Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: etby98    21/04/2014    3 recensioni
Codesta che sto per presentarvi, e che spero seguirete, è una FF su JeanxMarco, potrei dire.
In realtà, è una FF AU.
Non parlerò solo di JeanxMarco, bensì farò una vera e propria storia, la vita di Jean in questa Londra -anno non preciso- e questo corso.
Seguite l'avventura di Jean,ed i suoi compagni (?) Tutti qui.
Siamo ancora all'inizio, quindi attenderete un poco per le cose serie, o magari divertenti.
Ma si, ci sarà anche dell'amore. Per le pulzelle fujoshi, sì, anche un poco di yaoi.
Il personaggio principale: è un Jean molto torvo, spocchioso e solitario. Molto arrabbiato con se stesso per via del passato, che cerca di dimenticare -AU- dall'aspetto molto rude, tra orecchino all'orecchio destro, il taglio di capelli e gli abiti di poco conto che porta.
Un personaggio dall'aria cattiva, ma che questo suo essere è più che altro una difesa.
La pubblicherò una volta alla settimana -salvo complicazioni.
Per il resto, vedremo con il proseguire della storia~
Buona lettura, leggete almeno il primo capitolo, e ve ne sarò grata
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai, Yaoi | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Spoiler!
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Autrice.
E quindi, eccoci qui. Eh già. Questo è l’11° capitolo.
Eviterò chiacchiere inutili, ringraziandovi di tutto.
Per chi mi ha seguito sin qui.
Mi addolora dover dire addio, a codesta storia. Spero vi abbia fatto
emozionare, amici miei.
Se questa FF vi è piaciuta almeno un poco, allora consigliatela!
Vi adoro ragazzi e ragazze <3 Sono quasi commossa
Ma ora basta, se no potrei piangere davvero. Buona lettura.
Cari Lettori.


 
 
 
 
Capitolo 11
La battaglia per trovare quella luce.

 




