Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: CarpeDiem_96    21/04/2014    5 recensioni
{Storia ad OC}
Il quinto libro della saga, l'Ordine della Fenice, ripercorso e riadattato con l'aggiunta dei personaggi nati dalla vostra fantasia.
Che ne dite, vi va di imbarcarvi insieme a me, a Harry, Ron ed Hermione in quest'avventura?
[Aggiornamento ogni lunedì]
Genere: Angst, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Di pettegolezzi, parenti e sorprese.
 
Hogwarts, Sala Grande, ora di cena.


È risaputo che ad alcune persone il nervosismo fa chiudere lo stomaco, mentre ad altre fa venire un appetito inconcepibile per gli altri comuni esseri umani.
Jess Wilmer apparteneva senza dubbio a questa seconda categoria.
Fortunatamente, il suo metabolismo assorbiva tutto ciò che ingeriva talmente bene che non rischiava nemmeno di ingrassare.
L'unica cosa che rischiava Jess, in realtà, era di strozzarsi con qualcuno dei bocconi che mandava giù con tanta veemenza, accompagnando ogni ingoio con un diverso insulto rivolto alla professoressa di Difesa Contro Le Arti Oscure o a se stesso.
“Maledetta Umbridge”, pensò, mandando giù un boccone di peperone grigliato.
“Stupido Jess”, ribatté una vocina irritata nella sua mente, mentre lui tentava di ingoiare un pezzo di pollo sin troppo grosso per la sua gola “che idiota che sei”.
Rischiò seriamente di soffocarsi un paio di volte.
Per fortuna, un bicchiere di succo di zucca era sempre alla sua portata.
Susan Bones lo osservava con le labbra piegate in un sorrisetto a metà tra il disgustato e il divertito.
«Dove la metti tutta quella roba, Jess?», gli domandò, curiosa.
In quel momento, Jess l'avrebbe senz'altro fulminata con lo sguardo, se solo Susan non fosse stata una delle ragazze più buone della Casa di Tassorosso.
E poi, non poteva darle torto per quell'osservazione.
Jess era un ragazzo decisamente molto alto, persino più della media, ma magro e sottile come un piccolo giunco.
Sua madre gli diceva sempre scherzosamente di ricordarsi di infilare qualche sasso nelle tasche della divisa, tanto per evitare che il vento se lo portasse via.
«Non ne ho idea», rispose, placido e pacifico come sempre, porgendole una focaccina farcita che fino a quel momento non aveva ancora toccato «vuoi assaggiare? È l'ultima».
Susan gli sorrise teneramente e scosse il capo.
«No, grazie», disse, amichevole «ho già mangiato abbastanza».
Jess sorrise di rimando ed abbassò lo sguardo sul suo piatto, come a cercare di decidere quale manicaretto mandare giù adesso.
Improvvisamente, però, non aveva più così tanta fame.
Al contrario di parecchia altra gente, Susan Bones aveva sempre avuto un effetto calmante su di lui, quasi meglio di una tazza di tè caldo o di una camomilla.
Si stiracchiò lievemente, sentendosi sin troppo sazio.
Si appuntò mentalmente di ricordarsi di ringraziare Susan.
Se avesse continuato a mangiare di quella lena, probabilmente avrebbe passato la notte a lamentarsi per il mal di stomaco.


Poco lontano, Dennis Fawley squadrava le posate distese sulla tavola blu e bronzo di Corvonero come se potessero attaccarlo da un momento all'altro.
Inutile.
Erano anni che frequentava quella scuola e ancora non si era abituato al sobrio clima “essenziale” che avvolgeva l'intera struttura.
A casa Fawley, le cose andavano sempre troppo diversamente da come andavano ad Hogwarts, e Dennis non poteva fare a meno di sentirsi spesso a disagio in entrambi i luoghi.
Lì alla scuola era tutto così dannatamente semplice al confronto con casa sua, che Dennis finiva svariate volte col chiedersi se i suoi genitori non avrebbero preferito che lui andasse a domandare a Silente di rendere la scuola più “di classe”.
Insomma, ad Hogwarts non esistevano cene di gala a cui doversi presentare vestiti come un branco di idioti.
Non c'erano incontri con famosi personaggi illustri di cui avere il timore – Silente a parte, ma lui non contava –.
Niente dozzine di forchette e coltelli in fila di fianco al piatto con cui arrovellarsi il cervello per decidere quali andassero utilizzati per tagliare il prosciutto e quali per il salame.
Certo, a lui andava benissimo così, ma ai suoi genitori?
Aveva sempre un terrore infinito di deluderli e di non sembrare all'altezza dell'alta reputazione della sua famiglia, nonostante loro paressero più che soddisfatti del suo rendimento scolastico.
«Den, mi passi la salsa, per favore?», lo interruppe Cho Chang, indicando una zuppierina posata vicina a lui.
«Subito», fece Dennis, riscuotendosi dai suoi pensieri.
Afferrò la ciotola e la passò nelle mani della ragazza.
«Grazie», disse Cho, gentile, abbozzando un sorriso delicato.
«Prego», rispose Dennis, rivolgendole un sorrisetto tirato.
A casa sua, avrebbero detto qualcosa del tipo “di grazia, ti dispiacerebbe passarmi la salsa, caro?”.
Cho corrucciò le sopracciglia.
«Stai... stai bene, Dennis?», domandò.
Dennis si affrettò ad annuire di nuovo.
«Sì, sì», farfugliò poi.
Cho si voltò con poca convinzione, continuando a lanciargli, di tanto in tanto, qualche occhiatina preoccupata.


Rosaline Smith sedeva di fianco a Hermione Granger, ed entrambe erano impegnate a tentare di convincere Harry Potter a non prendersela con il mondo intero solo perché il mondo intero se la stava prendendo con lui.
Harry era talmente nervoso da quando aveva rimesso piede a scuola, che a Rosaline veniva continuamente voglia di picchiarlo.
O di abbracciarlo e dirgli che tutto si sarebbe sistemato.
In tutta sincerità non lo sapeva davvero neanche lei.
Fortunatamente per la salute di Harry, Rosaline non era una ragazza violenta.
«Quello che non capisco», prese a dire Harry «è perché tutti hanno creduto a questa storia due mesi fa, quando l'ha raccontata Silente».
La sua voce vibrava lievemente, e Rosaline fu certa che sarebbe scoppiato a piangere da un momento all'altro, o per la rabbia o per la delusione.
Rosaline e Hermione si scambiarono un'occhiata d'intesa.
«Senti, Harry», disse Hermione, stropicciandosi le dita con un certo nervosismo «non è andata proprio così».
Rosaline annuì con le bionde sopracciglia corrucciate, e Harry mise su un'espressione confusa ed interrogativa.
«Che state dicendo?», domandò alla fine.
Rosaline guardò di nuovo Hermione.
«Quando sei riapparso con Cedric...», sussurrò piano per non farsi sentire «avevamo solo la tua parola e quella di Silente, nessuno di noi ha visto che cosa è successo nel labirinto».
«Abbiamo detto la verità!», replicò Harry, alterandosi appena.
Hermione gli fece cenno di fare silenzio.
«Sarebbe carino se tu la smettessi di aggredirci», disse «perché, nel caso tu non te ne fossi accorto, io e Rose siamo dalla tua parte».
Rosaline inarcò eloquentemente un sopracciglio, felice che, finalmente, Hermione si fosse decisa a farglielo notare.
Stava cominciando a far saltare i nervi persino a lei, cosa che ben poche persone riuscivano a fare.
«Mi dispiace», bofonchiò Harry, mesto «scusate».
«Non preoccuparti, Harry», sorrise Rosaline, gentilmente «sono sicura tutti hanno solo bisogno di un po' di tempo, poi capiranno che c'è qualcosa che non va».
«Grazie, Rose», sussurrò Harry.
Rosaline, per tutta risposta, fece spallucce ed abbozzò un lieve sorriso.


