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Autore: udeis    20/04/2014    2 recensioni
John Tokai oggi si occupa di annunciare ai nati babbani di essere maghi: è un uomo felice e appagato. Ma durante la prima guerra magica, come tutti quelli che non erano mangiamorte, non se l'è passata molto bene. Certo, per un Serpeverde, babbanofilo, purosangue, le cose sono sempre un tantino più complicate.
Genere: Generale, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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- Questa storia fa parte della serie 'L'Ufficio alle relazioni babbane e le sue dis/avventure.'
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Credo che lei si accorse subito di chi fossi: ero goffo, imbarazzante, visibile.
Agata era molto più discreta: nata babbana com’era quella era la sua seconda natura.
Ci incontrammo un giorno al caffè, dove lei faceva la cameriera e dove io andavo ogni domenica a fare colazione.
Iniziammo a parlare ci piacemmo, la invitai fuori, ci innamorammo.
Caliamo un velo pietoso sugli imbarazzanti appuntamenti a cui la invitai.
Diciamo solo che gli usi dei babbani non mi erano ancora del tutto chiari, come non lo erano le funzioni di alcuni loro oggetti.
Ad esempio non sono sapevo guidare una macchina e quando provai a farlo, su consiglio di Scott, per impressionarla, guidai con la soddisfazione e lo stile di una vecchia donna ubriaca e isterica. Al cinema andò un po’ meglio: visto che ci ero già andato, non mi stupii così tanto come la prima volta e riuscii a tenere il becco chiuso per tutta la proiezione. Oltre alla mia ignoranza generalizzata c’era anche il fatto che lei mi piaceva davvero: così mi agitavo e parlavo in modo forbito e senza senso per la metà del tempo. Insomma fu un miracolo che mi avesse mandato al diavolo il secondo giorno, anche se le cose sarebbero andate decisamente meglio se avessi smesso di seguire i consigli di Scott e Joè: mi ostinavo ad ascoltarli solo perché senza di loro mi sarei sentito ancora più perso.
Io e Agata ci rivelammo le nostre identità segrete una mattina di Giugno, la stessa in cui le chiesi di sposarmi: restammo insieme tutto il giorno a parlare sorpresi e felici di aver trovato un compatriota in terra straniera. Al nostro matrimonio ci furono pochissimi invitati: Joè e la signora Palm, Scott e sua moglie, alcune amiche di Agata e pochi altri, ma fu lo stesso il giorno più bello della mia vita. La moglie di Scott aveva cucinato un sacco di cibo italiano e continuava ad offrircelo, Joè aveva portato da bere, la signora Palm raccontava a chiunque volesse ascoltarla dei suoi problemi intestinali, Scott urlava ai quattro venti la storia del samurai, le amiche di Agata spettegolavano senza sosta sulla mancanza dei nostri genitori alla cerimonia.
I suoi genitori, babbani al cento per cento, avevano cambiato paese, lei li riusciva a sentirli al telefono una volta a settimana, ma non aveva nessuna intenzione di farli tornare in Regno Unito fino a che Tu Sai Chi non fosse morto.
Io invece non avevo più avuto notizie né dei miei genitori, né dei miei fratelli da quando ero entrato in clandestinità: mettersi in contatto con loro li avrebbe solo messi in pericolo e svelato la mia copertura.  In quel periodo, non ci si poteva fidare di nessuno.
Fatto sta che i miei non seppero proprio della cerimonia, i suoi invece si sarebbero catapultati in chiesa immediatamente se Agata non li avesse minacciati di regalagli un drago per Natale.
Si limitarono, così, a mandarci una lettera in cui sua madre si scusava della mancanza di educazione della figlia e sperava che i miei genitori non si offendessero troppo per questa mancanza di rispetto, mentre suo padre minacciava di farmi cose non troppo chiare con una torcia elettrica, se solo avessi osato fare avvicinare sua figlia a un drago. La madre continuava facendoci le sue congratulazioni e dicendosi convinta che io fossi l’uomo giusto per sua figlia.
Andammo a trovarli subito dopo le nozze per rassicurarli che la loro amata figlia era rimasta lontana dai draghi, che a casa andava tutto bene e che io ero una brava persona. Non andò tutto a rose e fiori, erano tipi davvero strambi, ma almeno suo padre si era dimenticato della faccenda della torcia elettrica.
 
Vivendo insieme tutto fu più facile: avevamo ancora paura, ma non eravamo più soli e ci sentivamo meno estranei. Agata soffriva molto il peso del nostro esilio forzato: era una strega abile e di talento, il mondo babbano le andava stretto e si sentiva umiliata e intrappolata in un luogo che ormai non le apparteneva più. Inoltre era una Grifondoro: si sentiva in colpa perché non stava combattendo.
Io, invece, in linea di massima, ero entusiasta: ogni giorno scoprivo qualcosa di nuovo e mi appassionavo alla vita di queste persone così strane eppure così simili a me sotto molti aspetti. Stavo vivendo il mio sogno di bambino, ma potevo farlo solo perché affianco a lei i miei incubi si affievolivano abbastanza da permettermi di vedere il lato positivo del mio esilio e perché sapeva spiegarmi come funzionassero certi aggeggi prima che potessi fare qualche figuraccia.
È stata lei ad insegnarmi, ad esempio, ad usare una lavatrice (la prima volta che l’ho fatto da solo ho allagato la casa e quasi ucciso il gatto della vicina), quanto valessero in Galeoni i soldi babbani e a guidare decentemente una macchina e una bicicletta (la bicicletta, mi diceva, è come una scopa, basta farci l’abitudine). E, miracolo dell’amore, si dimostrò un maestro di gran lunga migliore di Scott.
Mi convinse anche a mollare il lavoro e a trovarmene un altro prima di impazzire del tutto: divenni un venditore porta a porta di aspirapolvere e enciclopedie. Ero così entusiasta che riuscivo a vendere abbastanza da guadagnare di più di quando lavoravo in un ufficio. E poi incontravo tutti i giorni gente nuova, ci parlavo e giravo per la città avvicinandomi sempre di più al mondo babbano. Scott disse che ero un venditore nato e che non pensava che i giapponesi ci fossero portati, Joe che era ammirevole che io ritornassi ad occuparmi di commercio, soprattutto dopo il disastro finanziario della mia famiglia. Quando poi, un giorno, invitai entrambi per un thè scoppiarono a ridere e dissero che mi ero ambientato veramente bene.
 
