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Autore: SonLinaChan    17/07/2008    6 recensioni
Alla morte del sovrano di Elmekia, i due eredi al trono ingaggiano una lotta per la conquista del potere. Lina e Gourry si trovano loro malgrado sul terreno di battaglia, in missione per conto della città di Sailarg, ma decisi a rifuggire ogni coinvolgimento nella guerra. Ma basta poco perché una battaglia estranea si trasformi in una questione molto personale...
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Gourry-san

Della serie… a volte ritornano! XD Finalmente mi sono laureata, e, anche sulla scia di Slayers Revolution, ho trovato il tempo e l’ispirazione per finire questo interminabile capitolo…^^ So che sono passati mesi, e spero che qualcuno abbia ancora interesse a leggere il seguito di quello che ho scritto… d’ora in poi dovrei essere in grado di aggiornare con più regolarità…^^ Come sempre, grazie mille a tutti quelli che hanno letto e commentato lo scorso capitolo! ^^ (ah, e piccola nota… il Raugnut Rushavna è disgustoso, lo so, ma non l’ho inventato io… è in effetti un incantesimo del mondo di Slayers…XD) Buona lettura!

***

“Gourry-san!!!”

Non riuscivo a fare altro che fissare stranito Amelia, che gridava di gioia, il volto affondato nel mio petto.

“Ero certa che mio padre vi avrebbe assoldato per cercarmi!!!” La principessa sollevò gli occhi sui miei, lo sguardo acceso e speranzoso. “Dov’è Lina-san? Dobbiamo muoverci di qui! Lei deve…”

“Temo che abbiate frainteso, principessa.” Prima che Amelia potesse terminare, anche Meghar avanzò nella stanza. Alle sue spalle, i suoi armati si fermarono ai lati della porta, le mani minacciosamente poggiate sui foderi delle spade. “Purtroppo il giovane Gabriev non si trova qui in veste di vostro salvatore. E in effetti temo che entrambi sarete impossibilitati ad andare in qualsiasi luogo.”

Amelia batté le palpebre, colta di sorpresa, e spostò diverse volte lo sguardo da me al pirata. Quando la comprensione finalmente calò su di lei, le sue sopracciglia si aggrottarono tanto da trasfigurare i suoi lineamenti. “Gourry-san… mi stai dicendo che TI SEI FATTO CATTURARE???”

Indietreggiai di un passo, improvvisamente intimidito, conscio che il disappunto di Amelia stava per prendere forma in una accorata arringa.

“A… Amelia… io…”

“TU!” La principessa non mi permise di terminare. Si rivolse al pirata, il volto sfigurato in una maschera di sdegno. “Tu, spregevole fuorilegge, non solo hai preso in ostaggio una ambasciatrice di pace, ma hai osato anche imprigionare un onesto e valoroso guerriero che si accingeva ad aiutare una sua vecchia amica senza esigere nulla in cambio!!!” Battei le palpebre. Amelia in pochi secondi aveva già dedotto tutte le motivazioni per cui mi trovavo in quel luogo… sbagliando, ovviamente, ma dovevo riconoscerle una certa inventiva. “Tu non hai idea di cosa ti aspetta!!! La giustizia divina e la giustizia di mio padre non ti lasceranno scampo! TU sei destinato a soccombere, come ogni altro malvagio i cui indegni passi solcano il terreno di questo mondo, tu, tu…” Amelia evidentemente non trovò parole sufficientemente ingiuriose per continuare. Ma avevo l’impressione che il messaggio fosse passato comunque. Le guardie di Meghar erano impallidite, e parevano pronte a fuggire in ogni istante dalla stanza. Solo il pirata aveva stoicamente accolto le invettive senza mutare di espressione.

‘Pare che il fervore per la giustizia Amelia sia un ottimo strumento per testare il sangue freddo di un uomo.’

Meghar emise un mezzo sospiro. “E’ da quando l’abbiamo presa prigioniera che fa così.” Dichiarò, quasi la principessa non fosse presente. “All’inizio la tenevo sulla mia nave, ma faceva talmente tanto chiasso che temevo che i miei uomini esasperati cercassero di ucciderla. Mi confermi che è normale, o devo temere che suo padre non la rivoglia più, perché la sovreccitazione la ha fatta impazzire?”

Il volto di Amelia mutò diverse tonalità di violaceo. Per qualche istante temetti seriamente che si sarebbe gettata al collo del pirata e avrebbe cercato di strozzarlo.

“Ehm.” Mi feci avanti, interponendomi fra Meghar e la principessa, prima che la situazione precipitasse. “Amelia, ti senti bene? Non ti hanno fatto del male, vero?”

“Non le è stato torto un capello.” Fu il pirata a rispondere per lei. “E invece di ripagarci per la nostra gentilezza, la principessa qui ha continuato a darci problemi. Solo una settimana fa, ha cercato di aggredire il soldato che le portava il cibo. E ha tentato innumerevoli volte di scappare. Io sono un uomo paziente, ma sto sinceramente cominciando a seccarmi.” Arretrò verso la porta. “Dal momento che la conosci, vedi di farla ragionare. Ti do dieci minuti, poi verrai condotto nella tua cella.” Mi volse le spalle, senza lasciarmi il tempo di replicare. Sparì nello scuro corridoio, e le guardie chiusero la porta alle sue spalle, continuando a fissarci arcigne dalla loro posizione all’ingresso della stanza.

Cercando di ignorarli, mi avvicinai ad Amelia. “E’ davvero tutto a posto?” Domandai, sottovoce, messo a disagio dagli sguardi degli armati puntati sulla mia schiena.

La principessa annuì, sbrigativamente. “Perché fanno questo?” Domandò. “Non capisco perché ti hanno condotto qui. Non era più conveniente per loro che non sapessimo di trovarci nello stesso posto?”

Non avevo considerato la cosa, e la sua domanda mi lasciò spiazzato per un secondo. Ma poi ripensai alle parole che mi aveva rivolto Meghar prima di uscire. “Forse… è una velata minaccia di ritorsione…”

Amelia batté le palpebre. “Vuoi dire che… pensano di tenerci buoni minacciando di fare del male all’altro???” Il suo sguardo rabbioso si volse alle guardie. “Oh, questo è…”

“Amelia.” Cercai di calmarla. Dubitavo che un nuovo discorso sulla giustizia avrebbe migliorato la nostra situazione. “Abbiamo poco tempo. Puoi spiegarmi perché ti trovi qui? Pensavamo che fossi prigioniera di Talit.”

“Pensavate?” La principessa mi guardò spaesata. “Perché, non è così…?”

Le mie sopracciglia si levarono. “Mi vuoi dire che non hai idea di quello che sta succedendo fuori di qui?” Domandai, in tono incredulo.

Il volto di Amelia si oscurò. “Non so niente di niente. Ricordo l’aggressione, ricordo che mi hanno stordita prima ancora che potessi realizzare che cosa stava succedendo… e poi il vuoto più totale. Non so nemmeno come mi abbiano trasportata fino alla nave di quel pirata… via mare, probabilmente, ma quando ho ripreso i sensi mi trovavo già a bordo.” Sospirò. “Da allora sono sempre rimasta rinchiusa, e nessuno si è degnato di dirmi nulla su quanto stava accadendo. Alla fine, ho persino perso il conto dei giorni. Conoscevo Meghar di fama, e sapevo che portava avanti i suoi affari in questa zona della costa di Elmekia, perciò ho dato per scontato che stesse agendo come mercenario per conto di Talit… ma erano solo ipotesi vuote. Non ho la più pallida idea di cosa abbia in mente.”

“In realtà pare che lui e il duca di Talit siano in guerra.” Replicai, incerto. “Ma se devo essere del tutto sincero… anche io ho perso un po’ il filo di quanto sta succedendo.” Mi grattai la guancia.

Amelia mi rivolse un breve sorriso. “In questo caso non sei il solo, Gourry-san.” Indietreggiò di un passo, come per studiarmi meglio. “Ma hai un aspetto orribile. Che cosa ti è accaduto?” Mi fissò negli occhi e il suo sguardo si tinse di preoccupazione. “E Lina-san?”

L’abbozzo di sorriso che era stato sul punto di comparire sulle mie labbra si distorse in una smorfia. “Non è con me.” Replicai, brevemente. “Ma è una lunga storia, e non credo che avrò il tempo di raccontartela ora.” Lanciai un’occhiata fugace alle guardie alle mie spalle, e involontariamente abbassai la voce. “Amelia, come riescono a trattenerti qui? Non potresti usare la magia per andartene?”

La principessa scosse la testa, cupa. “Da quando sono nelle loro mani, la mia magia è più debole. Credo che stiano usando un qualche tipo di incantesimo di schermo per i luoghi in cui mi tengono prigioniera…” Il tono di voce di Amelia era rassegnato. Non avevo idea di cosa fosse un incantesimo di schermo, ma supponevo significasse che non avevamo a che fare con gente sprovveduta, in termini di magia.

“Capisco.” Sussurrai, in tono piatto. “Sono informati su di noi, a quanto pare.” Le rivolsi uno sguardo preoccupato. “Ma non dovresti esagerare con loro, Amelia. Mercenari, pirati e gente del genere non sono tipi con cui scherzare. Ci ho già avuto a che fare e… non vanno per il sottile. Soprattutto con le prigioniere.”

La principessa si strinse nelle spalle. “Oh, se avessero voluto farmi qualcosa di male lo avrebbero già fatto, Gourry-san. Evidentemente conviene anche a loro trattarmi bene, almeno per il momento.” Mi rivolse un ampio sorriso. “Ma grazie di preoccuparti per me.”

Non ero del tutto convinto delle sue parole, ma non ebbi il tempo di replicare. I guerrieri alle mie spalle si fecero avanti, e mi afferrarono per un braccio. “Il tempo delle chiacchiere è finito.” Dichiarò uno di essi, in tono raschiante. “Vieni via, Gabriev.”

Non opposi resistenza. Il mio malessere era passato, ma mi sentivo ancora troppo debole per lottare. Lanciai un’ultima occhiata ad Amelia, mentre venivo trascinato fuori dalla stanza, ma il suo volto sparì dietro la porta prima che potessimo scambiarci qualsiasi genere di messaggio.

Rassegnato, mi lasciai condurre attraverso il corridoio, e lungo una ulteriore rampa di scale a chiocciola, che culminava in uno stretto pianerottolo. Su di esso si apriva un’unica porta, che conduceva a una stanza piccola e tetra. Evidentemente, quello era il “confortevole alloggio” che mi era stato promesso.

Venni spinto all’interno. Non sembrava precisamente una cella, piuttosto il vecchio alloggio di uno dei guardiani. La stanza sapeva di muffa e di stantio, nonostante l’unica finestra, una feritoia vicina al soffitto e troppo stretta persino per sporgersi, fosse priva di vetri come quelle dei corridoi. Il pavimento e le pareti erano in pietra grigia e incrostate di umidità e salsedine. In un angolo della parete sulla destra, una bassa porta tarlata era chiusa su quello che doveva essere l’accesso alla latrina. Per il resto, ben poco spezzava la monotonia dell’ambiente. Sulla sinistra era stato allestito un pagliericcio, vicino al quale erano state accatastate delle coperte. Abbandonati a terra c’erano un secchio d’acqua, alcuni oggetti per la toletta e una cassa tarlata ricolma di ceppi di legno. Al centro della stanza, troneggiava un tavolo con una sedia, spoglio salvo che per una candela, una brocca d’acqua con un bicchiere e un vassoio ricoperto da un liso telo bianco. Nella camera non c’era altro mobilio. Nella parete esterna, però, era scavato un piccolo camino in pietra, in cui qualcuno aveva già acceso un fuoco. L’aria non era satura di calore come nella stanza di Amelia, ma dopo aver percorso i corridoi gelidi, trovarmi al caldo era comunque una sensazione piacevole.

La guardia mi spinse verso il tavolo. “Laggiù c’è la tua cena Sir.” Dichiarò, sprezzante. “Buona permanenza.” Si fece indietro, e chiuse con violenza la massiccia porta alle mie spalle. Mentre tirava il catenaccio che mi imprigionava lì dentro, io rimasi per qualche istante a fissare lo squallore in cui avrei abitato per quelli che forse sarebbero stati i mesi a venire. Per un momento fui tentato di mettermi a gridare, o rifiutarmi di mangiare, tanto per complicare un po’ la vita ai miei catturatori. Probabilmente Lina lo avrebbe fatto, al mio posto. Ma dubitavo che la cosa avrebbe condotto a grandi miglioramenti.

Sospirai, e mi decisi ad avanzare nella stanza. Mi sedetti al tavolo, e sollevai il telo che copriva la mia cena. Uno stufato denso e oleoso, in cui galleggiavano pezzi di carne grassa dalla dubbia provenienza. E ad accompagnarlo, formaggio duro come la pietra e pane raffermo.

‘Grandioso. Suppongo di non essere considerato nemmeno un ostaggio degno di un pasto decente.’

In realtà, sapevo di non potermi lamentare. Amelia poteva anche essere trattata da principessa, ma la guerra non era esattamente il momento adatto per sprecare risorse sfamando i prigionieri con pasti luculliani.

E in fondo, normalmente, i pirati non facevano prigionieri.

