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Autore: Lys3    22/04/2014    1 recensioni
Tutti a Capitol City amano gli Hunger Games. Tutti tranne Leo.
Lui è diverso, lo è sempre stato fin da piccolo, ma nessuno comprende le sue ragioni. E in un mondo così grande, così forte, lotterà nel suo piccolo per far valere le sue idee in una società travagliata da questi Giochi mortali.
Martia era una ragazza come tante altre. Questo prima di vincere gli Hunger Games. Ora lotta per non perdersi nei suoi incubi, per mantenere la sua famiglia che sta cadendo verso l'oblio e per dare a sé stessa una speranza di una vita migliore.
Dal testo:
“Siamo diversi. Apparteniamo a due mondi diversi. E questa cosa non cambierà mai. [...] Vuoi un ragazzo che ti salvi dagli Hunger Games, non uno il cui padre ha progettato la tua morte.” [...]
“Ti sbagli. Tu mi salvi dagli Hunger Games. Mi salvi dagli Hunger Games ogni volta che mi guardi, ogni volta che mi stringi la mano, ogni volta che mi sorridi. Ogni singola volta in cui tu sei con me, mi sento libera di nuovo, come se nulla fosse mai accaduto. [...]”
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Altri tributi, Nuovo personaggio, Strateghi, Tributi edizioni passate
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 27 – Errori
 
Imbavagliata e indolenzita per tutti i calci e i pugni, Martia cercava di soffocare i gemiti di dolore mentre la legavano a una sedia.
Ivon Hampfit guardava fuori dalla finestra con aria tranquilla. Le tre guardie la circondavano e la colpivano non appena cercava di liberarsi.
“E così è qui che tutto ha avuto inizio…” disse l’uomo, rivolto più a sé stesso che alla ragazza. Le si avvicinò con passo deciso e si fermò a pochi centimetri da lei. I loro volti erano vicinissimi. “Mi ascolti attentamente, signorina. Poi potrà parlare.”
Si rialzò e iniziò a passeggiare per la stanza. “Mi sono pentito di non averla uccisa in quell’Arena dopo la sconvolgente notizia che ho ricevuto.” Si voltò a guardarla con disprezzo. “Mio figlio è sempre stato così fragile… Avrei dovuto capire che non avrebbe resistito alle volgari tentazioni di una popolana dei Distretti. Quello che ho scoperto è... umiliante per la mia famiglia. Il Presidente ha acconsentito affinché potessi occuparmi di persona della faccenda. Indovina, posso dare libero sfogo alla mia fantasia.” Le si avvicinò ancora, con gli occhi fiammeggianti e le strinse una mano intorno al collo. “Potrei benissimo farti morire soffocata in questo istante…”
Martia sentì un dolore acuto al collo e faticava a respirare sotto la presa fin troppo salda. Cercò di liberarsi ma una delle guardie le tirò i capelli talmente forte che un grido strozzato le uscì dalla gola. Aveva braccia e piedi legati, la bocca imbavagliata e adesso la testa era reclinata così tanto da farle male e da impedirle qualsiasi movimento.
Pregò in cuor suo di arrivare a fine giornata. Da quando era uscita dall’Arena non si era mai sentita così in pericolo.
Lo Stratega lasciò andare all’improvviso la presa. “Lasciala” disse al Pacificatore, il quale obbedì. L’uomo le si avvicinò di nuovo, ridendo alla vista delle lacrime che le rigavano il volto e del viso arrossato, mentre cercava di respirare normalmente. “Ma che senso avrebbe ucciderti? Ci sarebbero troppe domande e non voglio questa noia. E poi sei una così bella ragazza, così giovane… Meriti una seconda possibilità.” Rise, ancora più forte. “E’ per questo che ti propongo un patto: devi sparire dalla vita di mio figlio, non tornare mai più a Capitol City e io risparmierò la tua vita e quella della tua famiglia.” Fece un gesto rapido con la mano e uno dei Pacificatori le liberò la bocca.
Martia prese una grande boccata d’aria, poi, con grande disprezzo, disse: “Lei è pazzo. Leo inizierà a farsi delle domande se mi comporterò in maniera strana. E poi potrei essere convocata come Mentore.”
