Anime & Manga > TSUBASA RESERVoir CHRoNiCLE / xxxHOLiC
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Autore: __Di    22/04/2014    4 recensioni
È un sacco di tempo che il mago non è più a Nihon. E Kurogane neanche era con lui, neanche era lì a dirgli addio. Era in missione, come lo è adesso, lontano da casa per proteggere quel paese che già non riconosce più, che già non merita tutto quello che ha fatto. E poi ha sempre reputato inutile proteggere un paese in pace, figurarsi ora che non ha più niente, niente per cui valga la pena lottare. Ha già perso tutto e manca un solo passo per perdere anche se stesso. Diventerà un ronin, presto o tardi, un senza padrone, se continua a pensarla così. Malgrado ami ancora quella sua terra, c'è qualcosa che ama di più, qualcosa che nulla può sostituire. Morirebbe ancora per il suo impero, morirebbe ancora per il suo Giappone, ma solo perché anche lui amava Nihon.
Genere: Angst, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Fay D. Flourite, Kurogane
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tadaima
1.



Kurogane arriccia le labbra in un debole sorriso. È una strana sensazione quella che sente addosso, è come se il mondo fosse tornato indietro di dodici anni e non c'è niente di meglio. Niente.
L'abbraccia più stretto, sprofonda le labbra sul collo bianco del mago e lo stringe di più a sé.
Urgente. È urgente quello che gli smuove il cuore, quello che gli muove le mani e lo porta a toccarlo, continuamente.
Non ricorda quasi più quello che ha sentito fino ad ora, fino a questo momento. E anche se è tutto fittizio, anche se è un'illusione, va bene così. Va bene così.
«Cos'è questo faccino triste, Kuro-rin?» sussurra.
Scuote il capo e lo stringe di più a sé. Non vuole pensarci, è un incubo, è un sogno, è uno scherzo della sua testa, del suo dolore, ma va bene ugualmente. Gli andrebbe bene comunque, pur sapendo perfettamente che domattina lui non sarà nel suo letto. Perché è solo un'illusione, lui.

Il mago se n'è andato. È un sacco di tempo che il mago non è più a Nihon. E Kurogane neanche era con lui, neanche era lì a dirgli addio. Era in missione, come lo è adesso, lontano da casa per proteggere quel paese che già non riconosce più, che già non merita tutto quello che ha fatto. E poi ha sempre reputato inutile proteggere un paese in pace, figurarsi ora che non ha più niente, niente per cui valga la pena lottare. Ha già perso tutto e manca un solo passo per perdere anche se stesso. Diventerà un ronin, presto o tardi, un senza padrone, se continua a pensarla così. Malgrado ami ancora quella sua terra, c'è qualcosa che ama di più, qualcosa che nulla può sostituire. Morirebbe ancora per il suo impero, morirebbe ancora per il suo Giappone, ma solo perché anche lui amava Nihon.
Kurogane conta i giorni, pur sapendo che contare il tempo è inutile, lui conta. Sono dodici anni che non lo vede. Saranno tredici anni il prossimo autunno, il passo è breve perché un altro anno sfiorisca. Ed è un sacco di tempo.
Lui lo sa, il viaggio che il mago ha intrapreso è a senso unico e non arriverà mai il giorno in cui potranno ricongiungersi, neanche quando entrambi i loro percorsi si saranno conclusi. E questa cosa, certo, non può andargli particolarmente a genio. Non c'è un dopo per loro due, non c'è un vissero per sempre felici e contenti.
Ha sperato, è vero, ha sperato fino a ieri, fino a qualche ora fa. Ha sperato che, un giorno, il mago sarebbe riapparso nella sua vita, ha sperato di rivederlo, di riabbracciarlo. In fondo è un mago, lui, ed è pure uno di quei maghi potenti. Ma poi, stamattina, proprio stamattina, appena sveglio, a missione finita, si è accorto che, ehi, lui non c'è più, e anche se ci fosse ancora, non potrebbe tornare indietro neppure desiderandolo con tutte le forze. 
