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Autore: Jecky Ru    25/04/2014    1 recensioni
Era solitudine e amarezza. Era segretezza. Era morte. Era la vera essenza di un ninja.
***
Premetto che mi sto vergognando fino all'inverosimile e in questo istante vorrei essere uno struzzo, così da poter ficcare la testa sotto terra. Ma... l'idea di scrivere qualche Fiction mi stuzzicava da parecchio... ed ecco la prima, incentrata sul mio Oc (tanto per prendere la mano nel muovere gli altri personaggi e rendermi conto di come funziona il tutto). Uno Spin-off per immergersi nella straziante vita di uno shinobi e viverne assieme le sofferenze, i trionfi e le ardue scelte!
Detto questo, spero che troviate la storia stimolante e piacevole, tramite l'introduzione di quello che è un nuovo personaggio, uno dei tanti assassini al servizio di Orochimaru ed affezionarvici, vedendolo destreggiarsi tra gli intricati meccanismi che regolano la vita di una 'macchina priva di sentimenti' come deve essere un ninja. Grazie per l'attenzione e buona lettura!
Genere: Avventura, Azione, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Naruto Uzumaki, Nuovo Personaggio, Sasuke Uchiha
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Naruto Shippuuden
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Yumegakure no Sato, 16 anni prima.

Un vagito squarciò il silenzio della casa, precedentemente rotto dalle urla strazianti della partoriente. Il travaglio era durato tutta la notte e, esattamente come il primo raggio di luce mattutina aveva oltrepassato l'apice delle montagne che circondavano il piccolo villaggio, il viso della neonata era apparso oltre l'uscio materno.
La donna, sudata e stremata, accolse tra le braccia quella creaturina piccola e indifesa, l'espressione amorevole che solo una madre affettuosa può recare in viso dopo aver dato alla luce il terzo angioletto di famiglia.
« È bellissima...» mormorò debolmente. La osservò con attenzione: la pelle più chiara e delicata del normale era già ben visibile, mentre le piccole palpebre della creaturina erano calate sugli occhi, celando il colore delle iridi.
« Come potremmo chiamarla, Fumihiro?».
L'uomo seduto lì accanto s'alzò in piedi e raggiunse il giaciglio. Un sorriso gli illuminò il volto e strinse la mano della donna tra le sue. Un nome.
Serviva un nome. Velocemente, la sua mente scandagliò tutti i nomi femminili presenti nelle sue conoscenze, ma nessuno di essi pareva addirsi alla nuova arrivata, così eterea nel suo tenero candore.
Il suo fitto pensare, tuttavia, s'interruppe improvvisamente, percependo quel caldo tepore del raggio solare a riscaldargli la guancia. Sbatté le palpebre, stupito, e vide fuori dalla finestra il profilo delle alte montagne accendersi di un vivo giallo dorato, mentre il sole riversava la propria lucente vita sull'ampia foresta che giaceva alle pendici delle montagne, verso il villaggio.
Si portò una mano alla guancia, assorto in quella lenta visione. « Cara...» sussurrò, attonito. « L'alba sembra benedire la sua nascita. Perché non assegnarle... ».
Ci fu uno sguardo di complice intesa tra i due, e presto il nome venne deciso, marchiando la bambina con un epiteto fausto e gioioso, colmo di letizia, nella speranza che anch'ella, da grande, fosse cresciuta col favore della luce e la forza dirompente dell'alba.








Otogakure no Sato, adesso.