Affondai il cucchiaio nello stufato e presi a rimestarlo, sperando che questo potesse migliorare il suo aspetto. Inutile dire che non lo fece. Ma dopo le prime cucchiaiate, mi scoprii a divorarlo quasi avidamente. La fame, evidentemente, poteva farmi scordare persino il disgusto. Dopo giorni di nausea, il mio stomaco trovava appetibile anche quella brodaglia.

Terminai lo stufato e pulii il piatto con il pane, quindi divorai il formaggio. Aveva un vago retrogusto stantio, ma quando lo ebbi finito mi trovai a desiderarne ancora. Provai a bere qualche bicchiere d’acqua, per riempirmi lo stomaco,ma non bastava. Il mio corpo continuava a reclamare cibo.

‘Al diavolo.’ Mi sollevai in piedi, nella speranza di distrarmi dalla fame. Trasportai il secchio dell’acqua vicino al fuoco, mi svestii della mia tunica ormai logora, e presi a lavarmi, liberandomi dello sporco che mi aveva incrostato il corpo e i capelli. Quando ebbi terminato, usai il sapone che mi era rimasto per lavare la tunica e la maglia di lana che indossavo sin da quando ero stato catturato. Supponevo che non avrei avuto altri vestiti a disposizione a breve.

Abbandonai le vesti sullo schienale della sedia, vicino alle fiamme, e raggiunsi il mio giaciglio. Non mi accertai nemmeno che fosse pulito. Mi gettai addosso tutte le coperte che trovai e mi ci abbandonai supino, lo sguardo fisso sul soffitto spoglio della stanza. Quella notte non avevo la forza di dormire sul pavimento.

‘Ma non è male, in fondo. A onor del vero, ho dormito in locande peggiori.’

Ripensai alla stanza che avevo condiviso con Lina a Sailarg, prima che venissimo coinvolti in tutta quella faccenda, e un sorriso affiorò involontario alle mie labbra. Avevo sinceramente creduto che mia moglie avrebbe fatto saltare in aria l’oste, quando ci aveva chiesto tre monete d’oro per una stanza che era lussuosa quanto la reale porcilaia. E quella lumaca nella vasca da bagno… dopo anni di convivenza, trovavo ancora assolutamente inspiegabile come una donna che aveva guardato la morte in volto e aveva fronteggiato alcune delle creature più potenti del nostro mondo potesse essere terrorizzata da un essere non più grande del suo mignolo. Ma in fondo questa era Lina. Una contraddizione vivente.

‘Vorrei che fosse qui.’

Levai la mano destra. Avevo rimosso le bende per lavarmi e ora l’immagine della mia pelle martoriata mi fronteggiava dal palmo. L’intera mano era arrossata, ora. Era come se la mia ferita si stesse lentamente espandendo.

Le mie labbra si strinsero. E se quel marchio fosse stato un segno di morte? Fino a qualche anno prima, non avevo avuto paura di morire. Quando avevo perso mia madre avevo dodici anni, ed era stato allora che avevo capito che nessuno poteva sfuggire a quella sorte. Lo avevo accettato, non me ne preoccupavo. Ma da quando avevo conosciuto Lina, quella prospettiva era tornata a spaventarmi. Cosa avrebbe provato, se mi fosse successo qualcosa? Avrebbe vissuto nella stessa cieca disperazione che aveva colto me, ogni volta che avevo temuto per la sua vita? Quando ero stato rapito da quel demone, anni prima, aveva accettato coscientemente il rischio di perdere se stessa, pur di salvarmi. E se fosse accaduto ancora?

Abbassai il braccio. Non volevo preoccuparmene, in quel momento. Chiusi gli occhi, cercando di combattere l’ansia. E lasciai che il sonno, gradualmente, mi catturasse.

***

Avevo incontrato ogni genere di persona nella mia vita.

Ma mai qualcuno che avesse altrettanta faccia tosta.

“Vi dico che è la soluzione migliore.” Dichiarò Bastian, asciutto. “Non ha senso andare tutti. Se la mia signora Sylphiel si sbagliasse e Sir Gabriev non si trovasse nella prigione sull’isola, rischieremmo di farci catturare tutti inutilmente. Qualcuno deve restare per cercare una soluzione alternativa, nel caso il piano andasse storto.” Cercai il suo sguardo, ma gli occhi del cavaliere sorvolarono il mio viso senza soffermarsi, e si fissarono ostinatamente su Derek.

Lo trovai infinitamente irritante.

Era tutta la mattina che cercavo di parlargli, ed era tutta la mattina che Bastian mi ignorava. Ma se a lui stava bene inscenare quello stupido teatrino, e ostentare il suo disprezzo come se nulla fosse successo, io ritenevo che ci fossero un bel po’ di cose da mettere in chiaro prima di tornare al nostro sano odio reciproco. In primo luogo, il fatto che se avesse tentato di mettermi di nuovo le mani addosso, lo avrei spedito in orbita così velocemente da non permettergli nemmeno di accennare con quel suo tono sprezzante le sillabe del nome ‘Lina Inverse’.

“Non mi fido abbastanza né di te né di Derek per decidere di lasciarvi andare avanti da soli in questa cosa.” Replicai, aspra. “Dite quello che vi pare, ma io questa mattina andrò su quell’isola. Restateci voi qui a marcire nelle paludi, se davvero ci tenete.”

Sylphiel continuava a lanciarmi occhiate curiose. Io la ignorai pesantemente. Quella notte non avevo chiuso occhio e la rabbia, il senso di colpa e la stanchezza parevano essersi accumulati sul fondo del mio stomaco in un groviglio inestricabile. Stringevo fra le dita uno spiedino infilzato in una delle salsicce sugose che avevamo appena cotto sul fuoco per la colazione, ma, per come la trovavo appetibile in quel momento, avrebbe anche potuto trattarsi di un blocco di melma.

Bastian sospirò e replicò fissando il fuoco. “Né Derek né io saremmo in grado di infiltrarci in una delle città controllate da Meghar per cercare informazioni, se il tentativo alle vecchie carceri si rivelasse un fiasco. Siamo troppo riconoscibili. Voi due, invece…”

Mi levai in piedi, impedendogli di terminare. “Voi due siete riconoscibili??? E immagino che la taglia sulla mia testa non voglia dire nulla, giusto??? Dovreste ricordarvela bene, dal momento che l’integerrimo Lord Gabriev ha commesso il veniale peccato di coprire un omicida, perché fosse mantenuta!” ‘Sempre ammesso che l’omicida non sia davvero lui’. Ma mi guardai bene dal dare voce a quel pensiero, di fronte al fratello di Gourry.

Derek sibilò fra i denti qualcosa che fui lieta di non aver udito. Bastian, invece, mantenne stranamente la calma, nonostante il mio tono acido. “E’ Lord Gabriev che ti sta cercando, non Meghar. E comunque con la tua magia te la caveresti certo meglio di noi, nel cammuffarti.” Derek parve contrariato, all’ultima affermazione, ma ebbe il buon senso di tacere. Ma non serviva certo una sua reazione, per irritarmi. La tranquillità di Bastian era più che sufficiente a farlo. Non aveva dannatamente il diritto di essere tranquillo.

“Vedi, Bastian…” Sibilai, quasi dolcemente. “… pianificare in questo modo le cose implicherebbe che noi quattro stiamo lavorando come una squadra. Ma non è così. Il fatto che io tolleri la vostra presenza…” E spostai lentamente lo sguardo fra lui e Derek. “… non significa che io sia disposta ad accettare consigli strategici da voi. E tanto meno ordini.”

Bastian finalmente levò lo sguardo su di me, ma la sua espressione rimase totalmente indecifrabile. Le mie viscere si torsero con ancora maggiore violenza, per la rabbia.

“A me sta bene finirla qui.” Derek si levò in piedi, con fare insofferente. “Questa collaborazione era destinata a essere fallimentare sin dal principio. Se ognuno se ne andrà per la propria strada sarà molto…”

“Derek-san.” Sylphiel lo interruppe, mordendosi il labbro. Sembrava inquietata dal nostro scambio di invettive. “Aspetta, ti prego.” Il suo sguardo si posò su di me. “Io… credo che Lina-san si sia lasciata trasportare dall’agitazione, nell’usare parole così dure… ma penso anche che abbia ragione, riguardo al fatto che è meglio restare uniti. Abbiamo un comune obiettivo, e se Meghar ha a sua disposizione dei maghi, la nostra presenza potrebbe esservi utile. Senza contare che Lina-san e io conosciamo poco questi territori, e se voi due non doveste tornare avremmo comunque difficoltà a muoverci da sole…”

La notizia dell’esistenza delle vecchie carceri mi era stata rivelata da Sylphiel, quella mattina al suo risveglio. La sacerdotessa mi aveva raccontato del rapimento di Amelia e della sua scorta, e dei suoi iniziali sospetti riguardo al fatto che fossero tenuti prigionieri dal Duca di Talit proprio in quelle isole. Tuttavia, la sacerdotessa, come me, non conosceva particolarmente quei territori. Quando era giunta a Rolan, aveva scoperto con un certo disappunto che le isole che credeva sotto il controllo del Duca si trovavano di fatto nelle mani dei pirati ormai da anni. Ciò significava, però, che Meghar poteva averle scelte come luogo per tenere rinchiuso Gourry. Un’isola sarebbe stata più riparata dagli attacchi delle truppe di Rolan rispetto alle città lungo la costa, senza contare che, per come Derek ci aveva descritto le vecchie carceri, la loro posizione isolata e protetta da un’altura le rendeva una preda difficilmente espugnabile. Ma non mi importava. A costo di far saltare in aria mezza isola, la mia priorità rimaneva togliere Gourry dai guai.

Derek parve stranamente placato dalle parole di Sylphiel. Tornò a sedersi, pur continuando a gettarmi lunghe occhiate circospette. Bastian rivolse invece uno sguardo pensoso alla sacerdotessa, ed ebbi l’impressione che lottasse per cercare una ragione valida per contraddirla. “Più siamo, più sarà difficile non farci notare.” Obiettò alla fine. Ma ormai c’era una traccia di resa nella sua voce.

“Ci fingeremo mercanti, saltimbanchi, quello che vi pare.” Replicai io, asciutta. “Una volta giunti sull’isola, basterà avviarci a piedi attraverso il bosco, e anche dall’alto della prigione nessuno ci noterà.”

“Il problema non sarà attraccare sull’isola, il problema sarà superare la sorveglianza all’ingresso delle prigioni.” Sbuffò il cavaliere. “Non ti illudere che il buio o uno dei tuoi trucchetti magici possano bastare. E se anche riuscissimo a entrare, non ho idea di come potremmo fare a uscirne.”

“Bé, quando saremo lì, ci inventeremo qualcosa.” Tagliai corto. Ero impaziente di muovermi. Lanciai un’occhiata alla salsiccia ancora stretta nella mia mano, ormai fredda, e mi decisi ad addentarla. In fondo, mi attendeva una lunga giornata.

Un silenzio cupo calò sull’accampamento. Per motivi diversi, ciascuno sembrava uscire insoddisfatto da quella discussione. Ma alla fine, i miei compagni di viaggio mi imitarono e si alzarono. Bastian e Derek cominciarono a radunare con movimenti bruschi i propri oggetti personali. Io, che quella mattina mi ero levata dal mio giaciglio quando ancora il cielo era scuro e avevo già ammonticchiato nel mantello i miei averi, rimasi ferma a guardarli, masticando con poco entusiasmo la mia colazione.

Sylphiel mi rivolse un’occhiata ansiosa. “Lina-san… va tutto bene? Stamattina mi sembri un po’…”

“Avremo bisogno di una barca.” La interruppi, senza guardarla in volto.

“Cosa…?”

“Una barca. Non possiamo certo arrivare all’isola a nuoto.”

Sylphiel batté le palpebre. “Oh… Bé, immagino che potremmo pagare per averne una al porto…”

“Non è una buona idea.” Intervenne Bastian, che evidentemente aveva origliato la nostra conversazione. “Entrare a Rolan, intendo. Secondo me dovremmo tornare indietro attraverso la palude e cercare qualche villaggio di pescatori. Abbiamo visto parecchie barche abbandonate, mentre venivamo qui..”

Avrei persino potuto trovare divertente il fatto che un tipo come lui suggerisse di rubare una barca a un ignaro pescatore, in altre circostanze. Quella mattina, però, avevo poca voglia di scherzare. “Immagino che sia la cosa migliore da fare.” Replicai, in tono tetro. “Se ci aggirassimo per Rolan rischieremmo di essere riconosciuti, anche rimanendo nella parte bassa della città.” ‘Senza contare che laggiù un fantomatico assassino potrebbe essere sulle mie tracce.’ Non avevo riferito le parole di Sybil a nessuno, nemmeno a Sylphiel. Mi sarei sentita estremamente stupida ad ammettere che ero in ansia per le profezie di una sacerdotessa fuori di testa.

Nessuno trovò nulla da obiettare, per cui terminammo di liberare l’accampamento in silenzio. Quando ci incamminammo, il sole era ormai a metà della sua ascesa mattutina al cielo, e la luce azzurrina tipica delle ore successive all’alba saturava l’aria. Il vento aveva spazzato via le nubi della serata precedente, prospettandoci una giornata fredda ma limpida. La brezza che soffiava da ovest portava con sé l’odore del mare, più intenso che mai, e sferzava via i residui della umidità stagnante dei giorni precedenti. La palude appariva decisamente meno minacciosa, quel giorno. Questo contribuì almeno parzialmente a calmarmi.

