Crazy
Little Thing
Called Love
Capitolo
ventiquattro: La belle et la bête
“This thing called love, I just can't
handle
it
This thing called love, I must get round to it
I ain't ready
Crazy little thing called love
This thing called love
It cries like a baby
In a cradle all night
It swings, it jives
It shakes all over like a jelly fish
I kinda like it
Crazy little thing called love”
(Crazy Little Thing Called Love- The Queen).
Lo
avevo definito con gli epiteti peggiori che mi
fossero mai venuti in mente. Qualunque mio accenno di cattiveria si era
sempre
palesato quando c’era lui di mezzo.
I
suoi genitori lo avevano chiamato Damon. Nome
azzeccatissimo.
Eppure
addormentato sembrava semplicemente bello.
Tutto
era bello, non solo lui.
Era
bello stare appoggiata al suo petto, aggrappata
alla sua spalla come un koala. Era bello avere il suo braccio attorno
ai
fianchi e già m’immaginavo quanto fosse
intorpidito per il mio peso. Era bello
guardare il suo viso così da vicino.
Si
mosse leggermente nel sonno e io sgusciai via
dal suo abbraccio, scivolando sul materasso per mettere un
po’ di spazio.
Quel
ragazzo mi stava facendo diventare matta.
Era
nato per quel compito, ma una volta si trattava
di un altro tipo di pazzia. Una volta era solo la voglia di zittirlo,
di
prenderlo per il collo.
I
suoi sbalzi di umore, le sue cattiverie, le
battute e le risatine mi avevano tormentato per anni. Non lo capivo e
non
m’importava.
Ora
la situazione si era completamente ribaltata:
stavo impazzendo, sì, ma nella maniera più dolce
che si potesse intendere.
Arrossivo
per le sue parole, il cuore mi andava a
mille per la sua compagnia, mi mancava il fiato per la sua insistenza.
Un’insistenza che non mi infastidiva affatto.
Quando
ero insieme a Damon staccavo completamente
la spina. Era una sensazione che mi spaventava e animava nel contempo.
La
sera prima mi ero ripromessa di stargli alla
larga e mi ero avviluppata a lui come una piovra. Non era stata proprio
una
prova di ferma volontà.
Non
potevo fare altro: Damon mi attirava come una
calamita. Era irrazionale, era istintivo, era nuovo per me. Ne ero
semplicemente ipnotizzata.
Ancora
più sorprendente: non si trattava solamente
di attrazione fisica. La notte prima avevamo fatto le ore piccole, a
parlare.
Parlare
di stupidate, niente di importante. Mi ero
sentita a mio agio come non mai.
Non
era successo nulla, eccetto qualche bacio e
qualche carezza che si era mantenuta al limite del casto, cosa che non
mi sarei
mai aspettata da Damon.
E
poi un sacco di racconti e di battute, di risate,
tanto da dimenticare il male alla gamba.
Alle
fine ci eravamo addormentati praticamente uno
sopra l’altro, dopo una breve battaglia a colpi di solletico.
Non era stato un
sonno tranquillo e rilassante: Damon si muoveva di continuo, un paio di
volte
mi aveva tirato un calcio e si era spalmato su di me, non in senso
piacevole o
malizioso.
Mi
aveva scambiato forse per il suo cuscino e mi
aveva pressato contro al materasso in una morsa troppo calda e
opprimente.
Nonostante
la notte agitata, mi sentivo riposata e
felice. Stavo bene.
Stavo
bene con Damon. Stavo bene con Damon. Stavo
bene con Damon.
Continuavo
a ripetermelo un po’ per convincermi che
fosse vero, un po’ perché mi piaceva il suono che
quelle parole mi evocavano.
Mi
sentivo come una bambina a Natale e non capivo
proprio come avessi potuto resistere così tanto. Da dove
arrivava la mia
reticenza?
Da
anni di prese in giro, magari?
La
mia vocina interiore aveva segnato un bel punto,
ma non mi aveva scalfito per nulla.
Ricordavo
perfettamente tutta l’antipatia che avevo
provato verso di lui, semplicemente adesso non m’infastidiva
così tanto.
Le
persone potevano cambiare, giusto? Io per prima.
Era
ancora mattina e io ero ancora un po’
intontita. Non avevo proprio la forza di mettermi a pensare al futuro.
Mi
volevo solo godere il momento.
Riappoggiai
la testa sul cuscino, accanto alla
spalla di Damon.
Ero
lì per ricadere nel sonno quando le sue
palpebre si alzarono e i suoi occhi neri si puntarono dritti nei miei.
“Credevi
che stessi dormendo?” mi schernì
“Nessuno
mi guarda senza il mio permesso”.
“Non
ti stavo guardando” replicai “Pensavo”.
“A
me? È la stessa cosa” gongolò.
“Sei
il solito egocentrico” m’imbronciai.
“Una
delle mie tante qualità” sogghignò,
girandosi
del tutto verso di me.
“Direi
anche umile”.
Si
sporse verso di me prendendo gentilmente il mio
braccio e massaggiò il polso scendendo fino alla mano
“Se cerchi qualcuno di
umile o altruista, hai scelto il ragazzo sbagliato”.
