I – Il
Mago
Il Gioco
delle Alleanze
Quartiere Latino, Parigi. 16 luglio 2011
Michael guardò allibito il suo appartamento ricoperto di polvere
bianca, la porta scardinata rovesciata sul letto e le finestre ridotte in
frantumi. Il padrone di casa gli avrebbe presentato un conto astronomico per
quel disastro. Per non parlare della vecchietta due piani più sotto che non si
faceva mai gli affari suoi e che sarebbe comparsa per lamentarsi del rumore. Il
danno che avevano appena fatto alla sua immagine era disastroso. Aveva passato
anni a fingere con i vicini di essere un tranquillo studente disponibile ad
aiutare le vecchiette a portare la spesa su per le scale e ora la copertura era
saltata.
– Scusate il disturbo. – disse un ragazzo entrando in casa,
togliendosi la polvere dalla maglietta nera. Michael lo squadrò da capo a
piedi, imprimendosi in mente la sua fisionomia. Alto, capelli mori e lisci, e
l’aria di chi si trovava a proprio agio nel caos. Subito dietro di lui, entrò
un gigante con la testa rasata, le spalle larghe avvolte in un completo nero e
occhiali da sole. E l’aria di chi portava guai.
– Se ti dispiace per il disturbo, – disse Michael nascondendo
Verity dietro con il suo corpo. – esistono il campanello e il citofono. Ti
avrei detto che stai disturbando.
Lo sconosciuto lanciò un’occhiata a Verity, per poi tornare su di
lui. – Lasciala andare via, Dubois. – lo guardava dall’alto dando ordini
secchi. Michael lo prese in antipatia. Era a casa sua e si permetteva di trattarlo
con superficialità. Chiuse gli occhi, ricordando com’era tranquillo il suo
rifugio prima che Verity e il pazzo entrassero nella sua vita. – Visto che mi
hai appena distrutto casa, potresti almeno presentarti, così so a chi mandare
il conto.
Lui si batté i pantaloni togliendosi altra polvere e intonaco. –
Christian Courteney. Ora che abbiamo finito le formalità, posso passare alla
parte in cui ti uccido? Ci sono delle persone che mi attendono e tu devi essere morto.
Dietro di lui, Verity sbuffò. – Uomini, sono tutti così teatrali.
Michael sorrise dentro di sé. Anche in situazioni di pericolo,
Verity riusciva a essere acida e sarcastica. Probabilmente faceva anche a pugni
come un uomo. Poco femminile per i suoi gusti, ma la sua presenza era utile per
tagliare la corda in quel momento.
La afferrò per il braccio e la tirò davanti a sé, mettendole alla
gola il coltello che teneva in tasca. Non voleva ferirla, ma aveva bisogno che
distraesse i due uomini un po’. Lui era una carta che giocava con la mente
delle persone. Distrarre da una parte e agire dall’altra, questo era il suo
motto. – Mettiamo le cose in chiaro, – vide una goccia di sangue scorrerle
lungo il collo e allentò un po’ la pressione. – ora me ne vado e se non vuoi
coinvolgere un’innocente ti consiglio di restare là. – camminava rasente il
muro per non dare le spalle all’energumeno che accompagnava Christian e strattonò
Verity per costringerla a seguirlo. – Fa attenzione a non inciampare. –
sussurrò alla ragazza. – Potresti tagliarti il collo.
– Toglimi il coltello dalla gola così non c’è alcun rischio. –
ringhiò a denti stretti.
Le sfiorò la tempia con le labbra. – Mi dispiace, ma non posso
farlo. E mi dispiace averti messo in questo casino. – guardò Christian che
rimaneva immobile al suo posto. Gli lesse l’indecisione negli occhi, stava sul
serio prendendo in considerazione di coinvolgere anche Verity e rischiare che
si facesse del male per arrivare a lui?
Christian strinse i pugni lungo i fianchi con gli occhi ridotti a
due fessure. – Non hai idea di quello che stai facendo. Non puoi scapparmi. Ti
troverò e ti staccherò la testa dal collo. – fece un cenno all’uomo, che si
mise accanto a lui in attesa di ordini.
– Verity, devo andare via. – si avvicinò alla finestra, sentendo
l’aria fresca e la promessa della libertà.
– Spero che tu faccia un buon viaggio all’altro mondo. – gli
rispose con freddezza. – Ti odio.