Grimpow ascoltava distrattamente i commenti dei ragazzi in Sala Grande, meditando accuratamente su ogni singola parola che gli giungeva alle orecchie.
A quanto pareva, Harry non stava riscuotendo un grande successo nella scuola, e Rex ed Elizabeth si erano tuffati di pancia in un mare di problemi.
Grimpow era rimasto particolarmente colpito dalla reazione avuta da Harry, né tanto meno da quelle di Rex ed Elizabeth.
Tutti e tre avevano preso la scomparsa di Cedric come un gran colpo basso.
Neanche la rispostaccia di Susan Chandler l'aveva stupito; lei sapeva essere schifosamente sincera ed irritante, quando voleva.
Ciò che lo lasciava senza parole, era come il Ministero fosse riuscito ad infiltrarsi tanto bene nelle menti dei ragazzi e degli adulti, piegando le loro convinzioni e le loro consapevolezze fino a farli arrivare a credere a tutto ciò che usciva dai loro giornali.
La Gazzetta del Profeta, poi, era il peggiore ed infamante di tutti.
Grimpow non aveva idea di come fossero riusciti a far credere alla gente che Silente fosse un pazzo visionario, quando fino a soli pochi giorni prima era considerato uno dei più grandi maghi dell'intero Mondo Magico.
«Grimpy?».
Al sentirsi chiamare in quel modo, Grimpow ebbe un sussulto.
Non solo perché quello era il soprannome che gli aveva affibbiato sua sorella, ma soprattutto perché era uscito dalla bocca di Pansy Parkinson.
Grimpow si voltò lentamente nella sua direzione ed incrociò le braccia al petto.
La ragazza dalla faccia da carlino stringeva tra le mani una bella busta colorata, e sorrideva sornione.
Grimpow arricciò il naso e si aggiustò gli occhiali, preparandosi psicologicamente alle prese in giro che senza dubbio gli avrebbe rifilato quella strega della Parkinson.
«Dammi la lettera, Parkinson», proferì, in un tono che non ammetteva repliche.
Pansy sorrise melliflua, facendosi aria con la busta.
«Certo, Grimpy», ridacchiò.
Grimpow fece cenno di alzarsi, e Pansy alzò la busta sopra la sua testa.
Ernie Macmillan gliela strappò di mano dal dietro.
«Piantala, Pansy», sbuffò, riconsegnando la lettera nelle mani di Grimpow.
Pansy mise su un ridicolo broncio.
«Grazie Ern», disse Grimpow in uno sbuffo, nascondendo la busta nella tasca della divisa.


Elizabeth Evans non aveva molto appetito, quella sera.
Non che il banchetto fosse meno sostanzioso o meno attraente del solito, semplicemente non riusciva ancora a concepire l’idea di dover passare la successiva settimana in punizione con Dolores Umbridge solamente per aver espresso una sua opinione.
Davvero era un fatto tanto grave credere alle parole di Albus Silente e di Harry Potter piuttosto che a quelle del Ministero?
Silente era sempre stato un uomo molto saggio, ed era un pilastro fondamentale all’interno dell’intero Mondo magico.
Per non parlare di Harry. Harry c’era quando Cedric Diggory era morto.
Lo stesso non si poteva dire per il Ministero, che invece parlava con due galeoni pigiati sugli occhi, nella speranza che, se avesse detto che Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato non era tornato, allora non sarebbe tornato sul serio.
Illusi.
Elizabeth scosse il capo a quei pensieri.
Peccato che non fosse l’unica che continuava a rimuginare sull’accaduto: la Sala Grande pullulava di borbottii e osservazioni al riguardo.
«Elizabeth, Rex e Harry... ma davvero?», bisbigliavano ovunque, guardando a turno ognuno dei tre «e perché?».
«Qualcuno dice che sono impazziti o che hanno fatto loro il lavaggio del cervello», rispondevano altri in un sussurro.
Elizabeth sbuffò risentita, infilzando con ben poca delicatezza una cotoletta.
Non tentavano nemmeno di tenere nascoste le loro considerazioni e i loro pensieri, quasi come se sperassero che Harry sbottasse di nuovo per poter vedere dal vivo la scena e compararla con i racconti degli amici.
“Che branco d’imbecilli”, pensò.
Erano più simili al Ministero di quanto non volessero ammettere.
Eppure, era così chiaro che l’Oscuro Signore fosse risorto che Elizabeth non riusciva a comprendere come fosse possibile che la maggior parte del Mondo Magico fosse ancora convinto del contrario.
Chi altro poteva uccidere degli studenti durante un Torneo?
Chi altro poteva desiderare di attaccare dei Babbani?
Chi altro poteva piegare al suo volere un manipolo di Dissennatori?
Lui, Lui e nessun altro.
Elizabeth ne era certa com’era certa del suo nome.
Non avrebbe di certo parlato di quell’argomento di fronte a tutti se non avesse saputo ciò che diceva.
Per Godric, non era così stupida.


Caris era talmente impegnata con il suo lavoro da prefetto che non si sarebbe di certo accorta dei pettegolezzi che circolavano intorno a lei, se solo questi non fossero stata la causa maggiore delle sue ammonizioni.
«L'ho sempre detto, io, che i Grifondoro sono solo un branco di spavaldi», stava dicendo qualcuno in quel momento.
«Già, sono sicuro che hanno fatto quella scenata solo per mettersi in mostra», rispose il ragazzo vicino a quello che aveva parlato per primo.
Caris affondò il coltello nel suo arrosto, seriamente sforzandosi di non dare ascolto a quanto i suoi compagni andassero dicendo.
Forse era vero, la maggior parte dei Grifondoro amava trovare qualunque scusa per farsi notare, ma Harry, Rex ed Elizabeth non erano mai appartenuti a quella categoria.
Caris avvertì una vena pulsarle nervosamente al lato della testa, segno che stava per perdere la pazienza.
Pregò tutti e quattro i Fondatori che i suoi compagni la piantassero di atteggiarsi come un branco di razzisti sospettosi.
Ovviamente, le sue preghiere non vennero esaudite.
«Per non parlare di quella Chandler...», continuò il ragazzo, incurante delle occhiatacce di fuoco che Caris gli indirizzava di tanto in tanto.
«Che vuoi farci, è pur sempre una Serpeverde», ridacchiò il suo amico, indicando con il pollice la tavola verde e argento «lo sai come sono quelli di Serpeverde... tutti uguali».
Caris prese un profondo respiro, afferrò un coscio di pollo e lo lanciò dritto in faccia ad uno dei due pettegoli.
«E questo per cos'era?!», si lamentò il ragazzino, tentando di rimediare al pasticcio che il prefetto aveva combinato sul suo viso, strofinandosi la faccia con uno dei tovagliolini.
Caris incrociò le braccia, mettendo su la stessa aria che assumeva la professoressa McGranitt un attimo prima di una delle sue famose strigliate.
«Avete già dimenticato che cosa ha detto il Cappello Parlante giusto ieri?», domandò con un filo di acidità nella voce.
I due ragazzini si scambiarono un'occhiata confusa.
«Ehm...», risposero in coro, esitando come se avessero il terrore di scatenare una qualche reazione nel prefetto.
Caris sbuffò sonoramente.
«Se non ve lo ricordate, allora ve lo dico io», proferì «ha detto che dobbiamo restare tutti uniti, che dobbiamo aiutarci a vicenda e sostenerci il più possibile; non di andarcene in giro per la scuola a sparlare di questo Grifondoro, quel Serpeverde o di quell'altro Tassorosso. Cosa, nelle parole “solida amicizia”, non riuscite ad afferrare?».


