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Autore: Kia85    20/04/2014    10 recensioni
Se c’è una cosa che l’ispettore McCartney odia, quella sono i ladri.
Quando gli affidano il caso dell’anno, il caso di Hermes, il ladro melomane, Paul sa che farà di tutto per acciuffarlo.
Ma gli imprevisti nella vita possono celarsi dove meno te lo aspetti.
Anche nel negozio di musica davanti casa, gestito da un certo John Lennon...
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: George Harrison, John Lennon, Paul McCartney, Ringo Starr
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'I'll get you'
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I’ll get you

 

Prologo: “This boy”

                                                                                                                                  

Giugno 1995

 

L’Amber Taverns era uno dei pub a Warrington che trasmettevano la partita di rugby della nazionale inglese.

Quella sera l’Inghilterra affrontava la Francia per il terzo posto alla Coppa del mondo, in Sudafrica.

Il ragazzo si congratulò con se stesso: non poteva scegliere serata migliore per il suo colpo.

Davvero, cosa poteva chiedere di meglio di un pub pieno zeppo di tifosi inglesi ubriachi fradici? Tifosi incazzati perché la propria squadra stava letteralmente facendo schifo, e quindi non molto attenti ai loro averi, dove per “averi” il ragazzo intendeva sostanzialmente i loro portafogli. Magari sarebbe riuscito a procurarsene uno traboccante di deliziose e profumate sterline.

Ok, ora però era il suo stomaco a parlare. Perché sì, stava morendo di fame e perché deliziose e profumate potevano essere di sicuro le patatine fritte, un po' meno le banconote. Patatine fritte dorate e croccanti, che gli facevano venire l'acquolina in bocca e che continuavano a essere servite ai clienti al bancone, lì dove c’era il televisore con la maledetta partita in onda.

Basta! Il ragazzo decise di darsi una mossa, altrimenti non avrebbe mangiato neanche quella sera. Solo due giorni prima era ancora nella casa della sua ultima famiglia affidataria, a Liverpool, e ora eccolo, lontano dalla sua città natale, scappato dopo essersi stancato di tutto e tutti, di essere spedito da una casa all'altra dall'età di cinque anni, come il semplice testimone di una staffetta, solo perché era un tantino vivace e indomabile.

Era un piccolo vagabondo di dodici anni ormai, in fuga, povero in canna e con lo stomaco vuoto. Aveva deciso che per far fronte a quel bisogno, doveva riprendere a fare ciò per cui sembrava aver sviluppato da qualche anno un vero talento: rubare.

Non c'era altro modo per mangiare, prima di tutto, e per raggiungere più velocemente la sua destinazione: la grandiosa città di Londra.

Lo stomaco in quel momento gli ricordò la sua fastidiosa presenza e il ragazzo si fece coraggio.

Avanzò ulteriormente nel locale intriso di odore di frittura, birra e sudore, e storse il naso. Meglio non essere vicino a un tifoso inglese quando la sua squadra stava perdendo: era una vera tortura non solo per l’udito, ma anche e soprattutto per l’olfatto.

Tuttavia il piccolo doveva sopportare e avvicinarsi per poter sgraffignare ciò che gli serviva.

Così prese un profondo respiro e si intrufolò nella calca davanti al bancone. Lui era piccolo e mingherlino e scivolava bene in mezzo alle persone ammucchiate, tutte intente a bere e urlare contro qualche giocatore che non stava facendo il proprio dovere.

Individuare gli obiettivi più semplici non fu complicato. Erano lì, incuranti che un piccolo ladro stesse per sfilare loro ciò che causava quel rigonfiamento nella tasca posteriore dei pantaloni.

Le sue dita erano ancora piccole e affusolate, nessuno avrebbe percepito il loro tocco lieve e sfuggevole.

Sfilò il primo portafoglio, uno di tela azzurra, da un ragazzo che stava urlando, “Fottuto Andrew, muovi il culo!”