“Infatti il tuo compito è quello di lasciare mio figlio, spezzargli il cuore in una maniera o nell’altra. Allora lui sarà troppo distrutto per cercarti ancora. Ed io farò in modo che tu non sia mai più Mentore.”
Martia per un istante assaporò la gioia di sapere che questa cosa avrebbe potuto per sempre liberarla da Capitol City. Avrebbe solamente dovuto sopportare la presenza di quella città, ma non l’avrebbe mai più rivista. Il pensiero di Leo, però, la distruggeva.
Quel ragazzo aveva fatto tanto per lei... Solo con lui era veramente felice e si sentiva finalmente al sicuro. Ma in gioco c’era la sua famiglia, non poteva rischiare.
“Io…” mormorò tra le lacrime. “Io non… Non posso fargli una cosa del genere…”
“Certo che puoi” rispose Ivon Hampfit. “A meno che tu non voglia assistere alla morte di ogni singolo membro della tua famiglia, o almeno di quella che resta. E poi morire tu stessa.”
Martia cercò di trattenere il pianto ma fu quasi impossibile. Non aveva nemmeno la possibilità di nascondersi il viso tra le mani e la cosa era a dir poco umiliante. “Lasci in pace la mia famiglia…” singhiozzò.
“Devi solo lasciare in pace mio figlio. Alla fine vogliamo la stessa cosa: che la nostre famiglie siano salve. Mi sembra uno scambio equo o sbaglio?” rise l’uomo. Poi continuò: “Allora? Accetti?”
Martia annuì, senza alzare gli occhi dal pavimento.
“Bene. Inutile dirti che mio figlio di questo non deve sapere nulla. Inventati qualche storia. Domani mattina un treno ti riporterà a casa. Ti auguro una vita felice” disse uscendo dalla stanza. Poi rientrò, la fissò per un attimo e aggiunse: “Sistematela per bene, ma non uccidetela. Voglio che sia consapevole di cosa siamo capaci.”
“No!” strillò Martia mentre l’uomo chiudeva la porta e i tre restanti si avventavano con una furia cieca contro di lei.
 
Leo era in camera sua, seduto alla scrivania, sommerso dalle carte per il lavoro.
“Non so, Verin… Credo che il lavoro nelle miniere del 12 potrebbe essere ottimizzato se i minatori avessero più tempo libero per loro” disse alla ragazza.
“Il Presidente è stato chiaro, nessuna riduzione dell’orario. Dobbiamo trovare un altro modo” rispose lei dall’altro capo del telefono.
“Va bene. Ci aggiorniamo più tardi sulle novità.”
Una volta chiusa la telefonata guardò l’orologio. Martia doveva essere arrivata da ore ma non aveva notizie di lei.
Era preoccupato per quella repentina convocazione immotivata, ma non poteva permettersi di girare tutta la città alla ricerca di lei.
D’un tratto il telefono squillò. “Pronto?”
“Leo…” disse una voce rotta dal pianto.
“Chi parla?” domandò il ragazzo, irrigidendosi.
“Sono io… Sono Martia…”
Leo sentì il pavimento mancargli sotto i piedi. “Cos’è successo? Dove sei?”
“Ti prego, vieni…” continuò la ragazza piangendo. “Sono sempre all’hotel, la solita… la solita stanza… Ti prego… Fai presto…”
“Arrivo subito” disse lui e senza aspettare un secondo di più chiuse la telefonata e si diresse verso la porta.
“Ehi cos’è questa faccina bianca, tesoro?” disse sua madre incrociandolo nel corridoio.
“Ho dimenticato una cosa a lavoro” biascicò lui.
“Be’ dev’essere qualcosa di molto importante” rispose lei.
Leo però non le prestò ascolto: aprì la porta e uscì di casa. Inizialmente si impose di mantenere il controllo, dicendo a sé stesso che andava tutto bene. Ma la voce di Martia non faceva altro che rimbombargli nelle orecchie e il suo passo veloce si trasformò ben presto in una corsa rapida.
Saltò i convenevoli alla reception e salì di corsa le scale per evitare di attendere l’ascensore.