Robin aveva una gran voglia di andarsene dalla Sala Grande e non dover più essere costretta ad ascoltare gli antipatici discorsi provenienti dagli studenti vicini.
Un conto era non credere a quanto Harry Potter andasse dicendo, un altro era sparlare di lui alla mensa come se non fosse presente, per il solo gusto di farlo arrabbiare di nuovo.
Robin passò in rassegna con lo sguardo l'intera tavola, cercando di distrarsi con il cibo.
«Tutto questo è ridicolo», disse Padma Patil, a mezza voce, poggiando il viso sul palmo della sua mano.
«Cioè?», chiese Robin, allungandosi per afferrare una zuppiera colma d'insalata.
Era vegetariana da quando aveva visto per la prima volta un macello.
Scenario da non ripetere.
Mai.
«Quello che sta succedendo», sbuffò Padma, guardandosi intorno con fare infastidito «quello che dicono di Harry e tutto il resto».
Robin lanciò un'occhiata al tavolo di Grifondoro, cercando Harry con lo sguardo.
«In un certo senso hanno ragione a dubitare di lui», disse «è tutto così strano, confuso e...».
Robin lasciò cadere il discorso e si strinse nelle spalle.
«Macché», disse Padma, accasciandosi sul tavolo «è solo molto complicato, io penso che Harry abbia ragione. Tu-Sai-Chi è tornato e non si farà alcuno scrupolo ad attaccare di nuovo».
«Io non so a chi credere», bisbigliò Robin, dondolando le gambe «voglio dire, è il Ministero che dice che Tu-Sai-Chi non è tornato, non un ragazzino di quindici anni».
Padma la guardò male.
«Ma come?», disse «dobbiamo credere a Silente, è ovvio».
«Non è così ovvio, Padma», ribatté Robin «io voglio bene ad Harry e sono sicura che non sia pazzo, però non c'era nessuno con lui nel labirinto, nessuno sa che cosa è successo esattamente quando era con Cedric».
Padma abbassò lo sguardo sul suo piatto, corrucciando le sopracciglia e Robin sorrise con gentilezza.
«È solo una questione di razionalità», disse poi «se mettessi però da parte la razionalità, anche io sarei dalla parte di Harry. Alla fine è sempre lui quello che ha ragione».
Padma la guardò interrogativa.
«Ma sì, tipo al secondo anno, quando sentiva quelle voci... lo sai, alla fine c'era un basilisco in giro per la scuola e lui era un rettilofono», osservò Robin.


Rex, fortunatamente per tutti i ragazzi presenti in Sala Grande, possedeva quell’invidiabile talento chiamato “infischiarsene dei pareri altrui”, altrimenti qualcuno sarebbe sicuramente arrivato a fine giornata con un occhio nero.
Mangiava tranquillo, infilandosi nel piatto i suoi cibi preferiti e chiacchierando amabilmente con i suoi compagni di Grifondoro, distraendosi solo di tanto in tanto per lanciare occhiolini a destra e a manca quando si accorgeva che lo stavano osservando o se sentiva qualcuno fare il suo nome.
Non gli piaceva davvero tutta quell’attenzione, ma se si fosse mostrato persino giù di morale o incline ad una sfuriata, di sicuro gli altri si sarebbero divertiti ancor di più a tentare di farlo esplodere.
«Grazie, Rex», bofonchiò d’un tratto Harry, volgendosi verso di lui, visibilmente infastidito dai commenti degli altri studenti «per oggi, intendo, con la Umbridge».
Rex fece spallucce.
«Figurati», disse, gentile e sorridente «ho detto solo quello che pensavo».
Harry sorrise di rimando, contagiato dal perenne buon umore di quel ragazzo dai disordinati ricci dorati.
«E poi, in questo modo potrò vedere più spesso...», continuò Rex, facendo vagare le iridi grigio-tempesta verso la tavola di Serpeverde.
Harry inarcò un sopracciglio, seguendo lo sguardo dell’amico.
Per un momento, nonostante sapesse perfettamente che quei due non sarebbero mai potuto essere niente di diverso che amici, Harry aveva pensato che Rex avrebbe detto “Elizabeth”.
In fondo, erano entrambi svegli, intelligenti, allegri e sempre pronti a tirar fuori una battuta anche nei momenti meno adeguati.
Erano entrambi coraggiosi come ben poche altre persone e sempre pronti a dare una mano a chiunque ne avesse bisogno.
Rex si era persino avvicinato molto a Jess Wilmer quando Cedric Diggory era stato ucciso, ed Elizabeth aveva cercato di risollevare il morale a tutte le persone che erano state turbate da quell’avvenimento.
Forse, si disse Harry, ben pensandoci, si somigliavano troppo per stare insieme “in quel senso”.
Il loro rapporto gli ricordava parecchio quello che avevano lui e Hermione.
Ed Harry non si sarebbe mai neanche sognato di baciare Hermione.
Rex aggrottò appena le sopracciglia.
«Credo proprio che dovrei essere io a ringraziare te», disse, inclinando il capo di lato, mentre altri studenti si voltavano a guardarlo e cominciavano a bisbigliare intercettando la destinataria della sua attenzione.


Se c’era una cosa che a Susan Chandler dava fastidio più delle altre, era sentirsi gli sguardi della gente puntati addosso.
Trovarsi al centro dell’attenzione non era mai stato il suo più grande desiderio, anzi, avrebbe pagato fior fiori di galeoni per potersene andare in giro con un mantello dell’invisibilità appuntato sulle spalle come quel ragazzo nelle fiabe di Beda il Bardo.
Il fatto che si cacciasse nei guai un giorno sì e l’altro pure, purtroppo, non aiutava molto: all’interno di Hogwarts le voci si spargevano in maniera incredibilmente rapida.
La strega infilzò una polpetta di riso con una forchetta e giocherellò col cibo senza avere davvero intenzione di mangiare, maledicendo la sua stessa boccaccia.
Avrebbe mai imparato a starsene in silenzio e a fare quello che le veniva detto di fare?
Probabilmente no.
Era pur sempre Susan Chandler, e lei non faceva mai quello che doveva senza replicare almeno una volta.
Le cadde l’occhio sul suo polso destro, sul quale spiccava un livido dal colore violaceo.
Al ricordo di come se l’era procurato, Susan abbandonò definitivamente la sua cena, e di nuovo si disse che doveva smetterla di comportarsi in quella maniera avventata.
Poche ore prima di partire per la scuola, infatti, aveva avuto una lite tremenda con Luke, il suo tutore legale -o meglio, il suo patrigno -, al termine della quale si era ritrovata inchiodata a una parete di casa, immobilizzata dalla stretta ferrea del mago.
Se chiudeva gli occhi, a Susan pareva di sentire ancora il puzzolente fiato caldo dell’uomo sfiorarle l’orecchio e sussurrarle quel viscido “non hai scelta, Susie”.
La ragazza tentò di reprimere il lungo brivido gelido che stava tentando di attraversarle la colonna vertebrale, senza grande successo.
Non ricordava esattamente da quanto tempo Luke le mettesse le mani addosso o tentasse di far infiltrare lei e suo fratello nelle file di Voldemort. Probabilmente, da quando sua madre, Shannon Selwyn, mollò il padre naturale di Susan e cominciò a frequentare Luke, nel periodo della grande ascesa al potere dell’Oscuro signore.
Sia Shannon che Luke, a quei tempi, facevano parte dello schieramento dell’Oscuro Signore, e ne erano servi fedeli e appassionati, quasi al pari di Bellatrix Lastrenge. Quando Voldemort scomparve, gli Auror rilasciarono Luke per mancanza di prove, ma Shannon non riuscì a dimostrare la sua innocenza e, dopo tre anni dalla scomparsa di Voldemort, fu definitivamente internata alla Prigione di Azkaban.
Susan e suo fratello conoscevano il volto della madre solo grazie alle tante fotografie della donna sparse per la casa in cui erano costretti a vivere in compagnia di quel verme.
In ogni caso, che Lui fosse tornato davvero oppure no, Susan sapeva che non sarebbe mai passata dalla parte di Voi-Sapete-Chi.
Certamente non se questo avrebbe reso felice Luke.


