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Autore: pickingupwords    19/04/2014    3 recensioni
Lily Evans aveva sempre odiato James Potter.
Remus Lupin aveva sempre mentito.
Sirius Black si era promesso che non si sarebbe mai innamorato.
Mary MacDonald era sempre stata invisibile.
Amelia Williams si era sempre nascosta.
Nina Clarks non aveva mai avuto paura.
"Se fossimo soltanto io e te a cercare di trovare la luce?"
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Mary MacDonald, Nuovo personaggio | Coppie: James/Lily
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Remus.


And this is when the feeling sinks in,
E questo è quando i sentimenti ti penetrano dentro
I don't wanna miss you like this,
non voglio che mi manchi in questo modo
(…)
I don't wanna need you this way,

non voglio aver bisogno di te in questo modo
come back… be here.
torna indietro, sii qui.
 
 
Si passò una mano fra i capelli, prese un respiro profondo e portò la testa sott’acqua per non pensare: il silenzio lo assorbiva completamente. Tenne gli occhi chiusi e non pensò a nulla, stava così bene in quella bolla immaginaria che lo circondava, era completamente solo e si sentiva tremendamente bene, perché l’unica persona che avrebbe voluto avere al suo fianco non era con lui e il dolore lacerante per il quale si struggeva diventava ogni giorno più forte, esigeva di essere sentito. Mentre lui avrebbe solo desiderato scappare, anche se ormai aveva imparato che dai problemi non si poteva fuggire, ma dovevano essere affrontati, in qualunque modo, non importava come: se un dolore voleva ridurre l’anima in brandelli l’avrebbe fatto. Ed era così che si sentiva: a pezzi. Gliel’avevano detto così tante volte, i suoi amici, di dirle la verità, che ormai aveva perso il conto; ma quella paura tremenda di perderla s’impossessava di lui e non riusciva a pensare lucidamente, solo l’idea di non averla più nella sua vita lo faceva impazzire.
E ora che non l’aveva davvero più nella sua vita, stava lentamente cadendo sempre più a fondo in un pozzo senza fine.
E forse era esagerato.
E forse, invece, era davvero così.
Ma non avrebbe agito da egoista pensando solo alla sua felicità: era perfettamente consapevole che l’avrebbe rovinata se le avesse detto la verità e l’avrebbe rovinata se lei avesse accettato le sue condizioni, perché non lo meritava.
Qualcuno bussò bruscamente alla porta interrompendo la sua pace. “Lunastorta, voi starci tutto il giorno lì dentro?” protestò Sirius senza mezzi termini. “Esci, dannazione!”
Remus riemerse, boccheggiò qualche secondo. “Ho finito” rispose stancamente, uscendo e togliendo il tappo alla piccola vasca che avevano in bagno. Si asciugò velocemente e si mise i vestiti.
Il suo rapporto con Sirius era cambiato, da quando Mary gli aveva detto che lui ed Amelia uscivano insieme; era diventato più freddo, scontroso. Nonostante ciò, nessuno sembrava essersene accorto: voleva bene al suo amico, era come se fossero fratelli; ma vederlo con lei era una tortura e dirlo a uno dei due sarebbe stato anche peggio, perché avrebbe rovinato il rapporto che aveva con due delle persone a cui voleva più bene al mondo, anche se, ormai, quello con Amelia era definitivamente troncato: lui aveva preso le parti di Mary, non perché pensasse che avesse ragione –anzi-, semplicemente frequentare ancora Amelia dopo quello che aveva saputo sarebbe stato troppo doloroso, non sapeva se avrebbe resistito.
Così fingeva che tutto andasse bene come aveva sempre fatto nella sua vita; la paura di mostrare come si sentiva veramente era qualcosa che non riusciva ad affrontare. La maledizione che aveva subito da piccolo gli aveva insegnato che essere forti era l’unico modo per restare a galla, fortunatamente non era mai stato completamente solo: i Malandrini erano sempre stati al suo fianco, a sostenerlo, erano addirittura arrivati a diventare Animagus per fargli compagnia in quelle orribili notti e lui più andava avanti più pensava di non averli mai ringraziati abbastanza, il bene che voleva a quei ragazzi gli riempiva il cuore di calore, di amore. C’era Lily, che sapeva tutto e non aveva mai detto niente a nessuno: era la sua migliore amica, l’aveva sempre consolato nei suoi momenti di sconforto e non si era allontanata quando le aveva confidato il suo segreto, anzi, se possibile, si era avvicinata ancora di più a lui.
E poi aveva Amelia. Amelia Williams. Così cieco nei confronti dei sentimenti che aveva sempre provato per lei e ora che gli era tutto chiaro era troppo tardi.
Uscì dal bagno con i capelli ancora bagnati, James prese il suo posto velocemente e si chiuse la porta alle spalle seguito dagli insulti ben ricamati di Sirius.
“Ti odio, stupido cervo egoista! Toccava a me!” fu una delle tante proteste del ragazzo, che poi si abbandonò sul letto, sconsolato, con un tonfo ed un sospiro. Remus si sedette sul suo, i gomiti appoggiati sulle gambe e le mani intrecciate sotto il mento. “E che cazzo, Lupin, potevi fermarlo e far entrare me” brontolò.
L’altro ridacchiò. “Forte e agile come sei, Felpato, pensavo potessi cavartela da solo” ribatté sarcastico.
Sirius finse una risata. “Fai poco lo stronzo fighetto, Lunastorta”
Calò un silenzio pesante di qualche secondo che fu poi interrotto da Remus. “Peter e Frank?” chiese.
“Sono già scesi, sono più puntuali di te, mi mettono addosso un’ansia micidiale” rispose con una smorfia di disgusto e con un tono basso e roco della voce. Altro silenzio. “E Amelia?” fu Sirius a spezzarlo in quel momento.
Remus sobbalzò, colto di sorpresa. “Cosa, scusa?” cercò di sviare la domanda.