Lanciò un’occhiata rapida alla finestra con i vetri distrutti e il
suo cervello progettò un piano di fuga. – Non è il momento per dirtelo, ma ho frugato
in casa tua. – parlò portandosi verso la finestra. Un tuffo dal settimo piano
era troppo anche per lui, ma poteva uscirne vivo se se la giocava bene. L’unico
problema era la ragazza, non gli piaceva l’idea di usarla per distrarre
Christian. – E per quello che ho preso nella tua borsetta. Ti cercherò, te lo
prometto e parleremo di nuovo. Cerca di rimanere in vita.
– Cosa? – gridò. La
spinse verso Christian e lanciò il coltello contro l’energumeno prima di
saltare fuori dalla finestra.
Mentre cadeva sul terrazzo due piani più sotto, sentì le
maledizioni del ragazzo e le imprecazioni del suo scimmione, ma non si fermò ad
ascoltarle. Scavalcò il parapetto e si incamminò rasente muro sul cornicione
pensando a dove metteva i piedi e a Verity sola ad affrontare quei due, sette
metri più in su. La Regina di Spade.
Di tutte le carte che potevano venire a Parigi proprio lei doveva incrociare la
sua strada. Sperava Christian si fosse levato dai piedi senza scoprire la vera
natura di Verity.
Girato l’angolo, scavalcò un terrazzo. Più avanti c’era un
appartamento libero dove poteva entrare e lasciare che le acque si calmassero,
poi sarebbe andato sul tetto per prendere ciò che aveva lasciato in caso di
emergenza e si sarebbe dileguato.
– Signor Dubois. – la voce della signora Monreau lo fece fermare.
Quella vecchia sapeva essere più silenziosa di lui e lo aveva preso alle spalle
sulle scale più di una volta. Anche se aveva fatto delle ricerche su di lei e
aveva chiesto a dei suoi amici, non era saltato fuori nulla, nemmeno un multa
per divieto di sosta e non gli piaceva. Una fedina troppo pulita era una fedina
piena di segreti. La signora Monreau si sporse dalla finestra con i bigodini in
testa. – Cosa fa sul mio terrazzo? E quei rumori in casa sua! Mi ha fatto
prendere un colpo. Il mio povero cuore! – parlava in modo petulante e
affrettato e Michael si chiese quando avrebbe tirato fuori il suo amato marito
defunto. – Non ho più vent’anni, – proseguì lei con la sua ramanzina – dovrebbe
avere rispetto per le persone anziane. Cosa sta succedendo in casa sua? E poi,
perché è a petto nudo? Vuole prendersi un accidenti? Se vuole le presto una
delle canottiere del mio amato Tobias, a lui non dispiacerebbe. – Appunto, pensò Michael, eccolo. Ora comincia con: tanto caro il mio
amato Tobias... e chi la ferma più. – Tanto caro il mio Tobias, sempre
disposto ad aiutare gli altri. A me e a Niege manca da morire. – ovviamente,
doveva parlare anche del suo gatto che aveva l’abitudine di rifarsi le unghie
sui suoi pantaloni di Armani. – E a Niege mancano anche quei bocconcini che lei
compra in macelleria, li adora. Dovrebbe venirmi a trovare più spesso, sa
signor Dubois? Racconta delle belle storie. E se dopo passa, potrebbe portarmi
giù la spazzatura? E controllare il filo dell’antenna? La televisione non funziona
molto bene, i canali saltano sempre.
Maledetta
impicciona amante dei gatti bianchi, pensò. – Signora Monreau. – disse con un
sorriso smagliante interrompendo quel torrente di parole. – Mi fa piacere
incontrarla qui. – lanciò un’occhiata significativa al terrazzo con le piante
che si stavano seccando al sole. – Ci sono delle motivazioni molto valide per
tutto. In casa mia stanno facendo dei lavori di restauro e ci sarà un po’ di
rumore. E sono qui perché… – si guardò intorno, cercando una scusa convincente.
– Perché anche la mia televisione ha qualche problema e volevo controllare i
cavi. Li ho seguiti fino a qui e ho visto che anche i suoi rovinati. – creò un
illusione e indicò i fili fittizi che correvano lungo il muro. In alcuni punti
erano spelacchiati e la guaina crepata. – Ora salgo sul tetto e controllo
l’antenna, poi torno e vedo cosa posso fare anche per quelli.