Stephen non aveva mai pensato che una cena in Sala Grande potesse essere tanto fastidiosa e confusionaria.
Si concentrò più che poté sul discorso in cui si stavano dilungando Justin e Susan Bones riguardo al tema che avrebbero dovuto scrivere per Erbologia, ma i sussurri sprezzanti dei Serpeverde e delle altre case continuavano a distrarlo.
Fortunatamente Zara, il suo allocco, planò in Sala Grande stringendo tra le zampe una busta.
Un po’ meno fortunatamente, l’animale ruzzolò sul tavolo e finì a pancia all’aria.
«Per Tosca...», esclamò Ernie Macmillan, portandosi una mano al cuore «sono troppo giovane per prendermi un infarto».
Vivienne, la sorellina di Stephen, ridacchiò e staccò la lettera dalle zampe dell’allocco, che si rimise in piedi sbattendo le ali.
Un paio di piume finirono sul pollo arrosto, e nessuno, per quella sera, lo toccò più.
«È mamma», disse Vivienne, spiegando la pergamena con un gran sorriso stampato sulle labbra «vuoi leggere?».
Stephen annuì, recuperando anche lui un po’ di vitalità e allunando un braccio per permettere a Vivienne di passargli la lettera.
La scrittura di sua madre era chiara, elegante e pulita come al solito e la carta della pergamena profumava di rosa e gelsomino.
Stephen ne inspirò l’odore con un po’ di nostalgia, poi cominciò a leggere.
Miei amati Jules e Vì”, recitava la prima frase.
Stephen sorrise lievemente.
Solo sua madre lo chiamava “Jules”, storpiando così “Julius”, il suo secondo nome. “Siete partiti da così poco e già sento la vostra mancanza.
Così stamattina ho deciso di scrivervi, nella speranza che mi rispondiate presto ed io possa avere vostre notizie il prima possibile.
Ho saputo che sei entrata nella nobile Casa dei Tassorosso anche tu, Vì.
Sono molto fiera di te, tesoro.
E sono fiera anche di te, Jules, per il buon lavoro da prefetto che starai sicuramente svolgendo.
Ho deciso che comprerò a entrambi un bel regalo e ve lo spedirò con la prossima lettera.
Nel frattempo, mi raccomando, non cacciatevi nei guai e state molto attenti.
Non salite mai al terzo piano.
Vi voglio bene,
Mamma
P.S: vi saluta papà”.


«Insomma, raccontare in giro una frottola è un conto, ma urlare contro un insegnante...».
«Uhm-uhm, sì, certo, hai ragione».
«Non credevo che l'avrebbero fatto sul serio...», stava dicendo Marcus, di fianco a Nashira, gesticolando visibilmente «Na', ma ci stai ascoltando o no?».
«Sì, sì».
Marcus sembrava vagamente irritato, ma Nashira non gli diede peso, concentrata com'era ad auto-convincersi che il cioccolato faceva schifo e anche ingrassare.
Prese un profondo respiro e cercò di ignorare la deliziosa fetta di torta che continuava a fissarla e a implorarla di mangiarla, distraendola dalla conversazione che stava sostenendo con Marcus Belby e Terry Steeval riguardo Harry Potter e le sue osservazioni fuori luogo.
«Ehm... Nashira? Ci sei?», fece Marcus, corrucciando preoccupato le sopracciglia.
“No”, si disse la ragazza, guardando la torta con un occhio aperto e uno chiuso “non cederò alla tentazione. Io sono forte”.
E invece cedette.
Eccome se cedette.
Cedette alla grande.
Allungò una mano verso il dolce e se lo posizionò nel piatto, osservandolo con una certa stizza e un vago desiderio.
«Dannato, sexy cioccolato», disse in sospiro teatrale.
La sua forchetta affondò nella morbida pastella scura della torta, e Nashira se la portò alle labbra, assaporando il buon dolce sapore del cioccolato.
Terry sorrise, stralunando gli occhi e dandole un colpetto contro una spalla.
«Tante grazie per la considerazione, Mrs Betria», disse, in una risatina esasperata.
Nashira sembrò cadere dalle nuvole, come se si fosse accorta della presenza degli amici solo in quel momento.
«Non hai ascoltato una singola parola di quello che io e Marcus abbiamo detto fino ad ora, non è vero?», domandò il ragazzo, inclinando un sopracciglio verso l’alto.
Nashira lo guardò negli occhi.
«Mmh», disse, a bocca piena, facendo cenno di “sì” con la testa.
«Certo, e io sono un Elfo Domestico fuggito dalle cucine», fece Terry, ironico.
Marcus rise, osservandola divertito e scuotendo il capo, per poi voltarsi in direzione di Terry Steeval e continuare a ridere insieme a lui.
Nashira spolverò la sua torta in un baleno e si ripulì gli angoli della bocca con il tovagliolo.
No, il cioccolato era ufficialmente ancora tremendamente delizioso.


A Johanna Watson i pettegolezzi non erano mai piaciuti, e probabilmente non l’avrebbero mai fatto.
Sedeva rigidamente sulla panca al tavolo dei Tassorosso, con Jess che si abbuffava da un lato e Stephen che discuteva con Justin dall’altro, intenta a tentare di reprimere il fastidio che provava nei confronti di tutti quegli studenti che parlottavano incessantemente della reazione di Harry Potter durante la lezione della Umbridge.
A questo proposito, ancor meno dei pettegolezzi le piacevano le spie.
Alla fine delle lezioni, la Umbridge aveva raccomandato a tutti gli studenti di farle rapporto ogni volta che qualcuno diceva che Voi-Sapete-Chi era tornato.
Era estremamente chiaro cosa quella donna stesse cercando di fare, e Johanna si stava arrovellando il cervello per tentare di capire che cosa lei potesse fare esattamente per impedirle di coinvolgere il Ministero negli affari di Hogwarts.
Ma Johanna sapeva bene, in fondo, che il Ministero era già un passo avanti a lei e che anche se avesse saputo cosa e come fare, non sarebbe comunque mai riuscita a mettere in atto i suoi piani.
Johanna non era quel tipo di ragazza che si ribellava o che alzava il tono della voce quando qualcosa non le andava bene.
Era più quel genere di persona che accettava i comportamenti e le decisioni degli altri senza farsi troppi problemi e stando sempre ben attenta a non ferire i loro sentimenti.
La lunga cicatrice ruvida e sottile che spiccava sulla sua pelle candida al di sotto della manica della divisa ne era la perfetta prova, nonostante lei ancora non riuscisse a dare a suo padre la totale colpevolezza di quell’atto.
Era risaputo che Karl Watson avesse perso il lume della ragione quando la madre di Johanna era scomparsa dalla loro vita, finita chissà dove e forse morta.
L’aveva amata così tanto, Karl, che Johanna riusciva a comprendere lo smarrimento in cui si doveva essere trovato il padre quando era rimasto da solo, con una figlia di appena quattro anni da accudire da solo.
E capiva anche perché dovesse uscire la sera e bere fino allo stordimento, fino a non ricordare nemmeno il suo nome o a riconoscere il volto di sua figlia quando qualcuno riusciva a riaccompagnarlo a casa.
Capiva quanto l’uomo avesse bisogno di sfogarsi e di incolpare qualcuno per quella prematura scomparsa, e per questo Johanna non ribatteva mai, nemmeno quando la picchiava o la insultava, spaventandola a morte.
Lei sapeva che, in un angolino suo cuore e della sua mente, suo padre le voleva ancora bene. Per questo motivo si ostinava a tornare da suo padre ogni volta che poteva e a non far trapelare quel suo segreto.
L’aveva rivelato solamente a Jess, perché di lui sapeva di potersi fidare ciecamente.