Il secondo, di pelle nera, tutto logoro, apparteneva a un uomo che poteva essere benissimo suo padre, e che stava guardando pigramente la televisione, con fare assente, come se fosse in un mondo tutto suo, suo e del suo boccale di birra mezzo vuoto.

Il terzo, un elegante e nuovissimo portafoglio lucido e decisamente gonfio, proveniva direttamente dalla giacca di un distinto signore, distinto solo nell’aspetto perché in effetti era già sbronzo a metà partita. Ok, l'Inghilterra non era messa bene quella sera, ma cazzo, un po' di contegno! Si trattava pur sempre di una semplice partita di rugby.

Proprio mentre il piccolo controllava che la refurtiva fosse al sicuro, la Francia realizzò un'altra meta e tutti i tifosi reagirono pesantemente, rossi in viso, imprecando e alzando le mani verso il televisore, come se potessero davvero arrivare ai fottuti giocatori della loro nazionale.

Coglioni, pensò il ragazzo quando si sentì spingere a terra, sul parquet sporco e appiccicoso.

Subito si rialzò, pulendosi alla bell'e meglio i pantaloni e la giacca troppo grande che aveva sgraffignato prima di scappare da Liverpool.

Apparteneva a quello stronzo che era così vigliacco da picchiare sua moglie. Aveva provato ad alzare le mani anche su di lui, quando aveva capito che non era poi così facile domarlo, ma il giovane ragazzo non aveva alcuna intenzione di farsi anche solo sfiorare dalle sue mani luride. Così l'aveva colpito una, due, tre volte con quella mazza da baseball che avevano comprato proprio per lui, per aiutarlo a scaricare la sua rabbia. E lui l'aveva fatto. Solo che si era scaricato sul corpo di quel folle. Poi era fuggito, senza preoccuparsi delle condizioni in cui aveva ridotto l'uomo.

In ogni caso, se l'era meritato. Bastardo di merda!

Ora il ragazzo si precipitò fuori dal locale, con noncuranza, per non dare troppo nell'occhio. Con la stessa compostezza con cui era entrato, varcò la soglia del pub e fu libero. Al sicuro, nell'aria fresca della sera.

Ridendo divertito, mentre sentiva il peso nelle sue tasche, che voleva dire tutto per lui, si allontanò con passo affrettato fino a trovare un vicolo stretto e poco illuminato, dove poter esaminare il bottino con tranquillità.

Si sedette con la schiena contro il muro freddo, e cominciò a prendere il primo portafoglio, quello elegante e lucido che si rivelò essere anche ben fornito. C'erano almeno centocinquanta sterline più qualche spicciolo. Aveva fatto bene ad adocchiare il distinto signore con la giacca sofisticata e le guance rosse per il bere. Beh, con questo era a posto per un po'. Significavano cibo e qualche vestito più caldo per la notte e ancora cibo...

La gioia per aver trovato un tale tesoro era così immensa che non fu scalfita dalla delusione per aver trovato una misera banconota da dieci nel portafoglio di tela del ragazzo.

Ci riuscì, però, il rendersi conto che mancava un portafoglio all'appello. La realizzazione lo lasciò davvero sconvolto. Cos’era accaduto? Ricordava che fossero tre. Ricordava di aver preso il secondo e di averlo infilato nella tasca della giacca. Ricontrollò ancora una volta, ma niente da fare. Era sparito. Dove diavolo era finito? Forse l'aveva perso quando era caduto? O forse nel breve tragitto dall'uscita del pub?

Dove cazzo-?

"Stai forse cercando questo?" fu la domanda che giunse improvvisamente alle sue orecchie.

Con uno scatto il ragazzo balzò in piedi, osservando l'uomo all'inizio del vicolo. Nella fioca luce del lampione, poteva vedere questa sagoma alta e magra, e cosa assai più importante, aveva un portafoglio dall'aspetto familiare in mano. Il giovane ragazzo spalancò gli occhi quando riconobbe l'uomo a cui aveva sottratto il secondo portafoglio.