“Alle
brave ragazze piacciono i cattivi
ragazzi…così mi hanno detto” dissi
molto lentamente, non perché volessi
ottenere chissà che effetto, ma non riuscivo a parlare,
troppo concentrata
sulle carezze delle sue dita.
“Allora
l’hai accettato alla fine” si compiacque.
“Non
ho più l’istinto di ucciderti nel sonno se
è
questo che intendi” lo stuzzicai.
“E
io non ho più il mal di orecchie a sentire la
tua voce. Stiamo facendo passi avanti” ironizzò.
“Che
cos’ha la mia voce che non va?” berciai.
“Niente,
a parte il fatto che raggiunge note
impensabili quando ti arrabbi. Cosa che accade spesso se sono nei
dintorni”.
“La
tua colpa è tua. Normalmente sono melodiosa
come un usignolo. Anzi, scommetto che è proprio per questo
che mi chiami
uccellino”.
“Pensavo
più a una cornacchia quando ho inventato
quel soprannome”.
Sfilai
la mano dalla sua presa e picchiettai con le
dita sul suo torace “Ammettilo, Salvatore, inconsciamente ti
sono sempre
piaciuta”.
“Sì,
a cinque anni quando eri ancora una bambina
dolce e gentile, poi sei cresciuta”.
“Tu
invece eri insopportabile già da piccolo” lo
ribeccai.
“Come
se mi avessi mai considerato. Sempre insieme
a Stefan, il tuo migliore amico”
sottolineò con una vocina derisoria.
“E
questo che cosa significa?” chiesi.
“C’è
stato un periodo in cui ti ritenevo carina”
ammise con molta fatica. Pronunciò quel
‘carina’ con un’espressione costipata.
Non seppi definire se il problema ero io o il complimento in
sé. Probabilmente
entrambi.
Corrugai
la fronte “Non ricordo che tu sia stato
mai carino con me” usai la sua stessa
parola apposta “Mi hai fatto tanti
di quegli scherzi che ho perso il conto”.
“Forza
Bon Bon, non dirmi che la mamma non ti ha
mai raccontato che se un maschietto fa gli scherzi a una bambina,
significa che
gli piace”.
Si
rese subito conto della battuta di pessimo
gusto.
“Sono
arrogante, egocentrico e anche stupido.
Scusami Bonnie, ho parlato senza pensare”.
Che
Damon chiedesse scusa era già di per sé un
fatto straordinario, ma che si dispiacesse così naturalmente
senza temere di
mostrarlo non era mai accaduto prima.
Rimasi
attonita e poco ci mancò che mi scusassi io
stessa. Era un vero mago a rigirare la frittata, anche quando non ne
aveva
l’intenzione.
Non
era un argomento su cui desideravo soffermarmi
più di tanto e decisi di insistere su un altro punto che
m’interessava
particolarmente.
“E
così…aveva una cotta per me?” lo
stuzzicai.
“Assolutamente
no” smentì “Non travisare le mie
parole”.
“Allora
spiegamele”.
“Mi
stavi solo più simpatica” minimizzò
visibilmente a disagio “Ero un bambino. Cosa vuoi che ne
capissi!”.
“E
adesso? Che ne capisci?” lo pressai.
Mise
una mano sulla mia guancia e l’accarezzò
“Stai
diventando sleale, uccellino”.
“Chissà
da chi ho imparato” mormorai e ritornai
giù, ad appoggiare la testa sulla sua spalla.
Ero
pronta a riaddormentarmi, pronta a perdermi nel
torpore che il suo corpo emanava. Ero talmente intontita che non udii
il rumore
di passi salire le scale, men che meno avvicinarsi alla porta.
Nel
momento in cui la porta si aprì e il mio nome
venne pronunciato era già troppo tardi.
Mi
ero completamente dimenticata di averlo chiamato
la sera prima, ma trovando la segreteria, gli avevo lasciato un
messaggio.
Stefan
rimase sulla soglia pietrificato. Guardava
verso di noi come se al nostro posto ci fossero due alieni.
In
effetti la situazione era abbastanza assurda
considerando i soggetti. Doveva essere un bel colpo rientrare in casa e
trovare
la tua migliore abbracciata a tuo fratello, stesi sul letto in una
posizione
tutt’altro che difensiva.
Amica
e fratello che si erano più volte giurati
odio eterno.
Non
avevo raccontato nulla a Stefan, niente di
niente. Neanche una parola su come i rapporti tra me e Damon fossero
cambiati, neppure
in tempi non sospetti, quando le circostanze era ben meno
compromettenti e gli
unici gesti che avevamo scambiato erano di pura e semplice
cordialità.
Damon
si tirò a sedere sul materasso e io lo seguii
a ruota.
“Fratellino,
che ci fai qui così presto?”.
Forse
non era proprio la domanda adatta per
dissimulare una situazione scomoda.
E
chiaramente Stefan lesse tra le righe quello che
Damon gli aveva suggerito.
