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Autore: Sissi Bennett    24/04/2014    7 recensioni
Bonnie McCullough ha diciassette anni, i capelli rosso fuoco, il viso a forma di cuore ed è sempre stata considerata da tutti la classica ragazza dalla porta accanto. Circondata da amiche più popolari e speciali di lei, non si è mai distinta tra la folla e nemmeno ha mai desiderato farlo. La sua esistenza in fondo è tranquilla e ha tutto quello che una ragazza possa desiderare, compreso un migliore amico premuroso, affettuoso e piuttosto figo: Stefan Salvatore. Tanto è legata a quest’ultimo quanto non sopporta il fratello, Damon. I due Salvatore hanno sempre avuto degli attriti, ma ultimamente le cose si sono fatte più tese: Stefan è riuscito a conquistare il cuore della bella Elena, la giovane per cui Damon ha sempre avuto un debole. Ma cosa succederebbe se la gemella di Elena, Katherine, ricomparisse a Fell’s Church dopo anni trascorsi a Parigi?
E se Bonnie, dopo un’estate in Spagna, tornasse più matura, più bella, più affascinante, insomma più donna e iniziasse ad attirare gli sguardi dei ragazzi? Damon continuerebbe a considerarla solo come la migliore amica di suo fratello o cercherebbe di aggiungere il suo nome alla sua già lunghissima lista di ragazze con cui è stato?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Katherine | Coppie: Bonnie McCullough/Damon Salvatore, Elena Gilbert/Stefan Salvatore
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Crazy Little Thing Called Love

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Capitolo ventiquattro: La belle et la bête

 

“This thing called love, I just can't handle it
This thing called love, I must get round to it
I ain't ready
Crazy little thing called love
This thing called love
It cries like a baby
In a cradle all night
It swings, it jives
It shakes all over like a jelly fish
I kinda like it
Crazy little thing called love”

(Crazy Little Thing Called Love- The Queen).

 

Lo avevo definito con gli epiteti peggiori che mi fossero mai venuti in mente. Qualunque mio accenno di cattiveria si era sempre palesato quando c’era lui di mezzo.

I suoi genitori lo avevano chiamato Damon. Nome azzeccatissimo.

Eppure addormentato sembrava semplicemente bello.

Tutto era bello, non solo lui.

Era bello stare appoggiata al suo petto, aggrappata alla sua spalla come un koala. Era bello avere il suo braccio attorno ai fianchi e già m’immaginavo quanto fosse intorpidito per il mio peso. Era bello guardare il suo viso così da vicino.

Si mosse leggermente nel sonno e io sgusciai via dal suo abbraccio, scivolando sul materasso per mettere un po’ di spazio.

Quel ragazzo mi stava facendo diventare matta.

Era nato per quel compito, ma una volta si trattava di un altro tipo di pazzia. Una volta era solo la voglia di zittirlo, di prenderlo per il collo.

I suoi sbalzi di umore, le sue cattiverie, le battute e le risatine mi avevano tormentato per anni. Non lo capivo e non m’importava.

Ora la situazione si era completamente ribaltata: stavo impazzendo, sì, ma nella maniera più dolce che si potesse intendere.

Arrossivo per le sue parole, il cuore mi andava a mille per la sua compagnia, mi mancava il fiato per la sua insistenza. Un’insistenza che non mi infastidiva affatto.

Quando ero insieme a Damon staccavo completamente la spina. Era una sensazione che mi spaventava e animava nel contempo.

La sera prima mi ero ripromessa di stargli alla larga e mi ero avviluppata a lui come una piovra. Non era stata proprio una prova di ferma volontà.

Non potevo fare altro: Damon mi attirava come una calamita. Era irrazionale, era istintivo, era nuovo per me. Ne ero semplicemente ipnotizzata.

Ancora più sorprendente: non si trattava solamente di attrazione fisica. La notte prima avevamo fatto le ore piccole, a parlare.

Parlare di stupidate, niente di importante. Mi ero sentita a mio agio come non mai.

Non era successo nulla, eccetto qualche bacio e qualche carezza che si era mantenuta al limite del casto, cosa che non mi sarei mai aspettata da Damon.

E poi un sacco di racconti e di battute, di risate, tanto da dimenticare il male alla gamba.

Alle fine ci eravamo addormentati praticamente uno sopra l’altro, dopo una breve battaglia a colpi di solletico. Non era stato un sonno tranquillo e rilassante: Damon si muoveva di continuo, un paio di volte mi aveva tirato un calcio e si era spalmato su di me, non in senso piacevole o malizioso.

Mi aveva scambiato forse per il suo cuscino e mi aveva pressato contro al materasso in una morsa troppo calda e opprimente.

Nonostante la notte agitata, mi sentivo riposata e felice. Stavo bene.

Stavo bene con Damon. Stavo bene con Damon. Stavo bene con Damon.

Continuavo a ripetermelo un po’ per convincermi che fosse vero, un po’ perché mi piaceva il suono che quelle parole mi evocavano.