Bussò alla porta della stanza, ma la trovò aperta.
Entrò con calma, temendo per un istante di aver sbagliato posto perché nella stanza sembrava non esserci nessuno.
Poi vide la cornetta del telefono riversa sul pavimento e capì di non aver sbagliato. “Martia?” chiamò cercando di riprendere fiato.
“Leo” disse una voce strozzata proveniente dal bagno.
Il ragazzo la seguì, trovandosi davanti quella che non sembrava affatto la sua ragazza: era rannicchiata in un angolo, le ginocchia strette al petto e la faccia nascosta dai capelli arruffati; in qualche punto i vestiti erano strappati e diversi lividi erano presenti sulla parte visibile degli arti.
Leo si precipitò al suo fianco, inginocchiandosi. “Cosa ti è successo?”
Ma la ragazza non faceva che piangere e singhiozzare. Lui la strinse forte accarezzandola, sistemandole i capelli e cercando di consolarla, ma ci vollero diversi minuti prima che riuscisse a parlare. “Sono stati dei Pacificatori. Dicono che ho rubato qualcosa da Capitol City, ma non è affatto vero” disse piangendo. Ma fu quando alzò il volto che Leo ebbe un tuffo al cuore: oltre agli enormi lividi, aveva del sangue che le colava dal naso e dal labbro spaccato, senza contare due visibili segni rossi intorno al collo, come se qualcuno avesse cercato di strangolarla.
Leo lottò contro l’impulso di fare domande o di polemizzare. La prese in braccio e la portò nella stanza affianco, facendola appoggiare sul letto. Prese poi un asciugamano bagnato e iniziò a pulirle il sangue dal viso e ad asciugarle le lacrime. “Va tutto bene… Ci sono io adesso…”
Ma nelle mente di Martia quelle parole non facevano altro che farla stare peggio.
Lei avrebbe dovuto lasciarlo appena possibile e quel ragazzo si stava facendo in quattro per lei.
Nel kit di pronto soccorso presente nella stanza, Leo trovò delle medicine e delle pomate che riuscirono subito a darle beneficio.
Si sdraiò accanto a lei, fissandola intensamente. Martia, dal canto suo, non riusciva a guardarlo negli occhi. Come poteva far tanto male a un ragazzo così innocente?
Era ormai sera e si sentiva esausta.
“Come hanno potuto farti una cosa del genere?” le disse Leo accarezzandola dolcemente. Lei si limitò a guardarlo, rimanendo in silenzio. Dopo un po’ il ragazzo aggiunse: “Ti amo, ogni giorno di più.”
Martia avrebbe volto rispondergli che per lei era lo stesso, ma non poteva. Non poteva farlo per poi dirgli pochi giorni dopo che tra loro era finita per sempre. Così lo tirò a sé e lo iniziò a baciare, sempre con più foga.
Provava un dolore terribile nel sapere che quella sarebbe stata l’ultima volta che l’avrebbe visto, baciato o semplicemente toccato.
E quando realizzò che quella sarebbe stata davvero l’ultima volta, un pensiero folle le attraversò la testa.
Perché non farlo? Pensò. E’ l’unico ragazzo che io abbia mai amato e che probabilmente amerò davvero in tutta la mia vita. Non avremo mai un futuro insieme, quindi perché non ora?
Le sue mani corsero alla cintura del ragazzo che le bloccò prontamente. Smise di baciarla e la guardò negli occhi. “Martia, io…”
“Non vuoi?” domandò lei.
“Certo che voglio, ma… Sei sicura? Ora?”
“Sono sicura. O con te o con nessuno. E sì, ora. Passerà molto tempo fino a quando non ci vedremo di nuovo.”
“Io… E’ la prima volta, e… Non so…” disse lui arrossendo violentemente.
Martia sorrise, chiedendosi quanto fosse adorabile in quel momento. “Non ti preoccupare” rispose baciandolo. “Siamo nella stessa situazione” aggiunse con una piccola risata.
Anche Leo rise, sentendosi meno a disagio. E si lasciò andare.
 
L’indomani Martia si pentì amaramente di quella notte.