“Ti
ho rovinato la festa?” lo ribeccò, alzando un
sopracciglio.
Percepivo
i toni scaldarsi. Non sarebbe finita
bene.
“Che
cosa diamine sta succedendo qui?” chiese
Stefan scandendo con cura ogni parola.
“Niente
d’interessante” rispose Damon con tono
deluso, quasi volesse aggiungere un ‘purtroppo’.
Gli
lanciai un’occhiataccia.
“Allontanati
da lei” ordinò Stefan con una fermezza
che colpì anche me.
Damon
corrugò la fronte “Perché? Non stiamo
facendo
niente di male”.
La
voce che usò era del tutto inappropriata.
Sembrava più: abbiamo perfino i vestiti addosso,
non farne una tragedia.
“Non
so che cosa tu abbia in mente, ma Bonnie è
fuori dalla tua portata” affermò Stefan convinto.
Proibire
a Damon qualcosa era un invito a fare
quella determinata cosa e anche di più.
“Io
invece non so
che cosa tu sia insinuando, ma onestamente non me ne frega molto della
tua
opinione”.
Gli
occhi di Stefan mandarono fulmini “Bonnie” mi
chiamò “Vieni qui”.
“Sa
parlare anche da sola” gli fece notare Damon.
“Ragazzi…”
cercai di calmarli, invano.
“Vattene
da qualcun’altra, fratellone”
ribadì Stefan con l’aria di uno che lo avrebbe
preso volentieri per il collo.
“Perché
non te ne vai tu, fratellino”.
Vidi
Damon spostarsi sul letto, pronto a scendere.
Sapevo che da lì a poco sarebbe scoppiato un putiferio. Fui
più veloce e balzai
giù sulla gamba sana, frapponendomi tra i due.
Misi
una mano sul petto di Stefan per catturare la
sua attenzione “Non è successo niente”
dissi con decisione “Ci siamo solo
addormentati sul letto dopo aver visto un film” mentii.
“Sul
tuo letto?”.
“Avevo
male alla caviglia, era più comoda qui”
chiarii.
“Abbracciati?”.
“Nel
sonno ci si muove”.
Ero
diventata brava a inventare scuse. Non sapevo
se preoccuparmene o compiacermene.
Stefan
mi osservò scettico. Forse nemmeno aveva
ascoltato bene le mie giustificazioni, pensava solo a come staccare la
testa a
Damon.
Ci
voleva qualcosa di più convincente.
“Andiamo
Stef” commentai con uno sbuffo “Io e tuo
fratello? Pensi davvero che possa succedere qualcosa tra
noi?”.
Guardò
oltre le mie spalle. Fece un paio di respiri
profondi e annuì. Sembrava che il problema si fosse risolto
un po’ troppo
velocemente rispetto a come era iniziato.
Possibile
che tutto il sospetto e la rabbia fossero
spariti con delle scuse così banali? Mi ero impegnata molto
per apparire
credibile, ma adesso Stefan stava cedendo troppo facilmente.
“Ti
aspetto giù in salotto, preparo la colazione”
mormorò e lasciò la stanza.
Mi
sciolsi dal sollievo “C’è mancato
poco” e mi
voltai verso Damon.
Ciò
che vidi fu peggio dello sguardo omicida di
Stefan: i suoi occhi erano freddi, severi, quasi mortificati, delusi.
Ed erano
rivolti a me.
Ne
fui colpita, confusa. Un momento prima mi
stringeva delicatamente e un secondo dopo mi fissava come se fossi la
peggiore
delle criminali.
In
quel momento capii che per me i guai non erano
ancora finiti.
“Sei
diventata un’ottima bugiarda, uccellino”
constatò.
Il mio nomignolo risuonò come un insulto tremendo.
“Beh,
non ho proprio mentito: in fondo è vero, non
è successo niente” ripetei.
“Sbagliato.
Non è vero che non è successo niente.
Non è successo quello, ma qualcosa
è successo” precisò, seccato e
innervosito.
“Stava
per saltarti alla gola. Se non avessi negato,
a quest’ora vi stareste prendendo a pugni” mi
irritai a mia volta.
“Sicura
che sia solo per questo?” cantilenò “O
forse non avevi il coraggio di dire la verità!”.
“Sei
paranoico, Damon”.
“Ho
passato anni della mia vita a inseguire una
ragazza che non mi voleva. Poi sono stato con un’altra
ragazza che non mi
voleva. Non ho interesse a ripetere la storia per una terza
volta”.
“Dove
vuoi arrivare?”.
“Per
cominciare sarebbe carino se riuscissi a dire
al tuo amichetto come stanno effettivamente le cose”.
“L’ho
fatto per dividervi!” proruppi “L’ho
fatto
per evitare una lite inutile!”.
“Tu
ti vergogni di me” mi accusò “E ti
vergogni di
te stessa, tanto da non riuscire nemmeno a dirlo ad alta
voce”.
“Ho
raccontato tutto alle altre” protestai “Sanno
tutto”.
“Che
cosa hai raccontato? Hai detto di provare
qualcosa per me? Hai detto che nonostante il nostro passato adesso vuoi
stare
con me? Che puoi mettere da parte le tue idee per me?”.