“E’ davvero desolato, qui attorno…” Commentò Sylphiel, lievemente ansante, quando riemergemmo dai pini, raggiungendo finalmente un tratto di costa rocciosa. “Quando sono partita da Sailarg, non avevo idea… la situazione sembra più grave di quello che pensassi…”

Derek avanzò davanti a tutti noi, e prese a guardarsi intorno con fare nervoso. Sapevo a cosa stava pensando. Quella zona sembrava terribilmente esposta. Ma mi confortava il fatto che mentre viaggiavo con Bastian e Dorak non avessimo incrociato anima viva.

“Proseguiamo per un po’.” Suggerii. “Più avanti c’era un canale, se non ricordo male.”

Non mi sbagliavo. A poco più di un chilometro verso Nord, incontrammo il largo corso d’acqua, che si immetteva placidamente nel mare aperto. Se avessimo risalito il suo corso, avremmo incontrato l’ormeggio dei traghettatori che trasportavano merci e persone da un lato all’altro del canale, ora deserto. All’andata avevamo scorto la loro chiatta abbandonata sugli argini melmosi, ma era apparsa troppo malmessa per servire ai nostri scopi. Allora avevo usato il Raywing per trasportare i miei compagni di viaggio sul lato opposto del canale (nonostante lo scarso entusiasmo dimostrato da Bastian per quella opzione), ma purtroppo non era pensabile giungere in volo anche sull’isola dove speravamo di trovare Gourry. Avremmo dato troppo nell’occhio.

“Ci sono delle case.” Indicò Derek. “Andiamo a dare un’occhiata.”

Un piccolo gruppo di edifici su palafitte si ammucchiava sul nostro lato del canale, poco lontano dalla sua foce. Discendemmo cautamente gli argini scivolosi, e ispezionammo a una a una le povere abitazioni in cerca di qualcosa di utile per il nostro viaggio. Molte, tuttavia, erano state saccheggiate, e le imbarcazioni tirate in secca o legate sotto di esse non avevano decisamente l’aria di essere pronte ad affrontare il mare aperto.

“Dannazione.” Sibilò Bastian, fra i denti, scalfendo con un calcio il bordo della barca più integra che eravamo riusciti a trovare (che presentava un vistoso buco nella parte anteriore dello scafo). “Hanno portato via qualsiasi strumento utile. E se anche avessimo i mezzi per ripararne una, ci vorrebbe un sacco di tempo prima di prendere il mare.”

“Non necessariamente.” Replicai. Mi era appena venuta un’idea. Levai lo sguardo su Sylphiel, che parve cogliere dal mio sguardo quello che intendevo.

“Non sono certa di riuscirci.” Mi ammonì. “E’ magia piuttosto avanzata, più o meno l’equivalente del Resurrection… ma non mi è capitato altrettanto spesso di provarla.”

Mi strinsi nelle spalle. “Io di certo non so come fare. Come ben sai, mi riesce meglio distruggere, che riparare.”

Sylphiel si lasciò sfuggire un sorriso. “E va bene, Lina-san. Farò un tentativo.”

Mentre Bastian e Derek la scrutavano con fare interrogativo, si avvicinò alla barca, protese le mani e prese a recitare sommessamente una formula. Quasi istantaneamente, una intensa luce bianca avvolse la sagoma della barca. Si trattava di un incantesimo che avevo visto scagliare una volta dal Monaco Rosso e che aveva riportato esattamente al suo precedente aspetto una stanza in cui avevo appena lanciato una Palla di Fuoco. Un semplice oggetto non richiedeva nemmeno lontanamente il livello di potere necessario per operare la stessa magia su un ambiente, per lo più ricolmo di mobilio, ma si trattava comunque di magia sacerdotale di alto livello. Incrociai le dita, attendendo speranzosa di osservare il risultato ottenuto da Sylphiel, e quando la luce bianca svanì non potei impedire a un ghigno soddisfatto di dipingersi sul mio viso. La barca pareva appena uscita dal laboratorio in cui era stata costruita.

‘E non ha nemmeno assunto la forma di nessun ortaggio.’

Gli incantesimi di Sylphiel avevano un po’ questa tendenza, sapete.

Le espressioni dei nostri compagni di viaggio si fecero all’istante stupefatte. “Con la magia… si può fare una cosa del genere?” Domandò Bastian, con l’aria di chi sta lottando per mantenere la mascella attaccata al resto del cranio.

Dovetti reprimere un sogghigno. “Esistono un sacco di incantesimi adatti a faccende pratiche di questo genere.” Levai lo sguardo, e scoccai un’occhiata divertita alla sacerdotessa. “Ben fatto, Sylphiel.”

La giovane donna sorrise, e si terse dalla fronte il sudore generato dallo sforzo dell’incantesimo. “Ti ringrazio, Lina-san.”

“E ora muoviamoci.” Presi a spingere la barca verso il canale, sdrucciolando sul terreno malfermo. “Non vedo l’ora di avere fra le mani un po’ di pirati, per mostrarvi cos’altro può fare la magia.”

Notai Bastian e Derek scambiarsi un’occhiata terrorizzata, a quelle parole, e questo migliorò lievemente la mia disposizione nei loro confronti. Adoravo impressionare i miei compagni di viaggio, quasi quanto adoravo maltrattare i fuorilegge.

L’imbarcazione era poco più grande di una scialuppa, e bastava appena per quattro persone. Due paia di remi erano disposte alle due estremità. “Ci penso io.” Si affrettò a dire Derek, afferrandone uno. Sospettai che temesse che volessimo ricorrere alla magia anche per fare avanzare la barca.

“Aspetta.” Obiettai. “Se davvero vogliamo spacciarci come mercanti, non siamo granché credibili.” Li occhieggiai. Io indossavo una semplice tunica nera, che avevo acquistato alla capitale prima di partire, ma nessuno di loro aveva l’aria del comune viaggiatore. Sylphiel vestiva la sua consueta veste violetta da viaggio con le insegne da sacerdotessa, Derek indossava una cotta di maglia, insieme alla tunica e al mantello candidi con l’insegna verde chiaro dei Gabriev (già, un vero maestro del viaggio in incognito) e Bastian portava la consueta armatura di cuoio e gli abiti scuri che gli avevo visto indossare sin da quando avevamo intrapreso il viaggio. Passavamo inosservati come un orso bruno in abito da sera.

I miei compagni di viaggio parevano avere raggiunto la mia stessa conclusione. Restammo a fissarci per qualche istante, a corto di soluzioni.

“Forse potremmo cercare un altro po’ nelle abitazioni… per vedere se troviamo qualche abito…” Suggerì Sylphiel.

“Hanno portato via tutto.” Tagliai corto, togliendomi il mantello. “Vediamo un po’ che cosa ho qui…” Estrassi un’ampia borsa da viaggio da una delle tasche, di fronte agli occhi sbigottiti di Derek. “E’ stregato.” Spiegai, sbrigativa. Anche Dorak e Bastian avevano avuto la stessa reazione, la prima volta che mi avevano visto estrarre i miei oggetti per il viaggio da lì dentro.

Recuperai una vecchia tunica consunta di Gourry (che non ricordavo nemmeno di avere stipato lì dentro) e il vestito bianco che avevo ricevuto da Livia e li porsi a Sylphiel e Derek. “Qui. Mettetevi questi.” Intimai, pratica. “Bastian, penso che i tuoi vestiti vadano bene, ma è meglio se vi togliete le armature. Darete meno nell’occhio, ed eviterete di andare a fondo nel caso cadiate in acqua.” Il cavaliere fissò prima me, poi i vestiti che reggevo fra le mani, poi l’acqua scura del canale. Le sue labbra si strinsero lievemente.

Lasciai che si allontanassero per cambiarsi. Ne risultò che la veste bianca stringeva vistosamente a Sylphiel sul davanti (si prega di non commentare, grazie), mentre la tunica di Gourry cascava lievemente a Derek, che era altrettanto massiccio, ma meno alto del fratello. Nel complesso, tuttavia, avevamo un aspetto vagamente più convincente di prima. In compenso, il mio mantello pareva pesare un quintale, dopo che ci avevo stipato dentro le due armature. Dovetti piazzarmi al centro della barca, per evitare di sbilanciarla.

Derek riprese in mano i remi, sbuffando nel tirarsi indietro le maniche troppo lunghe. Bastian si sedette in silenzio all’altra estremità della barca, imitandolo. Non obiettai. Tanto valeva che i due grand’uomini mettessero un po’ a frutto la loro forza bruta.

Discendemmo lentamente lungo il canale. Sul mare, il vento soffiava ancora più forte che sulla terraferma e le onde si gonfiavano al largo, facendo oscillare pericolosamente la barca. Mi strinsi nel mantello, reggendomi al bordo, e presi a scrutare l’orizzonte in cerca di altre imbarcazioni che potessero avvistarci. Il mare, però, sembrava sgombro.

“Comincio a pensare che non sia stata una buona idea.” Commentò Bastian. Alla luce pallida del sole, il suo volto appariva tinto di un vago colorito verdognolo. “In fondo una barca del genere potrebbe anche non reggere un viaggio in mare aperto.”

Lo fissai. I suoi occhi scuri dardeggiavano a tratti verso le onde, per poi tornare a fissarsi nervosi sul fondo della barca. Inclinai la testa, perplessa.

“Bastian…” Mormorai, studiandolo con nuovo interesse. “Tu… sai nuotare, vero?”

Fu come se lo avessi schiaffeggiato. Le sue orecchie si tinsero di rosso, in un bizzarro contrasto con le sue guance mortalmente pallide, e sul suo volto si disegnò un’espressione talmente piccata che per un momento mi sembrò di aver scovato un bambino con le dita nella marmellata.

Aprì la bocca per un istante, come per rispondermi, ma alla fine la richiuse, e distolse lo sguardo. Io ebbi la dignità di non ridergli in faccia.

“Sai cavalcare un drago e non hai mai imparato a fare una cosa così semplice?”

“Non sono affari che ti riguardino.”

“E magari ti fa anche paura l’acqua, non è così?”

“Stai zitta, Lina Inverse.”

Oh, non biasimatemi. Si meritava che sfogassi su di lui un po’ del mio sadismo, giusto?

Ci volle forse un’ora per raggiungere a remi il porticciolo a cui intendevamo attraccare. Fui grata della brevità della traversata, perché, a dispetto di tutte le mie previsioni, il cielo stava tornando a farsi plumbeo. Le nuvole si addensavano velocemente, trasportate dal vento che soffiava dal mare e saette minacciose rilucevano in lontananza, donando un aspetto pericoloso al mare in burrasca.

La minaccia della pioggia non sembrava comunque sufficiente a far desistere il vario popolo del porto dalle sue numerose attività. Quando attraccammo, nessuno parve fare caso a noi, nel viavai di barche che si muovevano da un punto all’altro del fitto arcipelago di isolette che costellava la baia. La cittadina appariva in realtà poco più che un villaggio, e non doveva essere lì da molto più di un secolo. Supponevo che fosse abitata per lo più da fuorilegge e contrabbandieri di varia sorta, che si tenevano alla larga dai mercati regolati da confraternite della terraferma. C’era la concentrazione più ampia di brutti ceffi che avessi mai visto (e vi assicuro, ne avevo visti, nella mia vita). Mi chiesi quanti di loro fossero uomini al servizio di Meghar, incaricati di pattugliare i moli.

Pagammo l’attracco a un vecchio sdentato e dalle sopracciglia innaturalmente folte e ci avviammo fra i banchi di pesce, verso la zona del mercato. Ora che eravamo sbarcati, l’ansia era tornata ad attanagliare il mio stomaco. Mi guardai intorno, più per ostentare interesse che per reale curiosità. Le bancarelle sembravano accatastate alla rinfusa, senza una precisa logica. Carri ricolmi di casse di sardine e tonni, freschi e sotto sale, erano affiancati a banchi di stoffe e ceramiche. I mercanti continuavano a scrutare il cielo, preoccupati di ritrovarsi con i propri averi completamente zuppi di pioggia.

“Fermiamoci a comprare qualcosa per il pranzo.” Suggerii, con noncuranza, avviandomi verso un carro che esponeva un disparato assortimento di dolciumi.

“Ti pare il momento?” Sibilò Bastian, scrutandosi attorno con fare nervoso.

“E’ esattamente il momento per fingere di essere comuni viaggiatori.” Replicai, secca. “E i comuni viaggiatori vanno al mercato per comprare, Bastian.”

Il cavaliere mi lanciò un’occhiata scettica, ma non obiettò. Acquistammo del croccante al miele da una venditrice con un marcato accento del sud e del tonno salato da un mercante che continuò per tutta la trattativa a scoccare occhiate laide in direzione di Sylphiel. Il fatto che una delle sue orbite fosse colmata da un lucido occhio di vetro non le rese meno sgradevoli.

La sacerdotessa si strinse nel mantello, mentre ci allontanavamo verso l’estremità della banchina del porto. Sembrava a disagio, e non potevo biasimarla. Nel corso dei miei viaggi io ne avevo viste di tutti i colori, ma Sylphiel non doveva essere particolarmente abituata a quel genere di ambiente.

“Credete che possiamo allontanarci senza dare troppo nell’occhio?” Mormorò, dopo aver sbocconcellato per qualche minuto una porzione di pesce, continuando a guardarsi nervosamente attorno.

“Direi di attraversare il centro abitato come se fossimo in cerca di una locanda.” Replicai. “Se tirassimo dritti verso la foresta da qui qualcuno ci noterebbe di certo. C’è troppa gente in giro.”