« Orochimaru-sama, l'obiettivo è stato eliminato.»
La sua voce suonò lapidaria, mentre scrutava con estrema attenzione le spalle dell'uomo a cui doveva la sua intera esistenza. Gli occhi  di quella brillantezza azzurra, tuttavia, si spensero presto sul pavimento, lasciando posto ad un silenzio che concerneva l'attesa di una risposta.
Un respiro pesante, quasi affaticato di lui sviscerò quell'istante.
Prese in mano quello che sembrava essere un rotolo e lo pose al sicuro in uno dei molti ripostigli, poi, sempre con la massima calma e il fiato pesante di chi vuol nascondere l'avanzare di una salute cagionevole, afferrò delle bustine e ne riversò il contenuto dentro una fumante tazza di thé verde. Solo dopo si volse a guardare la sua allieva, un ghigno soddisfatto miscelato ad un affilato sguardo aureo.
« Ben fatto, Yoake. La morte del fratello del Daimyo del Paese della Terra contribuirà a mettere in disordine le loro fila, sgualcendo ulteriormente i rapporti con Kirigakure. » sibilò, immerso nella convinzione che nella più rosea delle possibilità, tra i due paesi potesse nascere una definitiva dichiarazione di guerra.
La ragazza attese in rispettoso silenzio altre direttive, ma il maestro sembrava non aver ancora terminato il proprio discorso.
Sorseggiò con pacata sicurezza la sua calda bevanda, socchiuse gli occhi e assaporò fino all'ultima goccia di quella piccola porzione.
«Orribile.» sentenziò, schioccando le labbra sottili. « L'aggiunta di queste medicine fa sì che la bevanda più gustosa e salutare si trasformi in un intruglio a dir poco imbevibile.»
« Servono per la vostra salute, Orochimaru-sama. » disse lei, chinando la testa in un ossequioso gesto di rispetto.
« Lo so». Il tono dell'uomo s'era fatto aspro tutto ad un tratto, come seccato da una situazione che troppo a lungo si era lasciata perpetrare indisturbata. E questo lui lo sapeva.
Perdeva energie giorno dopo giorno e, nonostante ingoiasse ogni sostanza accuratamente sintetizzata dal suo fedele Kabuto, era ben a conoscenza che quelle medicine non avrebbero risolto affatto il problema, ma avrebbero solamente ritardato di qualche tempo l'infausto destino.
Ecco perché aveva bisogno di un nuovo corpo che, a dirla tutta, aveva già ampiamente trovato.
« Se non vi è altro che desideriate dirmi, maestro, chiederei il congedo.»
L'uomo tacque, senza tuttavia smettere di osservarla con quel ghigno spettrale. Gli occhi serpentini che studiavano la sua esile figura. Le permise di voltarsi e avanzare dei passi verso l'uscita, ma, prima che potesse davvero dileguare la sua presenza, parlò ancora, la voce melliflua e tuttavia recante un pizzico di velato sarcasmo.
« Tieniti pronta a svolgere una nuova missione. Ti manderò a chiamare al momento opportuno, c'è molto in ballo... sono quasi riuscito a raggiungere un importante obiettivo, e non lascerò che qualche idiota rovini i miei piani. Ergo, mi servi tu per porre sulla questione un colossale e definitivo punto di chiusura.»
La ragazza non si mosse, limitandosi a sospirare.
« Hai. Mi terrò pronta ad ogni evenienza.»
« Ah, e... Yoake. Un ultima cosa.». La voce di Orochimaru divenne improvvisamente tagliente, colma di quella spaventosa soggezione che usava incutere a qualsiasi sottoposto che doveva ben recepire i suoi ordini. Un sorrisetto caustico gli dipingeva le labbra, di nuovo piegate larghe e increspate.

« Voglio che passi da \lui\ più tardi. Necessita di una delle tue sedute. » 
« ... »
« Si è ritrovato ad essere molto irrequieto, ultimamente. ». Fece una lunga pausa, interrotta solamente dal gocciolio dell'acqua piovana che s'infiltrava nel terreno, fino a raggiungere quel luogo nascosto nelle viscere della terra. 
« Sai quanto tengo al suo stato di salute, non vorrei per nulla al mondo che gli avvenisse qualcosa. Almeno, non ora... ». La sua lingua serpentina uscì vorace dalle labbra, leccandole con fare sicuro. Già pregustava il momento in cui avrebbe potuto cambiare le sue fattezze, abbandonando quel guscio obsoleto che chiama corpo attuale e rubando impietosamente quello del ragazzo che ora giaceva ignaro in una delle molte stanzette del covo. 
« Sarà fatto. » e, senza aggiungere altro verbo, Yoake uscì dalla stanza, lo sguardo severo puntato di fronte a se'.