Evelyn passò la serata seduta sopra una branda in Infermeria, con Damon accomodato sulla poltroncina al suo fianco che rideva come un idiota ogni volta che lei soffiava velenosa qualche sibilo incomprensibile.
Come sempre, l’arrabbiatura di Damon era passata rapida come un sospiro.
Quella di Evelyn non si sarebbe affievolita neanche tra una settimana, un mese o un anno.
«Darei qualunque cosa per essere un rettilofono, in questo momento, e poter sentire tutte le offese che stai tirando a Tiger e a Goyle», sorrise il ragazzo, quando la nuovissima lingua biforcuta di Evelyn fece capolino tra le sue labbra per l’ennesima volta «scommetto che ne hai inventata persino qualcuna che prima non esisteva».
«Ffffhhhsss», lo minacciò Evelyn, con stizza.
Damon rise di nuovo, poggiando il mento sul palmo delle mani.
«Adorabile», disse, ridacchiando.
Evelyn stralunò gli occhi verdi con insofferenza.
E quello doveva essere il suo migliore amico? Sul serio?
«Ti rimanderemo in dormitorio quando la tua lingua tornerà alla normalità, d’accordo? Ci metterà solo un paio d’ore, non preoccuparti, non è necessario neanche utilizzare la magia per risistemarla», intervenne Madama Chips, osservando il naso pericolosamente arricciato di Evelyn «Laslow, tu dovresti andare adesso, invece».
Damon annuì, si alzò e salutò Evelyn con un cenno della mano, raccomandandosi di “fare la brava” ed uscendo lentamente, con passo silenzioso e visibilmente studiato per risultare disinvolto ed elegante al contempo.
La ragazza incrociò le braccia al petto, offesa e spazientita, per poi lasciarsi cadere contro il cuscino e sibilare ben distintamente nel silenzio della stanza.
Madama Chips sparì dietro qualche tenda, ed Evelyn si rigirò nel letto, voltandosi dalla parte opposta.
Avvertiva ancora una vena pulsarle nervosamente contro una tempia, segno che un anno non sarebbe affatto bastato per farla tornare ad essere di buon umore.
Pensandoci bene, solamente uccidere Tiger e Goyle con le sue stesse mani l’avrebbe fatta sentire di nuovo in pace con se stessa.
“Si può fare”, si disse, mordendosi il labbro inferiore per evitare che le sfuggisse un ulteriore sibilo incontrollato.
Giurò a se stessa che, appena fuori dall’Infermeria, avrebbe trovato quei due cretini e li avrebbe spediti dritti all’altro mondo.
Non poteva permettere a quei due di metterle i piedi in testa in quella maniera.
Aveva un orgoglio da difendere, lei, per Salazar!
Era raro che Evelyn si alterasse, ma quando accadeva... beh, una Evelyn Morgan arrabbiata poteva essere più pericolosa di Draco Malfoy e Susan Chandler messi insieme.



 
Hogwarts, Sala Comune Corvonero,
dopo cena


La maggior parte dei ragazzi di Corvonero aveva terminato i propri compiti in pochi istanti.
Solo alcuni erano troppo distratti per fare in fretta o erano stati troppo occupati durante il pomeriggio per averli finiti prima.
Gli altri si dilettavano nei loro hobby o scrivevano lettere ai loro amici e parenti, oppure chiacchieravano tra di loro rivangando bei momenti passati
Grimpow e Robin, ad esempio, erano impegnati in una combattutissima partita a Scacchi dei Maghi.
«Pedone in D9», proferì Grimpow, con le mani intrecciate sotto il mento, concentrato sulla posizione scomoda della sua regina «che poi, proprio non capisco come facciano certe persone a considerare noioso questo gioco».
Così dicendo, lanciò una rapida occhiata eloquente a Caris, comodamente accoccolata su uno dei comodi divanetti che occupavano la sala e impegnata a terminare la pergamena assegnata da Piton sulla Pietra di Luna.
La regina di Grimpow perse venne decapitata con ben poca finezza dal cavallo di Robin.
Caris stralunò gli occhi, abituata alle frecciatine dell’amico.
«Sono estremamente noiosi» replicò «e violenti, per giunta».
Dennis, allungato sul tappeto in compagnia di Cho Chang e Marietta Edgecombe, tirò su il naso dai suoi appunti e, anche lui, rifilò un’occhiataccia a Caris.
«Vuoi scherzare?», domandò, allibito «proprio perché sono violenti non possono essere noiosi, giusto?».
«A me piacciono», intervenne bonariamente Cho, scribacchiando qualcosa su un pezzettino di pergamena.
Caris stralunò gli occhi, implorando silenziosamente l’aiuto di Nashira che, in tutta onestà, se ne stava fregando altamente di ciò che accadeva all’interno del dormitorio.
Era seduta su una sedia dall’aria scomoda appuntata vicino alla finestra, con il viso sprofondato nelle mani e l’espressione persa nel vuoto, come quella di chi ha ben altri pensieri ad affollargli la mente e non ha la minima intenzione di scacciarli.
Robin ridacchiò, osservando con attenzione la disposizione ottimale dei pezzi degli scacchi di fronte a lei.
Stava per vincere contro Grimpow, cosa più unica che rara.
«I gusti son gusti...», disse «pedone in E5».
Il pedone di Robin tranciò di netto il capo di quello di Grimpow, che si lamentò indignato.
«Ecco cosa intendevo», bofonchiò Caris, mettendo finalmente un punto alla lunga pergamena «violento».
«Ma no!» esclamò invece Grimpow, affranto «quello mi serviva!».
Un attimo dopo, una delle torri di Robin venne abbattuta, ed i suoi pezzi si sparsero sulla scacchiera.
Dennis lanciò loro un'occhiata, mentre il re di Grimpow veniva lentamente circondato.
«Torre in C7», bofonchiò il rahazzo, abbattuto.
«AH!», esclamò Robin, con gli occhi che le brillavano, quando la sua regina bloccò ogni via di fuga al re di Grimpow «scacco matto! Ho vinto».
«Oh, per il pizzetto di Salazar», disse Dennis, con aria sorpresa «Grimpow non è invincibile... devo dirlo a qualcuno!».
Grimpow lo guardò in tralice, assottigliando confusamente lo sguardo e scuotendo appena il capo.
«Ma che ti sei fumato? Algabranchia?», domandò.
«Suvvia, Grim», riprese Robin «si vince e si perde, c’est la vie».
«Da quando conosci anche il francese, tu?», chiese Dennis, sorridendo con un solo angolo della bocca.
«Da quando vinco contro Grim», fece lei, allegra, come se fosse la risposta più logica.
Dennis scosse il capo, tornando a studiare insieme alle altre due e bofonchiando solo un lieve “qui sono tutti matti”, che fortunatamente intercettò solamente Cho.
Nashira si stiracchiò dalla sua postazione, per poi tornare a poggiare il mento sul palmo della sua mano con aria sognante.
«Che sta facendo?», domandò Caris, inarcando un sopracciglio in direzione della ragazza.
Dennis abbandonò definitivamente gli esercizi.
I suoi amici erano molto più interessanti dei suoi tentativi d'inventarsi sogni improbabili per far contenta la Cooman.
«Probabilmente sta pensando ai gemelli», rispose Robin, sorridendo «che carina».
«I gemelli?», fece Grimpow, a metà tra il confuso e il divertito «cioè, tutti e due?».
«Ma no, di più Fred», precisò Robin, in un sorrisetto.
In quel momento, Nashira sembrò riscuotersi e si voltò nella loro direzione.
Sobbalzò, sorpresa nel ritrovarsi puntati addosso gli sguardi di più di mezzo dormitorio, ed arrossì violentemente.
«Che... che c’è?», domandò, assottigliando lo sguardo color foglia.
Gli altri sorrisero angelicamente, come se non avessero la minima idea di che cosa Nashira stesse dicendo.
La ragazza incrociò le braccia, senza accennare a voler tornare del suo colore naturale.
«Perché mi fissate?», domandò, sospettosa.
«Perché sei carina», sorrise Robin.
Nashira inarcò un sopracciglio.
«Come no», replicò «che simpatici».