La vecchia annuì, vinta dal suo incantesimo. – Oh, come è caro!
Aspetti le porto qualcosa per i suoi sforzi. Lo dicevo sempre a Tobias: il
signor Dubois è un ragazzo a modo, scommetto che le ragazze fanno la fila per
uscire con lui! Sì, sì, questo dicevo al mio amato Tobias.
Avrebbe dovuto sparire nel momento esatto in cui la signora si era
allontana, ma non poteva spezzarle in cuore abbandonandola a metà di un
discorso. Nemmeno se lui era in pericolo di vita. Mantenere una buona presenza
e mostrarsi al meglio, suo padre glielo ripeteva sempre. La donna aprì la
portafinestra del terrazzo con in mano un piatto di biscotti che Michael non
poté fare a meno di accettare con un sorriso. In gatto le passò in mezzo alle
gambe, finendo per strusciarsi su di lui facendo le fusa, prima di usarlo come
tiragraffi. Malefico gatto, li avevo
messi puliti ieri notte dopo che ho dovuto buttare il Westwood.
Allontanò il gatto con un piede, mantenendo sempre il sorriso. –
Cosa diceva? – domandò alla signora Monreau.
– Delle ragazze! Scommetto che fanno la fila!
– Non sono poi tante. Giusto un paio. – rispose quasi spezzandosi
un dente sul biscotto.
– Dovrebbe sistemarsi, signor Dubois. Alla sua età io e il mio
Tobias eravamo già sposati. Deve passare a vedere le foto del matrimonio…
Michael alzò gli occhi al cielo. Le aveva già viste ventisette
volte. Abbandonò il biscotto sul davanzale, impietosito per il povero uccello
che avrebbe provato a beccarlo. I dolci della signora Monreau erano più duri
dei sassi. – Mi dispiace interromperla, ma devo andare sul tetto a controllare
l’antenna. Posso passare per casa sua? – senza aspettare una risposta la mise
da parte e attraversò la cucina che odorava di aglio.
– Sicuro che non vuole una maglia del mio Tobias? – urlò la
vecchietta mentre lui si chiudeva alle spalle la porta d’ingresso. Controllando
che Christian e il suo energumeno non fossero da quella parte del palazzo, si
mosse verso gli ascensori e poi fino al tetto. Si sedette sulle tegole di
ardesia a riprendere fiato, ora che era lassù era in vantaggio. Avrebbe preso
ciò che gli serviva e poi sarebbe sparito dal radar di Christian. Facendo
attenzione a non scivolare, raggiunse uno dei comignoli e tirò fuori dalla
cerata lo zaino per le emergenze con su scritto il numero quattro. Ne aveva
sparso diversi in giro per la città, ognuno con del contenuto diverso in base
alle sue esigenze e con dei documenti falsi. Si mise la ricetrasmittente
all’orecchio, e tirò fuori un’anonima maglia blu e dei jeans scuri. Stringendo
la cintura, ascoltò le conversazioni che avvenivano in casa sua.
– E ora come si sente, signorina? – chiese una voce burbera che
Michael identificò come il gigante che accompagnava Christian.
– Se potessi sbattere la testa di Michael contro un muro, meglio.
– Michael deglutì, ma non per la minaccia nella voce furiosa di Verity, ma
perché era ancora con quei due. Sperava che lo avessero inseguito lasciando lei
indietro.
– Signorino, non crede che…
– Mikelich, va a controllare i corridoi e la strada. – ordinò
secco Christian, nemmeno quando aveva minacciato lui era stato così freddo e
perentorio. – Perquisisci la sua macchina e chiedi ai vicini informazioni su di
lui Dubois. Cosa fa nel tempo libero, chi sono i suoi amici. Voglio sapere
tutto, Chiaro? Devo trovarlo.
– Ma, signorino…
– Niente ma! Fa’ questa cosa! Non sono un bambino, me la posso
cavare da solo. Tu vai, intanto io penso alla ragazza. – sentì dei passi
pesanti in sottofondo e lui strinse ancora di più la ricetrasmittente. Il
gigante se n’era andato lasciando Christian e Verity da soli. Sarebbe stata
l’occasione buona per tornare al suo appartamento e affrontare Courteney.
– So cosa sei. – la voce del giovane lo immobilizzò. Stava
parlando con Verity? Sapeva chi era?