Voleva chiedergli come avesse fatto a riprenderselo, ma si ritrovò non solo incapace di parlare, ma soprattutto non molto desideroso di farlo, semplicemente perché non si fidava. In questi casi non bisognava fidarsi mai.

Dal canto suo, l’uomo osservò il piccolo ladro con un sorriso sul volto: poteva percepire perfettamente la sua paura, era bravo a nasconderla, ma era evidente che lo temesse, pensando magari che fosse un poliziotto.

E come biasimarlo, era ancora un ragazzino.

"Immagino che tu ti stia chiedendo come abbia fatto a riprenderlo." disse l'uomo, e il ragazzino annuì in modo impercettibile, provocandogli una piccola risata, "Segreti del mestiere, figliolo."

John aggrottò le sopracciglia, titubante. Mestiere un corno! E se quel tizio fosse stato uno sbirro? Se stesse solo cercando di avvicinarlo perché l’aveva visto rubare e poi l'avesse arrestato? E se avesse scoperto da dove veniva e ciò che aveva fatto? Questa volta non sarebbe stato spedito solo in un orfanotrofio, l'avrebbero rinchiuso in un cazzo di riformatorio e lui sapeva bene che luoghi fossero quelli. Li facevano passare come centri di custodia per giovani delinquenti, ma la sostanza non cambiava: rovinavano i ragazzi, invece di correggere il loro cattivo comportamento.

“Hai fatto un bel lavoretto dentro al pub. Ho visto come hai sfilato i portafogli, sai, ti ho notato subito quando sei entrato, anche se tu non te ne sei accorto." esclamò con una punta di ammirazione, "Dopotutto, te lo si leggeva in faccia, cosa avessi intenzione di fare. E se posso permettermi di darti un piccolo consiglio, dovresti stare più attento a queste cose. Sono molto importanti per la buona riuscita del colpo."

Il ragazzo non disse nulla, si limitò a continuare a guardarlo, ancora teso e pronto a scappare al primo movimento sospetto dell’uomo. Lui era più piccolo e veloce, l’avrebbe seminato in men che non si dica. Un vero gioco da ragazzi.

"Sei un tipo taciturno tu, eh? Come ti chiami?" continuò a dire l'uomo, mentre camminava verso di lui.

Più gli si avvicinava, più poteva vedere quanto fosse giovane questo ragazzo. Quasi un bambino, come quelli che lui era stato costretto ad abbandonare a casa sua. Questo ragazzino non poteva essere molto più grande del suo primogenito.

"Pete."

Lo sguardo che il ragazzo ricevette fu uno molto comprensivo e quasi...affettuoso?

"Se mi dici il tuo vero nome, ragazzino..." iniziò  l'altro, ridendo, "Potremo condividere il contenuto di questi altri due bottini, che ne dici?"

John guardò sbalordito, mentre l'uomo estraeva altri due portafogli dalla sua giacca e li mostrava proprio a lui.

"Dove li hai-?" iniziò a chiedere, prima di pensare e riuscire a fermarsi dal cominciare a dare confidenza a questo perfetto sconosciuto.

"Presi? Beh, c'è stata una piccola rissa al pub. Colpa di un fottuto francofilo. E dannazione, le ammucchiate di quel genere sono una manna dal cielo per gente come noi."

"Poveri?"

"Ladri.” rispose con una risata.

‘Pete’ stava abbassando lentamente le sue difese e l’uomo voleva solo dirgli che non aveva alcun bisogno di temerlo, perché non gli avrebbe fatto del male. Fin dal primo momento in cui l’aveva visto, aveva percepito la disperazione nei suoi occhi, lo stesso bisogno di scappare verso un posto e una vita migliori. E lui voleva solo aiutarlo, perché gli ricordava troppo se stesso e i suoi bambini, bambini che sicuramente ora dovevano odiarlo.