Se n'è accorto perché ha sentito il vuoto. Un vuoto enorme, insostenibile. Gli è parso che il suo cuore e il suo corpo bruciassero, dolorosamente, il suo cuore e il suo corpo erano stati svuotati, del tutto. Lasciandolo incompleto. Un qualcosa di muto gli aveva fatto scricchiolare le ossa, consapevolezza. Semplice consapevolezza. La speranza si è infranta dopo tutti questi anni, eppure lui è uno che spera sempre. Un inguaribile fiducioso nella speranza. Ma è finita. È finita.
Non ha detto niente, ha continuato semplicemente a marciare verso casa senza neanche accelerare il passo. Non cambia niente, del resto, tanto è finita. Ed è tanto tempo che è finita. Dodici anni, quasi tredici.
 

Lui è sempre stato maledettamente arrabbiato. Molto, molto arrabbiato. Non è neanche quantificabile la rabbia che gli ha gonfiato la carotide fino ad oggi. Anche se non l'ha mai dato a vedere veramente, è sempre stato arrabbiato. Ha eseguito gli ordini a testa bassa, serio come gli ha insegnato suo padre, ma ha covato un odio enorme. L'odio di chi tanto ha amato e si è trovato strappato di tutto, strappato di quell'unica cosa che mai abbia voluto con ogni fibra del suo essere. Sarà forse un po' egoista? Ma tanto non importa più, no?
Torna dall'accampamento a testa bassa. È stata una missione lunga e stancante, piatta come un lago ghiacciato in inverno. Non c'era niente da fare, neanche un pericolo da affrontare. Non c'è niente da fare se si è in pace. È stato solo un noioso mandato di ricognizione. All'accampamento faceva caldo, tutti quegli uomini sudati in quelle tende. Il cibo era scadente e il letto scomodo. Ma lui non s'è lamentato, non si lamenta mai. E perché dovrebbe, d'altronde? È un guerriero, e i guerrieri ingoiano sabbia e sangue.

Cammina lentamente verso il palazzo imperiale. Le gambe sono pesanti, più del solito. E già normalmente trascina i piedi, i suoi passi sono goffi e strascicati, soprattutto se deve fare le cose controvoglia.
Se non fosse stato chiamato così tanto spesso da quella donna, così insistentemente, sarebbe già sulla via di casa. E lui vorrebbe solo starsene a casa, comunque, anche se non c'è niente ad aspettarlo.
Tomoyo l'ha chiamato continuamente, in questi giorni. Dozzine di volte. E lui ha sempre risposto allo stesso modo: sarebbe passato a palazzo solo a missione finita.
Ma tanto sa cosa vuole comunicargli, vuole essere lei a dargli la notizia. Vuole dirgli lei, lei che detiene il suo nome, che lui è andato via. Come ha fatto tanto tempo fa. Ma stavolta è diverso, perché lui lo sa già che è successo, lo sente nelle ossa.
Arriva in cima alla scala, la schiena curva, le gambe flesse.
Kurogane è stanco. Tanto stanco. Quella posizione che ha assunto la sua schiena dopo tutti quegli scalini è per la stanchezza, per una stanchezza intestina che un ninja dovrebbe provare solo quando la sua vita comincia a sfiorire. Sarà che la sua vita è già sfiorita?
Comunque, lui è già stanco. Si è stancato di votare la sua vita ai combattimenti. Si è stancato di essere solo. Si è stancato di chinare il capo a ogni ordine. Sì, decisamente, diventerà un ronin, a forza di continuare su questa strada.
Neanche voleva andarci a palazzo, eppure ora si trova davanti alla grande porta.
Tomoyo è lì che lo aspetta, nei suoi alloggi. Sono anni che lui non si presenta a palazzo, gli mandano le notizie via missiva da quando, un giorno, ha fatto comunicare che solo in casi estremamente particolari avrebbe percorso quella scalinata. A un ninja normale, a uno qualunque dei sudditi dell'impero sarebbe spettata una punizione esemplare. Ma lui è Kurogane, lo shinobi più potente del Giappone, anche se a vederlo per la strada, neanche lo riconosceresti più.