– Una stupida che è riuscita a farsi rapire e derubare. –
attraverso la ricetrasmittente la voce di Verity gli arrivava stanca e
arrabbiata. – Ma appena lo prendo gli faccio ingoiare il coltello.
– Riprenderemo ciò che ti ha preso, tranquilla – Christian rise. –
Tu stai bene? Ti ha fatto del male?
– A parte sequestrarmi a casa mia? Una meraviglia!
Si morse la lingua trattenendo un’imprecazione. C’erano fin troppe
cose che stavano andando storte, ad esempio: quei due insieme. – Aspetta! Non
puoi uscire così. Sei in mutande e la gente si farà delle domande. Non hai
qualcosa da metterti?
– Li avevo, ma chissà dove li ha gettati quello là. Potrebbe anche
averli bruciati per quel che ne so.
Susseguì l’aprirsi e il richiudersi dei cassetti e qualche sonora
imprecazione in italiano da parte di Verity mentre rovistava in casa sua.
– Sono tuoi? Li ho trovati nella cabina armadio. – domandò
Courteney. Forse aveva trovato i vestiti che lui aveva preso la notte prima.
– Non avevo jeans, ma un abito nero e oro.
– Questi sono da donna. Mettili, sembrano della tua taglia.
– Non mi metto vestiti di un’altra donna! Tra l’altro di una che è
andata a letto con quello. – a Michael scappò una risata, Verity non aveva capito
che lui non portava donne a casa. Lei era la prima e sarebbe stata l’ultima
visto i guai che gli aveva procurato.
– Veramente, sono nuovi. – proseguì Christian. – Vedi l’etichetta?
Aspetta! Dobbiamo metterci d’accordo.
– Passami i pantaloni.
– Prima ascoltami. Non so come mai tu fossi qui, ma non pensavo di
incontrare un altro Arcano oltre a Michael. Non voglio farti del male, ma ho
bisogno di sapere da che parte stai.
– Dalla mia. – rispose acida. Altre porte sbatterono e ci fu il
silenzio per qualche secondo. – Quel maledetto stronzo! – la voce di Verity lo
fece sobbalzare. Era così arrabbiata che sembrava che gli stesse urlando nelle
orecchie. – Quel bastardo! Come ha potuto? Come ha osato! Ti tutte le cose
che... – si scostò l’auricolare dall’orecchio quando qualcosa si frantumò
contro il muro e non sentì il resto delle imprecazioni.
– Quello che hai lanciato era un vaso? Credo che fosse dipinto a
mano.
Per un attimo la tempia gli si imperlò di sudore. Se era il vaso
che immaginava lui, qualcuno non l’avrebbe presa bene. Aveva rubato il vaso per
fare un dispetto e tenuto con cura e ora era in briciole.
– Avrei preferito che fosse la testa di Michael! Mi ha frugato
nella borsa quel maledetto!
– Cosa ha preso? – Christian parlava in modo basso, dolce e
gentile come se avesse a che fare con una tigre affamata. Michael ebbe
l’impulso di scendere e prenderlo a pugni. Si mise una mano in tasca, sentendo
il freddo cerchietto d’oro. Non doveva valere poi molto, era piccolo e la
pietra quasi invisibile, al massimo un paio di centinaia di euro. – Mi ha preso
l’anello di fidanzamento. L’unica cosa che mi era rimasta di Ale.
Gli si fermò il cuore per
la tristezza che percepiva nella sua voce. Quella cosa insignificante che aveva
in tasca era l’anello che le aveva regalato il suo ragazzo morto. Quanto
tirchio era stato per regalarle un oggetto così insulso? Lui non aveva mai
regalato anelli, e mai lo avrebbe fatto, ma per la proposta avrebbe dato alla
donna che gli avrebbe incantato il cuore qualcosa che costringesse alla gente a
girarsi e guardarla a bocca aperta. L’anello che aveva preso poteva comprarlo
chiunque.
Lo aveva scelto per me, – continuò Verity con voce rotta. –
Sapendo che l’acquamarina era la mia pietra preferita. Non mi è rimasto altro
di Ale.
E lui l’aveva preso senza rimorso, voleva giocare con lei,
dimostrarle che poteva avere qualunque cosa volesse e poi torturarla e vedere
le sue reazioni, non aveva immaginato cosa ci fosse dietro quell’anello. –
Impara a non mettere al sicuro le cose a cui tiene. – mormorò gelido. Si chiese
quando si sarebbe accorta delle carte che le aveva portato via. Quelle avevano
valore, lasciavano Verity scoperta e alla mercé di un qualsiasi aggressore. Se
Courteney l’avesse attaccata, avrebbe potuto contare solo sulle forze e non se
sarebbe uscita viva. Forse doveva tornare giù e...