Per una volta, fui lieta di sbagliarmi. Non feci in tempo a finire di parlare, che il cielo venne in nostro soccorso, risolvendo ogni nostra necessità di circospezione. Il boato di un tuono scosse l’aria e una pesante goccia d’acqua si infranse sul mio naso. Nel giro di pochi istanti, il ticchettio della pioggia iniziò a rimbombare sui tetti dei carri e i venditori di pesce presero a coprire frettolosamente con dei teli la propria merce. I mercanti di stoffe si affrettarono a radunare i propri oggetti, per fuggire in qualche luogo riparato, e la ressa che affollava i moli prese progressivamente a disperdersi, mentre le gocce isolate si trasformavano in uno scroscio sempre più violento. La gente ora procedeva a testa bassa, superandoci di corsa e dirigendosi verso le osterie allineate alle spalle delle bancarelle, o sparendo nei vicoli che si addentravano nella città.

“Approfittiamone.” Sibilò Derek. Senza lasciarcelo ripetere due volte, ci affrettammo al suo seguito, verso il limitare della banchina. Nel tumulto generale, nessuno parve fare caso a noi mentre scivolavamo barcollando attraverso un gruppo di scogli, e raggiungevamo la spiaggia. La sabbia si era trasformata in un enorme pantano, ma in qualche modo riuscimmo ad avanzare arrancando verso una macchia d’alberi, nel punto in cui la vegetazione attecchiva sul terreno fangoso. Lì ci soffermammo a riprendere fiato e io mi gettai velocemente un’occhiata alle spalle, per verificare se qualcuno ci avesse seguito. Il tratto di spiaggia che ci separava dall’ultimo molo, però, pareva deserto.

La pioggia ora scrosciava tanto forte che l’alone grigio calato sul panorama sembrava quasi preannunciare il crepuscolo. I miei vestiti erano talmente zuppi che mi sembrava di essere caduta in mare. Mi guardai attorno, cercando freneticamente di ignorare la sensazione di gelo che mi stringeva le ossa e di ragionare su dove dirigerci. Mentre fissavo il cielo che sovrastava il mare, una saetta lo illuminò, scaricandosi con violenza sulla massa d’acqua. Mare e alberi erano una pessima combinazione, nel mezzo di una tempesta. In ogni caso, dovevamo muoverci di lì.

“Di qua!” Gridai, per sovrastare il rumore assordante della pioggia. Imboccai un sentiero che si allontanava dalla città, addentrandosi fra la vegetazione. Costeggiammo la spiaggia per un tratto, quindi deviammo verso l’entroterra. I miei stivali si erano riempiti d’acqua, e a ogni passo sentivo i miei piedi affondare nel gelo. Arrivai a chiedermi se le celle dei pirati avessero un camino, e se non fosse il caso di farmi catturare.

Il pensiero della resa divenne ancora più allettante quando iniziò la salita. Gli effetti della pendenza erano peggiorati dal fango, che rendeva il terreno scivoloso, e dagli insidiosi rivoli d’acqua che correvano lungo i fianchi della collina. Procedevamo praticamente alla cieca, zigzagando nelle piste da conigli, la nostra unica certezza il fatto che dovevamo continuare a salire, dal momento che le carceri erano arroccate nel punto più alto dell’isola.

Per le due o tre ore successive, nessuno di noi si sognò di parlare. Dopo solo mezz’ora di salita, avevo già il fiatone, e la milza aveva preso a dolermi. Continuavo a scivolare e ad atterrare con le mani nel fango, e i miei guanti e i miei pantaloni all’altezza delle ginocchia erano completamente incrostati di melma. A tratti la pioggia ci diede sollievo, ma le nuvole non si diradarono. Quando raggiungemmo la cima, il cielo era già buio, anche se non doveva essere più tardi delle cinque di pomeriggio. In effetti, era difficile capirlo, non potendo vedere il sole.

Le carceri entrarono nel nostro campo visivo quasi all’improvviso, sbucando fra gli alberi. Ci arrestammo, ansanti, a un centinaio di metri al di sotto di esse, riparandoci nella vegetazione fitta. Anche dalla nostra posizione nascosta, potevo scorgere le sentinelle sulle mura, che scrutavano truci nell’oscurità della foresta, immobili sotto la pioggia.

“Non avete qualche incantesimo che renda invisibili, o roba del genere?” Domandò Derek, in un acido sussurro. Io mi trattenetti a stento dal levare gli occhi al cielo. “Roba” era esattamente il termine che avrebbe usato anche Gourry. Almeno nell’ignoranza riguardo alla magia, lui e mio marito erano simili.

“Esistono oggetti magici che possono farlo, ma sono molto rari… e purtroppo non esiste magia umana conosciuta che permetta di ottenere un simile risultato, Derek-san.” Replicò Sylphiel, in tono paziente. In realtà non era proprio esatto. Esisteva un incantesimo adatto a quello scopo, ma il punto era che era talmente complesso che una volta riusciti a diventare invisibili non si poteva fare altro che rimanere immobili a concentrarsi, perché qualsiasi forma di interazione con il mondo esterno avrebbe interrotto gli effetti della magia… il che rendeva l’incantesimo abbastanza inutile, in effetti. Avrei dovuto provare a lavorare a una qualche modifica, un giorno o l’altro. “Lina-san, credi che volando potremmo…”

Scossi la testa, ancora prima che terminasse. “Sarebbe già difficile per una persona da sola non farsi notare, figuriamoci per quattro, e con due pesi morti.” Occhieggiai con molto poco garbo i due cavalieri, che mi restituirono occhiate torve.

“Se ci separassimo, però…” Azzardò la sacerdotessa.

Arricciai le labbra, riflettendo. “Certo, voi tre potreste restare qui…” Riflettei dopo qualche istante. “Ti ricordi, Sylphiel, di quella magia che usasti con la tua sfera per indicarci la strada nel laboratorio di Rezo? Su tu riuscissi allo stesso modo a suggerirmi in che zona delle carceri si trova Gourry…”

La sacerdotessa ebbe un lieve sussulto. “Ma Lina-san… è troppo pericoloso per te andare da sola fino a…”

“E’ una buona idea, invece.” La interruppe Bastian, secco. Mi volsi a osservarlo, stupita che mi desse ragione. “Da sola ha buone probabilità di trovare Sir Gabriev prima di essere scoperta.” Spiegò, in tono pratico. “E poi, eventualmente, lei e Sir Gabriev potranno farsi strada fuori dalle carceri combattendo.” Estrasse la spada, con un gesto fluido. “Sir Gabriev sarà disarmato. Offrigli questa, Lina Inverse.” Dichiarò, porgendomela. “Mi basterà che tu mi lasci la tua spada corta per difendermi, all’occorrenza.”

Io scrutai prima lui e poi la spada, sospettosa. “Che cosa hai in mente?” Domandai, senza afferrarla. Per qualche motivo, avevo idea che il suo piano non fosse semplicemente restare fermo ad aspettarmi.

“Creeremo un diversivo.” Replicò, calmo. “Se ci facciamo rincorrere dalle guardie fra gli alberi, le mura delle carceri saranno abbastanza sguarnite da farti passare inosservata.”

Battei le palpebre, colta alla sprovvista da quel suggerimento. Dovevo ammettere di non averci pensato. Sarebbe stato pericoloso per tutti, ma… non era una cattiva idea.

“Aspetta un momento!” Sibilò Derek, irritato. “Io non ho intenzione di essere una stupida esca! E poi come la metti con Sylphiel-san? Non vorrai abbandonarla qui da sola!”

“Ma io voglio partecipare!” Obiettò Sylphiel, determinata. “Posso confonderli, con la magia! E se ci dividiamo, li faremo sparpagliare in diverse direzioni!”

Derek non sembrava convinto. Io emisi un sospiro, esasperata. Ero troppo vicina al mio obiettivo e troppo impaziente per avere voglia di discutere. “Beh, Derek, io non ho intenzione di portarti con me. Se non ti va bene aiutarci, restatene semplicemente qui nascosto, ma bada bene di evitare di intralciarci.” Afferrai la spada dalle mani di Bastian con eccessiva foga, e per poco non finii ribaltata al suolo per il suo peso.

Derek vestì un broncio che ricordava pateticamente quello di uno scolaretto testardo, ma non replicò. Mi beai nell’idea che fosse stato frenato dal mio tono perentorio, ma probabilmente stava solamente cercando di evitare una rissa sotto gli occhi delle guardie.

Decidemmo brevemente che era il caso di attendere che fosse completamente buio. Io mi sfilai il fodero dal fianco per lasciarlo a Bastian e mi assicurai alla meglio la sua spada alla cinta, con le cinghie rimaste penzolanti. Quindi, discendemmo di nuovo brevemente lungo il fianco della collina, in modo da essere meglio nascosti alla vista dei soldati.

Rannicchiati fra gli alberi, attendemmo in silenzio che facesse buio, rabbrividendo nei nostri abiti zuppi nonostante la vegetazione ci offrisse un parziale riparo dal vento e dalla pioggia. Quando il sole fu scomparso dietro la cima della collina, rivolsi un breve cenno a Sylphiel. La sacerdotessa annuì nervosamente, ed estrasse il suo bastone con la sfera. Chiuse gli occhi, e si concentrò silenziosamente sulla sua predizione.

In realtà, ero sempre stata scettica su quel genere di incantesimi. Ma se con il tesoro di Rezo aveva in qualche modo funzionato…

Sylphiel aprì gli occhi e li fissò su una delle torri. “Ho la sensazione… che Gourry-san sia lassù.” Dichiarò, incerta. Subito dopo aver pronunciato quelle parole, parve riacquistare sicurezza. “Sì. Sì, ne ho la netta sensazione.”

“Vale la pena di provare, allora.” Dichiarai, sbrigativa. “Siete pronti?”

Sylphiel e Bastian annuirono. Derek si limitò a sbuffare.

Fissai gli occhi sulle carceri, e presi a recitare sommessamente una formula. Alle mie spalle, sentii le figure dei miei compagni di viaggio indietreggiare e svanire nella vegetazione. La pioggia ora si era fatta più leggera, e mi sfiorò il viso con sottili dita gelide mentre mi nascondevo fra i rami di un albero, per osservare la situazione dall’alto. Non dovetti attendere molto. Dopo forse un paio di minuti, un lampo di luce balenò improvvisamente sul lato opposto delle carceri e in un attimo le grida di avvertimento delle sentinelle risuonarono nell’aria. Il diversivo era cominciato.

Sgusciai fuori dalla vegetazione, superai volando il fossato che correva attorno alle carceri e strisciai di corsa fino a una delle massicce pareti. Lì, mi appiattii contro la dura pietra, attendendomi che da un momento all’altro qualcuno gridasse in mia direzione.

Non accadde. Le mura umide sopra la mia testa sparivano nel buio e, nonostante le urla sull’altro lato dell’edificio, sia la foresta che le carceri parevano immobili.

Levitazione.”

Mi portai lentamente all’altezza della torre. Non potevo aggirarla, o avrei rischiato di essere vista. Rimasi sul lato in cui mi trovavo, e studiai per qualche istante le finestre prive di vetri. Alcune erano sbarrate da inferriate, ma nella maggioranza dei casi le sbarre d’acciaio erano crollate, e nessuno pareva essersi preoccupato di rimetterle in piedi. In effetti, da vicino, viste da vicino, le carceri parevano essere state lasciate in stato d’abbandono per anni… supponevo che i pirati non si fossero presi la briga di ripararle, quando avevano assunto il controllo dell’isola. In fondo, quando mai a un pirata capita di prendere prigioniero qualcuno?

La torre aveva un aspetto longilineo, e non appariva massiccia come quelle del palazzo di Talit. Poteva esserci lo spazio per una piccola stanza sulla cima, però. Una stretta feritoia appena sotto i merli, da cui proveniva un sottile filo di luce, sembrava suggerirlo. Non avrei potuto entrare di lì, però. Era troppo stretta per scivolarci dentro, e se avessi, per dire, abbattuto la parete con una magia da lì fuori tanto sarebbe valso mettermi a gridare ai soldati dove mi trovavo.

‘Sarebbe un’entrata in grande stile, però.’

Rimasi per qualche istante a fissare il muro, tentata di agire in un modo che fosse all’altezza della mia reputazione. Ma alla fine mi riscossi e mi risolsi a cercare un’altra soluzione. Oltre a sentirmi idiota, nel restare lassù appesa, la pioggia che mi batteva sul naso cominciava a farsi fastidiosa. Mi intrufolai in una delle finestre prive di sbarre nella parte alta della torre e mi ritrovai sui gradini di una stretta e buia scala a chiocciola di pietra. Sul lato interno, la mia via era sbarrata da una parete cieca e priva di torce, che emanava un forte odore di muffa. Ma potevo scendere o salire. Rivolsi uno sguardo verso la cima della torre, chiedendomi se potessero esserci delle guardie in agguato. I miei vestiti grondavano acqua sui gradini ripidi e gli spifferi che risalivano la scalinata mi stavano facendo gelare. Mi sarei stupita, se il giorno dopo non fossi stata febbricitante.

‘Al diavolo.’

Lighting.” Recitai, a bassa voce, e mi decisi a salire. Fortunatamente, non incontrai nessuno sulla mia via. Quando giunsi alla piccola porta in legno che doveva immettere nella sala in cima alla torre, e la trovai sguarnita di sorveglianza, ero ormai convinta che Sylphiel avesse preso una decisa cantonata. Non aveva senso che non ci fosse nemmeno una guardia, giusto?