 
Hogwarts, Sala Comune Serpeverde,
dopo cena


Studiare in Sala Comune, per i ragazzi di Serpeverde, stava diventando la cosa più difficile da fare della loro intera vita.
C'era troppa distrazione.
Draco Malfoy senza maglietta ne era la maggior fonte per le ragazze, e lui si divertiva un sacco a esibirsi di fronte a quelle che sbavavano per lui. E, tra parentesi, quelle a sbavare erano parecchie.
«Hey, Chandler!», chiamò Malfoy, in un sorrisetto lezioso «oggi ho scoperto di avere un fan club. Ci sei tu a capo, per caso?».
Susan, allungata su uno degli eleganti divani verdi e argento con un libro dall'aspetto tutt'altro che magico davanti al viso, si voltò pigramente nella sua direzione.
«Se questo fan club riguarda la tua lenta e dolorosa morte, sì, ovvio», rispose, con sin troppa dolcezza nella voce «altrimenti no, mi dispiace, ma capeggio solamente la folla inferocita che ti aspetta nella tua stanza. Se fossi in te, non entrerei nel dormitorio maschile, questa sera».
Ad interrompere il loro battibecco, ci pensò l'intervento di Daphne Greengrass, che fece capolino da dietro una colonna con il libro di Pozioni stretto tra le dita.
Poggiò il tomo sopra un comodino e sorrise sornione a tutti i presenti.
«Giochiamo a Obbligo o Verità?», chiese.
Evelyn, appena riapparsa sulla soglia della porta del dormitorio, emise un gemito di sgomento.
Damon saltò su dal tappeto, dove si trovava fino a quel momento steso di fianco a Blaise Zabini, entrambi intenti a ripassare Babbanologia.
«Evelyn!», esclamò, con un gran sorriso dipinto sulle labbra «già guarita?».
Evelyn annuì in silenzio, affatto felice di essere rientrata giusto in tempo per sorbirsi uno dei soliti giochetti di Daphne e Pansy.
«Ma è roba da bambini», ribatté Blaise, ancora afflosciato sugli appunti di Babbanologia.
Daphne lo fulminò con lo sguardo.
«Roba da bambini? Vuoi scherzare?», replicò Pansy, incrociando le braccia «è il modo migliore per scoprire dettagli scottanti sulle vite delle persone».
Daphne annuì.
«Nessuno può mentire con Obbligo o Verità dei Maghi», disse, voltandosi in direzione di Susan, come a sottolineare il fatto che lei fosse una bugiarda nata.
«Io non gioco», sentenziò la bionda, avvicinandosi le pagine del libro al naso.
«Eccome se giochi», sbuffò Daphne, rubandole il libro dalle mani e tirandola per un braccio «giocano tutti. Vero, Evelyn?».
Evelyn, che ancora non si era mossa dall'entrata, si scambiò un'occhiata preoccupata con Damon.
Il ragazzo le sorrise divertito, e lei stralunò gli occhi.
Rimpiangeva quasi la scomoda branda dell'Infermeria.
Almeno là non c'erano orridi esemplari di Pansy Parkinson o di Daphne Greengrass nei loro habitat naturali.
«Non tutti», tirò là Evelyn, nella speranza di poter sfuggire alla tortura che avrebbe occupato le successive ore di tutti i ragazzi di Serpeverde.
Daphne agitò una mano in aria come se trovasse ridicola quell'idea.
«Forza, forza!», disse «mettiamo tutti in cerchio!».
Susan, riluttante, buttò giù le gambe dal divano, calpestando involontariamente - o forse non proprio “involontariamente” - Blaise.
Il ragazzo la guardò di traverso.
«Molte grazie, Susan», disse «davvero molto carino da parte tua».
Per tutta risposta, la bionda gli sorrise colpevole.
Blaise, ben consapevole che non avrebbe mai ottenuto delle scuse da parte sua, si sedette sbuffando di fianco a lei.
Evelyn prese silenziosamente posto tra Theodor Nott e Damon, su un altro divanetto posto vicino al camino.
Pansy, invece, si accovacciò ai piedi di Draco Malfoy, che ridacchiava divertito su una poltrona di seta verde smeraldo.
Daphne scivolò sul bracciolo accanto a Susan, sfregandosi le mani con fare entusiasta.
«Chi comincia?», domandò, un attimo dopo aver messo una bottiglia al centro del tavolinetto.
Evelyn si ritrasse talmente tanto che Damon cominciò a pensare che sarebbe scomparsa all'interno dei cuscini.
Pansy alzò la mano fino a sfiorare il meno di Draco con la punta delle dita.
«Bene, Pansy, comincia tu», disse Daphne.
Pansy si sporse verso il tavolo e fece ruotare la bottiglia che, caso fortunato, andò a puntare Evelyn.
«Non si può rigirare?», sbuffò lei, meritandosi l'occhiataccia che le diresse Daphne.
«Obbligo o verità?», chiese Pansy, con gli occhi le brillavano.
«Obbligo», rispose subito Evelyn, sempre più preoccupata.
Malfoy si piegò fino a sfiorare l'orecchio di Pansy e le sussurrò qualcosa in gran segreto.
Pansy ridacchiò malefica.
«Per una settimana, quando senti la parola “magia”, devi gridare “un Nargillo!”».
La ragazza affondò il mento nel palmo della mano destra, depressa.
Quante volte avrebbe sentito la parola “magia” all'interno di una scuola come Hogwarts?
Troppe. Decisamente troppe. L'avrebbero presa per pazza.
Controvoglia, Evelyn fece ruotare di nuovo la bottiglia, che questa volta puntò Theodor.
Dopo alcuni giri, inevitabilmente, toccò anche a Susan.
Blaise le diede una pacchetta incoraggiante su una spalla.
«Vendetta», le sussurrò, accennando persino un sorrisetto «questo è il karma, dolcezza».
Fortunatamente, Susan decise che ignorarlo fosse la cosa migliore da fare.
«Obbligo o verità?», domandò Damon.
Susan parve soppesare le due opzioni, poi, non riuscendo a decidere quale delle due le piacesse di più, si lasciò cadere contro il morbido schienale.
«Ehm... verità», dichiarò in fine, anche se suonò più come una domanda che un'affermazione.