“Amelia” ripeté Sirius.
“Amelia…?” alzò un sopracciglio, fingendosi spaesato.
L’amico si sedette di scatto e puntò gli occhi in quelli di lui. “Amelia. Ti ricordi ancora chi è, Amelia, Remus? Amelia Williams. Si può sapere che cavolo stai combinando con lei?” fece scontroso.
“Sai, potrei farti la stessa domanda” scosse la testa l’altro.
A me?” domandò calcando il tono e inarcando le sopracciglia.
Remus stava per ribattere, ma si fermò, la bocca semi aperta: mascherò l’espressione con un sorriso sghembo, uno di quelli che, Sirius pensò, avrebbe fatto morire sul colpo il cuore della sua migliore amica. “Lascia stare” concluse alla fine lui. Non voleva costringerlo a parlare, sapeva che Sirius avrebbe detto la verità quando desiderava farlo; odiava costringere le persone a far qualcosa, sapeva come ci si sentiva ad essere in una situazione scomoda, quindi preferì lasciar perdere. Si alzò e prese la borsa, avviandosi alla porta.
“Cosa? No, non lascio stare” lo bloccò di colpo l’amico, alzandosi di botto.
Si divincolò dalla sua presa e senza dire nulla uscì, chiudendosi la porta alle spalle, evitando accuratamente lo sguardo di Sirius, che, Remus sentì chiaramente dire: “Ma qual è il tuo problema?”.
“Ne avessi solo uno…” rispose fra sé e sé, Remus a bassa voce, iniziando a scendere le scale del Dormitorio ed uscendo dalla Sala Comune.
Aveva preso l’abitudine di aspettare Mary prima di scendere a far colazione, ma non quella mattina: aver parlato di Amelia lo aveva destabilizzato al punto che preferì star da solo, sviare la Sala Grande e rifugiarsi sotto una vecchia quercia in giardino.
Chiuse gli occhi e respirò profondamente, cercando di non pensare a niente, facendosi trasportare dal rumore del vento tra le foglie; ma lei tornava sempre a galla nella sua mente, cercava di scacciarla, ma senza riuscirci.
Comunque era sempre meglio pensarla che averla vicina, rischiando di ferirla ad ogni mossa che compiva o rovinandola con il suo essere una persona anormale, con quella maledizione che lo perseguitava e che lo condannava ad essere quello che era: un mostro.
Amelia lo guardava da lontano, appoggiata ad una colonna del portico che dava sul giardino senza farsi notare; più lo osservava, più le sembrava che lui avesse il peso del mondo sulle spalle: quegli occhi stanchi e chiusi, il viso leggermente scavato e qualche cicatrice, il corpo fragile e magro, il sorriso tanto amato che non vedeva da un pezzo formarsi sulle sue labbra. Si era sempre chiesta se ne fosse innamorata. E ora che lo vedeva lontano da lei persistendo e resistendo alla sofferenza provocata da quella distanza, non smettendo nemmeno per un secondo -seppur lo desiderasse con tutta se stessa- di volergli quel bene che voleva solo a lui, che era fatto su misura per lui, che aveva la sua forma e sua somiglianza, che le faceva tremare le ginocchia, che le faceva volere solo ed unicamente lui si rispose di sì, ne era innamorata. Dopo più cinque anni vissuti ad aspettarlo seppur sapendo che non sarebbe arrivato, era ancora lì, ad attendere, nonostante tutto. Non avrebbe assolutamente mollato la presa o perso la speranza: Remus era tutto ciò che aveva sempre voluto, Remus era tutto il bello della vita, Remus era l’unico che riuscisse a far diventare le cose brutte in interessanti e piacevoli. E lei non avrebbe mai rinunciato a lui, nemmeno per tutto l’oro del mondo, nemmeno per l’amore dell’uomo perfetto. Perché Remus era perfetto per lei. Peccato che io non sia perfetta per lui; pensò.
Avrebbe voluto andargli incontro e chiedergli che stesse succedendo, se gli andava di parlare o solo di ricevere un abbraccio. Avrebbe voluto. L’avrebbe voluto così tanto che stava per avviarsi verso di lui, quando vide Mary raggiungerlo. Si bloccò a metà strada e si diede della stupida. Come aveva potuto pensare anche solo di avvicinarsi a lui, ora che c’era Mary? L’aveva completamente rimpiazzata. E aveva fatto bene. No, di più: era stata una mossa geniale, perché lei non era mai stata all’altezza dell’amica, né in bellezza, né in simpatia e nemmeno in bravura. Mary era sempre stata migliore di lei. E Remus meritava qualcuno di migliore. E quel qualcuno non era lei. Così si girò ed iniziò a camminare velocemente con un vuoto pesante nel petto, sperando di vedere i visi famigliari di Lily e Sirius il prima possibile, mentre Mary la guardava andar via e non diceva nulla a Remus, che si era messo a ripassare Trasfigurazione ed era troppo concentrato o, almeno, così appariva. Appena aveva notato che si stava avviando verso di lui, l’aveva preceduta: non voleva che tornasse a far parte della sua vita, non dopo tutti i sacrifici che aveva fatto per stare con lui.
 E Remus avrebbe voluto vedere Amelia, avrebbe preferito che si fosse seduta lei al suo fianco al posto di Mary, avrebbe voluto vedere il suo sorriso e stringerla in un abbraccio. E avrebbe voluto non essere così sbagliato, ma giusto per lei. Perché Amelia era perfetta per lui. Peccato che io non sia perfetto per lei; pensò.