Mi sentivo come una bambina a Natale e non capivo proprio come avessi potuto resistere così tanto. Da dove arrivava la mia reticenza?

Da anni di prese in giro, magari?

La mia vocina interiore aveva segnato un bel punto, ma non mi aveva scalfito per nulla.

Ricordavo perfettamente tutta l’antipatia che avevo provato verso di lui, semplicemente adesso non m’infastidiva così tanto.

Le persone potevano cambiare, giusto? Io per prima.

Era ancora mattina e io ero ancora un po’ intontita. Non avevo proprio la forza di mettermi a pensare al futuro. Mi volevo solo godere il momento.

Riappoggiai la testa sul cuscino, accanto alla spalla di Damon.

Ero lì per ricadere nel sonno quando le sue palpebre si alzarono e i suoi occhi neri si puntarono dritti nei miei.

“Credevi che stessi dormendo?” mi schernì “Nessuno mi guarda senza il mio permesso”.

“Non ti stavo guardando” replicai “Pensavo”.

“A me? È la stessa cosa” gongolò.

“Sei il solito egocentrico” m’imbronciai.

“Una delle mie tante qualità” sogghignò, girandosi del tutto verso di me.

“Direi anche umile”.

Si sporse verso di me prendendo gentilmente il mio braccio e massaggiò il polso scendendo fino alla mano “Se cerchi qualcuno di umile o altruista, hai scelto il ragazzo sbagliato”.

“Alle brave ragazze piacciono i cattivi ragazzi…così mi hanno detto” dissi molto lentamente, non perché volessi ottenere chissà che effetto, ma non riuscivo a parlare, troppo concentrata sulle carezze delle sue dita.

“Allora l’hai accettato alla fine” si compiacque.

“Non ho più l’istinto di ucciderti nel sonno se è questo che intendi” lo stuzzicai.

“E io non ho più il mal di orecchie a sentire la tua voce. Stiamo facendo passi avanti” ironizzò.

“Che cos’ha la mia voce che non va?” berciai.

“Niente, a parte il fatto che raggiunge note impensabili quando ti arrabbi. Cosa che accade spesso se sono nei dintorni”.

“La tua colpa è tua. Normalmente sono melodiosa come un usignolo. Anzi, scommetto che è proprio per questo che mi chiami uccellino”.

“Pensavo più a una cornacchia quando ho inventato quel soprannome”.

Sfilai la mano dalla sua presa e picchiettai con le dita sul suo torace “Ammettilo, Salvatore, inconsciamente ti sono sempre piaciuta”.

“Sì, a cinque anni quando eri ancora una bambina dolce e gentile, poi sei cresciuta”.

“Tu invece eri insopportabile già da piccolo” lo ribeccai.

“Come se mi avessi mai considerato. Sempre insieme a Stefan, il tuo migliore amico” sottolineò con una vocina derisoria.

“E questo che cosa significa?” chiesi.

“C’è stato un periodo in cui ti ritenevo carina” ammise con molta fatica. Pronunciò quel ‘carina’ con un’espressione costipata. Non seppi definire se il problema ero io o il complimento in sé. Probabilmente entrambi.

Corrugai la fronte “Non ricordo che tu sia stato mai carino con me” usai la sua stessa parola apposta “Mi hai fatto tanti di quegli scherzi che ho perso il conto”.

“Forza Bon Bon, non dirmi che la mamma non ti ha mai raccontato che se un maschietto fa gli scherzi a una bambina, significa che gli piace”.

Si rese subito conto della battuta di pessimo gusto.

“Sono arrogante, egocentrico e anche stupido. Scusami Bonnie, ho parlato senza pensare”.

Che Damon chiedesse scusa era già di per sé un fatto straordinario, ma che si dispiacesse così naturalmente senza temere di mostrarlo non era mai accaduto prima.

Rimasi attonita e poco ci mancò che mi scusassi io stessa. Era un vero mago a rigirare la frittata, anche quando non ne aveva l’intenzione.

Non era un argomento su cui desideravo soffermarmi più di tanto e decisi di insistere su un altro punto che m’interessava particolarmente.

“E così…aveva una cotta per me?” lo stuzzicai.

“Assolutamente no” smentì “Non travisare le mie parole”.

“Allora spiegamele”.

“Mi stavi solo più simpatica” minimizzò visibilmente a disagio “Ero un bambino. Cosa vuoi che ne capissi!”.

“E adesso? Che ne capisci?” lo pressai.

Mise una mano sulla mia guancia e l’accarezzò “Stai diventando sleale, uccellino”.

“Chissà da chi ho imparato” mormorai e ritornai giù, ad appoggiare la testa sulla sua spalla.

Ero pronta a riaddormentarmi, pronta a perdermi nel torpore che il suo corpo emanava. Ero talmente intontita che non udii il rumore di passi salire le scale, men che meno avvicinarsi alla porta.

Nel momento in cui la porta si aprì e il mio nome venne pronunciato era già troppo tardi.