Tomoyo sta seduta nell'anticamera della sua stanza da letto.
Il senso di oppressione che ha sul petto si aggrava subito, nello stesso istante in cui la vede lì. Con quel sorrisetto bonario che sciorina con quella comprensione che lui detesta, non la vuole la sua comprensione. Non sa niente lei, non sa cosa si provi a stare in una casa vuota, a svegliarsi la mattina e cercare nel letto qualcuno che non vedrai mai più. Non vuole comprensione, lui, vuole semplicemente starsene tranquillo, ascoltare in silenzio quello che la sua casa gli sussurra, quello che sospira il suo cuore. Ed è orribile sentirsi così, soprattutto sapendo che è lei, colei che detiene il suo nome, a fargli quell'effetto, a fargli pesare il suo stesso respiro. Non ci avrebbe mai pensato prima, neanche per un istante, a sentirsi così.
Si inginocchia davanti a lei, dall'altra parte del tavolo. Ci sono quattro palmi di legno pregiato a dividerli.
Kurogane sospira, a lungo.
«Ciao, Yoo. Finalmente riusciamo a incontrarci.» sussurra, sorridendo.
Un brivido di rabbia gli si arrampica lungo la schiena. «Mh».
«Ha ricevuto il mio comunicato?» mormora.
Annuisce. Neanche l'ha letto il suo comunicato. Si era detto che c'era sempre la solita richiesta di passare a palazzo.
«Credevo saresti andato direttamente a casa oggi, sai?».
L'espressione di Kurogane si contrae di botto. «Come, non vuoi essere tu a darmi la notizia? Non vuoi essere tu a dirmi che lui non c'è più?».
«Yoo!» lo riprende lei, con aria sconcertata.
«Hime, posso essere sincero, con te?» domanda. «Brutalmente».
Lei sgrana gli occhi, ma sorride, poi. «Certamente, Yoo».
«Sono davvero molto arrabbiato, hime.» ammette. «E vorrei tanto tornarmene a casa. Non ci vediamo da un sacco di tempo perché non volevo vederti».
Sorride. «Parliamone... perché sei arrabbiato?».
«Lo sono e basta. E pure tanto.» annuisce. «Sono molto arrabbiato con te. Perché tu l'hai aiutato ad andare lì e lui non è più tornato indietro. Lui non è tornato e-».
«Capisco, ma...» annuisce piano, lentamente, interrompendolo senza mezzi termini.
«No, no tu non capisci. Lui... Lui era felice qui. Lui stava vivendo una vita normale insieme a me e ora è sparito...» mormora. «È andato pur sapendo che sarebbe rimasto sigillato anche lui col suo stramaledetto mondo. Non puoi capirlo.» bofonchia. «Non tornerà indietro e sarà solo. Sempre. Non potrò nemmeno dirgli addio... Non potrò nemmeno abbracciarlo un'ultima volta! E ora è finita e lui non tornerà più e non potrò più abbracciarlo, e neanche posso sperare in un dopo...».
«Yoo... per favore, ascolta.» lo chiama lei.
«Non puoi sapere cosa voglia dire, Tomoyo. Non puoi sapere quanto sia difficile. Io non gli ho mai detto quello che provo per lui, quello che provavo... gli ho solo chiesto di restare qui e non sono neanche riuscito a tenerlo con me. Non sai cosa voglia dire. La mattina mi sveglio e, per un solo secondo, mi dimentico che lui non c'è, poi però mi accorgo che il suo lato del letto è intonso e ghiacciato... E mi ricordo che... Ah!» sbuffa, arrabbiato più con se stesso ora che con lei, è molto patetico in questo momento. Anche solo parlarne gli fa male, dopo tutti questi anni, dopo tutto questo tempo. Farà sempre così male? «Che non c'è più. Ogni giorno so che non tornerà e che io ho davanti a me ancora un sacco di altro tempo e... lui non ci sarà a viverlo con me tutto questo tempo che ho...».