Perché Sirius era sempre stato migliore di lui: con le ragazze, con i rapporti sociali, in amore, in simpatia, in bellezza, in bravura. E Amelia meritava qualcuno di migliore. E quel qualcuno non era lui. Così finse di essere colto da un’improvvisa voglia di studiare per evitare di parlare con Mary: le doveva molto, gli era stata vicino in un momento difficile, l’aveva aiutato e gli aveva dato consigli; ma non si sentiva in vena di parlare, quella mattina, preferiva stare in silenzio e da solo con i suoi pensieri, anche perché la conversazione di poco prima con l’amico l’aveva leggermente scosso. Non capiva perché ci impiegassero tanto a dirgli la verità, insomma, nessuno sapeva di quello che lui provava per Amelia, non l’aveva saputo nemmeno lui fino a qualche settimana prima, cosa ci fosse di così importante da tener segreto, proprio non riusciva a concepirlo. Tanto valeva uscire allo scoperto, cosa li sarebbe costato? Qualche augurio e congratulazione? Volevano davvero tenerlo nascosto? Ma perché? Cosa c’era di così inconfessabile? Avevano sempre avuto un buon rapporto, erano come fratello e sorella, nessuno si sarebbe scandalizzato se fossero diventati qualcosa di più, vista la loro particolare vicinanza. Sbuffò, beccandosi un’occhiata da Mary, la quale finalmente ruppe quel silenzio che era stato prolungato anche troppo.
“Che succede?” gli chiese, difatti, portandosi un ciuffo di capelli dietro un orecchio.
Succede che mi sento solo, Mary, accade che Amelia mi manca anche se non lo vorrei, succede tutto insieme e io non ci sto capendo niente; che succede, mi chiedi? Succede che da quando mi hai detto di Amelia e Sirius faccio fatica a guardare in faccia un ragazzo che considero un fratello, che sto evitando la ragazza per la quale mi sono accorto di provare qualcosa troppo tardi, succede che sono maledetto e che va tutto male e nemmeno tu lo sai, che nemmeno James con le sue battute riesce a tirarmi su di morale, che nemmeno Lily con il suo sorriso riesce a farmi star meglio; succede che sono fermo, bloccato e non so come liberarmi da questa ragnatela e fra poco verrò mangiato dal ragno che l’ha tessuta; avrebbe voluto rispondere. “Nulla” rispose, invece, fingendo un sorriso e si alzò a fatica: non far colazione al mattino lo rendeva ancora più debole di quanto già non fosse e sentiva un brutto sapore in bocca.
“Remus…” iniziò lei, ma il ragazzo la fermò subito.
“No, va tutto bene, davvero” la rassicurò dolcemente e lei sorrise, perché non poteva far altro che credergli, sbagliando, ovviamente. Il suo problema era che pensava di conoscerlo, quando in realtà era tutto il contrario.
“Io vado alla Serra” inventò una scusa per allontanarsi da lei.
“Vengo con te!” esclamò. “Me ne serve qualcuno per finire la ghirlanda che…”
“Preferisco andare da solo” la interruppe.
Mary lo osservò per qualche secondo. “Vedi che non stai bene?” osservò leggermente arrabbiata.
“Sto bene, solo che ho voglia di andare da solo” fece spallucce, fingendosi indifferente.
“Perché mi dici stronzate?” gli domandò senza giri di parole, affrontandolo a testa alta. Remus restò leggermente spiazzato e strabuzzò gli occhi, fingendosi sorpreso.
“Che stronzate? Ti sto dicendo la verità” recitò spudoratamente.
Lei non rispose, passò qualche secondo in silenzio, per poi dire: “Okay. Ci vediamo a lezione” girare i tacchi ed andarsene: ormai sapeva che se Remus non aveva voglia di parlare, non sarebbe riuscita a cavargli fuori nemmeno una sillaba.
Lui la osservò andar via, sentendosi in colpa. Era così arrabbiato con se stesso, trattava male tutte le persone che lo circondavano. Sospirò esausto ed iniziò a camminare a sua volta, calciando un sasso o un pezzo di terra di tanto in tanto; probabilmente James e Sirius lo stavano cercando, ma a lui non importava molto: aveva voglia di stare da solo, quella mattina, e non vedere anima viva. Era arrabbiato con se stesso, era arrabbiato con Amelia ed era arrabbiato con Sirius.
Si passò una mano sul volto, esausto, per poi entrare nella Serra con un respiro profondo e chiudersi la porta alle spalle. Non doveva andare lì per prendere una pianta per una lezione, doveva solamente chiudersi in posto isolato per non pensare, per immergersi nel silenzio. Si sedette a terra, la testa fra le mani e gli occhi stanchi.
Era in quelle condizioni da troppo tempo.
E stava per esplodere.
Senza contare i problemi privati, l’ansia della fine della scuola si faceva sentire sempre di più: era terrorizzato da quello che sarebbe successo al di fuori di quelle mura così sicure. Aveva paura di non trovare mai un lavoro per la sua condizione, di dover combattere contro qualcosa che non sarebbe mai riuscito a sconfiggere, di non trovare anima viva che lo amasse, di rimanere solo. Si vide da vecchio, dimenticato e ormai consumato dall’essere un lupo mannaro. Era terrificato.
Il respiro si fece più veloce, il cuore iniziò a battere più forte e le mani a tremare. Si alzò per cercare di sfuggire a quella condizione, ottenendo l’effetto contrario: la vista cominciò a farsi a scatti, si appoggiò al tavolo al centro della Serra, fece cadere un vaso, una pianta, qualcosa. Cercò di calmarsi, senza riuscirci. Un dolore acuto si faceva largo tra le costole, come una spada trafitta in esse.
Si passò una mano fra i capelli, sudava. Si tolse il mantello ed allentò la cravatta. Ora vedeva. Ora no. Ora respirava. Ora no. Ora c’era. Ora no.
Era tutto confuso e sfocato; aveva paura e non riusciva a far nulla se non provare quella sensazione.
Entrò qualcuno, ma lui non capì chi fosse.
“John?” quella voce, quella voce che tanto gli era mancata; non vedeva. “John” gli andò vicino, gli sfiorò un braccio. Respirava troppo veloce, John. “John!” urlò. “Che succede?” cadde a terra.