Mi ero completamente dimenticata di averlo chiamato la sera prima, ma trovando la segreteria, gli avevo lasciato un messaggio.

Stefan rimase sulla soglia pietrificato. Guardava verso di noi come se al nostro posto ci fossero due alieni.

In effetti la situazione era abbastanza assurda considerando i soggetti. Doveva essere un bel colpo rientrare in casa e trovare la tua migliore abbracciata a tuo fratello, stesi sul letto in una posizione tutt’altro che difensiva.

Amica e fratello che si erano più volte giurati odio eterno.

Non avevo raccontato nulla a Stefan, niente di niente. Neanche una parola su come i rapporti tra me e Damon fossero cambiati, neppure in tempi non sospetti, quando le circostanze era ben meno compromettenti e gli unici gesti che avevamo scambiato erano di pura e semplice cordialità.

Damon si tirò a sedere sul materasso e io lo seguii a ruota.

“Fratellino, che ci fai qui così presto?”.

Forse non era proprio la domanda adatta per dissimulare una situazione scomoda.

E chiaramente Stefan lesse tra le righe quello che Damon gli aveva suggerito.

“Ti ho rovinato la festa?” lo ribeccò, alzando un sopracciglio.

Percepivo i toni scaldarsi. Non sarebbe finita bene.

“Che cosa diamine sta succedendo qui?” chiese Stefan scandendo con cura ogni parola.

“Niente d’interessante” rispose Damon con tono deluso, quasi volesse aggiungere un ‘purtroppo’.

Gli lanciai un’occhiataccia.

“Allontanati da lei” ordinò Stefan con una fermezza che colpì anche me.

Damon corrugò la fronte “Perché? Non stiamo facendo niente di male”.

La voce che usò era del tutto inappropriata. Sembrava più: abbiamo perfino i vestiti addosso, non farne una tragedia.

“Non so che cosa tu abbia in mente, ma Bonnie è fuori dalla tua portata” affermò Stefan convinto.

Proibire a Damon qualcosa era un invito a fare quella determinata cosa e anche di più.

“Io invece non so che cosa tu sia insinuando, ma onestamente non me ne frega molto della tua opinione”.

Gli occhi di Stefan mandarono fulmini “Bonnie” mi chiamò “Vieni qui”.

“Sa parlare anche da sola” gli fece notare Damon.

“Ragazzi…” cercai di calmarli, invano.

“Vattene da qualcun’altra, fratellone” ribadì Stefan con l’aria di uno che lo avrebbe preso volentieri per il collo.

“Perché non te ne vai tu, fratellino”.

Vidi Damon spostarsi sul letto, pronto a scendere. Sapevo che da lì a poco sarebbe scoppiato un putiferio. Fui più veloce e balzai giù sulla gamba sana, frapponendomi tra i due.

Misi una mano sul petto di Stefan per catturare la sua attenzione “Non è successo niente” dissi con decisione “Ci siamo solo addormentati sul letto dopo aver visto un film” mentii.

“Sul tuo letto?”.

“Avevo male alla caviglia, era più comoda qui” chiarii.

“Abbracciati?”.

“Nel sonno ci si muove”.

Ero diventata brava a inventare scuse. Non sapevo se preoccuparmene o compiacermene.

Stefan mi osservò scettico. Forse nemmeno aveva ascoltato bene le mie giustificazioni, pensava solo a come staccare la testa a Damon.

Ci voleva qualcosa di più convincente.

“Andiamo Stef” commentai con uno sbuffo “Io e tuo fratello? Pensi davvero che possa succedere qualcosa tra noi?”.

Guardò oltre le mie spalle. Fece un paio di respiri profondi e annuì. Sembrava che il problema si fosse risolto un po’ troppo velocemente rispetto a come era iniziato.

Possibile che tutto il sospetto e la rabbia fossero spariti con delle scuse così banali? Mi ero impegnata molto per apparire credibile, ma adesso Stefan stava cedendo troppo facilmente.

“Ti aspetto giù in salotto, preparo la colazione” mormorò e lasciò la stanza.

Mi sciolsi dal sollievo “C’è mancato poco” e mi voltai verso Damon.

Ciò che vidi fu peggio dello sguardo omicida di Stefan: i suoi occhi erano freddi, severi, quasi mortificati, delusi. Ed erano rivolti a me.

Ne fui colpita, confusa. Un momento prima mi stringeva delicatamente e un secondo dopo mi fissava come se fossi la peggiore delle criminali.

In quel momento capii che per me i guai non erano ancora finiti.

“Sei diventata un’ottima bugiarda, uccellino” constatò. Il mio nomignolo risuonò come un insulto tremendo.

“Beh, non ho proprio mentito: in fondo è vero, non è successo niente” ripetei.

“Sbagliato. Non è vero che non è successo niente. Non è successo quello, ma qualcosa è successo” precisò, seccato e innervosito.

“Stava per saltarti alla gola. Se non avessi negato, a quest’ora vi stareste prendendo a pugni” mi irritai a mia volta.