Un sussurro.     
Cerca di ricordare quel che credeva aver perso, quella voce che prima gli sembrava solo uno spirito irrequieto.
Corre.  
Il respiro pesante, gli entra ed esce dalla bocca formando delle nuvolette. Non sente più dolore alle gambe, solo un tumulto incessabile nel petto. Sente il battito nelle orecchie. Le gambi compiono lunghe falcate, fendendo l’aria.        
Piove.  
La pioggia gli picchia sul viso, fredda e pungente, sembra volerlo rimandare indietro. Il terreno è come uno specchio. Ad ogni suo passo, l’acqua forma dei cerchi. Spruzza. Lui stesso sente l’acqua addosso a sé. Nella camicia, nei capelli, l’acqua che lo appesantisce per tutto il corpo. Ad ogni respiro, l’acqua s’intrufola. Lui ne sente il sapore quasi metallico, poi poco più salato. No, questa volta non è solo la pioggia.  
La mente.          
Dopo quel che gli ha detto Armin, dopo quel che gli ha detto Eren, dopo tutte le frottole, la mente è in subbuglio. Cerca la verità. Cerca. Ma non riesce a trovare la memoria. Quella pagina di vita che credeva di aver strappato, ancora è nascosta.               
Il cuore.              
Sembra voler spaccare in due il petto suo, sembra voler saltar fuori e correre sotto la pioggia. Perché il cuore è forte, affronterebbe la tempesta in corso, ma ancora pieno di dubbi. Emozioni confuse. Tra il corpo, che corre sotto la pioggia. Tra la mente, che non vuole ricordare ma deve. Tra il cuore che vuole solo metter fine a questo caos, vuole solo poter riposare. Anche lui lo vorrebbe. 
La strada è buia. Non sa dove si trovi esattamente. Segue la sua memoria. Deve correre. Deve far presto.
Fare presto?     
Questa scena, più corre, più poggia i piedi nell’acqua, più respira, più questa scena gli sembra familiare. Soprattutto quel che sta provando.          
Vede la fine della strada, che si divide in due direzioni. Lui svolta a destra, scivolando sull’asfalto. Vede dei fari, si sposta. Una macchina suona il clacson, passando veloce accanto a lui. La macchina alza dell’acqua, bagnandolo ancora di più. Non può più aspettare. Continua a correre.                
Sente il rumore dei suoi passi, ma il rumore è lontano e quasi invisibile.             
Non sente nemmeno più il suo respiro.              
Non sente quasi più nulla.         
 “Jean.”               
Un sussurro.     
  “Jean.”              
La pioggia gli bagna il viso, ma questa volta sente un’emozione diversa. La paura. Un’angoscia amica. Che gli ha fatto compagnia per tanto tempo. Sente le tenebre che lo circondano. Si ricorda di se stesso, disteso. Il viso viene schiaffeggiato da mille e mille gocce pungenti. La testa gli martella duramente. Sente il sapore del sangue in bocca. La mano viene sollevata, stretta.                          
  “Jean!“             
Lui cerca di aprire gli occhi, ma si sente tanto stanco. Gli occhi non vedono bene. Le palpebre sono tanto pesanti. Ma la voce lo chiama ancora, ridestandolo ogni volta da quel che potrebbe esser un sonno tranquillo. Vuole solo questo, dormire.               
  “Jean, ti prego, non addormentarti!” 
Lui ascolta quella preghiera. Cerca di nuovo di aprir gli occhi. Vede un cielo grigio e scuro. Alcune gocce d’acqua gli entrano negli occhi. Sente qualcosa che gli accarezza la fronte. Poi si rende conto che la voce gli stava ripulendo il viso.               
  “Jean..”            
Si sente lo scrosciare d’acqua. Qualcuno urla. La superficie di alcune pozzanghere che viene infranta, producendo un rumore secco, attutito dal fango. La voce ora chiede aiuto. Parla. Ma non si sente nient’altro. Ora tiene la testa ferita tra le sue braccia. La stringe a sé, chiamandolo ancora.           
  “Jean. Jean mi senti? Rimani sveglio.”                
Un razzo. Lui vede la scia rossa, ben distinta nel cielo scuro. La guarda, finche non sembra svanire. Il dolore comincia a farsi strada nel corpo. Più lui è cosciente, più il dolore gli martella nella testa. Sente ogni singola parte del corpo indolenzita. Sente dei tagli. Brucia. Sente le ossa lamentarsi anch’esse. Cerca di muoversi, ma non riesce. Gli sembra così irreale. Eppure il dolore lo è. La pioggia severa sul viso. Il fango mescolato al sangue nella sua bocca. Quel cielo, così scuro. Così vero. Così crudele. La voce gli passa una mano sulla guancia.         