 
Hogwarts, Sala Comune Grifondoro,
dopo cena


Harry sbuffò per la millesima volta in quella sera, osservando con occhio critico il mucchio di esercizi che ancora dovevano essere svolti.
Rex afferrò uno degli appunti di Hermione e lo comparò ai suoi, storcendo il naso quando incontrava qualche parola “incomprensibile” per il suo, per utilizzare le parole di Hermione, “cervellino atrofizzato”.
«Perché io ho scritto che... », cominciò il ragazzo, corrucciando le sopracciglia.
Hermione gli lanciò un'occhiata interrogativa, e la voce di Rex morì nella sua gola.
«No... no, sono un idiota!», si lamentò Rex, battendosi una mano sulla fronte.
Elizabeth scoppiò a ridere, sbirciando gli appunti dell'amico.
«Quelli puoi anche buttarli, caro», disse, ridacchiando.
Rosaline, dopo aver dato anche lei un'occhiata, si nascose il viso nelle mani.
«Per Godric... », fu il suo commento soffocato, mentre cercava di trattenere un risolino.
«Non riesco a concentrarmi nelle ore di Piton, okay?», cercò di giustificarsi Rex, appallottolando la sua pergamena.
«Certo che non ci riesci, se continui a fissare quella Serpeverde come un imbecille», lo prese in giro Elizabeth, sfoderando un sorriso dei suoi «sembri uno stoccafisso».
«Non la fisso», ribatté Rex, stralunando gli occhi grigi.
«La fissi», disse piano Rosaline, in un sorrisetto malizioso.
«D'accordo, forse ogni tanto la guardo», bofonchiò Rex «adesso possiamo tornare dalla Pietra di Luna che, a quanto pare, non ha niente a che fare con gli occhi caleidoscopici?».
Elizabeth scosse il capo, ridacchiando sommessamente insieme a Rosaline e a Harry.
Rex sbuffò di nuovo, ma poi tutta l'attenzione dei ragazzi fu per Hermione.
La ragazza fissava in silenzio davanti a sé.
«Ehm... Hermione?», fece Rosaline, perplessa.
Hermione non le rispose, ma assottigliò le labbra in una linea sottile.
Rosaline ed Elizabeth seguirono il suo sguardo, fino a incontrare le chiome fiammeggianti dei gemelli Weasley e quella bruna di Lee Jordan, seduti al centro di un gruppo di ragazzini del primo anno.
Elizabeth sbuffò, lasciandosi cadere contro lo schienale della sua sedia.
«Che stanno facendo?», domandò Rex, sospettoso.
«Quello che non devono», rispose Rosaline, corrucciando le sopracciglia bionde «come sempre».
«Cosa... cosa credete che siano quelle cose che hanno in mano?», fece Rex, indicando quelle che somigliavano a grosse caramelle bicolori che Fred distribuiva ai ragazzini.
«Non lo so, ma so cosa non sono», rispose Rosaline, tirandosi in piedi in contemporanea con Hermione, sotto lo sguardo curioso degli altri.
«Non Pasticche Vomitose, vero?», chiese Ron.
«Se vedo qualcuno vomitare, vomito anch’io», sussurrò Rex, orripilato.
«Oppure... Pasticcetti Svenevoli?», provò Harry.
In quell'esatto istante, i ragazzini che circondavano i gemelli e Lee persero i sensi, chi scivolando fino a terra e chi semplicemente afflosciandosi sul divano.
«Pasticcetti Svenevoli, direi», confermò Elizabeth, mentre Ron sprofondava nel divano, per niente intenzionato a svolgere il suo lavoro da prefetto.
«Hanno tutto sotto controllo», proferì il ragazzo.
«Basta così!» gridò in quel momento Hermione, raggiungendo Fred e George con un paio di ampie falcate.
«Sì, hai ragione» disse George, annuendo concorde «questo dosaggio sembra abbastanza forte, vero?».
Fred annuì, e Rosaline fu sinceramente tentata di picchiarlo.
«Non potete sperimentare quella roba sui ragazzini del primo anno», disse Rosaline, incrociando le braccia al petto.
«Cosa che, tra l'altro, vi ho detto proprio questa mattina», sbuffò Hermione.
«Li paghiamo!» obiettò Fred, indignato.
«Non me ne importa!», dichiarò Hermione «potrebbe essere pericoloso!».
«Sciocchezze», fece Fred, agitando una mano in aria.
«Calmatevi, voi due, stanno bene!» cercò di rassicurarle Lee, infilando dei dolcetti viola nelle bocche dei ragazzini.
«Si stanno già riprendendo, guardate», disse George.
Rex ed Elizabeth continuavano ad osservare con curiosità e sgomento al contempo.
Non sapevano esattamente se avere più paura per reazione di Fred e George, per le occhiate minacciose che sprizzavano gli occhi di Hermione e di Rosaline, oppure per le vittime dei gemelli e di Lee, che parevano estremamente confusi dall'accaduto.
«Non gliel'hanno detto, vero?», sussurrò Rex «dell'effetto di quella roba».
«No di certo», replicò Elizabeth «chi si presterebbe ai loro giochetti se glielo dicessero?».
«E se qualcuno fosse stato male sul serio?», chiese Rosaline, puntellandosi le braccia ai fianchi.
«Non li faremo star male, l'abbiamo già sperimentato su di noi, è solo per vedere se tutti reagiscono allo stesso...», cominciò Fred, ma Hermione lo interruppe.
«Se non la smettete, io vi...», minacciò.
«Ci metterai in castigo?», chiese Fred, inarcando un sopracciglio.
«Ci farai scrivere cento volte la stessa frase?», incalzò George.
Alcuni studenti ridacchiarono, ma Elizabeth aveva una vaga idea di che cosa Hermione stesse per dire.
«No» rispose Hermione «ma scriverò a vostra madre».
Rex scoppiò a ridere sul serio: quello era il peggior colpo basso che potesse giocare a quei due scapestrati.
«Non dici sul serio» boccheggiò George, muovendo un passo all'indietro.
«Lo farà» diede man forte Rosaline, stranamente severa «non dovete dare quella roba ai bambini del primo anno».
Fred e George erano sbiancati, ed Elizabeth non poté fare a meno di sprofondare nel divano di fianco a Ron.
Rosaline era una brava ragazza, sempre gentile e molto di buon cuore. Gli scherzi le piacevano ed era raro che si arrabbiasse, ma quando accadevano fatti che lei considerava ingiusti, la sua reazione poteva essere tremenda.
Se poi doveva difendere dei bambini... per Godric.
Finché c’erano lei ed Hermione, Fred e George non sarebbero più riusciti a sperimentare proprio niente.

