’essere e poi il silenzio. Sentivo anche da dentro all’armadio che aveva un sorrisetto beffardo sul volto, quel sorrisetto che avrei tanto voluto togliergli prima o poi. Il tintinnio della cintura e i suoi passi che si allontanavano.
 
Lo spiffero di luce che arrivò diritto sul mio volto mi fece intravedere il sorriso di mia sorella. Anche dopo quello che aveva subito continuava a sorridere e, per me, era un mito solo per questo.
 
Quando aprì l’anta totalmente mi buttai tra le sue braccia piangendo e chiedendogli scusa per non essere intervenuta. Mi disse di fare silenzio perché c’era ancora mio padre dentro casa, ma mi strinse forte a sé dicendomi di non preoccuparmi e che era tutto finito.
 
Mi asciugò le lacrime, mi sorrise e mi riabbracciò. Non capivo come faceva ma sorrideva nonostante tutto, nonostante un uomo le mettesse le mani a dosso, nonostante dovesse faticare per quell’uomo, nonostante il mondo le crollava sulle spalle, lei aveva la forza di mantenerlo, sorridere e far sorridere gli altri…
 
Prima che arrivasse di nuovo il tizio che stava al piano di sotto, me ne dovetti andare nell’unico modo che mie era possibile, uscire dalla finestra. Salutai mia sorella con un bacio e un forte abbraccio e mi preparai mentalmente per il viaggio di ritorno.
 
Seduta sul bordo della finestra, scesi e camminai su quello che doveva essere il tetto del porticato. Poi saltai facendomi un male terribile alla caviglia, ma era non era niente di serio. Mi feci lanciare la borsa e me ne andai sperando che l’uomo che mi aveva,per mia sfortuna, generato non mi avesse visto.
 
                                                         *      *      *      *      *
Pov justin
Si stava facendo tardi e non era ancora tornata, mi stavo preoccupando. Leggevo e rileggevo il bigliettino indeciso se chiamare o no Julie. Mi rigiravo il telefono in mano e continuavo a leggere il suo numero. Oramai lo avevo imparato a memoria…365…e poi?...ecco, figura di merda…
 
Va bene, la chiamo. E se disturbo? Se le do fastidio? O se sta ancora a casa sua? Se è stata scoperta dal padre? E se la chiamo e passo per quello ansioso? O per un maniaco che vuole sapere dove sta, con chi sta, se viene di nuovo qua? E se non torna più qua? Perché? Le ho fatto qualcosa di male? Forse è stato per il bacio? Bacio così male? Forse l’alito? Oddio, ho un alito così cattivo?
 
Il suono del campanello mi fece distogliere da pensieri stupidi che stavo avendo e speranzoso camminai verso la porta. Quando aprii non ebbi la visione che mi ero preparato pochi istanti prima. I suoi occhi, il suo sorriso, le sue labbra. Niente di tutto questo, erano solo due ragazzi che conoscevo di cui non avevo la più pallida idea di perché fossero qui.
 
 Neanche il tempo di chiedere il perché che parlò.
-TI dico la serata. Noi tre con tante donne stupende e tanti litri di alcool. Non è fantastico?- concluse di dire eccitato all’idea di una mia conferma.
-No- risposi freddo chiudendogli la porta in faccia.
-Perché?- fermando la porta con una mano e spalancandola un attimo dopo.
-Non voglio passare una serata a bere. Non voglio passare una serata con voi due, due bambini che non sanno cosa fare della loro vita, ancora attaccati alle gonne delle vostre madri- c’ero andato pesante ma per togliermeli davanti questo e altro.
-Almeno noi la madre l’abbiamo- disse a bassa voce e ridacchiando del sottoscritto.
 
La mia mente si offuscò, il mio sguardo fisso sul bersaglio, la rabbia che saliva e le mani che a stento riuscivo a controllare. Mi avvicinai a lui e lo presi per il colletto del giubbotto che indossava, lo costrinsi al muro e aumentai la presa.
-Prova a ripetere ciò che hai detto guardandomi in faccia- i miei occhi fissi nei suoi.
 
L’altro cercava di farmi mollare la presa ma lo spinsi facendolo sbattere al muro. Avevo attirato gli sguardi del vicinato ma non mi interessava, le madri che spingevano i bambini dentro casa e chi passava cercava di non guardare la scena.
-Ripetilo con le mie mani intorno al collo- la presa aumentava e mi sentivo sempre meglio. Mia madre non doveva essere toccata, proprio lei no…
 
-Justin…-
 
SPAZIO AUTRICE
Non ho giustificazioni per la mia assenza e mi dispiace. Mi sono impegnata a fare questo capitolo. Scusate per tutto. Davvero mi dispiace.
Grazie se recensite, grazie se state leggendo questa storia, grazie che perdete tempo con me. Spero vi sia piaciuto e alla prossima.
Un bacio,
Luxij 
  
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