‘Ma un tentativo non costa nulla.’

Estrassi un pugnale dalla manica, e mi appellai a quello che Gourry definiva il mio ‘spirito da scassinatore’. Dopo pochi secondi, la serratura scattò.

Avanzai nella stanza. Era piccola e squallida, ma più calda della gelida scalinata della torre. Battei le palpebre un paio di volte, prima di poter distinguere bene che cosa conteneva, abbagliata dalla luce diffusa del camino sulla parete opposta. Ma quando vi riuscii, mi sentii gelare.

Gourry era lì. Ma era… non sembrava… vivo.

Il fiato mi si strozzò in gola. Mi avvicinai al giaciglio su cui era riverso, studiando il suo pallore innaturale, e il cuore parve minacciare di rimbalzarmi fuori dal petto.

“Go… Gou…”

Feci un sobbalzo. Il cadavere di Gourry si era appena rigirato sul pagliericcio. Indietreggiai di due passi e rischiai di caracollare al suolo.

Mio marito si volse sulla schiena, un braccio levato per ripararsi dalla luce, e strizzò gli occhi per mettermi a fuoco. Quindi batté le palpebre, e rimase a fissarmi con l’espressione di chi ha appena visto un fantasma.

“Li… LINA?”

Il suono della sua voce mi riscosse. Il fiato parve improvvisamente tornare a colmarmi i polmoni e il sollievo di vederlo sano e salvo prese forma nella espressione che era più consona al mio carattere…

“Pezzo di idiota!!!”

Gourry non ebbe modo di parlare. A malapena era riuscito ad alzarsi a sedere. Si limitò a sussultare, terrorizzato, mentre lo afferravo per la collottola e lo fronteggiavo, i denti digrignati. Non lo biasimavo. In effetti, se mi fossi trovata di fronte me stessa, gocciolante di pioggia e con le occhiaie di una notte insonne stampate su un volto cadaverico, probabilmente mi sarei spaventata anch’io.

“Che cosa sei, la principessa nella torre???” Presi a gridare, incoscientemente incurante di essere sentita. “Hai la più pallida idea di quanto mi hai fatto preoccupare??? E di quanto è stato complicato arrivare fino a qui??? Almeno nelle fiabe la damigella in pericolo è abbastanza utile da lanciare la treccia fuori dalla finestra!!! Dovresti imparare a mettere a frutto i tuoi lunghi capelli biondi… Lala!!!”

Gourry mi fissò sconcertato per qualche istante, rischiando con ogni probabilità una sincope, a causa delle mie dita strette attorno alla sua collottola. Ma dopo aver aperto e richiuso la bocca un paio di volte, come un pesce troppo cresciuto, ebbe la reazione che meno mi sarei attesa da lui in quel momento.

Scoppiò a ridere.

“Non è un sogno.” Dichiarò, con un tono divertito che trovai assolutamente inappropriato alla situazione. “Dei, dovrebbe essere davvero bizzarro, perché tu mi chiamassi Lala!”

Le mie dita tremolarono e lasciarono la presa sul suo collo. Lo fissai per un momento, indecisa se prenderlo a schiaffi per essersi concentrato su una idiozia del genere in un momento come quello. Ma, mio malgrado, mi resi conto che il suo nonsenso mi aveva calmata. Era proprio Gourry. Era Gourry, e stava bene. Andava tutto bene.

Levai un sopracciglio. “Non mi dire. Avrei giurato che pizzi rosa e cavalieri di nome Bolan fossero protagonisti ricorrenti dei tuoi sogni.” Le mie mani avevano raggiunto le sue spalle, ora, e le stringevano quasi convulsamente.

“No.” Gourry ridacchiò, nuovamente. “E poi, nei miei sogni tu di solito sei meno piatta.”

‘Ok, Gourry. Ora stai davvero per morire.’

Ma non ebbi davvero modo di ucciderlo. Mi aveva già trascinata fra le sue braccia.

Mi trovai a rispondere al suo abbraccio, con tanta forza da temere di stritolarlo. Non mi ero resa conto di quanta ansia avevo accumulato in quelle settimane, prima di sentirla scivolare via da me, ad ogni respiro di Gourry, come le gocce di pioggia che mi colavano dal mantello. Mio marito sembrava dimagrito, ma la sua presa era ancora forte. Questo mi rincuorò ulteriormente. Supponevo che fosse abbastanza in forma per riuscire a fuggire.

“Ma come puoi essere qui, Lina?” Mi domandò dopo qualche istante di silenzio, senza allontanarmi da sé. “Io credevo che fossi prigioniera a…”

“Prigioniera?” Lo interruppi, confusa. Mi accigliai e levai il viso dal suo collo per guardarlo negli occhi. “Cosa ci fai tu qui, piuttosto? Ti aspettavo alla capitale! Come ti è saltato in mente di farti trascinare nell’ovest?”

Dal suo sguardo dedussi che uno o due passaggi del mio ragionamento dovevano essergli sfuggiti. Non che fosse una novità. Ma conclusi che avremmo avuto tempo dopo, per spiegarci.

“Non importa.” Dichiarai, sbrigativa. Mi allontanai di un passo da lui, e gli porsi la spada di Bastian. “Prendi questa. Dobbiamo muoverci di qui.”

Gourry studiò l’arma perplesso. “Sembra provenire dalle armerie di mio padre. Ma dove…?”

“Ti spiego dopo. Tieniti pronto, ora sfondo il muro. Se ce ne andiamo volando, non ha senso preoccuparsi della segretezza.”

Mi ero già rimboccata le maniche per lanciare una formula, ma Gourry mi bloccò. “A… Aspetta, Lina! Non possiamo andarcene di qui così! Anche Amelia è tenuta prigioniera qua dentro!!!”

Mi bloccai a metà formula, e per poco non mi strozzai. Amelia?

“Co…?”

“E’ stata presa in ostaggio!” Mi spiegò Gourry, dicendomi in realtà quanto già sapevo. “La ho vista prima che mi portassero quassù!”

“Dannazione.” Imprecai. “Allora avevo ragione a pensare che non si trovasse a Talit…”

Gourry batté le palpebre. “Uh, quindi lo sapevi già?”

“E’ una lunga storia.” Mi rivolsi alla porta aperta, alle nostre spalle. “Ma non possiamo lasciarla qui. Credi di riuscire a ritrovare il posto in cui è tenuta prigioniera?”

Gourry esitò per un istante, ma alla fine annuì. “Non è lontano.” Imbracciò la spada, preparandosi a precedermi, e mi accorsi che barcollava lievemente. Lo occhieggiai preoccupata. Forse avrei dovuto portarlo fuori di lì e tornare ad occuparmi di Amelia da sola…

Gourry evidentemente indovinò i miei pensieri, perché scosse la testa. “Sto bene.” Si limitò a osservare. “E la cosa meno saggia da fare è separarci di nuovo.”

Sospirai. Non aveva tutti i torti.

Mi affiancai a lui, e insieme discendemmo le scale della torre. I gradini erano ancora deserti e bui, ma quando raggiungemmo l’ultima svolta prima della base della torre intravidi una luce di torcia provenire dal corridoio su cui si apriva l’ingresso. Rallentai, e mi affacciai con circospezione sullo stretto ambiente. Sembrava deserto.

“In questo posto non ci sono guardie?” Sussurrai, quasi irritata dall’assurda facilità con cui ci stavamo muovendo.

“Oh, sì, ci sono, davanti alla cella di Amelia.” Rispose Gourry, con la solita imperturbabile tranquillità per cui a volte lo avrei preso a schiaffi. “Erano anche di fronte alla mia in effetti, ma c’è stato un gran caos, all’esterno, prima che tu arrivassi. Credo siano scese a vedere cosa stava succedendo.”

Questo è il bello dei fuorilegge. Così dannatamente facili da ingannare.

Scivolammo lungo il corridoio, che procedeva attraverso una serie di svolte, ma senza deviazioni. Fuori dalle finestre si scorgeva solo il buio, e lo scompiglio di poco prima sembrava essersi chetato. Mi chiesi cosa ne era stato dei miei compagni di viaggio, e se le guardie non stessero correndo a controllare lo stato dei loro prigionieri.

Dopo pochi minuti di marcia spedita nei corridoi in penombra, Gourry mi pose una mano sulla spalla per arrestarmi. “Oltre quell’angolo.” Sussurrò. Mi stupii per un istante della sua insolita memoria, ma mi resi conto presto che non doveva essersene semplicemente ricordato. Avvertii la presenza di delle persone, nel corridoio a fianco.

Non ci fu bisogno di parlare. Ci appiattimmo contro la parete, all’unisono, e io iniziai un mentale conto alla rovescia. Al mio ‘tre’, entrambi scattammo in avanti. Le guardie ebbero appena il tempo di sussultare. La prima crollò sotto il mio Sleeping, mentre la testa della seconda emise un sonoro botto contro il piatto della spada di Bastian, imbracciata da mio marito. Senza emettere un fiato, si accasciò pesantemente al suolo.

Tirai un sospiro di sollievo. Non che avessi dubbi sul fatto che avremmo sistemato le guardie, ma averlo fatto prima che riuscissero a dare l’allarme risolveva un sacco di problemi.

Gourry occhieggiò la serratura. “Ci pensi tu?”

Gli rivolsi un mezzo sorriso. “C’è bisogno di chiederlo?” Con un breve gesto, la feci scattare. Spinsi la porta in avanti e procedetti nella penombra della stanza, interdetta. Sembrava deserta.

“Aaaaaaaaaaaaaaah!”

Avevo appena fatto in tempo a pensarlo. Una furia dalle voluminose vesti bianche e dai capelli corvini sbucò all’improvviso da dietro la porta. Il fiato mi si strozzò in gola, e per qualche istante tutto ciò di cui fui consapevole fu che il soffitto vorticava sopra la mia testa, e che un braccio era stretto attorno al mio collo.

“Amelia!!!” Sentii la voce di mio marito gridare. “Amelia, lasciala andare! E’ Lina!”

Amelia non parve particolarmente pronta ad allentare la presa sul mio collo. Il suo braccio si allontanò solo dopo quelli che parevano secoli. Quando l’aria tornò finalmente ai miei polmoni, riuscii a volgermi e a mettere a fuoco il suo viso. I suoi occhi erano fissi sui miei, e sembrava atterrita.

“Li… Lina- san!” Indietreggiò di scatto, con fare terrorizzato. “Credevo fosse una delle guardie! Non uccidermi, ti prego!!!”

Vorrei tanto sapere che razza di opinione può avere la gente di me, se i miei amici hanno questo genere di reazioni incontrandomi.

Oh, bé… dimenticavo che la gente non ha una buona opinione di me.

Mi scostai, reggendomi il collo, e decisi di mantenere un atteggiamento contegnoso. “Non importa.” Dichiarai. “Togliamoci di qui e basta, d’accordo?” Colsi con la coda dell’occhio Amelia e Gourry scambiarsi un’occhiata scettica. Dei, ragazzi, che cosa sono, un mazoku?

“M… ma… Lina-san… voi due, come…?”

“Temo che dovremo rimandare a dopo le spiegazioni.” La voce di Gourry si era fatta improvvisamente cupa. Levai lo sguardo, e lo vidi avvicinare la mano all’elsa della spada. Pessimo segno.

Bastò un istante perché mi rendessi conto del motivo dell’improvvisa tensione. Qualcuno stava avanzando nel corridoio. E se aveva scorto le due guardie al suolo e la porta aperta, doveva aver già tratto le ovvie conclusioni.

“Fatevi da parte!” Intimai ai miei due compagni. Mi rivolsi verso la parete, pronta ad abbatterla con la magia per fuggire, ma prima che potessi dare voce a una formula una voce imperiosa mi bloccò.

“Se fossi in te eviterei di provarci, Lina Inverse.”

Mi volsi. Una imponente figura dai fiammeggianti capelli rossi incombeva su di noi dall’ingresso della stanza. Il suo sguardo passò dal mio volto a quello di Gourry e le sue labbra si arricciarono in un sorriso di soddisfazione.

“E’ Meghar.” Osservò Gourry avanzando lentamente, con la spada in mano.

“Non mi importa chi sia.” Replicai, acidamente, fissando il pirata con occhi dardeggianti ostilità. “Chiunque mi dia ordini quando ho una formula sulla punta delle labbra è solo uno che cerca una forma originale di suicidio.”

Il sorriso di Meghar, stranamente, si allargò. Sembrava più divertito che spaventato dalla situazione. Non sapevo se perché era molto più forte, o se perché era molto più stupido di quanto non apparisse.

“Ho un ottimo argomento per convincerti a rinfoderare le tue formule, Lina Inverse.” Si scostò dalla porta. Dalle sue spalle, un gruppo di armati fece il suo ingresso. E io mi trovai a imprecare fra le labbra.

Sylphiel, Bastian e Derek si trovavano nelle loro mani. Tutti e tre erano fradici e coperti di fango, e sembravano piuttosto pesti. Avevo idea che i guerrieri di Meghar non avessero avuto mano leggera, con loro.

“Devo ammettere che la trovata del diversivo era interessante, ma non mi ci è voluto molto per mangiare la foglia.” Li occhieggiò. “Hanno lottato bene. Solo, eravamo troppi, per loro.”