 
Hogwarts, Sala Comune Tassorosso,
dopo cena


Nella Sala Comune di Tassorosso, regnava una certa tranquillità, segnata solo dal lieve brusio delle conversazioni tra i ragazzi.
C’era chi, come Hannah Abbott, rideva insieme agli amici e si preparava per andare a dormire, sfacendosi l’acconciatura che l’aveva accompagnata per l’intera giornata.
Oppure, c’era chi tentava inutilmente di sbrigare un esercizio non ancora terminato, come Ernie Macmillan e Justin Finch-Fletchey, seduti uno sul divano e l’altro sul bracciolo.
C’era anche chi, come Johanna Watson, preferiva starsene in silenzio a leggere qualcosa che lo distraesse da tutta la confusione che riempiva l’aria di Hogwarts.
C’era persino chi si arrovellava il cervello per tentare di tirare fuori il coraggio di dire qualcosa, come Jess Wilmer, che sembrava letteralmente sul punto di esplodere.
E poi c’era Stephen.
Stephen sbuffò sonoramente, piantando il naso tra le pagine del libro di Trasfigurazione.
Si trovava alla sua postazione preferita, quella sulla poltroncina di pelle sintetica piazzata vicino al camino acceso, con una tazza fumante di Burrobirra e una confezione di Gelatine TuttiGusti+1 sul tavolinetto a fianco, ma non riusciva proprio a concentrarsi su quello che faceva.
Arrossì lievemente, pregando che nessuno se ne rendesse conto.
Continuava a pensare e a ripensare agli occhi incredibilmente blu della ragazza del treno.
Si sovrapponevano alle scritte e sconvolgevano i suoi pensieri.
Buffo, perché a lui delle ragazze non era mai importato granché.
Infilò una mano nel pacchetto di gelatine, ricordando che stava mangiando proprio quelle quando l’aveva incontrata per la prima volta.
Beh, in realtà, era raro beccarlo in un momento in cui non le mangiasse: aveva una passione smodata per quella roba, tanto che sua madre, da un po’ di tempo a quella parte, aveva cominciato a pensare che contenessero una qualche droga pericolosa.
Sperò solo che, la prossima volta che avrebbe scontrato Elizabeth, non sarebbe finito col fare la figura dell'idiota come, invece, aveva fatto fino a quel momento.
«Hey, Steve», lo chiamò Jess, in un sorriso nervoso ma comunque gentile, sistemandosi meglio sul divano, di fianco a Susan Bones «come sono andati i provini per il Quidditch?».
Stephen lo guardò di sottecchi, prima di voltarsi verso di lui.
Era la prima volta, da quando Cedric se n'era andato, che Jess gli rivolgeva la parola per dire qualcosa di diverso da “ciao” o “buonanotte”.
A dire la verità, era la prima volta che rivolgeva la parola a qualcuno che non fosse Johanna, Susan o un professore, da quando Cedric se n'era andato.
Poteva essere solo un buon segno.
«Abbiamo dovuto rimandare tutto», rispose Stephen, ripensando al temporale che li aveva accolti quel pomeriggio «li rifaremo domani, se non piove troppo».
Avrebbe aggiunto che avevano bisogno di un gran cercatore per tornare a essere al top, ma aveva il terrore di ferire Jess e gli altri Tassorosso presenti nella Sala Comune.
Nessuno voleva prendere il posto di Cedric in quel modo.
«Stavo pensando di...ecco...», cominciò Jess, visibilmente nervoso «di... sì, insomma...».
Johanna, raggomitolata su una morbida poltrona dall'aspetto antico, alzò lo sguardo dal libro che stava leggendo per osservare il suo migliore amico che tentava di spiegare al nuovo capitano della squadra di Quidditch che aveva intenzione di presentarsi ai provini.
Sorrise appena, inarcando un sopracciglio, in attesa.
Forse, Jess aveva bisogno di una mano per esprimersi.
«Di...?», domandò Stephen.
Jess tentennò ancora una volta.
Prese una profonda boccata d'aria e sembrò davvero sul punto di dire qualcosa, ma poi parve pietrificarsi in quella posizione.
«Vuole partecipare ai provini», rispose Johanna per lui, con la massima nonchalance, voltando pagina -solo che si vergogna a dirlo-.
Jess espirò tutto d'un fiato, arrossendo fino alla radice dei capelli man mano che l'aria fuoriusciva dal suo corpo.
Al confronto, la chioma dei Weasley era candida come la neve.
Stephen guardò prima Johanna e poi Jess, voltandosi lentamente, come se quella fosse una totale novità per lui.
«Non sapevo che tu fossi capace di giocare a Quidditch», riuscì a dire in fine, lasciando trapelare tutta la sua sorpresa.
Jess arrossì ancor di più, sprofondando tra i cuscini del divano.
Johanna rise appena, piuttosto divertita da quella situazione.
«Non so se ne sono davvero capace, in realtà», sorrise Jess, sforzandosi di riprendere il suo naturale colorito «però qualche volta mi sono allenato Cedric, e lui diceva che non ero male».
«Io credo che, con un po' di vero allenamento, Jess possa farcela sul serio», disse Johanna, sorridendo dolcemente all'amico «vero, Susan?».
Susan Bones annuì con decisione.
«Cedric lo diceva sempre anche a me, che avevi la stoffa del campione, Jess», disse.
In quel momento, Justin saltò su dal suo divano, buttando in aria alcuni pezzi di pergamena stracciata come fossero coriandoli.
«Io ci rinuncio!», esclamò, affranto e depresso «buonanotte a tutti!».
Così dicendo, si alzò e se ne andò, sotto gli sguardi sorpresi dei suoi compagni, che si scambiarono un'occhiata perplessa.
«Ma sta bene?», domandò Johanna, scrutando l'amico scomparire nel dormitorio maschile.
«Sì, sì», rispose Stephen, ancora un po' sorpreso «ha solo avuto un piccolo incidente con dei Folletti della Cornovaglia... ehm, credo che quelli che ha lanciato fossero i suoi appunti di Trasfigurazione».
Johanna si alzò per recuperare una delle parti di pergamena lanciate da Justin.
«Che cosa gli è successo?», domandò, scrutando perplessa i foglietti «sono tutti stracciati».
«Te l'ho detto», replicò Stephen, facendo spallucce «adorabili Folletti della Cornovaglia, glieli hanno strappati questo pomeriggio, e lui ed Ernie hanno tentato di ricomporli... ehm... a quanto pare, non è andata bene».


Angolo di Diem:

Heilà, gente ^^
Passata bene la Pasqua? :)  
Spero proprio di sì u.u
Insomma, questo è il capitolo... ditemi voi cosa ne pensate ^^"
Chiedo scusa per non aver ancora corretto il capitolo precedente, ma sono più occupata durante le vacanze che quando sono a scuola (possibile?!).
Appena troverò un secondo libero, ve lo prometto, farò in modo di renderlo un goccino migliore ^^
Chiedo scusa anche per l'assoluta mancanza di romanticismo in questo capitolo, ma avevo discusso con il mio ragazzo ed ero più in vena di omicidi che di romanticherie u.u fortunatamente (per lui), adesso si è risolto tutto, e nel prossimo capitolo immagino che troverete più scene carine e meno massacri in stile Daphne e Pansy u.u
Ah, mentre scrivevo la prima parte di Nashira, casomai non si fosse notato, stavo mangiando cioccolato.
In fine, ringrazio tutti per i complimenti che mi fate, spero di non deludervi ^^"

Ps: prendiamoci un istante per ammirare la mia puntualità. Aww. E pensare che pubblicare nel giorno di Pasquetta è una cosa particolarmente stupida (?)
 
  
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: CarpeDiem_96