“Sicura che sia solo per questo?” cantilenò “O forse non avevi il coraggio di dire la verità!”.

“Sei paranoico, Damon”.

“Ho passato anni della mia vita a inseguire una ragazza che non mi voleva. Poi sono stato con un’altra ragazza che non mi voleva. Non ho interesse a ripetere la storia per una terza volta”.

“Dove vuoi arrivare?”.

“Per cominciare sarebbe carino se riuscissi a dire al tuo amichetto come stanno effettivamente le cose”.

“L’ho fatto per dividervi!” proruppi “L’ho fatto per evitare una lite inutile!”.

“Tu ti vergogni di me” mi accusò “E ti vergogni di te stessa, tanto da non riuscire nemmeno a dirlo ad alta voce”.

“Ho raccontato tutto alle altre” protestai “Sanno tutto”.

“Che cosa hai raccontato? Hai detto di provare qualcosa per me? Hai detto che nonostante il nostro passato adesso vuoi stare con me? Che puoi mettere da parte le tue idee per me?”.

Restai zitta. La conversazione non era andata proprio così. Damon pretendeva troppo: dovevo ancora fare chiarezza nella mia mente, avevo bisogno di più tempo.

“Ti va bene finché siamo soli, ma appena c’è la possibilità che qualcuno ci veda, scappi più lontano che puoi”.

“Non è proprio così” lo corressi “Mi sto ancora abituando”.

“Abituando a cosa? Hai già avuto altri ragazzi”.

“Ho avuto Matt e ci siamo solo frequentati”.

“Sì, alla luce del giorno. Avevi gli occhi a cuore, non vedevi l’ora di urlarlo a tutti”.

“Non è andata a finire bene tra noi” gli ricordai, un po’ per rincuorarlo, un po’ per fargli capire l’assurdità del suo discorso “Tu e io siamo ancora all’inizio: fino a ieri sera non ero neanche sicura di aver preso la decisione giusta”.

“Ora lo sei invece!” replicò sarcastico “Qual è la decisione giusta, Bonnie?”.

“Sei nervoso, Damon. Sei nervoso per come ti ha trattato Stefan. Ne parleremo quando ti sarai calmato, ma ora è meglio se scendiamo per colazione o tuo fratello s’insospettirà ancor di più”.

“Sarebbe una vera tragedia” commentò lui scettico “Adesso o più tardi non fa la differenza per me: non ho intenzione di essere il tuo segretuccio. E onestamente non capisco se vuoi solamente toglierti uno sfizio o sei hai paura di ammettere che ti piaccio sul serio”.

“Non è uno sfizio. Non sono il tipo da sfizio” obiettai, indignata che potesse pensare una cosa del genere di me.

“Allora non cambierà niente. Tra due giorni o tra due mesi, la verità è che non mi accetterai mai del tutto” sussurrò scoraggiato.

“Mi serve un po’ di tempo” mi giustificai, mortificata che si sentisse rifiutato per colpa mia “Mi sto abituando”.

“A cosa, Bonnie, a cosa?” pressò, esasperato.

“A te!” sbottai spazientita “Mi sto abituando a te, all’idea di essere attratta da te, all’idea di volerti. Non sei un santo, Damon. Me ne hai fatte di tutti i colori, ho pianto per colpa tua, mi sono sentita uno zerbino per colpa tua, ho dubitato di me stessa per colpa tua. Ora sono cresciuta, sono più forte e non voglio gettare i miei sforzi al vento. Quindi scusami se preferisco prendermi del tempo per riflettere, prima di buttarmi a occhi chiusi nelle braccia di chi mi ha fatta stare male!”.

Era ufficiale: con quelle parole avevo aperto il vaso di Pandora.

Avevo provato a tenermi tutto dentro, a non pensare ai miei sospetti. Avevo provato a evitare quel confronto. Speravo di risolvere le mie incertezze da sola, senza renderlo partecipe delle perplessità che avevo su di lui.

Damon incassò il colpo: la mia resa era stata da una parte una liberazione per lui, dall’altra una conferma delle sue paure.

“Non ti fidi di me” concluse amareggiato “C’è poco da stupirsi: mi sono comportato da vero stronzo con te. Il problema è che non posso tornare indietro e sistemare i miei errori. Ho cercato di rimediare in questi ultimi mesi, mi sono davvero impegnato per mostrarti la parte migliore. Hai visto tutto di me, il mio lato buono, quello cattivo, quello molto cattivo. Ti ho permesso di conoscermi. Evidentemente non è abbastanza. Sono sincero, ma non posso costringerti a credermi. Se mai ti deciderai, sai dove trovarmi. Ti chiedo solo di non tornare finché non sarai davvero convinta. Anche io ho costruito qualcosa e non posso rovinarlo per l’ennesima delusione”.

Mi superò uscendo dalla stanza.

Impiegai due secondi per girarmi verso la porta con l’intenzione di seguirlo, di fermarlo. Eppure non mossi un solo passo.