“Credo” disse Remus con il fiatone, trovando la voce chissà dove. “Sto… E’ una… Crisi di panico” concluse infine, lei si inginocchiò di fronte a lui, gli prese il volto fra le mani.
“John, guardami” era a pochi centimetri da lui e stava per piangere. Aveva paura. “Remus!” gridò e lui obbedì. La guardò. Guardò Amelia e si sentì a casa. “John, guardami, devi continuare a guardarmi” gli ordinò e lui eseguì. “Respira con me” ma lui non riusciva a vedere, lui non sentiva quasi più nulla. “John, respira con me” ripeté Amelia. Non l’aveva mai visto in quelle condizioni –non sapeva nemmeno che soffrisse di crisi panico, a dir la verità- e non sapeva come comportarsi; aveva detto la prima cosa che le era venuta in mente e sembrava funzionare. Vederlo in quelle condizioni l’aveva spaventata terribilmente; era lì, tremante e seduto a terra, che sudava e non respirava. E lei era terrificata: vedeva Remus perso e si sentiva persa anche lei. Si chiese che fosse accaduto per ridurlo così, si chiese perché, si chiese se i suoi amici sapessero che lui soffriva di questi attacchi, si chiese cosa avrebbe potuto fare per farlo star meglio; si rispose che avrebbe dovuto stargli accanto.  Inspirò profondamente ed espirò allo stesso modo, una, due, tre volte; chiamò a sé tutte le sue forze per non scoppiare in lacrime di fronte a quella visione. Remus la imitava, chiudendo gli occhi e chiamando a sé tutto il suo coraggio ed autocontrollo e, piano a piano, il respiro si fece regolare e mise in chiaro il volto della ragazza di fronte a lui. L’espressione preoccupata e spaventata sul viso di Amelia si tranquillizzò non appena lo vide star meglio. La osservò per quelli che erano solo secondi ed invece sembrarono ore, annuì appena in segno di gratitudine e, poi, fece la cosa più ovvia che avrebbe mai potuto fare: l’abbracciò, la portò a contatto con il suo corpo, la strinse a sé, perché ne aveva bisogno, perché le mancava, perché era lei. Lei che in quel momento stava affondando il viso nel suo petto, mentre lui affondava il suo nei suoi capelli, lei che aveva avuto paura che un abbraccio fra loro due non ci sarebbe stato più.
Lo strinse come se fosse la sua ancora di salvezza.
La strinse come se fosse l’unica ragione per cui era ancora vivo.
Amelia sollevò la testa ed incontrò i suoi occhi. “Stai bene” e non era una domanda, era un’affermazione, ma lui annuì lo stesso, di nuovo.
“Come mai sapevi in che modo farmi passare un attacco di panico?” le chiese, mentre allentava la presa sul suo piccolo e fragile corpo per lasciarla allontanare, mentre lei non dava nessun segno di volerlo fare.
“Sono andata ad intuito” rispose semplicemente, ancora un po’ stordita.
E nessuno dei due disse più nulla; l’arrabbiatura che aveva nei suoi confronti era passata e sarebbe passata comunque dopo aver visto il suo sorriso in qualunque momento della giornata, anche se –lui non lo notava-, quel sorriso era così vuoto da quando lui non c’era più. Tutto quello che tutti e due riuscivano a sentire in quel momento era solo amore. Amore puro, senza barriere, amore e basta.
Avevano bisogno l’uno dell’altra, avevano bisogno di sentirsi amati, avevano bisogno di essere importanti per qualcuno, avevano bisogno di stare insieme.
Ma Remus si tirò indietro, alzandosi, seguito a ruota da lei, resosi conto della situazione: era a distanza troppo ravvicinata con la ragazza di uno dei suoi migliori amici, anche se gli piaceva, questo non gli permetteva di comportarsi in quel modo: doveva rispettare i suoi spazi; e i suoi spazi e doveri erano stare il più possibile lontano da Amelia.
In contemporanea lei lo guardava confusa  nel mentre lui si sistemava, sentiva che le stava scivolando via e non l’avrebbe permesso. Gli si avvicinò e lo aiutò a sistemarsi la camicia, sfiorandogli qualche volta il petto con delicatezza accidentalmente, gli fece il nodo alla cravatta, passò le mani sulle sue spalle, raddrizzando le pieghe che si erano formate e poi alzò il viso per sorridergli dolcemente e lui non poté far altro che ricambiare.
Era molto più alto di lei.
L’aveva lasciata fare solo perché gli era mancato il tocco delle sue mani delicate sulla pelle, solo perché gli era mancata lei, solo perché era stato debole e aveva ceduto, ancora.
“Io…” cominciò a parlare Remus dopo quel lungo silenzio, Amelia gli lanciò un’occhiata curiosa. “Grazie” concluse infine, mentre lei stringeva le labbra in un sorriso un po’ imbarazzato e faceva spallucce.
“Non ti preoccupare” lo rassicurò. “Non sapevo che tu… Insomma, che tu soffrissi di crisi di panico” confessò puntando lo sguardo verso il basso.
Scosse la testa, Remus, e appoggiò le mani sulle braccia della ragazza, sfiorandola con così tanto amore, che non si sa come Amelia non fosse riuscita a percepirlo. “Nemmeno io”
Lei puntò lo sguardo sul viso del ragazzo, sorpresa; per poi sollevargli il volto fisso verso il basso. “Che è successo?” gli chiese scrutandolo con attenzione, era così vicina a lui che riusciva a vedere ogni piccolo graffio che aveva sul viso. Come se li fosse fatti, probabilmente non l’avrebbe mai scoperto. Lui non rispose ed evitò accuratamente il suo sguardo, non poteva risponderle, non poteva dirle tutto, non poteva spiegare ogni cosa. “John” lo richiamò, cercando un chiarimento dei fatti che non sarebbe mai arrivato; lui si allontanò da Amelia con estrema fatica.