Restai
zitta. La conversazione non era andata
proprio così. Damon pretendeva troppo: dovevo ancora fare
chiarezza nella mia
mente, avevo bisogno di più tempo.
“Ti
va bene finché siamo soli, ma appena
c’è la
possibilità che qualcuno ci veda, scappi più
lontano che puoi”.
“Non
è proprio così” lo corressi
“Mi sto ancora
abituando”.
“Abituando
a cosa? Hai già avuto altri ragazzi”.
“Ho
avuto Matt e ci siamo solo frequentati”.
“Sì,
alla luce del giorno. Avevi gli occhi a cuore,
non vedevi l’ora di urlarlo a tutti”.
“Non
è andata a finire bene tra noi” gli ricordai,
un po’ per rincuorarlo, un po’ per fargli capire
l’assurdità del suo discorso
“Tu e io siamo ancora all’inizio: fino a ieri sera
non ero neanche sicura di
aver preso la decisione giusta”.
“Ora
lo sei invece!” replicò sarcastico “Qual
è la
decisione giusta, Bonnie?”.
“Sei
nervoso, Damon. Sei nervoso per come ti ha
trattato Stefan. Ne parleremo quando ti sarai calmato, ma ora
è meglio se
scendiamo per colazione o tuo fratello
s’insospettirà ancor di più”.
“Sarebbe
una vera tragedia” commentò lui scettico
“Adesso o più tardi non fa la differenza per me:
non ho intenzione di essere il
tuo segretuccio. E onestamente non capisco se vuoi solamente toglierti
uno
sfizio o sei hai paura di ammettere che ti piaccio sul serio”.
“Non
è uno sfizio. Non sono il tipo da sfizio”
obiettai, indignata che potesse pensare una cosa del genere di me.
“Allora
non cambierà niente. Tra due giorni o tra
due mesi, la verità è che non mi accetterai mai
del tutto” sussurrò
scoraggiato.
“Mi
serve un po’ di tempo” mi giustificai,
mortificata che si sentisse rifiutato per colpa mia “Mi sto
abituando”.
“A
cosa, Bonnie, a cosa?” pressò, esasperato.
“A
te!” sbottai spazientita “Mi sto abituando a te,
all’idea di essere attratta da te, all’idea di
volerti. Non sei un santo,
Damon. Me ne hai fatte di tutti i colori, ho pianto per colpa tua, mi
sono
sentita uno zerbino per colpa tua, ho dubitato di me stessa per colpa
tua. Ora
sono cresciuta, sono più forte e non voglio gettare i miei
sforzi al vento. Quindi
scusami se preferisco prendermi del tempo per riflettere, prima di
buttarmi a
occhi chiusi nelle braccia di chi mi ha fatta stare male!”.
Era
ufficiale: con quelle parole avevo aperto il
vaso di Pandora.
Avevo
provato a tenermi tutto dentro, a non pensare
ai miei sospetti. Avevo provato a evitare quel confronto. Speravo di
risolvere
le mie incertezze da sola, senza renderlo partecipe delle
perplessità che avevo
su di lui.
Damon
incassò il colpo: la mia resa era stata da
una parte una liberazione per lui, dall’altra una conferma
delle sue paure.
“Non
ti fidi di me” concluse amareggiato
“C’è poco
da stupirsi: mi sono comportato da vero stronzo con te. Il problema
è che non
posso tornare indietro e sistemare i miei errori. Ho cercato di
rimediare in
questi ultimi mesi, mi sono davvero impegnato per mostrarti la parte
migliore.
Hai visto tutto di me, il mio lato buono, quello cattivo, quello molto
cattivo.
Ti ho permesso di conoscermi. Evidentemente non è
abbastanza. Sono sincero, ma
non posso costringerti a credermi. Se mai ti deciderai, sai dove
trovarmi. Ti
chiedo solo di non tornare finché non sarai davvero
convinta. Anche io ho
costruito qualcosa e non posso rovinarlo per l’ennesima
delusione”.
Mi
superò uscendo dalla stanza.
Impiegai
due secondi per girarmi verso la porta con
l’intenzione di seguirlo, di fermarlo. Eppure non mossi un
solo passo.
Non
sarebbe cambiato niente. Io restavo della mia
idea e Damon su quel punto era stato molto chiaro: torna solo
se sarai
convinta.
Non
avevo niente di nuovo da aggiungere a ciò che
gli avevo praticamente urlato.
Raccolsi
la mia roba e zoppicai giù dalle scale
attaccandomi alla ringhiera, senza prendere le stampelle, appoggiate in
un
angolo. Le dimenticai lì e me ne accorsi solo quando
raggiunsi l’ingresso.
Avrei
potuto chiedere a Stefan di portarmele,
invece lo salutai frettolosamente, inventando che mio padre mi aveva
appena
chiamato per avvisarmi che il suo turno era finito.
Non
potevo stare in quella casa un minuto di più.
Arrabbiato.
Incazzato. Furioso.