  “Jean.” Sussurra. “Non aver paura. Presto sarà tutto finito. Tornerai a casa.” 
Casa.    
  “Devi esser forte, so che lo sei.”           
Forte.  
  “Rimani con me, Jean.”             
Lui cerca di parlare, ma non sa cosa dire. La gola sembra bloccata. Vuole poter dire alla voce che non si arrenderà? Vuole far sentire che non si è ancora arreso, ed è ancora lì?         
  “Non sei solo, Jean.”  
Quella frase lo pervade, facendolo sentire stranamente al caldo. Non sente la paura punzecchiargli il cuore. Non sente più lo scrosciare della pioggia. Non sente nemmeno più i passi veloci di qualcuno in lontananza. Ci sono delle luci, tra le macchie scure che sembrano alberi. L’unica cosa che davvero sente, è quella mano gentile sul viso. La voce sussurra ancora, ma lui non può sentirla. Di colpo viene sollevato. Il fango fa un rumore simile allo schioccare della lingua. Il fango goccia dalla sua schiena, fradicia. Sente i grumi che si staccano, cadendo a terra. La voce è lontana, poi vicina.
  “Ci rivedremo”              
Dice. Poi silenzio. Lui non riesce più. Ha sopportato sino a quel momento, ma ora la voce è lontana. Non serve tener gli occhi aperti. Cala nel buio, mentre lo portano via. Dalla guancia scivola una goccia, segue il suo percorso con il pensiero. Finché non cade. E lui sprofonda nell’oscurità. 
Un tuono.          
Viene risvegliato da un lampo del cielo. Solleva lo sguardo. Sta ancora correndo. Il cielo si è fatto pece, le stelle non ancora emerse. La luna però è alta. La vede dinanzi a lui. Un sorriso perverso del manto scuro. Tano divertito nel vederlo correre come un topo spaventato.        
Stringe i denti, correndo più veloce. Ora sente il sangue nelle gambe, che viene pompato con fervore. Svolta a sinistra, questa volta senza scivolare.    
Non sei solo.     
Se lo ripete.      
Ancora e ancora.            
Stringe le mani a pugno, talmente forte da sentire le unghie nella carne. Osserva le sue braccia. Ballano dinanzi a lui, come se non fossero davvero sue. Come se cercassero qualcosa nel buio della strada. Una avanti. Una indietro. Avanti. Indietro.               
Vede qualcosa.               
Un qualcosa di scuro.   
Cerca di andar più in fretta, pensando di poterlo raggiungere. Le gambe si fanno stanche. Lui prega, prega di non fermarsi. Sente la tristezza ed un pensiero che vorrebbe scacciare. Ci prova. Ma non riesce.       
Potrei non farcela.         
Corre ancora, allungando le mani, come se potesse afferrare quella figura scura. Ma non può.              
Sulla sua destra c’è una fermata per i taxi. Una panchina con un tettuccio per tenerla asciutta. Sta per passarvi accanto. Dall’altra parte della strada c’è un palo. Il cono di luce che lascia cadere a terra è l’unica luce oltre alla luna.      
Posa lo sguardo in fondo la strada.        
La figura è sparita.         
Lui rallenta, mentre si avvicina al palo. Poggia la mano sul metallo. Acqua. Freddo. Un volantino si sta staccando. S’immerge nel cono  di luce. Si ferma. Sente le gambe tremare, il cuore in fermento, il respiro troppo veloce. I polmoni chiedono altra aria. Lui respira veloce. L’aria fredda gli entra nei polmoni, facendolo tossire un paio di volte. Si sente sprofondare.    
Jean.    
Non riesce nemmeno più a muoversi. Sente le lacrime farsi largo nel suo volto fradicio di pioggia. Sente di non esser abbastanza forte. Sente che non ce la potrà fare. Troppo tardi.              
Jean.
Punta lo sguardo a terra, poggiando le mani sulle ginocchia. Vede il suo respiro, nuvole che spariscono. Nuvole che spariscono ancora. Sente ancora il sapore metallico in bocca. Si passa una mano sul viso. La testa non da pace al cuore.               
Non sei solo. Jean. Ci rivedremo.                            
Solleva il capo. Guarda in alto. Non vede le stelle. Vede il cielo scuro. La pioggia fredda gli punge il viso come mille spilli. Chiude gli occhi. Sente ancora le voci, nella testa. I suoi sussurri. Ancora.           
Jean.                    
La pioggia non cessa.                    
Resta con me.  