Quando l’entusiasmo svaniva e il sogno ritornava ad essere cupa realtà, Agata era lì e sapevo che non se ne sarebbe andata: ogni giorno con il suo sorriso confermava l’esistenza di quel mondo magico a cui appartenevamo e che cominciava a sembrarmi sempre più irreale, man mano che passava il tempo.
Avevamo una casa solo per noi, ora, andavamo al cinema ogni domenica, risparmiavamo per un televisore: sembravamo a tutti una felice coppietta. Una volta al mese ci concedevamo una gita fuori porta: raggiungevamo un boschetto appena fuori dalla città e lì, dopo aver preso tutte le precauzioni possibili, lanciavamo tutti gli incantesimi che potevamo. Trasfiguravamo i sassi in strani gatti blu con ali da pipistrello, facevamo volare cucchiaini, animavamo il nostro cestino da pic-nic ci esercitavamo in incantesimi di difesa. A volte parlavamo per tutta la sera di un quadro della sala grande, delle stranezze del Cavillo, dei vecchi compagni di scuola, dei libri di testo, dei vecchi professori, dei nostri familiari la cui lontananza ci faceva soffrire.
 
Il giorno che vide la caduta di Tu sai chi fu meraviglioso: un uomo con una lunga veste blu cielo mi mise in mano un bicchiere di vino e mi invitò a festeggiare il magnifico giorno in cui il più grande mago oscuro era stato finalmente sconfitto. Rimasi attonito. Sei un babbano non capisci, ma questo è un giorno felice anche per te. Mi disse con più dolcezza il suo amico in verde. Tornai indietro di corsa, in lacrime.
Agata era già lì: anche lei aveva saputo.
Ci baciammo e ci stringemmo forte: l’esilio era finito.
Scrivemmo ai nostri genitori e quel giorno stesso la presentai ai miei fratelli.
Sai e Arabella erano a casa di lei, una bella villetta in campagna: i tavoli erano imbanditi, il vino era stato versato, conoscenti, parenti e amici riempivano il giardino, ma nonostante la gioia un aura di tristezza li avvolgeva tutti. Arabella era più stanca e provata, il volto segnato da rughe di preoccupazione, Sai molto più austero di quanto lo ricordassi teneva stretta la mano di un’asiatica con lunghi capelli di seta nera.
 
Credevano che fossi morto.
 
Il nostro arrivo fu una scena molto commovente: non riuscivano a credere ai loro occhi, non solo ero sopravvissuto, ma mi ero anche sposato e se non ero ancora diventato papà era solo perchè non mi impegnavo abbastanza. Adorarono Agata al primo sguardo, proprio come avevo fatto io e la riempirono di complimenti. Godetti profondamente del loro stupore, della gioia e dell’entusiasmo che ci dimostrarono.
Anch’io avevo temuto di averli persi per sempre: i secondi impiegati a materializzarmi in quel giardino erano stati i peggiori della mia vita.
Mi raccontarono di quello che era successo durante il mio lungo esilio: le difficoltà, i pericoli, le paure. Contammo i morti, festeggiammo i vivi, ci addolorammo per il destino dei Potter, piangemmo e ci ubriacammo, mangiammo e ridemmo.
Nel corso della notte, molti maghi vennero a farci visita e a festeggiare con noi: conoscenti, parenti, amici, sconosciuti, che importava? Eravamo liberi finalmente. Il peggio era passato.
 
 
 
Ancora una cosa.
Molti forse troveranno strano che nessuno della mia famiglia sia morto e giudicheranno le nostre scelte vigliacche ed egoiste, ma le nostre non furono scelte facili: rinnegammo noi stessi per sopravvivere e questo è così incredibilmente doloroso, che non potete neanche immaginare quanta forza di volontà ci voglia per farlo.
Sì, scegliemmo di non schierarci e di nasconderci, ma avevamo paura e non volevamo morire cosa che, date le nostre simpatie, era solo questione di tempo. Forse è vero, avremmo potuto combattere, unirci a Silente e tentare qualcosa, ma noi non siamo e non eravamo eroi e non saremmo mai potuti essere spie. Scegliemmo la fuga, l’inazione e questo e ciò che ha tenuto in vita noi e i nostri parenti. Perché diciamocelo, quante sono state le vendette, i ricatti, i tradimenti in quel periodo? E in quello immediatamente successivo? Quante persone vivono ancor oggi straziate da ricordi, rimorsi e incubi? Ma è inutile giustificarsi, io non rimpiango affatto di essere vivo e non rinnego le mie scelte, per quanto possano sembrare discutibili.



Scusate il ritardo. Udeis
  
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