Ero
anche deluso, umiliato e tremendamente
irritabile.
Mi
ero morso la lingua per trattenermi, per non
peggiorare la situazione. Ma la tentazione era stata forte.
Lei
si vergognava di me. Lei!
Avevo
trascorso anni della mia vita a considerarla
una bambina, nemmeno così carina da tentarmi.
L’avevo denigrata e ignorata.
Davanti ai miei amici non aveva detto una singola parola gentile nei
suoi
confronti, mi ero sempre mostrato superiore e indifferente.
Avevo
una reputazione da difendere!
Ma
alla fine me n’ero fregato, alla fine mi ero
arreso. Ero pronto ad ammettere i miei sbagli, a prendere a pugni Tyler
se mai
avesse avanzato altri commenti sporchi su di lei. Ero pronto a portarla
fuori
per un vero appuntamento, davanti agli occhi di tutti, a costo di
passare per
un incoerente, un ipocrita.
E
lei si tirava indietro! Lei mi rifiutava perché
non poteva mettere da parte i suoi stupidi principii da moralista.
Davvero
ti stupisci? La ritieni inferiore a te e ti stupisci che sia fuggita a
gambe
levate?
C’erano
momenti in cui avrei staccato il mio stesso
cervello pur di sbarazzarmi della mia coscienza. Una volta neanche
avevo una
coscienza e adesso mi torturava un giorno sì e
l’altro pure.
Bonnie
aveva ragione: non ero uno stinco di santo.
I miei stessi pensieri lo dimostravano.
Ero
stato cattivo con lei, spesso senza un vero
motivo, solo con la scusa di divertirmi. Scoppiava a piangere per
niente e si
arrabbiava per tutto. Provocarla era sempre stato il mio sport
preferito.
Era
il mio opposto. Incarnava quelle qualità che
avevo sempre ritenuto difetti, quelle che non potevo sopportare. Quelle
di cui
ero miseramente privo.
Forse
avevo invidiato la sua spontaneità e la sua
innocenza. Forse avevo cercato di punirla per avermi schifato come un
insetto.
Chi
era lei per non degnarmi di uno sguardo? Perché
Stefan sì e io no?
Bonnie
era stata la prima a preferire mio fratello,
era stata la prima a farmi sentire piccolo e insignificante.
Il
mio orgoglio e il rancore mi avevano impedito di
vederla per la splendida persona qual era. Avevo scelto di guardarla
dall’alto
al basso, di porla su un gradino inferiore al mio.
Mi
era costata fatica e una buona dose di umiltà
per cambiare opinione, per levarmi quei pregiudizi dagli occhi. Ma
dopotutto
niente era mutato da parte sua.
Nel
momento di esporsi, si era ritirata impaurita:
Stefan non doveva sapere.
E
le sue amiche? Loro conoscevano parzialmente la
storia, ma Bonnie si era ben premurata di non smascherare troppo le sue
emozioni.
Della
serie sì,
con Damon sento il brivido del proibito, niente di
più.
La
ragione di questa sua reticenza era ciò che mi
feriva maggiormente: Bonnie non si fidava di me. Non riusciva a
percepire la
mia sincerità.
Non
che le mie azioni fossero scaturite da un
nobile intento. Se ripensavo alla scommessa, mi venivano i brividi
dalla
vergogna.
Alla
fine, però, mi ero fregato con le mie mani.
Caduto in una trappola degna della più banale commedia
romantica.
Nonostante
le mie colpe, nonostante riconoscessi
che la sua diffidenza fosse giustificata, non mi pentivo dell’aut
aut che
le avevo dato.
Io
non ero l’eroe, non ero il principe azzurro.
Probabilmente in una fiaba mi avrebbero messo a fare il cattivo. Ma non
eravamo
in La bella addormentata nel bosco e lei non era
la principessa da
salvare.
Nel
mondo reale i personaggi non erano tagliati con
l’accetta.
Bonnie
doveva imparare a seguire il suo lato più
selvaggio, più istintivo. Se cercava un cavaliere senza
macchia e senza paura,
aveva sbagliato soggetto.
Lei
stessa mi aveva confidato di non volere un
bravo ragazzo. Con Matt era finita malissimo.
Io
non ero del tutto cattivo. Avevo del buono in me
e mi ero stufato di nasconderlo.
Esattamente
nello stesso modo in cui Bonnie non era
solo una ragazzina educata, ingenua e di cuore. Aveva avuto anche lei
sprazzi
di irruenza e combattività.
Nei
miei confronti specialmente non si era
risparmiata in battutine e affondi. La sua rettitudine iniziava a
vacillare.
Ne
era ben conscia e per questo tentava di mettere
paletti tra di noi perché cedere a me significava accettare
lati del suo
carattere che la spaventavano.
Dichiarava
di essere cresciuta, ma rimaneva troppo
imbrigliata nel ruolo che per anni aveva interpretato. Non era
più una
matricola del liceo, si preparava a diventare una donna.
Io
nel bene e nel male avevo messo sul tavolo da
gioco tutto me stesso.
Adesso
era il suo turno. Dentro
o fuori.