“Derek e Sylphiel?” Gourry batté le palpebre, e mi rivolse un’occhiata interrogativa. Ma non avevo tempo di spiegargli, in quel momento.

“Che cosa vuoi?” Domandai, stupidamente. Supponevo fosse ovvio che Meghar volesse aggiungere qualche succoso elemento alla sua lista di ostaggi, ma stavo cercando di farlo parlare e intontire col suono della sua stessa voce. Quale cattivo da cliché non adora farlo, in fondo? Dovevo guadagnare tempo per pensare.

“Oh, ma che domande.” Meghar fece un cenno ai suoi uomini, che spinsero di malagrazia i miei tre compagni di viaggio nella stanza. “Voglio invitarti a cena, Lina Inverse, come qualsiasi buon ospite farebbe al mio posto.”

“Eh?” Cinque paia di occhi si puntarono su di me. Io mi limitai a battere le palpebre.

“Sono invitati anche i tuoi compagni di viaggio, ovviamente. Ma ho una proposta da rivolgere a te personalmente.” Meghar mi volse le spalle e uscì dalla stanza in tutta tranquillità, evidentemente assolutamente persuaso che lo avrei seguito. Troppo inebetita da quel rivolgimento inaspettato persino per rispondere, fissai con assoluto stupore i suoi uomini, mentre liberavano Sylphiel, Bastian e Derek e si scostavano in modo da farci uscire dalla stanza.

“Uh… che sta succedendo?” Chiese Gourry ad alta voce, riassumendo quelli che dovevano essere i pensieri di tutti i presenti.

“Non ne ho la più pallida idea.” Ammisi. “Comunque, sentiamo quello che ha da dire.” Mi accodai a Meghar, ma prima ancora che potessi mettere piede fuori dalla stanza una voce sibilò da sopra la mia spalla.

“Che hai intenzione di fare? E’ ovvio che è una trappola!” Volsi il viso. Uno degli occhi di Bastian era pesto, e del sangue gli colava da un angolo della bocca. Continuava a lanciare occhiate nervose agli armati.

“Se avessero voluto ucciderci non vi avrebbero liberati.” Bisbigliai, di rimando, senza smettere di camminare. “E comunque ormai sono troppo curiosa di ascoltare per andarmene.”

“Ma…”

“Ehi, tu.” Gourry intervenne, dal mio altro fianco. Per qualche motivo, sussultai. La sua espressione era stranamente accigliata.

Bastian fissò lo sguardo sul suo. Mi parve innervosito. “Sì?”

“Ehm… Scusa, ma chi sei, esattamente?”

Per poco non caracollai al suolo. Bastian, invece, parve colto totalmente alla sprovvista. Come si vedeva che non conosceva bene Gourry.

“E’ Bastian!” Sibilai, di rimando. “Il cavaliere che ci ha accompagnati a Talit! Lo hai conosciuto solo poche settimane fa, testa vuota!!!”

Gourry si rivolse a me, con fare perfettamente calmo. “Oh, è vero. Bé, non è che io abbia avuto molto a che fare con lui, dopo quell’occasione.” Inclinò la testa, e mi studiò. “Tu sembri conoscerlo bene, però. Ma cosa è successo nelle ultime settimane?”

Quello era un argomento che non avevo decisamente voglia di affrontare in quel momento. Ma fortunatamente Meghar pareva averci condotto alla nostra destinazione. Il nostro piccolo corteo si bloccò davanti a una porta, e la nostra conversazione si interruppe bruscamente.

“Prego.” Invitò con fare compiaciuto il pirata, facendoci cenno di accomodarci nella stanza. Lanciai un’occhiata ai miei compagni. Derek vestiva un’espressione truce, al di sotto dei biondi capelli fradici, mentre Amelia e Sylphiel parevano perplesse. Bastian manteneva la sua aria ostile, ma Gourry era all’apparenza calmo. La sua aria quieta tranquillizzò anche me. Mio marito normalmente aveva un ottimo istinto per il pericolo.

Volsi avanti lo sguardo, e avanzai nella stanza. Quando fu chiaro che non ero stata risucchiata in qualche improbabile dimensione parallela, mi azzardai a guardarmi attorno con un po’ più di attenzione. Sembravano delle comuni stanze private. La sala in cui mi trovavo era arredata in modo piuttosto semplice, quasi rozzo, e, per il poco che avevo avuto il tempo di vedere là dentro, sembrava decisamente meno confortevole della stanza in cui era stata rinchiusa Amelia. Diverse porte dovevano condurre a sale adiacenti, ma al momento erano chiuse. Due tizi, con un’aria poco raccomandabile che tutto li faceva sembrare tranne che servitori, stavano allestendo frettolosamente una tavola per sette al centro della stanza.

“Accomodatevi.” Invitò il nostro ospite, sedendosi a capotavola e afferrando il suo bicchiere già colmo di vino. Prendemmo posto con fare diffidente e per un istante restammo tutti in silenzio, in un’atmosfera surreale. Quattro di noi erano ancora fradici e infangati e Gourry aveva decisamente l’aria di un morto vivente.

La prima a spezzare il silenzio fu proprio la persona che sembrava meno fuori posto a una tavola imbandita. “Che cosa significa tutto questo?” Amelia era accigliata, e il suo tono di voce aveva una sfumatura autoritaria che mi ricordava quella di Philionel, e che fuori da Sailune raramente le avevo sentito vestire. “Prima mi prendete prigioniera coinvolgendo mio padre in una guerra e ora mi invitate a cena come se nulla fosse successo…”

Meghar vestì un mezzo sorriso. “Significa semplicemente che siete libera, principessa. Non abbiamo più interesse a tenervi qui.” Posò il bicchiere, e la fissò intensamente, mentre i due “servitori” ci distribuivano piatti ricolmi di pesce cotto alla griglia. “Anzi, potete anche riferire a vostro padre che Talit non c’entrava nulla nel vostro rapimento. E’ stata una nostra iniziativa. Tanto, dubito che re Philionel oserà spingere il suo esercito in terra straniera per ottenere la sua vendetta in tempi come questi, in cui il destino del regno è tanto incerto. Mi è giunta voce che sia un uomo saggio.”

Il volto di Amelia, se possibile, si incupì ulteriormente. “Che cosa ne è stato della scorta che mi stava accompagnando a Elmekia?”

Meghar si accigliò. “Non sono stato io personalmente a catturarti, ma avevo dato disposizioni per avere solo te. Non so che cosa ne sia stato degli altri, ma se hanno opposto resistenza e non sono fuggiti è probabile che siano rimasti uccisi.”

Un po’ di colore abbandonò il volto di Amelia, la cui determinazione parve dissolversi nel senso di colpa. Il mio sguardo scivolò su Sylphiel. A Elmekia mi avevano detto che uno dei suoi zii di Sailune si era trovato insieme alla scorta, al momento dell’imboscata. La sacerdotessa aveva le labbra serrate ed era più pallida del solito, ma non ebbe altre reazioni. Avvertii un impeto di compassione nei suoi confronti. Ne aveva già passate a sufficienza, senza che si dovesse aggiungere anche questo.

“Ma perché?” Intervenni, una sfumatura di rabbia nella voce. “Voi avevate preso in ostaggio Amelia per far sì che Sailune entrasse in guerra contro Talit, non è così? Volevate che Samon vincesse, perché la capitale è lontana da queste terre e così il vostro controllo sulle regioni costiere si sarebbe rafforzato, non ho ragione? E allora che senso ha rilasciarla ora?”

I miei compagni di viaggio mi rivolsero sguardi stupiti. Non avevo parlato di quella mia ipotesi con nessuno di loro, semplicemente perché aveva appena preso forma nella mia testa. Sin da quando Gourry mi aveva detto che Amelia si trovava in quel luogo, il mio cervello aveva preso freneticamente a riflettere su quale potesse essere la ragione. Mi era sorto anche il sospetto che Meghar fosse in effetti d’accordo con Samon, per essere sincera, ma data la situazione supposi che non fosse il caso di mostrarmi eccessivamente perspicace…

Il sorriso di Meghar si allargò. “Mi era giunta voce anche che tu fossi un tipo intuitivo, Lina Inverse, e vedo che quelle dicerie ti rendevano giustizia.”

Ah, ah, se credi di distogliere la mia attenzione con i complimenti, mio caro, non sai proprio con chi hai a che fare.

“Ma cosa è cambiato, ora? Talit non ha ancora perso, giusto?”

“Talit non ha perso, ma sono mutati i nostri piani.” Tagliò corto Meghar. “Ma non è di questo che voglio parlare con te, Lina Inverse.” Mi studiò, accigliato. “Sinceramente, speravo che arrivassi fin qui. Soprattutto da quando ho saputo di aver catturato tuo marito. Per questo non mi sono liberato di lui, anche dopo che è diventato chiaro che il Lord Gabriev non aveva alcuna intenzione di trattare con me.”

I miei pugni si strinsero. “E che cosa vuoi da me?” La mia voce suonava gelida.

“Non lo immagini?” La fronte di Meghar si aggrottò. “Voglio la tua alleanza, Lina Inverse. In questo regno la magia è temuta e disprezzata, ma io ho viaggiato a sufficienza per imparare a comprenderne il valore. E tu sei una leggenda persino qui. Con le tue capacità a disposizione, insieme a quelle degli altri maghi che sto radunando, i miei progetti potrebbero realizzarsi molto più velocemente.”

Amelia balzò in piedi. “Lina- san non si alleerebbe mai con dei criminali come voi!!!” Il suo sguardo si volse verso di me. “Non è così, Lina-san? Non è così?”

Sospirai. A parole sembrava convinta, ma la vaga sfumatura isterica della sua voce suggeriva tutt’altro.

“Se hai sentito le voci su di me, saprai anche che normalmente non lavoro per il puro gusto di fare favori agli altri.” Replicai, in tono piatto, rivolta a Meghar. “Cosa ti fa pensare che io abbia interesse a combattere le tue battaglie?”

“Non lo penso, infatti.” Meghar si portò un boccone di pesce alle labbra, e mi sorrise. “Ma se i miei piani andranno in porto, avrò i mezzi per ricoprirti di ricchezze, Lina Inverse. E poi, con tutta questa storia dell’omicidio e della taglia, anche tu hai qualche motivo di attrito nei confronti di Talit, non è così?” Il suo sorriso si allargò. “Senza contare che recentemente mi è giunta voce che tu e tuo suocero non siete precisamente in buoni rapporti…”

Mmm, avrei tanto voluto sapere chi era che andava in giro per Elmekia a spargere tutte quelle informazioni sul mio conto…

Mi accigliai. “Bé, mi spiace, Meghar, ma ho una rigida politica di non alleanza con i criminali.” Risposi, ferma. “E anche se credo sia chiaro a entrambi che non è per atti di pirateria che vorresti il mio aiuto, non ho la minima intenzione di farmi coinvolgere ulteriormente in questa guerra.” Erano settimane che ripetevo quella solfa, ma evidentemente era prerogativa della gente di Elmekia essere un po’ dura di comprendonio…

Mi aspettavo che Meghar ordinasse di attaccarci, a quel punto. E di certo, se lo aspettavano anche i miei compagni, perché alle mie parole diverse mani erano scattate verso le rispettive else delle spade. Ma il pirata si limitò a sorridere.

“Capisco.” Osservò, con una calma assolutamente inadeguata alle mie aspettative. “Bé, in fondo me lo aspettavo. Di te dicono anche che sei piuttosto restia a metterti al servizio di qualcuno. L’indipendenza si sposa male con una posizione in un esercito.” Il suo quieto interesse mi disturbò. Era un qualche tipo di trappola?

“E il mio rifiuto non avrà conseguenze? Non hai intenzione di costringermi, attaccarmi… o qualcosa del genere?” Mi azzardai a domandare, alla fine.

“Di che utilità sarebbe mai un’alleata costretta a combattere con la forza e pronta a tradirti appena volti le spalle?” Rispose Meghar, come un dato di fatto. “E in quanto all’attaccarti… in molti hanno già provato a ucciderti, non è così? Dati i risultati ottenuti dalla maggioranza di quelli che lo hanno fatto, non voglio decisamente essere il prossimo a tentare l’impresa… a meno di non essere costretto.”

Un criminale saggio. Quella era una piacevole novità.

Terminammo quella surreale cena in silenzio. Quando ci fu permesso di uscire, la notte era ormai scura, e la foresta all’esterno era avvolta in una gelida tenebra. Non sapevo dire che ore fossero, ma dovevamo aver trascorso almeno un paio d’ore all’interno delle carceri. Nei villaggi del piccolo arcipelago, i viaggiatori dovevano ormai essere accalcati nelle locande. Le mie membra gelate fremevano al pensiero di un letto caldo. Nella mia testa si accavallavano mille pensieri riguardo alle vicende di quella giornata, ma nessuno riusciva a prendere forma in modo coerente.

“Lina-san… che facciamo ora?” Fu Sylphiel a fronteggiarmi, l’aria esausta, i lunghi capelli neri, normalmente lisci e lucenti, appiccicati in una matassa scomposta al viso.

“Che intendi dire?” La squadrai sospettosa. Ora più che mai temevo mi chiedesse di essere in qualche modo coinvolta ulteriormente in quella situazione. Avrei faticato a rifiutarglielo, dopo che aveva appena perso una persona cara, dopo che aveva messo in gioco la sua vita per aiutare Gourry.