"Quindi…” disse il ragazzo, fissandolo ancora incerto, ma non totalmente chiuso in sé, “Non sei uno sbirro?"

"Hai mai visto uno sbirro rubare qualcosa?"

Il piccolo ladro scosse appena il capo, senza distogliere lo sguardo dall'uomo.

"Allora non lo sono." commentò questi, sorridendogli dolcemente, "Ora me lo dici, il tuo nome?"

Lui si guardò le mani incerto, non si fidava ancora del tutto, ma il sorriso dell'uomo era così rassicurante. Era come se volesse dirgli che d'ora in poi sarebbe andato tutto bene.

Come se volesse dirgli di fidarsi di lui perché in fondo, erano nella stessa situazione.

Così annuì.

"Mi chiamo John. John Lennon."

"Bene, John Lennon, sei di queste parti?"

"Liverpool."

Lo sconosciuto sembrò essere preso in contropiede e il suo sorriso vacillò: "Liverpool?"

"Sì, perché?"

"Anch’io sono di Liverpool. Sembra che abbiamo non solo un'abilità in comune, ma anche le stesse origini." rispose l'uomo, e la sua espressione si chiuse improvvisamente in qualcosa di malinconico e triste, "Come sei finito qui?"

"Sono scappato." rispose John, tornando a sedersi per terra.

"Da cosa stai scappando?"

John guardò l'uomo, mentre lo raggiungeva a terra: "Persone che vogliono mettermi in gabbia."

"In gabbia? Chi vuole mettere in gabbia un piccoletto come te?" domandò l’altro, incredulo.

"Quei mostri che vogliono affidarmi per forza a una famiglia. Io non ho bisogno di una famiglia. Ho anche preso a mazzate l'ultimo stronzo che doveva prendersi cura di me."

"A mazzate?"

"Sì. Voleva picchiarmi e mi sono difeso."

L’uomo annuì vagamente: "Capisco."

"E tu che ci fai qui?"

"Anche io sto scappando dalla gabbia."

"Cosa hai fatto?" gli chiese John, ora sinceramente interessato a questo strano sconosciuto che gli si era avvicinato.

Forse, dopotutto, poteva fidarsi.

"Ho messo in pericolo mia moglie e i miei due figli.” disse con un gran sospiro, “E ho preferito abbandonarli, piuttosto che vederli soffrire a causa mia."

"E ora che farai?"

"Andrò a Londra per rifarmi una vita."

"Anche io voglio andare a Londra." esclamò John e finalmente sorrise di un sorriso genuino.

L'uomo si voltò a guardarlo, sorpreso, e rise debolmente: "Vuoi venire con me?"

"Sì. Tu mi aiuti ad arrivare a Londra e io ti aiuto con qualche furto."

"In effetti…” disse l’uomo pensieroso, “Insieme potremmo farcela."

John annuì: “Certo che possiamo farcela, John Lennon riesce sempre in tutto.”

"Bene, sembra che abbiamo un affare, John." esclamò l'uomo, porgendogli la mano, "Che ne dici di chiamarmi Jim?"

 

Note dell’autrice: buon salve e buona Pasqua. J

Così, iniziamo con questa nuova storia, una AU… sì, adoro le AU. :3 Ne ho scritta praticamente una in ogni fandom in cui ho scritto ff, quindi, i Beatles non potevano farla franca.

Non c’è molto da dire per ora, il prologo dice poco, ma in effetti è il compito di un prologo.

Ringrazio kiki per la correzione, _SillyLoveSongs_ per alcuni consigli, e ringostarrismybeatle per sopportare le mie paturnie sempre.

Il prossimo capitolo, “It won’t be long”, beh… se riesco a tradurre il nuovo capitolo di Pesce d’aprile per martedì, arriverà mercoledì. :D

Ancora auguri.

Kia85

 

 

   
 
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