Questa non ci voleva.
Un'altra missione di tale portata avrebbe innegabilmente allungato i tempi e, come se non bastasse, si sarebbe ritrovata a fare da psicanalista alla persona sbagliata.
Tutto rallentato, tutto fottutamente rimandato. Il suo progetto ne avrebbe risentito, quel segreto che si portava dentro, alimentato dalle molte speranze che una vita costretta nell'oscurità aveva alimentato, ora si ribellava inutilmente alla consapevolezza che per attuare i suoi piani personali avrebbe per lo meno dovuto aspettare una manciata di mesi.
Maledizione.
L'espressione corrucciata, lo sguardo torvo. Chiuse le porte alle sue spalle e s'avviò lungo il corridoio che la separava dalla sua stanza.
Un'aura di pericoloso malumore la circondava, ad ogni passo sempre più irrequieta. Ma doveva placarsi, doveva digerire il fatto che ancora non contava più di una pedina in mano ad un esperto giocatore. Nonostante la sua esperienza decennale nell'arte di uccidere di spiare gli alti ranghi della società shinobi, in quel lurido posto plasmato da individui eticamente esecrabili, era un perfetto nessuno.
Ed era così, in realtà, che preferiva essere vista, o, per meglio dire, non-vista.
Nessuno era al corrente della sua esistenza, e così sarebbe dovuto essere da lì a molti anni a venire. Un asso nella manica del suo signore, una pedone da giocare ad avversario distratto. Lo scacco matto compiuto imprevedibilmente a partita terminata.
Questo era lei, incantevole kunoichi portatrice di morte, e solamente un ristretto manipolo di shinobi all'interno di quel covo era a conoscenza della sua identità.
Esclusi Orochimaru e Kabuto Yakushi (il quale era affiancato spesso e volentieri dalla stessa durante i vari esperimenti di sintesi e catalisi nei laboratori, nonché nelle dissezioni di cadaveri e sperimentazioni di vasta gamma), infatti, solo pochi, davvero pochi collaboratori l'avevano vista errare nei meandri del sottosuolo. E questo perché preferiva di gran lunga l'amena solitudine della propria stanzetta al fragore di chiacchiere e risa nelle sale comuni.
Ma, dopo tutto, come poter biasimare un comportamento del genere?
Le missioni occupavano gran parte del suo tempo, e il restante era diviso tra severi allenamenti, studi approfonditi di anatomia umana, scienze farmaceutiche e \quell'obiettivo\.
Come avrebbe potuto unirsi ad una masnada di buontemponi che festeggiano e si rallegrano per un nonnulla, perdendo una miriade di tempo prezioso? Non lo concepiva. Non concepiva come l'uomo potesse trovarsi confortato dalla presenza di altri uomini. La concezione di essere umano immerso nella socialità le provocava ribrezzo.
Un rotolo di jutsu e la sua musica. Ecco cosa la faceva sentire veramente serena, al riparo dall'ipocrisia di una vita felice e spensierata.
Era uno shinobi. La felicità le era stata preclusa dall'istante in cui aveva posizionato per la prima volta una lama al collo di una vittima, tranciandone impietosamente la gola.
Ed ora, spossata e stizzita da quel colloquio, avanzava a passi lenti verso le sue stanze, la mente impegnata in questi oscuri pensieri.