“Devo andare” troncò il discorso Remus, avviandosi verso la porta dopo aver raccolto le sue cose, ma la ragazza gli sbarrò la strada.
“Non farlo di nuovo” sembrava che lo stesse pregando, con la voce tremante e gli occhi che rischiavano di far uscire le lacrime trattenute troppo a lungo.
“Far cosa?” domandò fingendosi indifferente lui.
“Andare” rispose semplicemente Amelia e per il ragazzo fu come un pugno nello stomaco. “Non andartene ancora, John, ti scongiuro, resta con me” lo stava quasi supplicando.
Come faccio a restare con te, Amelia? Come faccio a guardarti negli occhi e nascondere tutto quello che sto provando in questo momento? Me lo dici, come fare, piccola Amelia? Come faccio a vederti e non poterti stringere a me senza che tu pensi a un altro? Come faccio se tu vuoi star con lui mentre io voglio star con te? Come faccio a mentire a te, Amelia? Sei l’unica con cui non sono capace. Devo sempre essere vero con te, maledizione. Devo sempre essere io, con te. E ti odio e ti amo per questo. E non guardarmi così, Amelia. Non guardarmi così che poi ci ripenso e decido di non lasciarti ancora, ma sei tu che lasci me, Amelia. Sei tu che mi lasci. E sono io che rimango vuoto. E sono io che sono stato stupido. E sono io che sono stato un idiota. E sono io che sento la tua mancanza. E sono io che forse ti amo, non tu; si disse.
Così scosse la testa, John. “Non posso” fece spallucce, quando avrebbe dovuto rispondere: “Non ci riesco”.
“Cosa vuol dire che non puoi? Certo che puoi!” protestò Amelia con il tono di voce che si avvicinava alla disperazione.
“No, non posso, Amelia” ripeté non guardandola per paura di vedere qualcosa che avrebbe potuto fargli cambiare idea.
Nel frattempo lei si sentiva completamente persa, sola, isolata. Cos’era stato quello che era successo prima? Quel piccolo riavvicinamento? Era stato qualcosa, lei aveva sentito qualcosa. E allora perché lui faceva finta di niente? Perché la lasciava ancora da sola?
Non ce l’avrebbe fatta, non una seconda volta, non senza di lui.
Non lasciarmi, Remus, pensava. Ti prego resta con me.
E lo stava supplicando. E lui sembrava immune.
La superò uscendo e le ultime parole che disse prima di andarsene furono sussurrate e Amelia fece fatica a coglierle, ma suonavano tanto come un: “Mi dispiace”.
 
 
 
 
This is falling in love
Questo è innamorarsi
in the cruelest way,
nel modo più doloroso
this is falling for you
questo innamorarsi di te
when you’re a worlds away.
quando tu sei in mondi lontani
(…)
And I break down

e io cado
‘cause it’s not fair that you’re not around.
perché non è giusto che tu non sia con me.


 
 
 
Aveva sempre visto Sirius come un fratello e ora lo vedeva come una persona da evitare il più possibile.
Non era colpa di nessuno dei due, era semplicemente un dato di fatto: Sirius si vedeva con Amelia, a Remus piaceva Amelia, vedere Sirius lo innervosiva, lo schivava il più possibile. Era semplice causa- effetto.
E questo gli implicava di passare più tempo con Mary o con Lily, ma dato che quest’ultima era molto legata ad Amelia e stava molto con lei, gli restava la prima; visto che James e Peter stavano con Sirius, non aveva alternative.
Così, quel pomeriggio, come tanti addietro, era seduto in biblioteca con Mary a studiare; mentre lui era concentrato sui libri, lei era concentrata su di lui.
“Stamattina ho visto un fiore bellissimo in giardino e l’ho dipinto, l’ho aggiunto al mio libro” disse lei dal nulla; Remus fece solo un cenno con la testa, come se avesse sentito solo metà del discorso.
“E’ venuto bene?” domandò per cortesia, anche se totalmente disinteressato.
“Tu sei più bravo di me” commentò per tutta risposta lei scrollando le spalle sulle quali ricadevano gli scuri capelli raccolti di lato alla meno peggio con un laccio. Il ragazzo aveva ogni tanto disegnato qualche fiore per lei, per farle un favore: gli piaceva far favori alla gente e vederla essere grata.
“Non è vero, sei bravissima anche tu” le sorrise dolcemente e distolse lo sguardo dal libro di Cura delle Creature Magiche per posarlo su di lei.
“Remus?” chiese cercando di catturare la sua più totale attenzione.
“Sì?” rispose inarcando le sopracciglia.
“Fra poco facciamo la prima uscita ad Hogsmeade e… volevo chiederti se… ti va di… insomma, andarci insieme a me” buttò lì come se fosse la cosa più naturale del mondo, giocando con i capelli.
Remus la guardò allibito per qualche secondo, la bocca semi aperta e gli occhi spalancati. “Uscire con te in che senso?” domandò poi trovando le parole chissà dove.
“Un appuntamento, solo io e te” rispose facendo spallucce con nonchalance.
Lui si accasciò alla sedia, quasi sconvolto: non aveva mai capito che Mary provasse quei sentimenti per lui, si passò una mano fra i capelli, spettinandoli ulteriormente e sospirò, sentendosi il cuore pesante. Avrebbe rifiutato, sicuramente, non voleva illuderla in nessun modo e il pensiero di averlo fatto in precedenza lo faceva sentire in colpa.
“Mary, io non…” iniziò con la bocca secca.
“Ho afferrato il concetto” lo interruppe di colpo con un sorriso malinconico. “Non importa” lo rassicurò.