Non sarebbe cambiato niente. Io restavo della mia idea e Damon su quel punto era stato molto chiaro: torna solo se sarai convinta.

Non avevo niente di nuovo da aggiungere a ciò che gli avevo praticamente urlato.

Raccolsi la mia roba e zoppicai giù dalle scale attaccandomi alla ringhiera, senza prendere le stampelle, appoggiate in un angolo. Le dimenticai lì e me ne accorsi solo quando raggiunsi l’ingresso.

Avrei potuto chiedere a Stefan di portarmele, invece lo salutai frettolosamente, inventando che mio padre mi aveva appena chiamato per avvisarmi che il suo turno era finito.

Non potevo stare in quella casa un minuto di più.

 

Arrabbiato. Incazzato. Furioso.

Ero anche deluso, umiliato e tremendamente irritabile.

Mi ero morso la lingua per trattenermi, per non peggiorare la situazione. Ma la tentazione era stata forte.

Lei si vergognava di me. Lei!

Avevo trascorso anni della mia vita a considerarla una bambina, nemmeno così carina da tentarmi. L’avevo denigrata e ignorata. Davanti ai miei amici non aveva detto una singola parola gentile nei suoi confronti, mi ero sempre mostrato superiore e indifferente.

Avevo una reputazione da difendere!

Ma alla fine me n’ero fregato, alla fine mi ero arreso. Ero pronto ad ammettere i miei sbagli, a prendere a pugni Tyler se mai avesse avanzato altri commenti sporchi su di lei. Ero pronto a portarla fuori per un vero appuntamento, davanti agli occhi di tutti, a costo di passare per un incoerente, un ipocrita.

E lei si tirava indietro! Lei mi rifiutava perché non poteva mettere da parte i suoi stupidi principii da moralista.

Davvero ti stupisci? La ritieni inferiore a te e ti stupisci che sia fuggita a gambe levate?

C’erano momenti in cui avrei staccato il mio stesso cervello pur di sbarazzarmi della mia coscienza. Una volta neanche avevo una coscienza e adesso mi torturava un giorno sì e l’altro pure.

Bonnie aveva ragione: non ero uno stinco di santo. I miei stessi pensieri lo dimostravano.

Ero stato cattivo con lei, spesso senza un vero motivo, solo con la scusa di divertirmi. Scoppiava a piangere per niente e si arrabbiava per tutto. Provocarla era sempre stato il mio sport preferito.

Era il mio opposto. Incarnava quelle qualità che avevo sempre ritenuto difetti, quelle che non potevo sopportare. Quelle di cui ero miseramente privo.

Forse avevo invidiato la sua spontaneità e la sua innocenza. Forse avevo cercato di punirla per avermi schifato come un insetto.

Chi era lei per non degnarmi di uno sguardo? Perché Stefan sì e io no?

Bonnie era stata la prima a preferire mio fratello, era stata la prima a farmi sentire piccolo e insignificante.

Il mio orgoglio e il rancore mi avevano impedito di vederla per la splendida persona qual era. Avevo scelto di guardarla dall’alto al basso, di porla su un gradino inferiore al mio.

Mi era costata fatica e una buona dose di umiltà per cambiare opinione, per levarmi quei pregiudizi dagli occhi. Ma dopotutto niente era mutato da parte sua.

Nel momento di esporsi, si era ritirata impaurita: Stefan non doveva sapere.

E le sue amiche? Loro conoscevano parzialmente la storia, ma Bonnie si era ben premurata di non smascherare troppo le sue emozioni.

Della serie sì,  con Damon sento il brivido del proibito, niente di più.

La ragione di questa sua reticenza era ciò che mi feriva maggiormente: Bonnie non si fidava di me. Non riusciva a percepire la mia sincerità.

Non che le mie azioni fossero scaturite da un nobile intento. Se ripensavo alla scommessa, mi venivano i brividi dalla vergogna.

Alla fine, però, mi ero fregato con le mie mani. Caduto in una trappola degna della più banale commedia romantica.

Nonostante le mie colpe, nonostante riconoscessi che la sua diffidenza fosse giustificata, non mi pentivo dell’aut aut che le avevo dato.

Io non ero l’eroe, non ero il principe azzurro. Probabilmente in una fiaba mi avrebbero messo a fare il cattivo. Ma non eravamo in La bella addormentata nel bosco e lei non era la principessa da salvare.

Nel mondo reale i personaggi non erano tagliati con l’accetta.

Bonnie doveva imparare a seguire il suo lato più selvaggio, più istintivo. Se cercava un cavaliere senza macchia e senza paura, aveva sbagliato soggetto.

Lei stessa mi aveva confidato di non volere un bravo ragazzo. Con Matt era finita malissimo.

Io non ero del tutto cattivo. Avevo del buono in me e mi ero stufato di nasconderlo.

Esattamente nello stesso modo in cui Bonnie non era solo una ragazzina educata, ingenua e di cuore. Aveva avuto anche lei sprazzi di irruenza e combattività.