Salutare il ragazzo fu ancora più difficile e faticò a trattenere le lacrime. Leo, che la vedeva turbata, non faceva altro che rassicurarla: “Tranquilla, ci vedremo il prima possibile. Te lo prometto.”
Ma lei sapeva che non l’avrebbe rivisto mai più. Da un lato fu contenta che Leo non sapesse niente: almeno non era costretto a vivere quella situazione straziante come lei.
Quella notte insieme, però, avrebbe creato problemi peggiori di un addio difficile, e Martia lo imparò a sue spese.
Tornata a casa si chiuse in un ostinato silenzio, ignorando Sam che le chiedeva cosa fosse successo e rispondendo di tanto in tanto alle telefonate di Leo, comportandosi sempre in maniera evasiva e rimanendo chiusa nella sua stanza.
Era passato un mese da quando era tornata da Capitol City e non aveva trovato ancora il coraggio di chiudere con Leo. Tutti avevano notate il suo strano cambiamento di carattere. Ma Martia aveva notato qualcosa di molto più strano in lei.
Così una sera, mentre tutti la credevano nella sua stanza, prese il telefono e compose il numero che ormai conosceva a memoria.
“Pronto?”
“Sono io” disse Martia cercando di trattenere le lacrime.
“Ehi, ciao. Come stai?” disse Leo, la voce palesemente sollevata.
“Ascolta devo parlarti” tagliò corto lei.
Lui rimase qualche istante in silenzio. “Lo so cosa stai per dirmi… Mi sono accorto del tuo strano comportamento nelle ultime settimane. Solo che… Dopo quella notte, dopo l’ultima notte insieme, io credevo che più niente ci avrebbe separati.”
Martia lottò contro le lacrime che premevano per uscire nell’udire la voce tremante del ragazzo. “Io non posso reggere più questo peso, questa lontananza… Non posso, davvero… Perdonami…” Le lacrime avevano iniziato a bagnarle il viso e adesso era tutto irrecuperabile.
Anche Leo se ne accorse. “Amore possiamo sistemare tutto… Troveremo un modo…” disse piangendo anche lui.
Amore. Quante volte l’aveva chiamata così? Era forse la prima? Sentì un nodo allo stomaco, voleva quasi dirgli che non voleva lasciarlo più ma poi si ricordò di tutto quello che sarebbe successo, così si limitò a dire: “Mi dispiace. Non chiamarmi mai più, non cercarmi, non venire qui. Faresti solamente del male a entrambi…”
Chiuse il telefono senza pensarci due volte. Sentì qualcuno alzarsi dal salone e venire verso la cucina. Voleva andare via, correre in camera sua, ma i suoi piedi sembravano inchiodati al pavimento.
Entrò Sam che, nel vederla in lacrime, subito si preoccupò. “Cosa succede? Stai bene?”
Martia scosse vigorosamente la testa, poi le gambe le cedettero e si ritrovò in ginocchio. Sam le fu subito accanto. “E’ stato Leo? Cosa ti ha fatto?”
Lei scosse ancora la testa e, tra le lacrime, disse: “Sono stata io. Suo padre ha minacciato di fare del male alla mia famiglia se non lo avessi lasciato… Sam ho dovuto lasciarlo per forza… Non potevo rischiare…”
Sam l’abbracciò e cercò di rimetterla in piedi. “Dai, su. Andrai avanti, proprio come il resto delle volte. Ce la farai.”
“No, Sam. Non posso farcela stavolta…” Ormai era difficile capire cosa diceva tanto il pianto e i singhiozzi erano forti.
“Non dire così. Ce l’hai sempre fatta e…” ma fu interrotto dalla sorella che, a squarciagola, urlò: “Tu non capisci! Stavolta non posso farcela! Sono incinta!”
Per lo shock Sam la lasciò andare a la ragazza cadde di nuovo in ginocchio, il viso coperto dalle mani e un pianto irrefrenabile che la scuoteva tutta.



Buonasera. Ci ho messo una vita a scrivere questo capitolo perché è troppo triste e mi rendeva triste... E poi volevo fosse tutto perfetto per il loro addio. Come al solito ditemi cosa ne pensate, se volete, con una recensione. Siamo al gran finale! A presto :)
  
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