Il respiro continua, lentamente.             
Non sei solo.     
Lui prova a dire qualcosa, ma non riesce. Vuole urlare.                
Jean.    
Sente ogni muscolo dolorante. Ogni punto. Ogni millimetro del corpo che si lamenta, che chiede una tregua. Lui, però, è pronto a correre ancora. Perché non si arrende.            
  «Jean.»            
Perché lui non vuole più sognare.          
  «Jean..?»         
Lui vuole vivere. Non vuole sentir più quella stanchezza, quello sprofondare.  
Un altro tuono. Lui apre gli occhi. Osserva il marciapiede. Guarda la strada, vuota. Posa lo sguardo verso la fermata dei taxi.               
Lui lo sta guardando.    
Si scambiano occhiate sbigottite.            
Silenzio.              
Una macchina passa tra di loro, tagliando per un secondo quel silenzio.              
  «Jean…cosa..»                              
  «Marco..»                       
Jean guarda a destra, poi a sinistra. Vorrebbe fiondarsi dall’altra parte. Ma le gambe non si muovono. Ma non perché sono stanche. Perché?            
  «Perché sei qui?» chiede Marco.         
  «Che domande. Sono qui per te. Sono venuto a prenderti.»  
Marco lo guarda senza capire «Perché? Non devi. Io.. Io…»      
  «Io so, Marco.»            
Silenzio.              
  «Ora so, di quella notte.»        
Ancora silenzio.              
  «Quella notte, fosti tu a salvarmi. Tu mi hai tenuto la mano. Tu mi hai chiamato. Mi hai detto di non arrendermi. Tu mi sei stato accanto. Tu. Sono rimasto nell’ignoranza per troppo tempo. Senza sapere la verità.» un’altra macchina. «Perché, Marco?»            
Esita poi evita il suo sguardo «Per Eren. Lui ed io…quella sera.»              
  «So anche questo.» sussurra Jean.     
  «Lui mi ha chiesto di non raccontarti nulla. All’inizio pensavo perché si vergognasse. Voleva assolutamente vincere. Quella notte, non fece nulla. Rimase a guardarti andar via e mi chiese di non rivelartelo. Poi, capii che c’erano anche altri motivi. Lui…non voleva perdere te.» lo guarda per qualche attimo negli occhi. «Si era reso conto dei suoi sentimenti. Se io avessi rivelato tutto, pensava che tu ti saresti allontanato da lui. Non volevo…»           
  «Le persone che soffrivano… non era una sola.»          
Marco abbassa lo sguardo. Addosso ha una giacca. Sulla testa porta il cappuccio, che gli copre ora una parte del volto.               
  «Tu, Eren, Armin-.. »  
  «Soprattutto tu. Tu eri la bambola che veniva strattonata qua e la.»   
  «Ma tu non mi hai strattonato mai, Marco.»   
  «Ed è stato questo il mio errore. Se fossi stato più sincero. Se avessi dato retta ai tuoi incubi, alla tua continua ricerca di risposte. Avrei evitato ogni dispiacere.»             
Jean fa un passo. Ma non muove più di così.    
  «Quella notte..»           
Marco solleva lo sguardo.          
  «Quando ho capito che tu…tu stavi andando via…mi sono sentito solo. Come nel mio incubo.» si porta le mani sul viso. Jean sente lo scalpitio. Sente l’acqua. Il cono di luce viene brevemente interrotto. «Sento l’oscurità. Sento che mi risucchia. Sento che non sono abbastanza veloce…abbastanza forte per correre. Non riesco ad avanzare. Ho paura. Paura di rimanere solo.» Jean respira forte. «Così, come ti stai sentendo tu ora.»               
Jean alza lo sguardo. Marco ora è vicino. Sorride.           
  «Marco, non sei solo.»              
Jean non trattiene più le lacrime. Non sa se per angoscia, per malinconia, per felicità. Sa solo che quelle lacrime sono li da tanto tempo, aspettando di esser versate. Così come ogni suo dubbio.              
  «Grazie.» sussurra Marco, con gli occhi lucidi.
  «Insieme.» sussurra Jean. Si toglie le mani dal volto. «Non importa cosa dovrà accadere. Non importa se diventeremo soldati, andremo sul campo di battaglia. Non importa quanti nemici ci saranno. Non m’importa. Non sarai mai solo, Marco. Tutte le difficoltà…le supereremo. Insieme.»   
Marco poggia la fronte sulla sua. Jean tiene gli occhi chiusi. Sente di esser riuscito a trovare quei sussurri. Marco cerca la sua mano. Jean sente di esser riuscito ad uscire dal tunne buio. Di aver varcato quell’unica luce lontana, che pensava fosse troppo lontana.              
  «Insieme» ripete Marco.         
E mentre la pioggia diventa meno irrequieta, mentre ogni vicolo, pezzo di cielo, nuvola, tutto fa silenzio, si fanno più vicini.  Il buio li avvolge, ma nemmeno quella può più raggiungerli.      
Mentre le loro labbra si toccano, l’angoscia non ve n’è più. Jean può solo sentire quel contatto, che sa di vita. Sa di sogni. E quel silenzio, prima pieno di pioggia ed orrore, ora è semplice e vivo.  
 