Non
potevo sopportare una storia a metà, ma se era
ciò che riusciva a offrirmi, allora mi sarei tirato indietro.
Perché
avevo bisogno di Bonnie, sentivo e sapevo di
aver bisogno di lei, di quella vera, senza freni e senza incertezze.
Non
avevo mai provato niente del genere in vita
mia. Ne ero terrorizzato.
E
più di tutto temevo che lei non avesse bisogno di
me allo stesso modo.
Cosa
molto probabile visto la velocità con cui mi
aveva accantonato per non turbare la quiete di Stefan.
“Damon,
sei in camera?”.
O
no. Ci mancava solo lui. Non volevo parlargli,
non volevo vederlo. In realtà volevo solo essere lasciato in
pace.
Me
ne rimasi zitto, ma quel rompiscatole aprì la
porta.
“Sto
studiando” risposi a denti stretti.
“Senza
libro?” replicò mio fratello scettico.
“Ripeto
mentalmente” provai a scrollarmelo di dosso
in tutti i modi, senza risultato.
“Sei
diventato un pessimo bugiardo” sottolineò per
poi sedersi sul mio letto.
Io
continuai a dargli le spalle, appoggiato alla
mia scrivania con i gomiti.
“Hanno
chiamato dall’ospedale: tra poco possiamo
andare a prendere papà”.
“Bene”
asserii “Vado io. Non ti scomodare”.
Speravo
che non avesse altro da aggiungere, ma non
se ne andò. Non parlava e io potevo sentire comunque la sua
presenza e i suoi
occhi puntati sulla mia schiena.
“Damon
mi dispiace per come ho reagito stamattina”
sussurrò con un filo di voce.
Questo
mi costrinse a voltarmi: non mi aspettavo le
sue scuse, non dopo la scena di qualche ora prima. Non credevo nemmeno
mi
avrebbe più rivolto parola. Aveva messo in chiaro di non
volermi vicino alla
sua migliore amica, perché mi riteneva un poco di buono.
“Non
preoccuparti, Stef” lo liquidai.
“Ti
ho attaccato senza lasciarti spiegare. Ti ho
visto lì con Bonnie e mi è salito il sangue al
cervello, non sono riuscito a
trattenermi”.
“C’era
poco da spiegare. Come ti ha ribadito Bonnie
non è successo niente”.
“Pessimo
bugiardo” ripeté.
“Che
cosa pretendi dalla mia vita Stefan?
Stamattina quasi mi stacchi la testa perché mi sono
addormentato accanto a
Bonnie e adesso mi chiedi di perdonarti. O stai diventando bipolare o
ti
diverti a prendermi in giro”.
“Stavo
solo difendendo la mia amica, non mi sono
fermato a pensare. Tu sei mio fratello e abbiamo appena incominciato a
ricostruire il nostro rapporto. Se abbiamo un problema dobbiamo
risolverlo
subito, quindi inizio io: mi spiace di averti accusato in quel
modo”.
Liberai
uno sbuffo esasperato “Come diavolo ci
riesci?!” esclamai “Com’è
possibile che qualunque cosa tu faccia, alla fine ne
esci sempre da eroe? Sei…sei perfetto. Dici sempre la cosa
giusta, fai sempre
la cosa giusta, pensi sempre la cosa giusta. Come cazzo ci
riesci?”.
“Ho
come l’impressione che non stiamo parlando più
di me” ipotizzò fissandomi.
“No,
sono io il problema! Sono io quello
sbagliato”.
“Sbagliato
per chi?” indagò.
“Nessuno”
troncai “Come mai sei tornato così presto
questa mattina? Elena ti ha cacciato dal letto?” sviai il
discorso.
“Ieri
sera Bonnie mi ha lasciato un messaggio
chiedendomi di venire qui. Avevo il cellulare scarico e non me ne sono
accorto.
Quando l’ho ascoltato, sono corso qua. Avevo paura fosse
successo qualcosa a
papà”.
Fantastico,
non sopportava nemmeno di rimanere da sola con me.
Pensai amaramente.
“C’è
un motivo se ti ho chiesto scusa, se ho
cambiato idea: è stata l’espressione che hai fatto
quando Bonnie ha detto che
non era successo niente tra voi” mi raccontò
“Damon, credo che tu tenga a lei
più di quello che vorresti ammettere e credo ci sia molto
altro da sapere”.
“Che
cosa te lo fa credere?”.
“Per
esempio quella volta in cui siete arrivati
all’ospedale mano nella mano. Ammetto che trovarvi nel letto
assieme è stato un
po’ più sconvolgente”.
“Stavamo
dormento, vestiti. Ho visto cartoni
animati più spinti”.
“Per
te forse, mi sembra che per Bonnie sia stato
sconvolgente quanto lo è stato per me”.
“Calmati,
Santo Stefan, non assisterai più a una
scena simile. Sospetto che la tua amica mi abbia dato il ben
servito”.
“Bonnie
si sta proteggendo; è ancora una bambina”
mi disse, teneramente “È una bambina che crede
nelle favole. Sogna il grande
amore, sogna l’avventura, ma la spaventa il salto nel vuoto.