Nei miei confronti specialmente non si era risparmiata in battutine e affondi. La sua rettitudine iniziava a vacillare.

Ne era ben conscia e per questo tentava di mettere paletti tra di noi perché cedere a me significava accettare lati del suo carattere che la spaventavano.

Dichiarava di essere cresciuta, ma rimaneva troppo imbrigliata nel ruolo che per anni aveva interpretato. Non era più una matricola del liceo, si preparava a diventare una donna.

Io nel bene e nel male avevo messo sul tavolo da gioco tutto me stesso.

Adesso era il suo turno.  Dentro o fuori.

Non potevo sopportare una storia a metà, ma se era ciò che riusciva a offrirmi, allora mi sarei tirato indietro.

Perché avevo bisogno di Bonnie, sentivo e sapevo di aver bisogno di lei, di quella vera, senza freni e senza incertezze.

Non avevo mai provato niente del genere in vita mia. Ne ero terrorizzato.

E più di tutto temevo che lei non avesse bisogno di me allo stesso modo.

Cosa molto probabile visto la velocità con cui mi aveva accantonato per non turbare la quiete di Stefan.

“Damon, sei in camera?”.

O no. Ci mancava solo lui. Non volevo parlargli, non volevo vederlo. In realtà volevo solo essere lasciato in pace.

Me ne rimasi zitto, ma quel rompiscatole aprì la porta.

“Sto studiando” risposi a denti stretti.

“Senza libro?” replicò mio fratello scettico.

“Ripeto mentalmente” provai a scrollarmelo di dosso in tutti i modi, senza risultato.

“Sei diventato un pessimo bugiardo” sottolineò per poi sedersi sul mio letto.

Io continuai a dargli le spalle, appoggiato alla mia scrivania con i gomiti.

“Hanno chiamato dall’ospedale: tra poco possiamo andare a prendere papà”.

“Bene” asserii “Vado io. Non ti scomodare”.

Speravo che non avesse altro da aggiungere, ma non se ne andò. Non parlava e io potevo sentire comunque la sua presenza e i suoi occhi puntati sulla mia schiena.

“Damon mi dispiace per come ho reagito stamattina” sussurrò con un filo di voce.

Questo mi costrinse a voltarmi: non mi aspettavo le sue scuse, non dopo la scena di qualche ora prima. Non credevo nemmeno mi avrebbe più rivolto parola. Aveva messo in chiaro di non volermi vicino alla sua migliore amica, perché mi riteneva un poco di buono.

“Non preoccuparti, Stef” lo liquidai.

“Ti ho attaccato senza lasciarti spiegare. Ti ho visto lì con Bonnie e mi è salito il sangue al cervello, non sono riuscito a trattenermi”.

“C’era poco da spiegare. Come ti ha ribadito Bonnie non è successo niente”.

“Pessimo bugiardo” ripeté.

“Che cosa pretendi dalla mia vita Stefan? Stamattina quasi mi stacchi la testa perché mi sono addormentato accanto a Bonnie e adesso mi chiedi di perdonarti. O stai diventando bipolare o ti diverti a prendermi in giro”.

“Stavo solo difendendo la mia amica, non mi sono fermato a pensare. Tu sei mio fratello e abbiamo appena incominciato a ricostruire il nostro rapporto. Se abbiamo un problema dobbiamo risolverlo subito, quindi inizio io: mi spiace di averti accusato in quel modo”.

Liberai uno sbuffo esasperato “Come diavolo ci riesci?!” esclamai “Com’è possibile che qualunque cosa tu faccia, alla fine ne esci sempre da eroe? Sei…sei perfetto. Dici sempre la cosa giusta, fai sempre la cosa giusta, pensi sempre la cosa giusta. Come cazzo ci riesci?”.

“Ho come l’impressione che non stiamo parlando più di me” ipotizzò fissandomi.

“No, sono io il problema! Sono io quello sbagliato”.

“Sbagliato per chi?” indagò.

“Nessuno” troncai “Come mai sei tornato così presto questa mattina? Elena ti ha cacciato dal letto?” sviai il discorso.

“Ieri sera Bonnie mi ha lasciato un messaggio chiedendomi di venire qui. Avevo il cellulare scarico e non me ne sono accorto. Quando l’ho ascoltato, sono corso qua. Avevo paura fosse successo qualcosa a papà”.

Fantastico, non sopportava nemmeno di rimanere da sola con me. Pensai amaramente.

“C’è un motivo se ti ho chiesto scusa, se ho cambiato idea: è stata l’espressione che hai fatto quando Bonnie ha detto che non era successo niente tra voi” mi raccontò “Damon, credo che tu tenga a lei più di quello che vorresti ammettere e credo ci sia molto altro da sapere”.

Che cosa te lo fa credere?”.

“Per esempio quella volta in cui siete arrivati all’ospedale mano nella mano. Ammetto che trovarvi nel letto assieme è stato un po’ più sconvolgente”.

“Stavamo dormento, vestiti. Ho visto cartoni animati più spinti”.