«Perché me lo dici solo adesso?» domanda.
«Perché sono e sono stato arrabbiato con te. Con te che sei la mia amica, prima di essere colei che detiene il mio nome... Perché tu mi hai praticamente accoltellato a morte. Perché l'hai fatto partire mentre io ero in missione senza che io potessi dirgli quanto lo amo... quanto mi mancherà. Senza che gli potessi dire di tornare da me, di fare attenzione e di... L'hai fatto andar via senza che io potessi salutarlo. E non tornerà e...» sospira, e quel sospiro ferma quel vero e proprio fiume in piena che sono le sue parole, la sua rabbia. Non è più se stesso, non è più Kurogane, il ninja più potente del Giappone, maledizione! Non è più se stesso. È solo un patetico pappamolle, senza arte né parte. Probabilmente, in questo istante, con una katana in mano non saprebbe neanche cosa farci. «Lui non tornerà mai più da me. Lui non starà più con me.» scuote il capo, e poi la guarda fisso, gli occhi fiammeggianti. È il suo sguardo, quello, è lo sguardo del ninja prima del viaggio, e non del pappamolle che è adesso. Perché sì, senza il mago è un pappamolle. Non vale niente. «Che dici, ti aggrada la mia risposta? Scegli quello che preferisci».
«Yoo...» farfuglia, calma, accondiscendente.
«Tu me l'hai detto con quella faccia! Questa, proprio questa che hai adesso! Cercavi di essere comprensiva... amichevole. Bastava essere sinceri, dirmi direttamente che lui non sarebbe più... mi mandi duemila inutili comunicati e non mi dici che lui partirà? Ti pare giusto?» ringhia.
«A mia discolpa,» dice lei, dolce. «Lui ha deciso di partire mentre eri via, ha detto che non se la sarebbe sentita di guardarti in faccia mentre vi sareste salutati e...»
«Lui non c'entra ora, Hime.» ringhia. «Lo so che non mi avrebbe guardato in faccia, lo conosco... ma non c'entra questo. Tu gli hai permesso di partire. Tu hai potuto parlarci in questi anni e io? Io non mi ricordo neanche più com'era la sua voce!».
«Yoo... Mi dispiace. Perché non ne abbiamo parlato prima?» domanda, dolcemente, ancora una volta. Come se parlarne avesse fatto la differenza. «Lui ha detto che non voleva parlare con te, che sarebbe stato più difficile, poi... seriamente Yoo dovevamo parlarne prima».
«No. Adesso posso dirlo quasi... lucidamente, ecco: io sono stato molto arrabbiato con te e pure con me... e anche con lui. Perché io l'ho portato qua e lui è andato via, e fondamentalmente non ho fatto niente per tenerlo qui. E ora... ora lui è morto e non l'ho neanche salutato, non gli ho detto che lo amo e non smetterò mai di farlo... Ti rendi conto?» mugugna. «Se n'è andato. Lui non c'è più. Non tornerà più da me».
«Oddio, Yoo... Ma no, ma che dici... Ma l'hai letto il mio comunicato?» bofonchia lei, allungandosi per accarezzargli la mano.
Lui la ritrae con uno scatto. Che cosa c'entrano ora i comunicati? È ridicolo, sta ancora pensando a quelle cretinate. «Mi dispiace essere arrabbiato con te e so che non dovrei. Perché in fondo tu... insomma è stata una scelta per il bene comune... e poi l'ha scelto lui, però... sono dodici anni che non sta a casa con me. E senza di lui mi sento-mi sto rammollendo, neanche mi riconosco più. Sono stanco, non ho più voglia di lottare, se mi capisci. Non mi sento più molto me stesso e...».
«Ti sei tenuto tutto dentro fino ad oggi? Non ti ho mai sentito parlare così tanto!» farfuglia lei.