“No, no, importa” si sporse verso di lei. “Importa, invece” affermò precipitosamente. “Io… A me dispiace, sul serio… è solo che… Io ti voglio bene, Mary, ma non in quel modo”
Lei scosse la testa stringendo le labbra. “E’ Amy, vero?” puntò gli occhi nei suoi, sicura, destabilizzandolo. “E’ per lei” ripeté e notando di non ricevere risposta dall’altra parte, accolse il silenzio come una conferma. “Ti sta distruggendo, Remus: lei non ti merita” lo rimproverò, per poi raccogliere le sue cose ed alzarsi dal tavolo senza aggiungere una parola.
Remus si accasciò alla sedia, esausto.
Non ne valeva davvero la pena? Doveva davvero voltare pagina?
Mille domande iniziarono a farsi spazio nella sua mente, facendo troppo rumore, si prese la testa fra le mani e chiuse gli occhi: domande, rumore di libri presi dagli scaffali, domande, domande, qualcuno che scriveva su una pergamena, domande, domande e così via.
Raccolse i suoi effetti e si precipitò fuori dalla biblioteca, aveva il fiatone, si scontrò con qualcuno. “Scusa”
“Non importa”
No, importa.
Cosa aveva fatto? Come si era permesso di far credere a Mary qualcosa di falso? Come aveva osato illuderla? Lei, che l’aveva aiutato, lei, che quando si era sentito solo c’era sempre stata. Aveva perso anche lei, l’aveva fatto, sapeva che Mary era una persona troppo bella per restare con lui.
“Ehi, Lunastorta, ti stavamo venendo a…” Sirius si fermò, vedendo la faccia sconvolta dell’amico.
“Remus?” gli si fece vicino James, con quel suo modo di fare premuroso. “Tutto bene?”
“Certo” rispose subito lui, però non riuscendo a risultare sincero.
“Che succede?” gli domandò Sirius spostandosi un ciuffo di capelli del viso e avvicinandosi a Remus, che lo guardò con disprezzo.
“Niente, non è successo niente, ragazzi, davvero: sono solo stanco” cercò di sviare la preoccupazione degli amici e gli amici stessi, iniziando a camminare e superandoli.
“Dove credi di andare?” lo riprese Sirius, iniziando a seguirlo.
“Fatti gli affari tuoi, Felpato” lo zittì senza voltarsi, ma l’amico lo raggiunse, lo superò e gli si parò di fronte.
“Si può sapere che ti prende?” chiese corrucciando la fronte, James li raggiunse.
E Remus guardò negli occhi Sirius dopo chissà quanto tempo e in quelle iridi vide l’amore che Amelia meritava, vide quello che non sarebbe mai stato suo, vide il ragazzo che aveva smesso di frequentare tre mila e miglia di studentesse solo per stare con una; mente Sirius vide degli occhi scavati dal dolore, dalla paura, dall’amore e avrebbe voluto abbracciarlo, perché era suo amico, perché era di più: era suo fratello.
Chi era lui, Remus, per rovinarsi la vita già andata a male, quando quel qualcuno che amava poteva avere di meglio? Così decise.
“Nulla. Esco con Mary ad Hogsmeade la prossima settimana” fece spallucce e sorrise appena.
James e Sirius si lanciarono un’occhiata, per poi rivolgersi ancora verso il terzo.
“Scusa?” gli chiese James.
“Esco con Mary” ripeté. “Ad Hogsmeade, sapete, un appuntamento?” sorrise mentre Sirius lo guardava allarmato.
“Non sei serio” buttò sul ridere.
Remus inarcò un sopracciglio. “Perché non dovrei?”
A Sirius crollò il mondo addosso: l’idea di vedere Amelia distrutta lo distruggeva.
“Perché Mary?” gli chiese.
“Perché mi piace” scrollò le spalle. “E’ carina, no?”
“No” rispose lui in contemporanea a James, che, invece, disse: “Sì”
Remus rise e scosse la testa. “Vado a ripassare” li superò, mentre quelli lo seguirono con lo sguardo fino a quando non sparì dalla loro vista.
 
 
***
 

Stava aspettando Mary da più a meno un quarto d’ora e stava anche iniziando a scocciarsi: possibile che esser puntuale fosse una cosa così impossibile? Guardò l’orologio e sbuffò.
Lily scese per raggiungere Nina insieme ai restanti Malandrini e Amelia, quest’ultima evitò accuratamente di guardarlo, anzi, si posizionò in modo da dargli le spalle e lanciò un sorriso rassicurante ad un Sirius preoccupato.
Lily stava per avvicinarsi a lui, quando Mary arrivò: un sorriso smagliante, i capelli perfettamente in ordine, un vestito che lasciava le gambe nude nonostante facesse freddo –Remus rabbrividì a quella visione-, delle scarpe eleganti e un cappotto corto.
Pensò che sarebbe morta ibernata, ma fece finta di niente e le andò incontro, salutandola con un bacio sulla guancia. “Stai molto bene” mentì.
“Grazie” arrossì lei e abbassò lo sguardo.
Amelia, poco più distante, aveva osservato la scena con un certo disgusto, mentre Sirius non la perdeva d’occhio nemmeno un momento; Nina osservava Sirius sinceramente curiosa, nonostante avesse litigato e non si rivolgessero quasi la parola da quel giorno, gli voleva bene e lo desiderava al suo fianco, nonostante lui non lo sapesse.
Dopo qualche minuto, fu l’ora di andare.
Remus e Mary andarono in carrozza con Frank e Alice.
Il primo era pieno d’imbarazzo, ma continuava a ripetersi d’aver fatto la scelta giusta, d’altronde, avrebbe dovuto continuare ad aspettare qualcuno che non sarebbe mai arrivato? Era grato a Mary per avergli rivelato la verità su Sirius ed Amelia, grazie a lei aveva smesso di sprecare tempo. Perché era quello che era stata Amelia: uno spreco di tempo.
Si pentì subito di aver pensato una cosa del genere e chiese scusa mentalmente alla ragazza, senza che lei potesse sentirlo. Gli mancava, ma tutti e due avevano preso la loro strada, la quale li separava, certo, ma non cancellava tutti i momenti passati insieme o l’affetto che provassero l’uno per l’altra.