Non ha la minima
idea di come gestirti. Tu sei…”.
“Il
buco nero” ironizzai “Sei stranamente
tranquillo rispetto a questa mattina”.
“Aspetto
di ascoltare tutta la storia prima di
minacciarti di morte, un’altra volta”
sogghignò “Andiamo a prendere
papà, mi racconti in macchina” proprose.
“Non
mi basta il tempo”.
“Facciamo
il giro lungo”.
Elena
mi aveva proprio incastrato.
Adoravo
i bambini, normalmente avevo un ottimo
feeling con loro, ma quel giorno non ero dell’umore adatto
per avere compagnia.
Avrei
tanto desiderato starmene sola; invece la mia
migliore amica si era presentata da me con sua sorella Margaret
chiedendomi di
farle da babysitter.
I
genitori erano usciti a cena, Katherine come al
solito si era defilata più veloce della luce. Elena
inizialmente si era offerta
di badare alla sua sorellina, poi Caroline l’aveva
praticamente supplicata di
aiutarla con un evento di beneficienza.
Avevo
accettato di tenerla con me, ma non ero
assolutamente dell’umore adatto per giocare o intrattenerla.
Allora l’avevo
piazzata sul divano a guardare un cartone animato.
Aveva
scelto la “Bella e la bestia”. Avevo ancora
tutti i film di quando ero piccola e quello era uno dei miei preferiti.
Rimasi con
lei sul divano, anche se avevo la testa da tutt’altra parte.
Restai attenta
solo per i primi due minuti, durante il racconto iniziale con quella
musichetta
che mi metteva sempre angoscia e meraviglia nel contempo, poi staccai.
Mi
ero cacciata in una spiacevole situazione. Per quanto
ne fossi combattuta, non mi ero mai resa conta di quanto mi mettesse a
disagio fino
a questa mattina.
Non
mi ero mai esposta per Damon, almeno non
pubblicamente. Alle mie amiche avevo confessato tutto, ma non mi ero
mostrata
affatto convinta, anzi ero apparsa più propensa a un no che
a un sì. Stefan ne
era addirittura all’oscuro.
A
questo punto fosse sospettava qualcosa, dato che
le mie scuse non erano state di grande inventiva.
L’intento
era di non mettere Damon ulteriormente
nei guai, ma ne avevo anche approfittato per rimandare una scomoda
chiacchierata.
Mi
vergognavo a rivelarlo a Stefan, perché per anni
non avevo fatto altro che denigrare suo fratello. Mi ero vantata di non
essere
come le altre ragazze, di non avere alcun interesse per Damon, di non
considerarlo nemmeno così fascinoso. E poi finivo
addormentata e abbracciata a
lui nel letto? Gran prova di coerenza!
Ci
avevo provato, sul serio. Avevo tentato di
accettare i sentimenti che provavo, di dimenticarmi del passato.
Eppure, nel
momento in cui Stefan mi aveva colta sul fatto, i miei sforzi erano
stati
spazzati via.
Damon
suscitava in me emozioni che non avevo mai
sentito in vita mia, questo sì. Ma non mi fidavo.
Non
credevo alle sue buone intenzioni. Temevo che
si trattasse solo di un gioco o di un capriccio, che mi avrebbe
piantato in
asso non appena gli fosse passata l’infatuazione.
Io
non ero la ragazza che cercava. Non ero pronta a
una relazione come quella che poteva offrirmi: passionale, intensa,
inebriante,
quasi infiammata.
Con
lui tutto andava a cento all’ora, tutto era
spinto all’eccesso. Non sapevo come stargli dietro. Ero
completamente
destabilizzata e un po’ frenata dalle mie stesse remore.
La
questione si risolveva in una semplice domanda:
ero cambiata a tal punto da imbarcarmi in una relazione con Damon? I
suoi
sbalzi d’umore potevano conciliarsi con le mie insicurezze,
la sua impulsività
con la mia sensibilità?
Osservai
distrattamente lo schermo: eravamo già
arrivati al punto in cui la bestia salvava Belle dai lupi.
Margaret
aveva scelto un film provvidenziale: la
bestia assomigliava un po’ a Damon.
Arrogante,
cinico, totalmente privo di tatto o di
una qualsivoglia educazione; ma anche sofferente, buono nel profondo,
appassionato e autentico.
New and a bit alarming
Who'd have ever thought that this could be?
True that he's no Prince Charming
But there's something in him that I simply didn't see*
Illuminazione,
epifania, non sapevo come chiamarla.
Improvvisamente tutto era diventato chiaro nella mia mente, dopo
l’ascolto di
quella semplice canzone e dopo l’intesa nata tra i due
protagonisti in seguito
all’episodio nella foresta.
Udii
un’auto fermarsi nel vialetto di Villa
Salvatore. Gettai un’occhiata oltre la finestra e scorsi
Stefan, Damon e
Giuseppe scendere dalla vettura.
Mollai
lì Margaret che nemmeno si accorse di niente
tanto era presa dalla visione.