“Voglio dire… che non abbiamo idea di quello che sta succedendo. Meghar ha in mente qualcosa, e Talit vi sta cercando, e non sappiamo ancora chi abbia realmente ucciso Eriol.” Fissò lo sguardo su Amelia. “Se Philionel-san vi accogliesse ora verrebbe accusato di fraternizzare con l’assassino di uno dei reali di Elmekia, e anche se Talit perdesse la guerra Samon non potrebbe far passare liscia una cosa del genere. In più…”

“Sylphiel.” Fu Gourry a intervenire, in tono pacato. “Siamo tutti stanchi. Non ha senso discuterne ora. Dobbiamo ripulirci, dormire, e ragionare con calma sul da farsi domani mattina.” Il suo sguardo si fissò su Derek. Il guerriero non aveva ancora detto nulla, da quando eravamo usciti dalle carceri. Mio marito parve sul punto di aggiungere qualcosa, ma alla fine scosse impercettibilmente la testa, e concluse. “Non c’è un villaggio a valle? Forse possiamo trovare una locanda…” Gli fui infinitamente grata per quella proposta. Era tutto ciò a cui potevo pensare in quel momento.

“Non credo sia una buona idea, Sir Gabriev.” Intervenne una voce alle mie spalle. Immediatamente, la tensione tornò a catturarmi. Bastian era stato talmente silenzioso, fino a quel momento, che mi ero quasi scordata della sua presenza. “Vedi, in queste settimane abbiamo evitato le locande e i luoghi affollati. La taglia…”

“Gourry ha ragione.” Intervenni, secca, senza volgermi. “Da queste parti non troveremo di certo uomini di Talit. Una dormita al caldo farà bene a tutti. Domattina dovremo essere lucidi per decidere il da farsi, anche se è già chiaro che tu e Derek dovrete tornare presso le truppe di Edward Gabriev al più pre…”

“Aaaaaaaah!” Gourry eruppe in una esclamazione tanto veemente che mi trovai a barcollare. Lo fissai, certa che, per sconvolgerlo così tanto, dovesse aver visto qualcosa come un maiale selvatico librarsi leggero nell’aria, ma il suo sguardo, e il suo dito, erano puntati contro Bastian. “Sir Gabriev… Sir Gabriev… ora ricordo! Tu sei il generale che era sparito assieme a Lina! Quello a cui mio padre aveva affidato l’incarico di tenerla prigioniera!!!”

Eh?

Mi volsi verso Bastian, colta alla sprovvista, ma il cavaliere sembrava altrettanto stupito di quelle parole.

“Sir Gabriev… mi spiace, ma non so di cosa tu stia…”

“Mio padre ha detto che ti aveva affidato Lina in ostaggio perché la tenessi lontana da Talit, in modo che io collaborassi con lui!!!”

“Gourry.” Fu la voce di Derek a intervenire, ferma. Tutti ci volgemmo verso di lui. “C’è la possibilità che nostro padre abbia mentito, per approfittare della sparizione di tua moglie e farti combattere per Talit. Non sarebbe la prima volta, in questa vicenda.” C’era amarezza, nella sua voce. Per un istante, mi sentii quasi ben disposta verso di lui… “Questo è l’effetto che avere gente come Lina Inverse attorno ha su di lui, devo supporre. Sarò decisamente felice quando voi due ve ne sarete andati per la vostra strada.” Ok. Decisamente posso conservare la mia compassione per soggetti migliori.

Gourry non sembrava convinto, ma decisi che avremmo potuto riparlarne con più calma una volta che fossimo stati soli. Non avevo molti dubbi sul fatto che Derek avesse ragione. Bastian aveva tutti i difetti di questo mondo, ma supponevo che si sarebbe strozzato con i suoi scrupoli e buoni principi prima di poter mentire tanto a lungo a una persona cui viaggiava costantemente a fianco.

Riguardo alla capacità di mentire del Lord Gabriev, invece, avevo ben pochi dubbi

“Discuteremo anche di questo domani mattina.” Conclusi. Avevo freddo, e cominciava a farmi male la testa. “Ora non abbiamo più bisogno di nasconderci, giusto?” Allargai le braccia, e presi a pronunciare la formula della Levitazione. Non avevo intenzione di scendere a valle lungo sentieri ripidi e scivolosi nel buio più totale.

“Oh, quindi quaggiù non funziona il Rune Breaker?” Osservò Amelia, fissando i miei piedi che si staccavano dal suolo.

“Rune Breaker?” Domandai. Per chi non lo sapesse, si tratta di un incantesimo di schermo, che limita la potenza degli incantesimi lanciati nell’area su cui viene imposto.

Amelia annuì. “Nella mia stanza, alle carceri, non riuscivo a usare la magia a piena potenza. E’ per questo che non sono riuscita a fuggire.”

Mi accigliai. Dunque, Meghar stava davvero raccogliendo esperti di arti magiche. E piuttosto abili, anche. Non tutti i maghi che operavano al di fuori delle Gilde conoscevano tecniche come gli incantesimi di schermo. “Evidentemente il campo d’azione dell’incantesimo era piuttosto limitato.” Forse perché Meghar necessitava di servirsi della magia qui attorno, per qualche motivo.

Un altro tassello, un altro interrogativo.

Dei, avevo davvero bisogno di un letto.

“Datemi una mano.” Domandai, stancamente. Sylphiel e Amelia annuirono, e io afferrai un non del tutto entusiasta Gourry, sollevandolo dal suolo, mentre le due sacerdotesse pronunciavano la mia stessa formula e trasportavano gli altri due cavalieri. Ci trascinammo a valle, sotto una pioggia leggera, per trovare le strade del piccolo villaggio deserte, e le locande gremite di gente dall’aria poco raccomandabile. Riuscimmo a recuperare tre stanze in una sorta di tugurio che mi ricordava in modo inquietante la locanda da cui eravamo partiti, a Sailarg. Ma per una volta, ero pronta a pagare qualsiasi somma mi fosse stata richiesta, per qualsiasi stanza che fosse appena più accogliente di una stalla.

Salii al piano di sopra, troppo stanca perfino per salutare propriamente i miei compagni di viaggio, e mi infilai nel primo bagno che mi capitò a tiro. Quando ne uscii, mi sentivo rinata. Col calore dell’acqua avevo anche ritrovato la sensibilità della mia pelle e, apparentemente, la mia capacità di ragionare. Mi sentivo un po’ più essere umano e un po’ meno mostro delle paludi, quanto meno.

Quando entrai in camera, vi trovai Gourry intento a fasciarsi la mano destra. Sembrava anche lui un po’ più in forze, dopo essersi ripulito, ma era sempre più pallido e dimagrito di quando lo avevo lasciato a Talit. Mi sedetti al suo fianco, e occhieggiai preoccupata la sua mano bendata.

“Ti sei ferito? Lascia che…”

“Non è niente.” Gourry mi rivolse un sorriso. Con la mano bendata, raggiunse il mio viso, e si chinò a baciarmi il volto. Mi rilassai al suo tocco e lasciai che raggiungesse le mie labbra. Il suo respiro sul mio mi faceva sentire stupidamente sollevata.

“Lina…” Sussurrò, contro le mie labbra, quando si allontanò. “Mi spieghi che cosa è successo dopo che te ne sei andata da Talit? Io credevo davvero che fossi prigioniera. Se avessi saputo dov’eri, avrei cercato di raggiungerti…”

Mi scostai lievemente da lui, e gli rivolsi un’occhiata perplessa. “Ma Livia non ti ha detto nulla? E’ stata lei ad aiutarmi a fuggire. Le avevo detto che ti avrei aspettato alla capitale…”

Il volto di Gourry si accigliò. “Livia è sparita.” Dichiarò, con mio stupore. “Lo stesso giorno in cui sei scomparsa anche tu.”

“Hai detto sparita? In che senso sparita? La hanno rapita?”

Gourry scosse la testa. “Nessuno ne ha idea. Hanno ritrovato il suo mantello, nel cortile, completamente fradicio e infangato. La hanno cercata ovunque, ma sembra che si sia volatilizzata.” Inclinò la testa. “Credi che qualcuno la abbia scoperta? Che sia perché ti ha aiutata a scappare?”

Mi morsi le labbra. “Non lo so…” Mormorai. “Se è così, perché quel qualcuno non la ha semplicemente denunciata? Era pur sempre un ostaggio, in fondo… a meno che…”

“A meno che?”

“A meno che non volesse metterla a tacere.” Lo guardai negli occhi, incerta per un momento su quanto rivelargli, ma alla fine decisi di dire la verità. Anche se si trattava di suo padre, preferivo essere completamente sincera con lui, piuttosto che mentire per cercare di indorargli la pillola. Sospirai brevemente, e gli raccontai tutto quello che mi aveva detto Livia nel sotterraneo, prima di farmi fuggire.

“Lord Georg e mio padre sarebbero… gli assassini di Eriol?”

Annuii. “O almeno, questa è una possibile versione dei fatti. La versione che accetterei se mi fidassi totalmente di Livia.”

“Non credi a Livia?” Gourry mi fissò, perplesso. “Che ragione avrebbe avuto di mentire? Lei è solo…”

“… una ragazzina, lo so. Ma non è tanto di lei che non mi fido… piuttosto, mi chiedo se qualcuno non la abbia manovrata per raggiungere i propri scopi.”

Gourry rimase in silenzio per un momento. “Parli di Erianna, non è così?”

Battei le palpebre, colta di sorpresa. “Come hai fatto a indovinare?”

Gourry sorrise. “Non ti ha convinto sin dall’inizio. Ormai conosco il tuo modo di ragionare, Lina.”

Sorrisi a mia volta. “Direi.”

“Credi che Erianna la abbia usata per liberarti? Ma che motivo ne avrebbe avuto? Se ti credeva davvero l’assassina di suo figlio…”

Sospirai, e mi aggrappai gentilmente al suo braccio, poggiando la testa sulla sua spalla. “Ho diverse ipotesi, ma… e se in effetti ci fosse Erianna dietro all’uccisione di Eriol?” Cercai il suo sguardo. “Potrebbe aver cercato di assumere il potere ad ogni effetto. Forse temeva l’influenza di Georg su Eriol, e mi ha invitata a Talit sin dal principio per avere un facile capro espiatorio su cui scaricare la colpa del suo omicidio.”

Gourry assunse un’espressione perplessa. “Ma… perché avrebbe dovuto scegliere proprio te per un compito del genere? Non poteva cercare di accusare un semplice servitore… o qualcosa del genere? E poi… insomma, Lina, era suo figlio…”

“Lo so.” Ammisi. “Ma Erianna non ha precisamente l’atteggiamento della madre amorevole. Ha dichiarato guerra al suo figlio maggiore, non è così?”

“Lo so, ma…”

“Ascolta. E’ stata lei a insistere perché mi conducessero a Talit, no? Io ero il soggetto perfetto per il suo piano.” Allontanai la testa dalla sua spalla e lo fronteggiai, improvvisamente infervorata dalle mie stesse ipotesi. Le mie idee stavano assumendo sempre più senso a mano a mano che gliele esponevo. “Sono notoriamente amica di Amelia, la figlia dell’alleato di Samon. Questo forniva un movente perfetto all’omicidio di Eriol, non trovi? E poi sono tua moglie, e questo mi rendeva facilmente manovrabile. E sono abbastanza potente da costituire un pericolo per Georg. Potrebbe avermi fatta liberare in modo che, esasperata dai cacciatori di taglie, io torni a Talit per vendicarmi del vero colpevole… farmi raccontare la storia di Georg e del Lord Gabriev da Livia è certamente stata la ciliegina sulla torta. Tuo padre, che mi ha fatta condannare, il vero colpevole. Conoscendo il mio temperamento, come avrei potuto resistere alla tentazione di fargli avere il fatto suo? Che li avessi uccisi o che li avessi smascherati, Erianna avrebbe ottenuto comunque il proprio scopo, ovvero di assumere una posizione di predominio a Talit.”

Gourry continuò ad apparirmi poco convinto. “Però… aspetta un momento, Lina… quando Erianna ha insistito per farti convocare a Talit non sapeva ancora che Sailune si sarebbe alleata con Samon, non è così?”

“A meno che non avesse a che fare con il rapimento di Amelia.” Replicai, pronta. Ormai, ogni cosa sembrava chiara nella mia mente.

“Ma… ma…”

“Pensaci. Erianna fa rapire Amelia servendosi di uomini fidati, e poi la affida ai pirati dell’ovest, promettendo loro il controllo di Rolan una volta che sarà diventata regina incontrastata dell’area di Talit. Anzi, i pirati agiscono come suo esercito, impadronendosi della regione per lei e indebolendo le forze fedeli a Georg. Ecco perché Amelia è stata rilasciata insieme a te, oggi. Perché potesse riferire a suo padre che il rapimento non dipendeva da Talit, e fermare l’offensiva di Sailune, dato che ormai era servita al suo scopo.” Mi accigliai. “Scommetto che Erianna aveva chiesto a Meghar di convincermi a diventare sua alleata in modo da poter controllare meglio i miei movimenti. Ma al mio rifiuto non ha cercato di uccidermi, perché rimango comunque utile agli scopi della sua signora. Tutto quadra, se ci ragioni bene.”

Gourry emise un sospiro. “Ti diverti da matti, eh? A elaborare teorie.”

Gli rivolsi un ampio ghigno. “Bé, non è detto che sia tutto esattamente come lo ho descritto, ma… devi ammettere che sarebbe un ottima trama per un libro.”