Mary cercò di prendergli la mano, lui scostò la sua; iniziarono una superflua conversazione con l’altra coppia che sedeva di fronte a loro: Quidditch, Frank era entusiasta per la prossima  e prima partita del campionato e Alice non faceva altro che dire che sarebbe stato perfetto come al solito, un portiere modello, insomma. Remus accennava qualche sorriso ad intervalli regolari e annuiva quando gli si chiedeva una qualche conferma, Mary, invece, non faceva altro che parlare. La sua voce gli dava fastidio, era più acuta e frivola del solito, fece una smorfia cercando di ignorarla.
Finalmente arrivarono ad Hogsmeade e non era più costretto a sopportare il tono di Mary in uno spazio piccolo come quello della carrozza. Salutò i suoi amici e poi si allontanò con lei, sentendo lo sguardo di Amelia addosso.
Chiuse gli occhi e si concentrò sulla ragazza con cui aveva accettato di uscire, fatto che, oltretutto, non gli era mai successo in tutta la vita: non era mai uscito con nessuno e non aveva idea di come comportarsi.
“Allora, dove… Dove vuoi andare?” le chiese con un sorriso dolce.
“Madama Piediburro” rispose lei con tremendo orrore del ragazzo.
“Non… non ti va di andare… ehm… che ne so: ai Tre Manici di Scopa?” propose cercando di sviare la destinazione prestabilita da lei.
Mary si strinse nelle spalle e abbassò lo sguardo. “Se preferisci, certo” si finse solidale.
Avrebbe voluto un po’ d’intimità, un po’ di romanticismo, forse Remus non era quel tipo di ragazzo, ma aveva accettato il suo invito e quella era l’unica cosa che contasse.
Le sorrise e si avviò con lei verso la loro destinazione, le mani in tasca e la testa bassa: Mary stava parlando di qualcosa che le era successo poco tempo fa, una litigata con una ragazza Tassorosso che aveva sempre creduto una sua grandissima amica, e lui fingeva di ascoltarla, mentre la mente vagava lontano.
Chissà cosa stavano facendo Sirius ed Amelia, insieme, da soli? Forse erano andati da Madama Piediburro, anche se, poi, riflettendoci su, si rese conto che quel posto non era esattamente il locale per Sirius.
Magari erano andati a Mielandia, Amelia amava quel posto.
O, più probabilmente, si erano allontanati dagli altri, seduti sul prato non ancora innevato e si stavano baciando, come ogni coppia che si rispetti dovrebbe fare. Quell’immagine lo turbò a tal punto che dovette scuotere la testa per evitare di pensarci, eppure era lì, nitida nella sua mente: erano uno troppo vicino all’altra, che ridevano, che sorridevano tra i baci, erano lì e lui li poteva vedere; il sangue iniziò a ribollirgli nelle vene e non sentiva più nemmeno il ronzio fastidioso della voce di Mary, ma solo le labbra di Sirius ed Amelia che s’incontravano, le loro risate e le loro parole. Chiuse gli occhi e respirò profondamente.
Gliel’aveva insegnato lei, Amelia, l’anno prima: “Se sei nervoso respira, stringi i pugni e concentrati sulle cose belle”, lo stava facendo e provava a farlo anche ad ogni luna piena, quando doveva trasformarsi, sperando che funzionasse, mentre, invece, la mattina si risvegliava con nuovi graffi e nuove cicatrici, ma non era mai solo, Sirius, James e Peter erano al suo fianco, ogni volta, non lo lasciavano mai e lui sentiva che poteva condividere quel peso enorme con qualcuno, anche se, alla fine, era sempre lui quello che ne usciva maggiormente distrutto, aveva delle persone che avrebbero sopportato quel dolore insieme a lui; mentre ora si sentiva solo, in una via senza uscita, un vicolo cieco. Avrebbe voluto andare da Amelia e dirle che non funzionava, il suo metodo, che l’unico modo per restare calmo era stare con lei, ma lei era con qualcun altro. Cercò di pensare a qualche ricordo sereno: la risata di Sirius, la sua e quella di James che si univano in una sola, la prima volta che gli amici erano andati con lui in una notte di luna piena, il sorriso di Amelia rivolto a lui, Lily che lo stringeva a sé dopo che le aveva confessato il mostro che era, che gli diceva il meraviglioso ragazzo che fosse e che non sarebbe cambiato nulla tra loro, Sirius che lo abbracciava, fingendosi forte anche se si trovava sul punto di crollare, James che gli scompigliava i capelli e lo accoglieva fra le sue braccia, gli scherzi fatti insieme ai Malandrini…
“Remus!” lo richiamò Mary, preoccupata.
Lui si riscosse e se la trovò di fronte. “Ehi” riuscì a dire solamente.
Restò qualche secondo immobile a guardarlo, spaventata: vedeva che non stava bene, ma tanto non avrebbe potuto far niente, dato che, ormai l’aveva capito, con lei continuava a mentire.  “Siamo arrivati” disse allora, facendo un cenno ai Tre Manici di Scopa.
Il ragazzo se ne rese conto solo in quel momento e finse nonchalance. “Oh, certo” si sforzò di sorriderle, cosa che sembrò funzionare, visto che lei ricambiò entusiasta.
Entrarono e presero un tavolo poco distante dall’entrata, si tolsero i cappotti, ordinarono due Burrobirre e Mary riprese a parlare, pensando che lui l’ascoltasse.
Qualcuno si rese conto del totale disinteresse di Remus per le argomentazioni della ragazza non appena entrò: James, Sirius, Amelia e Lily, difatti, si scambiarono un’occhiata appena varcata la soglia in compagnia di Peter, Frank, Alice, Emmeline e Nina.
Amelia guardò Remus da lontano, anche mentre si stava sedendo al tavolo insieme agli amici -Lily e James si sedettero uno di fianco all’altra-, Sirius la fece posizionare in modo da dar le spalle al ragazzo, sperando di evitare di vederla giù di morale anche alla prima uscita ad Hogsmeade.