“Per te forse, mi sembra che per Bonnie sia stato sconvolgente quanto lo è stato per me”.

“Calmati, Santo Stefan, non assisterai più a una scena simile. Sospetto che la tua amica mi abbia dato il ben servito”.

“Bonnie si sta proteggendo; è ancora una bambina” mi disse, teneramente “È una bambina che crede nelle favole. Sogna il grande amore, sogna l’avventura, ma la spaventa il salto nel vuoto. Non ha la minima idea di come gestirti. Tu sei…”.

“Il buco nero” ironizzai “Sei stranamente tranquillo rispetto a questa mattina”.

“Aspetto di ascoltare tutta la storia prima di minacciarti di morte, un’altra volta” sogghignò “Andiamo a prendere papà, mi racconti in macchina” proprose.

“Non mi basta il tempo”.

“Facciamo il giro lungo”.

 

Elena mi aveva proprio incastrato.

Adoravo i bambini, normalmente avevo un ottimo feeling con loro, ma quel giorno non ero dell’umore adatto per avere compagnia.

Avrei tanto desiderato starmene sola; invece la mia migliore amica si era presentata da me con sua sorella Margaret chiedendomi di farle da babysitter.

I genitori erano usciti a cena, Katherine come al solito si era defilata più veloce della luce. Elena inizialmente si era offerta di badare alla sua sorellina, poi Caroline l’aveva praticamente supplicata di aiutarla con un evento di beneficienza.

Avevo accettato di tenerla con me, ma non ero assolutamente dell’umore adatto per giocare o intrattenerla. Allora l’avevo piazzata sul divano a guardare un cartone animato.

Aveva scelto la “Bella e la bestia”. Avevo ancora tutti i film di quando ero piccola e quello era uno dei miei preferiti. Rimasi con lei sul divano, anche se avevo la testa da tutt’altra parte. Restai attenta solo per i primi due minuti, durante il racconto iniziale con quella musichetta che mi metteva sempre angoscia e meraviglia nel contempo, poi staccai.

Mi ero cacciata in una spiacevole situazione. Per quanto ne fossi combattuta, non mi ero mai resa conta di quanto mi mettesse a disagio fino a questa mattina.

Non mi ero mai esposta per Damon, almeno non pubblicamente. Alle mie amiche avevo confessato tutto, ma non mi ero mostrata affatto convinta, anzi ero apparsa più propensa a un no che a un sì. Stefan ne era addirittura all’oscuro.

A questo punto fosse sospettava qualcosa, dato che le mie scuse non erano state di grande inventiva.

L’intento era di non mettere Damon ulteriormente nei guai, ma ne avevo anche approfittato per rimandare una scomoda chiacchierata.

Mi vergognavo a rivelarlo a Stefan, perché per anni non avevo fatto altro che denigrare suo fratello. Mi ero vantata di non essere come le altre ragazze, di non avere alcun interesse per Damon, di non considerarlo nemmeno così fascinoso. E poi finivo addormentata e abbracciata a lui nel letto? Gran prova di coerenza!

Ci avevo provato, sul serio. Avevo tentato di accettare i sentimenti che provavo, di dimenticarmi del passato. Eppure, nel momento in cui Stefan mi aveva colta sul fatto, i miei sforzi erano stati spazzati via.

Damon suscitava in me emozioni che non avevo mai sentito in vita mia, questo sì. Ma non mi fidavo.

Non credevo alle sue buone intenzioni. Temevo che si trattasse solo di un gioco o di un capriccio, che mi avrebbe piantato in asso non appena gli fosse passata l’infatuazione.

Io non ero la ragazza che cercava. Non ero pronta a una relazione come quella che poteva offrirmi: passionale, intensa, inebriante, quasi infiammata.

Con lui tutto andava a cento all’ora, tutto era spinto all’eccesso. Non sapevo come stargli dietro. Ero completamente destabilizzata e un po’ frenata dalle mie stesse remore.

La questione si risolveva in una semplice domanda: ero cambiata a tal punto da imbarcarmi in una relazione con Damon? I suoi sbalzi d’umore potevano conciliarsi con le mie insicurezze, la sua impulsività con la mia sensibilità?

Osservai distrattamente lo schermo: eravamo già arrivati al punto in cui la bestia salvava Belle dai lupi.

Margaret aveva scelto un film provvidenziale: la bestia assomigliava un po’ a Damon.

Arrogante, cinico, totalmente privo di tatto o di una qualsivoglia educazione; ma anche sofferente, buono nel profondo, appassionato e autentico.

New and a bit alarming
Who'd have ever thought that this could be?
True that he's no Prince Charming
But there's something in him that I simply didn't see*

Illuminazione, epifania, non sapevo come chiamarla. Improvvisamente tutto era diventato chiaro nella mia mente, dopo l’ascolto di quella semplice canzone e dopo l’intesa nata tra i due protagonisti in seguito all’episodio nella foresta.

Udii un’auto fermarsi nel vialetto di Villa Salvatore. Gettai un’occhiata oltre la finestra e scorsi Stefan, Damon e Giuseppe scendere dalla vettura.