Uscii
in strada: Giuseppe e Stefan erano appena
entrati in casa, Damon stava scaricando un borsone dal bagagliaio.
Mi
avvicinai in fretta, lo chiamai e senza dargli
il tempo di aprire bocca, cominciai “Non dire una parola.
È importante, quindi
ascoltami in silenzio”.
Corrugò
la fronte incuriosito e mi fece segno di
continuare.
“Hai
presente che le bambine da piccole sognano il
Principe Azzurro? Quello sul cavallo bianco, senza macchia e senza
paura? Ecco,
lo sognavo anche io ovviamente. Poi si cresce, i sogni cambiano ma le
basi
rimango quelle: cercare il principe delle favole. Tu eri il sogno di
tutte le
mie compagne, per me eri un incubo. Anzi, sei il
mio incubo peggiore:
presuntuoso, egocentrico, irresponsabile, zero senso della famiglia o
dell’affetto,
egoista…”.
“Se
sei venuta per insultarmi puoi anche andartene.
Lo hai già fatto per anni”.
“Io
ho sempre preferito la bestia” confessai di
getto “La bestia era divertente e complicata, era da
scoprire. Da un po’ di
tempo il mio cuore è freddo e non riesco a sentire niente.
Un incubo mi
tormentava: tu. L’idea di arrendermi a te era una paura che
si stava avverando
e ho fatto di tutto per impedirlo. Solo adesso ho realizzato che non me
ne
frega niente del sogno, mi basta l’incubo perché
è l’unico che riesce a
scaldarmi il cuore. Tu sei quella dannata bestia e mi va benissimo
così”.
Damon
rimase di stucco a fissarmi. Io divenni
bordeaux. Era stata la mia voce a parlare? Mi ero davvero messa a nudo
in quel
modo?
E
Damon non mi rispondeva, il che mi imbarazzava
ulteriormente.
“Io…devo
andare. Margaret…beh, abito qui di fronte
se…” farfugliai qualche scusa sconclusionata e
corsi a cercare riparo in casa.
Posai
una mano sul cuore che batteva all’impazzata.
Ora che l’adrenalina stava sparendo, le mie gambe iniziavano
a tremolare.
Non
avevo chiuso la porta d’ingresso a chiave per
la fretta. Questa si aprì alle mie spalle e io mi voltai
spaesata, in un
tumulto di emozioni confuse.
“Mi
serviva qualche secondo per elaborare l’offesa”
disse Damon affannato “Non posso credere che tu mi abbia
paragonato a quella
bestia pelosa”.
Un
attimo dopo mi sollevò da terra, i miei fianchi
stretti tra le sue dita, e mi baciò, cancellando finalmente
ogni mio dubbio.
Il
mio spazio:
Scusatemi
per l’immenso ritardo, ma avevo un
compito per l’università e ho dovuto accantonare
un po’ la scrittura.
In
più è stato un capitolo disastroso da completare
e non sono nemmeno sicura che sia uscito così bene.
No,
niente notte di fuoco tra Damon e Bonnie. La
storia non è ancora finita, quindi potrebbe accadere, ma ora
era troppo presto.
In
questo capitolo viene affrontato un grosso
problema: Bonnie non cede perché non si fida di Damon, delle
sue intenzioni e
delle emozioni che le fa provare.
Non
si fida neanche di se stessa, della sua
capacità di gestire una situazione del genere. Sta entrando
nel mondo degli
adulti e come ogni adolescente né attratta e intimorita.
Spero
davvero che la sua “illuminazione” finale non
vi sembri troppo affrettata. A volte capita che le cose più
banali ci facciano
capire ciò che vogliamo in pochissimo tempo. Poi sono anche
del parere che a
diciott’anni certi momenti vadano vissuti e basta,
d’istinto, accantonando le
pare mentali.
Che
ne dite del confronto tra fratelli? Stefan alla
fine a mente lucida e più tranquilla è andato a
scusarsi con Damon e a chiedere
la sua versione. Non è proprio al settimo cielo per questa
relazione, ma
imparerà anche lui ad abituarsi.
Vi
avviso che mancano ancora pochi capitoli al
termine, quattro o cinque!
Ora
vi lascio perché comincia a farsi tardi. Ho
corretto il capitolo adesso, quindi mi scuso per eventuali errori, sono
un po’
stanca.
Buona
notte (se c’è ancora qualche pazza sveglia
che ha letto ora), e buona giornata per tutte voi che leggerete domani!!
Grazie
mille per il continuo supporto. Un bacione,
Fran;)
*Questi
sono alcuni versi tratti dalla canzone Something
there. La scena in particolare è quella in cui
Belle e la bestia sono in
giardino e danno da mangiare agli uccellini. È il momento in
cui si accorgono
che qualcosa tra loro sta cambiando. Ho scelto la versione in inglese
perché le
parole erano più adatte. La traduzione è questa:
Nuovo
e un po’ allarmante
Chi
avrebbe mai pensato che potesse accadere?
Certo,
non è il Principe Azzurro
Ma
c’è qualcosa in lui che semplicemente non avevo
visto.