Si lasciò sfuggire un gemito. – Non è possibile! – esclamò. Dal
giorno in cui l’aveva conosciuta i suoi pensieri deviavano nella sua direzione,
quasi non ne avesse più il controllo. E lui aveva sempre il controllo su tutto,
anche sui suoi bisogni di base.
– Voglio proporti un affare. – continuò Christian cercando
l’attenzione di Verity. – Tu mi dai una mano a prendere Dubois e io ti
restituisco l’anello. – la proposta di Courteney fu una doccia fredda. Aveva
commesso un errore nel rubare l’anello e ora lei aveva un motivo per dargli la
caccia. Verity avrebbe accettato l’offerta e Michael avrebbe incrociato di
nuovo la strada della Regina di Spade. Solo che sarebbe stato contro di lui. Se
Courteney se la fosse giocata bene, e Michael al suo posto lo avrebbe fatto,
avrebbe riempito la testa di Verity di bugie sul suo conto, dipingendolo
peggiore di quanto in realtà non fosse. – Ma la cosa non ha importanza, – disse
a se stesso. – è una ragazza come le altre. Posso gestirla.
– E perché dovrei farlo? – replicò Verity guardinga.
– Perché sono l’unico che può aiutarti. Sono due mesi che do la
caccia a quel ladro: tra false identità, prestanome e rifugi sicuri ha talmente
tante vie di fuga che non ti basterebbero tre vite a ritrovarlo.
– E tu invece sì?
– Ho imparato a riconoscere il suo modo di agire e di muoversi.
Con le conoscenze di Mikelich e le mie risorse economiche possiamo ritrovarlo.
– Se sei tanto bravo perché non te lo cerchi da solo? – udì la
stoffa strapparsi e la rabbia che provava per Courteney aumentò. – Ma che fai?
Lasciami! – urlò Verity.
Michael sperò che quella strappata fosse la canottiera e che il
resto si trovasse ancora al suo posto. Anche se giocava con le donne, non gli
piaceva che venisse usata la violenza su di loro.
– Perché io non sono la Regina di Spade. – mormorò Courteney – E
la Luna non mi ha appena risparmiato la vita quando poteva usare i miei poteri
sul vento per fuggire. È interessato a te e io ti voglio dalla mia parte.
Dì di no, Verity,
non accettare, ti si rivolterà contro alla prima occasione, la implorò lui
sperando che i pensieri le arrivassero. Se la storia era vera, quei due avevano
un legame che superava il tempo, doveva esserci di più di un rapporto fisico e la
sofferenza che li marchiava entrambi. Lei doveva
sentirlo.
– Vuoi usarmi come esca?
– Sì.
– Pensi che sia così stupido da cascarci?
– No, visto che ci sta ascoltando. Sono sicuro che sappia già
tutto. E anche se non avesse piazzato delle microspie in casa, ci sarebbe
arrivato da solo vedendoci, ma ci sono legami che non si possono spezzare e io
conto su questo. Ehi, Dubois, mi senti? – urlò Courteney nell’appartamento. – I
giochi sono cambiati. Io avrò dalla mia la Regina di Spade, volente o no. Cosa
farai quando te la ritroverai contro, Luna?
Maledetto
bastardo, pensò
Michael con un sorriso sardonico, vuoi
giocare con me? Giochiamo!
– Ultima domanda: – Verity reclamò l’attenzione su di sé. – perché
dovrei fidarmi di te?
– Non ricordi delle tue vite precedenti, vero? Guarisci
lentamente, non sai chi è la Luna. Hai ereditato il tuo potere solo da pochi
mesi. – arrivò alla stessa conclusione a cui era arrivato lui: Verity era
ancora debole e confusa. Una preda facile da uccidere.
– Non mi hai risposto. – incalzò lei. – Perché dovrei fidarmi di
te?
Christian rise. – Non ti devi fidare di nessuno. Nemmeno dei
ricordi delle tue vite passate. Le persone cambiano, non commettere l’errore di
giudicarle da ciò che ricorderai di loro.
– Quindi, non mi devo fidare di te?