«Cerca di non essere così amichevole.» sbuffa, scuotendo il capo.
«Yoo...» sospira lei arricciando il naso, ha gli occhi lucidi di chi è stato punto nel vivo. L'ha maltrattata.
«Hime,» la chiama. Non vuole esser così duro, dopotutto, l'hanno fatto per il bene di tutte le dimensioni, pure di quelle che non hanno visitato. Però la rabbia è tanta e non sa bene fino a che punto potrà trattenersi. «Io capisco che l'avete fatto perché io avrei... fatto di tutto per tenerlo qua. Lo so. Mi sono tagliato un braccio per trarlo in salvo, quindi... sì, lo capisco.» stringe le labbra, si ferma. «E so anche che non c'era altro modo per fermare quello che... quella cosa. Ma, io sono comunque arrabbiato: perché lui è lì da solo, perché non tornerà a casa e neanche mi ricordo più che voce ha e che sapore aveva la roba che cucinava. Mi mancano per fino i suoi dolci, ci crederesti?».
Lei non dice niente. È a metà tra l'incredulità e la commozione, ma lui non lo vede, non importa.
«Non somiglio neanche più a me stesso: credevo che Nihon fosse più importante di tutto, ma non è così. E mi dispiace pensarlo perché io amo il mio paese.» sospira. «Ti ho spiegato tutto, penso, no?».
«Potevamo parlarne prima, no?» farfuglia lei. «Yoo...»
«Tanto cosa cambia? Ora, visto e considerato che l'ho detto io che tanto lui non tornerà... voglio tornarmene a casa. Se non ti dispiace, per un po' vorrei starmene da solo. Quindi, se devi dirmi altro... tutto può aspettare...» mormora alzandosi in piedi.
«Io veramente...» farfuglia.
Lui raggiunge la porta. «C'è tempo per dirmelo, no? Voglio solo starmene un po' a casa prima della prossima missione. Perché continuerò a servire il mio paese, anche se sono un po'... diverso, eh? Solo...» farfuglia. «Vorrei solamente pensare un po' a me stesso e a lui. Voglio sentirlo a casa.» risponde a testa bassa. «Puoi aspettare qualche giorno, sì? Tanto so dove abiti, devo solo sbollire... non vorrei attaccarti di nuovo a male parole».
«Yoo,» lo chiama lei un'ultima volta.
Lui le lancia un'occhiata, poco prima di varcare la soglia. «A presto, Hime.» annuisce, uscendo curvo dalla stanza.

Kurogane in realtà non ha detto tutto.
Certo, ha detto tutta la verità a Tomoyo, tutto quello che concerne lei. Ma la rabbia che rivolge a se stesso è ben più grande di qualsiasi altra.
L'ultima volta che hanno parlato, il mago era stato irremovibile e lui gli aveva ringhiato contro. Non aveva fatto niente per tenerlo lì, aveva solo sbraitato. In effetti, solo quello sapeva fare.
Tempo prima, poco tra l'altro, la Tomoyo di Piffle aveva comunicato loro che da un po' di tempo si registravano stranezze intorno a certi mondi, e alcuni di questi nel giro di poco tempo sparivano del tutto. Si era formata una sorta di frattura che aveva cominciato a inghiottire i mondi e non se ne capiva proprio il motivo. In qualche modo, che prescindeva dalle conoscenze del ninja, era riuscita a far avere loro anche quella che lei chiamava “simulazione”, di come i mondi stessero collassando.
Il mago l'aveva guardato, con aria colpevole e aveva detto a voce bassa bassa che era sicuro che fosse quel suo maledetto mondo ad attrarre a sé in un buco nero le dimensioni circostanti. Per Kurogane era assurdo, ma il discorso del suo idiota, pareva quadrare: il regno di Celes non era stato sigillato del tutto, mentre collassava, e quindi si era venuta a creare quella frattura. Da come ne parlava, il mago, sembrava colpa loro e sembrava che proprio lui dovesse porvi rimedio: essendo fuggiti da lì quando ormai l'incantesimo che sigillava il mondo era avviato, avevano interrotto il processo che proprio aveva al centro la magia del suo idiota.