 
 
 
Epilogo.

 
 
Il corso finì in primavera. La classe fu promossa a pieni voti. Una volta in servizio, non tutti rimasero in contatto. Anni dopo, s’incontrarono tutti a quel bar insolito, che visitarono un dì.     
Reiner, Bertholdt e Connie erano diventati ottimi soldati, appena tornati da un’uscita verso il caldo Egitto.
Mikasa, Sasha ed Annie erano rimaste a Londra, servendo per l’esercito britannico. Mikasa veniva spesso chiamata da altri altolocati delle Americhe e d’Europa.   
Armin era diventato un facoltoso Comandante, in attesa di una seconda medaglia per l’ottimo servizio presso i paesi Asiatici.               
Eren era insieme ad Armin, come suo Caporale. Uno dei migliori soldati –dopo Mikasa, ovviamente.  
Marco era rimasto anche lui a Londra. Come Caposquadra, non si credeva il migliore, ma i suoi superiori lo ritenevano tale.               
 
Si toglie il cappello dalla testa, sistemandosi la maglia. Era appena atterrato, e non si era potuto cambiare. Sente l’odore familiare di ciambelle. Sente le voci. Le voci che da tanto non udiva. Rimane ad ascoltarle. Sente delle risa. Sente Connie urlare qualcosa. Sente Reiner ridere, con voce roca esulta. Armin che chiede scusa, magari al barista. Sente il tintinnio delle bottiglie.            
Per un attimo, ritira la mano dalla maniglia.       
Sente il foglio nella tasca. La lettera. La tira fuori, per poi leggerla.      


Caro Jean.         
La missione sta procedendo regolarmente. Se tutto finirà bene, tornerò a casa entro la fine di aprile. Sarebbe magnifico, non credi?  
Qui l’aria è fin troppo calda. Mi manca la brezza di quando scendi le scale verso la metropolitana. Mi manca persino l’odore delle ciambelle di quel negozio sotto casa. Qui si sente solo puzza di polvere da sparo, o di polvere. A volte di muffa. Forse, qualche lucertola del deserto e le sue prede.
Non so se riuscirò ad arrivare in tempo per quella cena. Avvisali, nel caso. Mi mancano tutti quanti. Vorrei rivederli tutti.
     
Spero di poter prendere una pausa, in questi giorni. Così, potrò vedervi tutti. Mi mancano. Voglio rivederli, tutti i miei amici. Chissà, magari finiremo per lavorare tutti insieme. 

Ti manderò una lettera, domani. E poi ancora dopodomani. Ogni giorno, se potrò.      
Mi manchi, quando osservo le stelle dalla mia branda, dalla finestra.  
Mi manchi, quando il sole si fa rosso all’orizzonte.         
Mi manchi, sveglio o dormiente.             
A presto.            
Ti amo, con tutto me stesso
Marco.
 

La ripiega con cura, la rimette al suo posto e prende un bel respiro.      
La vita va avanti. Ed io non faccio che pensare a cosa mi attenderà il tramonto seguente. Ti aspetterò, Marco. La mia vita è legata alla tua. Ti aspetterò, sogno o realtà che sia. Oltre la vita, ti cercherò.
Apre la porta. Viene avvolto dalla luce calda di una lampada. Entra, chiudendosi dietro la porta.
Fori, il vento fischia. Un uccello si alza in volo, lasciando cadere una piuma. Questa, vola, sino a posarsi sullo zerbino della porta. Poi, si alza ancora in volo, sino a sparire nell’orizzonte.   

Non credo in certe cose, ma penso che in una vita passata, codesto legame era stato come lo era ora. Ma ora è più forte.               
Sento che il nostro, è un amore che non può esser tagliato dal tempo. Non può esser toccato dalla paura. Perchè so, nel profondo, che questo amore è legato dal passato. Vive nel presente. Illumina il futuro.
Ti amo, per sempre.      
Jean.    

 
  
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