– No.
Michael trattenne il fiato aspettando una risposta di Verity. Non
poteva prendere in considerazione un’alleanza del genere, non dopo che
Christian l’aveva minacciata apertamente. Una volta aveva fatto un errore del
genere e stava ancora pagando le conseguenze.
– Metti conto che io accetti, cosa ti impedisce di tagliarmi la
gola alla prima occasione?
– Nulla, ma lo stesso vale per te. Anche tu potresti farlo mentre
dormo.
Verity sospirò. – Torniamo al discorso della fiducia.
– Non hai molta scelta: o vieni con me o morirai qui. – Michael
pensò anche ad una terza opzione, ma non avrebbe rischiato la propria vita per
nessuno, nemmeno per lei, poco gli importava che c’era una parte di lui che
scalpitasse per tornare giù e sfidare Christian.
– Signorino… – La voce di Mikelich riempì la stanza e Michael
iniziò a sudare freddo. Quando era tornato il gigante? E come mai non lo aveva
sentito? Non gli importava, c’erano altre priorità. Quei due non avevano ancora
un accordo e Christian doveva giocarsi il tutto per tutto. Michael aveva capito
che Courteney non si fidava del suo uomo, l’aveva percepito negli ordini secchi
che gli aveva dato.
– Mikelich. Prendi in consegna Verity, la portiamo con noi. È
nostra alleata e ospite.
– Signorino, non dovrebbe sistemare la faccenda con la ragazza
prima di tornare a caccia del ladro?
– No, lei mi serve. – nemmeno Courteney credeva nella scusa che
stava imbastendo e si stava arrampicando sugli specchi, se fosse andata avanti
così, Verity sarebbe morta prima del tramonto. Se vuoi mentire, pensò Michael tornando agli insegnamenti di suo
padre, devi essere il primo a crederci.
E Christian non stava credendo alle proprie parole.
Courteney sbuffò. – E se lei
verrà a sapere di Verity, – lo minacciò. – sarai il volontario per provare il
prossimo antitumorale che la Courteney Corp. sta sviluppando. Sono stato
chiaro?
Questo è già
meglio la paura funziona meglio della lealtà, Michael sorrise. Sì, avrebbe potuto
essere un avversario alla sua altezza se si fosse impegnato.
– Hai scoperto nulla su Dubois? – proseguì il ragazzo.
– Sì, ma glielo dico dopo. – i rumori aumentarono e Michael lanciò
via l’auricolare quando un fischio e una scarica elettrica lo avvertirono che
la microspia era stata trovata e distrutta.
Prese dallo zaino il cellulare che teneva da parte e fece il
numero di quella strega dai capelli castani. – Ciao. – iniziò senza preamboli.
– Abbiamo un problema. Ci sono almeno altri tre Arcani in città. E uno è la
Regina di Spade.
La risata allegra della donna al telefono lo costrinse ad
asciugarsi la fronte per l’aumento improvviso della temperatura. – Non è un
gioco. – proseguì Michael freddo. – Come mai non mi hai parlato di lei?
La ragazza rideva senza fermarsi e la luce del sole divenne più
intensa mentre i piccioni tubavano in un angolo del tetto. – Non volevo
rovinarti la sorpresa. – rispose cercando di trattenersi con scarso successo. –
Cosa si prova a rivederla dopo tanto tempo?
– Io non l’ho mai vista
prima e lo sai. – rispose sempre più gelido. Lanciò un sassolino ai piccioni,
in modo che andassero da un’altra parte. Si voltarono a guardarlo male, come se
lui li stesse disturbando.
– Tu no, non l’hai mai vista, ma la tua anima sì. O adesso vuoi
dirmi che non hai un’anima, fratellino?
Lui scrollò le spalle frugando nello zaino con una mano. –
Smettila con questa storia del fratellino. Mi dà i nervi. La situazione è
precipitata e devo andare via da Parigi per un po’. – prese il passaporto falso
controllando la data di scadenza e l’identità. – Posso contare su di te per
tenere d’occhio mia sorella?
– Non puoi usare i cagnolini di Duchessa per tenerla al sicuro?
Metà del suo cervello prestava attenzione alla conversazione,
l’altra metà al passaporto. L’idea di chiamarsi Neal Keller, storico, era
adatta a lui. Le sue false identità avevano sempre dei lavori autoritari e
rispettati. – Non hanno i tuoi occhi.