“E’ carino come ti preoccupi per lei” disse Nina a Sirius a bassa voce.
Lui si voltò verso la ragazza e restò ad osservarla per qualche secondo. “Sì, beh, è mia sorella” rispose semplicemente, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Nina sorrise e andò al suo posto, non staccando gli occhi da lui; aveva ancora la sua collana, lui lo notò e sorrise fra sé e sé, nonostante i loro rapporti si fossero raggelati dall’ultima volta, sicuramente i sentimenti non erano cambiati.
Remus, d’altro canto, era troppo concentrato a non dar retta a Mary che nemmeno si accorse del loro ingresso, aveva una mano poggiata sotto il mento e qualche ciuffo di capelli spettinati che gli ricadeva sul viso e che copriva una piccola cicatrice sulla fronte.
“Mi stai ascoltando?” gli chiese Mary dopo qualche minuto.
“Come?” le rivolse la sua attenzione, voltandosi verso di lei.
Lei scosse la testa, stanca, chiudendo gli occhi. Aveva parlato a vuoto per chissà quanto tempo e se ne rese conto solo in quel momento, se solo fosse stata Amelia, sicuramente non l’avrebbe ignorata, ma lei non era Amy, lei era Mary. E non era abbastanza, non era quella giusta, chissà perché aveva accettato quell’uscita. Quando dopo che aveva rifiutato, era andato da lei, con un sorriso, raggiungendola alla Serra e le aveva detto che aveva cambiato idea, si era sentita la persona più felice del mondo, mentre ora stava crollando tre metri sotto terra: cosa aveva creduto? Aveva davvero pensato di potergli piacere?
“Lascia stare” gli disse alzandosi dal tavolo, prendendo il cappotto e uscendo; gli altri –di cui Remus non si era nemmeno accorto- assisterono alla scena ammutoliti.
“Mary?” la chiamò. “Mary, aspetta!”
Amelia si era voltata e vedeva Remus andare a pagare, per poi correre dietro ad una ragazza che lo meritava più di lei, la raggiunse: tutti seguirono ogni movimento di Remus e Mary, come se fosse stato un film.
“Si può sapere che hai?” lo aggredì lei quando l’ebbe fatta voltare.
“Non ho nulla!” si difese.
“Non mi hai ascoltato nemmeno per cinque secondi, oggi, e pensare che dovevamo uscire insieme, per un appuntamento. Mi dispiace, Remus”
Il ragazzo si sentì tremendamente in colpa e pensò di aver sbagliato, di nuovo, possibile che non ne facesse una giusta? Cosa avrebbe dovuto fare, in quel momento?
“Ti dispiace per cosa?” prese tempo, nella speranza di trovare la mossa giusta da compiere.
“Di non essere lei” rispose spiazzandolo. “Mi dispiace di non essere Amy” gli occhi le diventarono lucidi e abbassò lo sguardo, cercando di non farlo notare.
Quella frase lo colpì in pieno petto, le si avvicinò. E’ vero, non era lei, ma era Mary ed era buona, dolce, gentile, era una lei diversa, ma questo non implicava il fatto che non fosse una lei adatta a lui.
Si rese conto di aver sprecato così tanto tempo per Amelia, per qualcuno che non ricambiava il suo sentimento e si sentì così stupido.
“No, difatti, non sei lei: sei tu” le alzò il volto verso il suo, affrontandola.
“Forse dovremmo solo…” non finì la frase.
“Solo cosa?”
“Non so, separarci, sai, andare uno da una parte e una dall’altra… Ho sbagliato a chiederti di uscire, Remus, mi dispiace. Hai accettato solo per dimenticarti per qualche ora di lei, eppure ci hai pensato tutto il tempo, non è così?” incastrò gli occhi in quelli di lui.
“Sì, è così” ammise, facendola compiere una smorfia addolorata. “E ho capito che non ne vale la pena” lei lo guardò, stupita, mentre lui mentiva e lei gli credeva. Sì che ne valeva la pena, sì che aveva pensato a lei, sì che la amava, sì che stava facendo tutto questo per scordarsi di lei per qualche istante, sì che soffriva, sì che importava.
Avvicinò il viso al suo, lentamente e poggiò le sue labbra su quelle della ragazza, che avevano troppo rossetto e non sapevano di buono. E la baciò.
E, nel frattempo, dall’altra parte del vetro, all’interno dei Tre Manici di Scopa, Amelia non riuscì più a respirare e il petto le fece così male, che pensò di poter morire in quel momento a causa del troppo dolore. 




 
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flowers's hall.
eeeee......... se shippate remus e amelia, mi dispiace, davvero. li shippo anche io. ops. 
quindi, ecco! remus ci va con mary! grande uomo, grande pirla. 
comunque come avete potuto capire, remus è uno che si sente in colpa per ogni cosa, anche se di colpa non ne ha e cerca sempre di sistemare tutto, in qualunque modo ed è perso per amelia e anche lei lo è per lui, ma se lo sapesse sarebbe tutto più facile, o no?
vi avevo avvisati che ci sarebbe stato molto remus e amy in questo capitolo. 
ah! gli attacchi di panico, sì.
è una cosa mia, che avevo voglia di fare data la situazione, un semplice caso isolato, non voglio assolutamente storpiare i personaggi di zia row.
bene, quindi, io me ne vado e vi lascio tirarmi i pomodori in faccia per l'orrore o l'arrabbiatura o non so. 
un abbraccio ed un bacio sul naso, ily.
rose.

p.s. ringrazio tutti quelli che hanno aggiunto la storia alle seguite o alle preferite o alle ricordate e che hanno recensito. grazie davvero di cuore. siete bellissimi.
p.p.s. la canzone è 'come back, be here' di taylor swift.
p.p.p.s. buona pasqua!
  
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