Mollai lì Margaret che nemmeno si accorse di niente tanto era presa dalla visione.

Uscii in strada: Giuseppe e Stefan erano appena entrati in casa, Damon stava scaricando un borsone dal bagagliaio.

Mi avvicinai in fretta, lo chiamai e senza dargli il tempo di aprire bocca, cominciai “Non dire una parola. È importante, quindi ascoltami in silenzio”.

Corrugò la fronte incuriosito e mi fece segno di continuare.

“Hai presente che le bambine da piccole sognano il Principe Azzurro? Quello sul cavallo bianco, senza macchia e senza paura? Ecco, lo sognavo anche io ovviamente. Poi si cresce, i sogni cambiano ma le basi rimango quelle: cercare il principe delle favole. Tu eri il sogno di tutte le mie compagne, per me eri un incubo. Anzi, sei il mio incubo peggiore: presuntuoso, egocentrico, irresponsabile, zero senso della famiglia o dell’affetto, egoista…”.

“Se sei venuta per insultarmi puoi anche andartene. Lo hai già fatto per anni”.

“Io ho sempre preferito la bestia” confessai di getto “La bestia era divertente e complicata, era da scoprire. Da un po’ di tempo il mio cuore è freddo e non riesco a sentire niente. Un incubo mi tormentava: tu. L’idea di arrendermi a te era una paura che si stava avverando e ho fatto di tutto per impedirlo. Solo adesso ho realizzato che non me ne frega niente del sogno, mi basta l’incubo perché è l’unico che riesce a scaldarmi il cuore. Tu sei quella dannata bestia e mi va benissimo così”.

Damon rimase di stucco a fissarmi. Io divenni bordeaux. Era stata la mia voce a parlare? Mi ero davvero messa a nudo in quel modo?

E Damon non mi rispondeva, il che mi imbarazzava ulteriormente.

“Io…devo andare. Margaret…beh, abito qui di fronte se…” farfugliai qualche scusa sconclusionata e corsi a cercare riparo in casa.

Posai una mano sul cuore che batteva all’impazzata. Ora che l’adrenalina stava sparendo, le mie gambe iniziavano a tremolare.

Non avevo chiuso la porta d’ingresso a chiave per la fretta. Questa si aprì alle mie spalle e io mi voltai spaesata, in un tumulto di emozioni confuse.

“Mi serviva qualche secondo per elaborare l’offesa” disse Damon affannato “Non posso credere che tu mi abbia paragonato a quella bestia pelosa”.

Un attimo dopo mi sollevò da terra, i miei fianchi stretti tra le sue dita, e mi baciò, cancellando finalmente ogni mio dubbio.

 

Il mio spazio:

Scusatemi per l’immenso ritardo, ma avevo un compito per l’università e ho dovuto accantonare un po’ la scrittura.

In più è stato un capitolo disastroso da completare e non sono nemmeno sicura che sia uscito così bene.

No, niente notte di fuoco tra Damon e Bonnie. La storia non è ancora finita, quindi potrebbe accadere, ma ora era troppo presto.

In questo capitolo viene affrontato un grosso problema: Bonnie non cede perché non si fida di Damon, delle sue intenzioni e delle emozioni che le fa provare.

Non si fida neanche di se stessa, della sua capacità di gestire una situazione del genere. Sta entrando nel mondo degli adulti e come ogni adolescente né attratta e intimorita.

Spero davvero che la sua “illuminazione” finale non vi sembri troppo affrettata. A volte capita che le cose più banali ci facciano capire ciò che vogliamo in pochissimo tempo. Poi sono anche del parere che a diciott’anni certi momenti vadano vissuti e basta, d’istinto, accantonando le pare mentali.

Che ne dite del confronto tra fratelli? Stefan alla fine a mente lucida e più tranquilla è andato a scusarsi con Damon e a chiedere la sua versione. Non è proprio al settimo cielo per questa relazione, ma imparerà anche lui ad abituarsi.

Vi avviso che mancano ancora pochi capitoli al termine, quattro o cinque!

Ora vi lascio perché comincia a farsi tardi. Ho corretto il capitolo adesso, quindi mi scuso per eventuali errori, sono un po’ stanca.

Buona notte (se c’è ancora qualche pazza sveglia che ha letto ora), e buona giornata per tutte voi che leggerete domani!!

Grazie mille per il continuo supporto. Un bacione,

Fran;)

 

 

*Questi sono alcuni versi tratti dalla canzone Something there. La scena in particolare è quella in cui Belle e la bestia sono in giardino e danno da mangiare agli uccellini. È il momento in cui si accorgono che qualcosa tra loro sta cambiando. Ho scelto la versione in inglese perché le parole erano più adatte. La traduzione è questa:

Nuovo e un po’ allarmante

Chi avrebbe mai pensato che potesse accadere?

Certo, non è il Principe Azzurro

Ma c’è qualcosa in lui che semplicemente non avevo visto.

  
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