“Ma non dobbiamo scrivere un libro, non è così?” Si lamentò Gourry, anche se pareva vagamente divertito. “Dobbiamo pensare a cosa fare ora.”

Aveva ragione, purtroppo. Mi imposi di tornare alla serietà. “Se ho ragione riguardo a Erianna, la cosa più saggia da fare sarebbe tenersi lontani da Talit, per evitare di essere manovrati da lei. Credo che dovremmo tornare alla capitale e spiegare a Samon la mia ipotesi. Che sia vera o no, devo almeno convincerlo della mia innocenza, anche per evitare di compromettere Sailune. Poi, una volta lì, decideremo il da farsi.”

Gourry annuì. “Mi sta bene. Ma gli altri cosa faranno? Voglio dire, Amelia verrà con noi per ritrovare suo padre, ma… Sylphiel, Derek e Bastian… ti hanno detto quali sono i loro piani? E come vi siete trovati a viaggiare insieme, tanto per cominciare?”

Mi accigliai. Non avevo voglia di parlare di Bastian e degli altri, in quel momento. Non avevo voglia di parlare di quelle settimane di distanza. Volevo solo godere della presenza di Gourry, di quel senso di sollievo che, dopo un mese di tensione, pareva avere reso la mia mente improvvisamente attenta e lucida.

“Non ha importanza.”

“Non ha importanza?”

“Non ora.”

Gourry stava per obiettare, ma non glielo permisi. Coprii le sue labbra con le mie, e dopo solo un istante le sue braccia mi cinsero e le sue dita raggiunsero la mia nuca. Evidentemente, era giunto alla mia stessa conclusione.

Per diverse ore a seguire, sospetti e piani di battaglia furono quanto di più lontano dalle nostre menti.

***

Non seppi perché mi svegliai. Non avevo sognato, né qualche rumore mi aveva disturbato. Dovevano essere le ore immediatamente prima dell’alba, e la notte fuori dalla finestra era ancora buia e silenziosa. L’oscurità era così fitta che pareva potersi tagliare con un coltello, ma non avvertivo segni di pericolo attorno a me. L’atmosfera era quieta, e sentivo il calore del corpo di Gourry contro il mio, e il suo respiro mescolato al sussurro del vento all’esterno, e allo sfrigolio delle braci nel camino.

Mi districai gentilmente dal suo abbraccio per liberare il mio braccio destro indolenzito, e mi appoggiai sul gomito, fissando l’indistinta oscurità dove doveva trovarsi il suo volto.

Lighting.” Mormorai. Il viso di Gourry emerse dalle tenebre. Mio marito stava dormendo della grossa, apparentemente imperturbato dal mio incantesimo e dai miei movimenti importuni.

Mi trovai a sorridere. Era strano, svegliarmi di nuovo al suo fianco. La presenza di Gourry mi era familiare, familiare in un modo piacevole e confortante. Stare con lui era come adeguarsi al naturale corso delle cose, era come sdraiarsi nell’acqua di mare, e lasciarsi trasportare dolcemente dalla corrente. La mia vita somigliava spesso a un vortice incontrollato, ma lui rimaneva il mio punto fermo, la persona che riusciva sempre a farmi trovare a mio agio.

Vorrei sapere che diavolo mi è saltato in mente, ieri sera…

Provavo rabbia verso me stessa, al pensiero di non aver reagito a Bastian. Era stato perché mi aveva colto di sorpresa, ma… non era stato solo quello. C’era stato un momento, mentre mi stringeva il braccio e mi guardava fisso, un momento mentre il suo viso si avvicinava al mio, in cui mi era quasi sembrato di specchiarmi nei suoi occhi. Avevo avvertito una affinità, fra noi due. Non era attrazione, e men che meno amore, ma era solo… solo…

… non ero in grado di spiegarmelo. Era assurdo. Bastian e io non eravamo simili. Eravamo quanto di più lontano esistesse al mondo. Non aveva senso che mi rivedessi in lui, non aveva senso che io… io…

Che io mi senta dispiaciuta per lui?

Lo realizzai in quel momento, e fu come ricevere uno schiaffo in viso. Il senso di colpa, la frustrazione… non erano per Gourry. Non erano per Gourry, semplicemente perché non avrebbero avuto ragione di esistere. Io amavo Gourry, e non lo avrei tradito. Ma mi sentivo in colpa nei confronti Bastian, per qualche assurdo, irrazionale motivo.

Semplicemente, ho cominciato a considerarlo qualcosa di simile a un amico. Mi suggerì una parte del mio cervello, quella saggia e razionale, votata a risolvere ogni mio dubbio. Era un’ipotesi plausibile? Decisi di supporre di sì. Mi ero posta già troppe domande, per quella sera.

Tornai a poggiare la testa sulla spalla di Gourry, assonnata e al contempo poco propensa a dormire. Dal giorno successivo saremmo stati di nuovo in viaggio e braccati. Volevo godermi quella quiete. Volevo godermela, fino a che…

Che diavolo???

Il fiato mi si strozzò improvvisamente in gola. Lo sguardo mi era caduto sulla mano destra di Gourry, abbandonata sul cuscino vicino alla sua testa, e mi ero resa conto che la fasciatura si era allentata e sciolta. Mi ero scordata della sua ferita, per essere sincera, ma non fu il fatto che fosse ferito a cogliermi di sorpresa. Avevo scorto le piaghe sulla sua mano, e…

… e le avevo riconosciute.

“Gourry!” Scattai a sedere, il cuore pronto a rimbalzarmi fuori dal petto, ogni traccia di sonno improvvisamente scomparsa. “Gourry, svegliati!”

“Li… Lina…” Gourry aprì gli occhi e mugugnò il mio nome, cercando di scostarsi. Lo avevo afferrato per le spalle, e lo stavo scuotendo selvaggiamente, senza pietà per il suo ovvio stato di confusione. “Lina… che… che succede?”

“Come ti sei procurato quel marchio???”

A quelle parole, Gourry parve finalmente riguadagnare coscienza di sé. Mi afferrò per i polsi, perché smettessi di scuoterlo, e mi spinse a forza a distanza, per potermi guardare in viso. “Lina… Lina, calmati, per favore…”

“Come te lo sei procurato, Gourry??? E’ importante!!!”

“I… io… ho toccato uno strano libro, e poi… è successo. Sono svenuto, e quando mi sono ripreso era sulla mia mano.”

“E dov’è ora quel libro???” Ero così agitata che lo stomaco mi si era stretto. Avevo voglia di vomitare. Non poteva… non poteva essere come pensavo…

“Io… credo… a Talit…” Rispose, Gourry, evidentemente terrorizzato. “Ero alla città vecchia quando è accaduto, ma quando mi sono svegliato mi avevano già riportato al palazzo, perciò… dei, Lina, sei pallidissima! Spiegami che cosa sta succedendo! Come posso aiutarti?”

“Raugnut… Rushavna…” Lasciai la presa su di lui, le mani tremanti, e ricaddi all’indietro, a sedere sul letto. Cercavo di pensare, ma tutto ciò su cui riuscivo a focalizzarmi era la paura. Mi nascosi il volto fra le mani, combattendo il groppo che mi si era formato alla gola e lottando per concentrarmi. Cosa potevo fare? Cosa dovevo fare? E se fosse stato già troppo tardi?

“Lina?” Gourry si avvicinò, e cercò di farmi scoprire il viso. “Io… io non capisco…”

“Perché non mi hai detto prima di quel marchio?” Sibilai.

Gourry arretrò lievemente, al mio tono vagamente isterico. “I… io… tu eri così stanca… non volevo farti preoccupare ancora, stasera… insomma, ci sarebbe stato tempo per…”

Presi un profondo sospiro e mi imposi di riguadagnare la calma. “Quel marchio…” Esordii, la voce roca e al contempo incredibilmente ferma. “… è con ogni probabilità una maledizione.”

“Una maledizione? Ma Sylphiel non lo ha…”

“E’ ovvio che non lo abbia riconosciuto!” Scattai, ma feci del mio meglio per trattenermi. Gourry sembrava già abbastanza spaventato, senza che io mi abbandonassi all’isteria. “Bé… in effetti sapeva del Giga Slave, ma… quella è magia della più oscura che possa esserci Gourry… Un… un essere umano che pratichi qualcosa del genere… è un reietto, persino fra gli esperti di magia nera. Ci sono persone che mi additerebbero come una criminale solo per fatto di conoscere queste informazioni.”

“Ma…”

“Ascolta. Il Raugnut Rushavna… è una maledizione eterna. Chi ne è vittima muore, e muore, e muore, tra atroci dolori, in un circolo che non può essere spezzato se non dalla distruzione di chi ha lanciato la maledizione.” A quelle parole, il colore scomparve all’improvviso dal viso di Gourry, ma io non mi fermai. Dovevo continuare a spiegare. Dovevo capire io stessa, perché nulla mi era ancora chiaro. “A quel punto, anche la vittima dell’incantesimo muore. Ma la fine non è che una liberazione… si narra…” Deglutii, ma la mia bocca era priva di saliva. “…si narra di un re, diversi secoli fa… che è stato vittima dell’incantesimo… e si dice che viva tutt’ora nelle segrete del suo palazzo, pregando incessantemente i suoi soldati di ucciderlo.”

Le mani di Gourry tremavano, ora. “E questo… questo marchio è…”

“Quelle piaghe… sembrano le stesse che affliggono le vittime dell’incantesimo. Di certo è una maledizione lanciata da qualcuno che conosce il fatto suo, perché quel segno che ti è rimasto impresso sulla mano è legato a magia antica, e… ma… ma questo non ha importanza, ora. Il punto è che la forma completa del Raugnut Rushavna può essere lanciata solo da un Mazoku. Nessun essere umano ha un potere del genere. Ma questa maledizione… non è completa. È quasi sicuramente opera umana.”

Il sollievo si dipinse sul volto di Gourry. “Ma… ma allora…”

“Non c’è nulla di cui stare tranquilli!” Feci del mio meglio per non gridare. “Non ho mai visto gli effetti dell’incantesimo lanciato da un essere umano, non ho idea di cosa possa succedere se si è colpiti dalla versione incompleta! Non sapevo nemmeno che potesse accadere una cosa del genere, dannazione!!! Forse la maledizione si espanderà lentamente dalla tua mano al resto del tuo corpo, forse a un certo punto diventerà irreversibile, e spezzarla equivarrà ad ucciderti! Forse è già così! Dei, Gourry!” Sentii qualcosa pungermi agli angoli degli occhi, e mi resi conto che stavo per piangere. “Che diavolo ti è saltato in mente??? Dopo tutti i nostri viaggi, dopo tutti gli anni insieme… quante volte ti avrò ripetuto che i testi di magia sono spesso protetti da rune maledette???”

Gourry sembrava più preoccupato per me che per se stesso, e la cosa non fece che accrescere la mia rabbia. Scivolò verso di me, e avvicinò cautamente una mano al mio viso, per accarezzarmi la guancia. “Non sembrava un testo di magia… sembrava piuttosto… un diario…” La sua voce era rotta, come se stesse lottando per restare calmo. “Lina, ti prego, calmati. Andrà tutto bene. Risolveremo anche questa cosa.”

“Puoi scommettere che la risolveremo.” Balzai giù dal letto, in preda all’agitazione. “Domattina… no, ora, immediatamente, partiremo per Talit. Troveremo quel libro, troveremo chi ha lanciato quella maledizione, e lo uccideremo, dovesse essere l’ultima cosa che faccio nella mia vita.” Non mi importava più di Erianna, né di Eriol, né di quella stupida guerra. Volevo solo salvare la vita di Gourry. A qualsiasi costo.

“Lina.” Il braccio di Gourry mi cinse la vita, e mio marito mi bloccò. Mi serrò in una morsa gentile, impedendomi di continuare a raccogliere le mie cose. “Ascoltami. Due o tre ore non faranno la differenza. Ormai è quasi l’alba, devi calmarti e dormire per qualche ora. Non puoi rimetterti in viaggio in questo stato. E comunque, non possiamo fuggire nel cuore della notte, senza dire nulla agli altri. Amelia e Sylphiel si preoccuperanno da morire.”

Presi un profondo respiro. Aveva ragione, dovevo riprendere il controllo di me stessa. Se non ragionavo e agivo lucidamente, non sarei venuta a capo di nulla.

“Va bene.” Risposi, senza guardarlo in volto. “Dormiremo per qualche ora, e poi scenderemo a colazione e spiegheremo la situazione agli altri. Amelia potrebbe tornare a Sailune e chiedere la consulenza dei suoi sacerdoti, in fondo. E Sylphiel potrebbe conoscere qualche sistema per ritardare l’effetto delle maledizioni.” L’impulso a piangere era passato, ma mi sentivo ancora terrorizzata. Ogni mago di Zephilia era addestrato a temere gli effetti delle maledizioni. Ma subirle sulla propria pelle, o su quella di una persona cara, era molto diverso dalla semplice teoria.

Gourry mi trascinò nuovamente, quasi di peso, sul letto. Mi cinse con le braccia, e prese a sussurrarmi parole sconnesse, accarezzandomi i capelli con le dita. Io non riuscivo a prestargli attenzione, la mia mente persa nell’abisso del compito che ci aspettava. Ma il quieto ronzio delle sue rassicurazioni in qualche modo riuscì a vincere le grida delle mie preoccupazioni.

Dopo qualche minuto, caddi preda di un sonno inquieto.

  
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