– disse passando il telefono all’altro orecchio. – Mi serve tutto l’aiuto
necessario, anche se questo vuol dire chiederti un favore.
– Okay, – rispose la ragazza. – ma prima rispondimi, cosa hai
provato rivedendola? È carina come la sua precedente incarnazione? Sua madre
era molto bella a vent’anni.
– Non è un mio problema. – non aveva voglia di parlare di Verity,
quella ragazza l’aveva confuso e doveva prendersi del tempo per riordinare le
idee.
– A me sembra che stia diventando un tuo problema, come ho
risposto hai iniziato a parlarmi di lei.
– Dovevi avvertirmi. – accusò. – Non sono riuscito a ucciderla.
– Tu non uccidi. Non era questa la tua politica?
I piccioni di prima si posarono di nuovo sul comignolo, iniziando
a tubare più forte che mai. – Non quando si tratta di Arcani. È un guerra
ricordi? Mia sorella potrebbe essere in pericolo se scoprissero il nostro
legame, ecco perché devo ucciderli per primo. Verity compresa.
– Continui a non rispondermi. – cantilenò lei.
– Non ho provato nulla per lei, chiaro? Nulla! – fissò il
comignolo fino a mandarlo fuori fuoco. Non l’aveva uccisa perché era la sua
politica, tutto qui. Un gesto di galanteria. Non l’avevano fermato le sue vite
passate e la prossima volta che si sarebbero rivisti avrebbe fatto la cosa
giusta. – Io non sono Owen. – disse più a se stesso che a lei.
– L’anima alla fine è la stessa. Vogliamo parlare di quando le hai
detto che saresti andato a cercarla?
Per poco non lanciò il telefono per la rabbia. Quella donna era
sempre due passi avanti a lui. – Da quanto lo sapevi? – sputò a denti stretti.
– Da ieri, mi hai chiesto del diamante. Ho dato una sbirciata al
tuo futuro e voilà! Ho visto la Regina di Spade legata a doppio filo con te. A
proposito le hai scelto un bel paio di mutandine. Le regali anche a me? E mi
devi un vaso nuovo. Puoi iniziare a dipingerlo quando vuoi, tanto te lo
spaccherò sulla testa.
Michael ignorò il suo ultimo commento. – Perché ti sopporto?
Concentrati su quello che è appena accaduto! Siamo entrambi in pericolo! –
inspirò due volte profondamente, ritrovando l’autocontrollo. – Lascia perdere. Dovrei
andarmene dall’altra parte del mondo e lasciare che Courteney si occupi di te e
della Regina di Spade.
– Non lo farai. Ti conosco. Non la lascerai indietro. – rispose
lei seria. – Ci sono molte pedine sulla scacchiera e Verity è un pezzo
importante e non puoi fare a meno di me, siamo alleati. Lo sai.
Michael scattò. Erano alleati, ma lei lo teneva quasi sempre
all’oscuro finché non tornava utile che lui sapesse. – Non dovevi mentirmi! –
urlò stringendo la mano intorno al passaporto rovinandolo.
– Non ti ho mentito, ho omesso un particolare. Verity è un pezzo
importante. Tu lo sai, io lo so, fine del discorso.
Espose. Da quella strega non avrebbe mai ottenuto una risposta
chiara. – Non mi importa il suo valore per i tuoi piani! Agisce sempre di testa
sua!
– Era così anche Emily.
– Lei non è Emily! E io non sono Owen! Smettila di parlare sempre
di loro! – tirò un pugno a una tegola e i piccioni lo guardarono male di nuovo.
– Non mi importa quanto tempo tu abbia perso a predisporre i pezzi. Quali
macchinazioni ci siano dietro. Non ti permetto di usare il mio cuore per
arrivare al tuo scopo.
– Ti ha fatto un certo effetto, eh? – anche attraverso il telefono
poteva immaginare il suo sorriso sornione. – Non ti ho mai sentito così
alterato. In genere sei sempre composto. Mi sono sempre chiesta se oltre
l’indifferenza fossi in grado di provare altro. Ecco la prova che Dubois ha un
cuore: minacciare la sua preziosa Regina. – il sudore gli scorse lungo la
schiena quando la risata della ragazza fece salire la temperatura della città
di almeno cinque gradi.
