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Autore: Dusk_Moth    24/04/2014    0 recensioni
E allora per la seconda volta urlasti. Ma stavolta, non era un male dovuto agli squarci sanguinanti sul tuo corpo. Quelle erano solo ferite della carne. La tua agonia proveniva da una piaga ben più profonda: la consapevolezza di aver perso tutto.
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Flesh Wounds

Questa è la prima storia che pubblico, l'avevo scritta un paio di anni fa ma poi non avevo mai avuto modo di pubblicarla

vi prego di recensire perché se c'è qualcosa che non va vorrei provare a correggerlo! Ok adesso vi lascio leggere in pace, sperando non sia troppo obbrobriosa :D

Il vento sibilava forte in quella terra desolata, e il suo tocco pungente ti sferzava il viso. Le tue gote erano impallidite e in bocca sentivi ancora un sapore ferroso e amaro. Sangue. Tuo, dei tuoi compagni caduti, dei tuoi nemici. Sangue secco sull’ armatura, sul fodero della spada, tra i capelli. Sangue caldo che colava dalle ferite ancora aperte, dalle labbra spaccate dal gelo.

Tre giorni erano passati dallo scontro, due da quando avevi cominciato a vagare per il campo di battaglia, arrancando fra i cadaveri ammassati, cercando un segno di vita.

Il freddo non passava, le nubi si ostinavano a coprire il cielo, velando quelle lande di un’oscurità tale da rendere difficile distinguere il giorno dalla notte e gettando sui corpi stesi in terra lugubri ombre.

Avevi perso la speranza, ma proprio quando stavi per arrenderti all'idea che non ci fossero più superstiti, udisti un flebile rumore. Ti fermasti e con i sensi all’erta ti sforzasti di percepirlo ancora; era poco più di un gemito, ma stavolta eri certa che non fosse il suono del vento fra le rocce né il verso di un rapace avido di carcasse. Era un alito di vita.

Corresti a perdifiato, il cuore ti martellava forte nel petto, i polmoni ti andavano in fiamme ogni volta che inspiravi quell’aria di ghiaccio, e ogni singolo muscolo dolorante, ogni parte lacerata della tua pelle ti implorava di fermarti. Ma tu non sentivi, continuavi a correre.

Quando ti fermasti, il dolore esplose e ti accasciasti sulla neve esalando un grido atroce.

Le mani ti tremavano mentre stringevi manciate di terra e neve tinta di rosso, e ti parve di vedere scintille  nel buio delle palpebre serrate. A fatica ti mettesti in ginocchio e finalmente trovasti il coraggio di guardare: sotto un mucchio di nevischio e corpi esanimi, una mano si muoveva e due occhi atterriti ti fissavano in una silenziosa richiesta di aiuto. Strisciando sui gomiti riuscisti a raggiungerlo e un barlume di fiducia tornò timidamente ad emergere.

Il giovane uomo si aggrappò alla tua mano e con le poche forze rimaste lo tirasti fuori da quella matassa di fango e cadaveri martoriati.

Fitte lancinanti percorrevano il tuo corpo, ma per un attimo lo scempio intorno a te aveva cessato di esistere. La tua contentezza, per quanto fragile fosse, superava il dolore e ti sarebbe persino sfuggita una risata se solo non fossi stata così stremata.

La realtà però reclamava la tua attenzione. Cercasti di ignorarla, ma poi sentisti un rantolo provenire dalle labbra del tuo amico ferito. Un rivolo scarlatto gli scese lungo un angolo della bocca. Ti guardò, consapevole e terrorizzato.

Le parole ti erano rimaste incastrate in gola, le lacrime aspettavano solo un battito di ciglia per cadere, ma resistesti. Lo facesti stendere, mentre la pozza scura si allargava sulla sua cotta di maglia riempiendo l’aria già satura del pungente odore metallico e sporcando le tue mani, strette alle sue in un disperato tentativo di strapparlo alla morte.

Ti sussurrò qualcosa, mentre già sentiva le palpebre diventare più pesanti. Fece uno sforzo immane per parlare e tu non potesti fare a meno di singhiozzare.

 Prendesti un profondo respiro e annuisti, stringendo più forte la sua mano. Si limitò a sorridere e preso dall' improvviso senso di stanchezza, chiuse gli occhi. Allora per la seconda volta urlasti. Ma stavolta, non era un male dovuto agli squarci sanguinanti sul tuo corpo. Qquelle erano solo ferite della carne. La tua agonia proveniva da una piaga ben più profonda: la consapevolezza di aver perso tutto. La guerra, i compagni di battaglia, il tuo ultimo amico, la speranza di poter tornare a casa.

Non ricordi quanto tempo passò da quel momento, sai solo che ti era sembrata un’eternità e che dopo aver seppellito i suoi resti ti addormentasti sul cumulo di terra smossa. Dopodiche cominciasti ad allontanarti dal luogo degli scontri e senza guardarti indietro partisti alla volta del nulla.

Continuasti a vagabondare in quel luogo solitario, le membra esauste, in cerca di un riparo dalla tormenta. Ti voltasti a sinistra e notasti una rientranza. Muovesti qualche rigido passo in quella direzione. Ti rannicchiasti contro il fondo della piccola caverna, cercando di ripararti dal freddo come meglio potevi, ben cosciente che sarebbe stato comunque inutile.

Non c’è un anima viva in quel luogo abbandonato dagli dei, nessuno verrà a salvarti

Chiudi gli occhi. Cerchi di ricordare la tua terra, così diversa dalle aspre cime su cui la tua ultima battaglia è giunta al termine; circondata dalle curve morbide delle colline, con le foreste e i laghi argentati. Ti sembra quasi di sentire le risate dei tuoi fratelli e l'odore delle more selvatiche. Tutto è così vivido...
“Le Dísir mi invitano a casa*”pensi, ma non c’è tristezza in quelle parole. Senti ogni fibra del tuo corpo distendersi, e finalmente ti lasci andare.

 

 

 

*"Le Dísir mi invitano a casa": il nome Dísir indica solitamente le Norne o le Valkyrie  che venivano invocate dai guerrieri nordici nel momento della morte

dimenticavo... per il rating non sapevo cosa mettere quindi ho preferito metterlo alto, non si sa mai... se pensate che arancione sia esagerato ditemelo per favore XD
   
 
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