Kurogane si era sentito piccato, aveva ringhiato e gli aveva detto che non poteva tornarci. Non poteva. Perché lui era il centro di quell'incantesimo e sarebbe rimasto intrappolato, lì, in quel mondo orrendo.
Lui aveva sorriso, tranquillo. Gli aveva detto che per una volta avrebbe gradito fare lui l'eroe e comunque sarebbe tornato da lui, non poteva certo lasciarlo da solo.
Il ninja aveva ringhiato ancora, di nuovo, con forza. Ma Yui non aveva voluto sentire ragioni e il discorso era caduto così. Erano andati a letto, non si erano neppure toccati e poco tempo dopo Kurogane era andato in missione, arrabbiato e frustrato come poche altre volte.
Al suo ritorno, Tomoyo era sulla porta di casa sua a dargli quella notizia. Disse quelle due semplici parole, “È partito”, e lui aveva sgranato gli occhi ed era entrato in casa di fretta. Non ci credeva, era impossibile. Si aspettava di vederlo in cucina a smanettare ai fornelli e invece la casa era vuota, non c'era lui e non c'era niente di suo. Lui non aveva molte cose e quelle poche se l'era portate via, quindi, era come se non ci fosse mai stato. Mai. Solo il pigiama sotto al cuscino era rimasto.
Lui aveva chiuso la porta, si era spogliato e si era infilato a letto senza un fiato. Non aveva neanche salutato la principessa, se n'era andato. 
Kurogane già lo sapeva che sarebbe partito. Lui l'ha sempre saputo. Ma non può fare niente per togliersi dalla testa che avrebbe potuto fare di più. Magari avrebbe potuto incatenarselo a sé e non andare in missione, quella volta. Oppure sarebbe dovuto partire anche lui. Sarebbero rimasti intrappolati in quel maledetto mondo, ma almeno sarebbero stati insieme.
E ora invece lui è morto e non l'avrà mai indietro, non potrà mai dargli una degna sepoltura, non potrà portargli i fiori o raccontargli sulla tomba la sua giornata.
Però, beh, c'è di buono che la frattura si è sistemata. Perché il mago è stato bravo e tutto è tornato al suo posto. Questa notizia è arrivata qualche anno fa e per un po' lui ha sperato. In fondo c'era riuscito e questa era una prova lampante della sua grande capacità magica e del fatto stesso che fosse ancora in vita. E aveva sperato tanto, ogni strepitio, ogni rumore lo faceva destare e si aspettava di vederlo entrare di gran lena nella loro stanza. Ma poi, piano piano, tutto è scemato, ora non si volta quando sente qualcuno incespicare per la strada. Non cerca di rintracciare nelle risa per la strada, la risata del suo mago.
Sarà che è sempre stata Tomoyo a dirgli come stavano le cose, a dargli sue notizie, ma piano piano è successo. Ha smesso di sperare. Lentamente, fino a oggi. Oggi è il punto di svolta: oggi sa per certo che è morto. Si è svegliato sapendo che la sua luce si è spenta. E magari, domani andrà a pescare, così, tanto per non deprimersi e non bollire nel maledetto brodo in cui bolle da dodici anni, quasi tredici.



Gnè,
non disperate(?!)
Davvero, tranquilli! È una storia a capitoli (due-tre, non di più) e il genere cambierà! Prometto.
Comunque ringrazio chiunque la legga già da adesso, so già che la storia non promette bene, non è un granché, ma dovevo pubblicarla, per superare il maledetto blocco intestino che mi attanaglia xD.
E va beh!
Ah! Il prossimo capitolo verrà pubblicato tra sette giorni. SEEETTE GIOOORNI.

A presto.
D.





   
 
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