– Non è mia. – sibilò. Non avrebbe permesso che venisse comandato
da una donna, nemmeno da una che aveva amato per secoli e che ogni volta che
incontrava si abbandonava a lei. Sembrava che il destino lo giocasse. Ogni
volta, lei rinasceva in una forma che lo attraeva, completandolo e sorprendendolo
ogni volta. I suoi sogni lo avevano sempre messo in guardia, ma lui era più
forte e stavolta non avrebbe ceduto.
– Vuoi che ti predica qualcosa? – l’attenzione tornò al telefono.
– La Regina del Nord è al centro della scacchiera, tra quattro fronti verranno
incrociate le lame. Colui che originariamente ha dato il primo colpo mortale,
romperà il cerchio. Degli antichi alleati non ci si deve fidare e di Spade e di
Coppe due anime si dovranno piegare. Ehi! Mi piace questa rima, me la segno.
– Ah-ah. – la schernì lui. – Era pessima e non sei d’aiuto. Cos’è
questa storia delle Spade, delle Coppe e degli antichi alleati? Non puoi fare
una predizioni decente e chiara?
– Hai ragione. – ammise lei e sbuffò al telefono. Un vento torrido
gli scompigliò i capelli. – Il mio antenato Apollo era molto più bravo di me
con le profezie e le rime, fratellino.
– Smetti di chiamarmi fratellino e impedisci al tuo umore di
cambiare il tempo.
Per tutta risposta scoppiò a ridere e il sole splendette più che
mai. Michael guardò oltre il tetto. Un paio di turisti che si facevano aria con
le loro cartine. – Ehi, ma è la verità! Una volta eravamo fratelli, gemelli per
l’esattezza.
– Non siamo parenti te lo posso assicurare.
– I tuoi ricordi non sono ancora completi. Eravamo veramente
fratelli. – insistette lei. – Tu eri Artemide, ricordi?
Scosse la testa inorridito all’idea. – No, e non ci tengo a
ricordare di essere stato una dea vergine. Trovati qualcun’altro da prendere in
giro. Ora, concentrati! La profezia, il futuro. Tutte quelle cianfrusaglie da
sciamano che tieni nella stanza ti serviranno a qualcosa, no?
– Non vedo niente. – disse dopo qualche secondo di silenzio.
– Trova il modo di vedere qualcosa. A cosa serve avere il tuo
potere se quando servi non vedi nulla?
– Non sto scherzando. Sono oscurata. Non sono ancora state prese
delle decisioni vere. Sai come funziona con me.
Michael si mise il passaporto e il portafogli con del contante in
tasca. Sì, sapeva come funzionavano i suoi poteri e la cosa lo irritava. Nell’unico
momento in cui lei poteva dargli delle indicazioni, era oscurata. Avevano solo
una profezia senza senso.
– Non posso vedere nulla finché non inizi a percorrere il tuo
destino. Vedo ciò che non può essere cambiato, ma nulla di più.
Michael pensò al libro sulle gemme che aveva letto poche ore prima.
– Se decidessi di rubare un grosso zaffiro che aveva preso mio padre, ma che
non so dove si trovi al momento, dove mi manderesti?
Attese in silenzio mentre lei scandagliava il futuro ora che era stata
presa una decisione. – Uhmm. Ti manderei al Trinity College di Dublino, ti
direi di flirtare con una ragazza stramba che inciampa nella biblioteca e
vedere come si evolverà la cosa.
– È già qualcosa. – rispose lui, chiudendo lo zaino.
– Non è molto.
Michael sospirò e si sedette sul tetto. – È questo, vero? Quello
che mi avevi anticipato quando ci siamo conosciuti. Tutto quello che sta
succedendo. Il momento è arrivato?
Ci fu il silenzio, la temperatura scese, gli uccelli intorno a lui
smisero di cantare e il sole si oscurò come la vista della persona dall’altra
parte del telefono. Erano tutti in attesa della sua risposta. – Sì, – disse
infine. – Ha fatto la sua mossa. Uccidendo il ragazzo a Roma ha messo in moto
tutto. È iniziata la guerra.
NdA: seriamente, quanto lenta sono ad aggornare? Non voglio nemmeno controllare. Ho praticamente riscritto questo capitolo e spero che la cosa vi abbia soddisfatto. Questo e il prossimo capitolo chiuderanno la prima parte denominata il Mago che chiude gli avvenimenti di Parigi, poi ci sposteremo.
a presto, Khynan