Era così immersa in quei ragionamenti che non percepì subito i passi che alle sue spalle avanzavano di come di fretta verso di lei. Quando la voce della donna parlò, infatti, trasalì impercettibilmente, riportata alla realtà dal suo tono pesante e stranamente troppo curioso.
« Ti hanno assegnata a lui, non è vero? ». Yoake fermò la propria marcia, voltando appena la testa l'essenziale che serviva per poter vedere la figura con la coda dell'occhio. La riconobbe all'istante, con i suoi capelli rosso acceso, una divisa lillà chiaro e quegli occhiali incastonati sul naso, che ripetutamente si ostinava ad aggiustare, quasi fosse un movimento per rimarcare la propria posizione. 
« Karin... » biascicò senza un vero tono, il sentore che la ragazza avesse quasi corso nel raggiungerla. « Non sono affari che ti riguardano. »  
La rossa trasalì. Incrociate le braccia sotto il petto, avanzò nella sua direzione con determinata convinzione, posizionandosi esattamente di fronte a lei, stizzita.
« E questo chi lo ha detto? Sono parte integrante di questo covo, io devo sapere \ogni\ cosa che lo riguarda! ».
Il tono, tuttavia, tradiva una traccia di interesse in quelle parole. Interesse che a delle attente orecchie come quelle della mora non passò inosservato. 
« Questo non è un buon motivo per origliare le conversazioni altrui.»
Proferì un motto sarcastico, puntando i suoi occhi azzurro pallido in quelli rossi della sua interlocutrice e, dopo qualche attimo di allusiva ironia, la sua espressione divenne austera ed intransigente.
« Dovresti concentrarti maggiormente su quelli che sono i tuoi obiettivi, invece di braccare come una cagna randagia prede che sono al di fuori della tua portata.» aggiunse con un tono pacato ed estremamente logico, completamente discordante dalla gravità delle parole utilizzate.
Fece per sorpassarla, ma la reazione della ragazza fu immediata.
Spiazzata e indisposta dalla risposta appena schiaffatale in pieno volto, serrò i pugni con forza, digrignando i denti e guardando le spalle dell'altra con l'improvviso desio di strapparle a morsi quella chioma fluente che ora ondeggiava arrogante di fronte a lei.
« N-Nani? Che cosa? Come ti perm- »
« È tutto tuo, non preoccuparti.» la interruppe con la massima nonchalance, alzando il dorso della mano destra in segno di saluto. « Buona giornata.» 
Non contenta, e orgogliosa di natura, Karin serrò la mascella e affilò lo sguardo, aggiustandosi gli occhiali in un movimento automatico ed incontrollato. Si piazzò salda nella propria posizione, e parlò aspra, le mani fuse con i fianchi.
« I miei obiettivi sono perfettamente chiari. E tu, invece? Avresti veramente il fegato di possederne? Sei un'arma, ricordati... i tuoi sogni andranno distrutti, in modo o nell'altro! Avresti l'arroganza di possedere degli scopi?» le urlò dietro, riuscendo a stento a trattenere la propria furia. 
Ma la sua intrepida voglia di discutere fu acquietata dall'altra che, senza fermarsi o proferire parola, continuò ad allontanarsi quietamente.
Karin la osservò immobile, sperando che uno scontro verbale le desse una possibilità di rivalsa contro quelle parole ferine che aveva appena ricevuto, ma restò delusa e perplessa nel vedere la figura voltare l'angolo e sparire così dalla sua visuale. Covando un grido rabbioso, che emerse solamente tramite alcuni rantoli cupi di sdegno, non le rimase altro che tornarsene ai propri affari, ma non prima di aver giurato a se' stessa che avrebbe ottenuto la sua vendetta.


Una melodia triste ed infinitamente dolce. Le note cupe che plasmavano l'aria circostante con un sentore di bellezza sciupata, allegria spenta e remota, e il volto lasciato giacere inerme sul legno pregiato di quello strumento musicale.
Gli occhi chiusi alla realtà, immersi in quel mondo che spesso fungeva da salvagente alla sua reale fragilità emotiva. Un cigno dovrebbe librarsi in alto nel cielo, sotto lo sguardo meravigliato di fortuiti passanti, non restarsene invischiato nel fango sporco e viziato di un'esistenza come quella.
Il suo canto, espresso silenziosamente attraverso quegli occhi che ora fissavano assorti e distanti il pavimento, era una nenia melanconica. La musica che aleggiava nell'aria, prodotta dal movimento incessante e fluido delle sue dita sulle corde, un agglomerato di struggenti ricordi. L'unica cosa che avrebbe impedito il frammentarsi della sua anima, la sola via di fuga da un modo che impietoso vessava la sua reale natura, così freddo e crudele nei confronti di quel cigno le cui ali erano state brutalmente amputate otto anni prima.
Aveva bisogno di quella musica alla stregua dell'ossigeno.
Tra un compito e l'altro, un allenamento ed un capitolo di scienze mediche, il bisogno fisiologico di stemperare la propria rabbia, la propria inquietudine attraverso quel dolce lamento di corde era sempre più impellente. Lasciava andare la tristezza, assieme a delle calde lacrime straripanti di sentimento e voglia di vivere.
Le parole della rossa non erano passante indifferenti alle sue orecchie, seppur così poteva sembrare. Un animo dolce e malleabile come il suo, racchiuso dentro una spessa fortezza di ghiaccio e rigore, veniva lacerato da ogni singola parola ad esso rivolto. Ogni frase lasciava una traccia indelebile, ed ora, abbandonata alla soave litania prodotta dal pizzicore dell'arpa, meditava sul significato delle parole urlatele dietro.
Un sogno... che cos'è un sogno? Un desiderio espresso di notte dalla nostra coscienza, dal nostro reale io.

« Un sogno è una boccata d'aria fresca in una vita di stenti ». Quella frase risunò assordante nella sua mente, pronunciata da un tono maschile sepolto nella sua memoria.
« Ricorda, Yoake-chan... il nostro clan si fonda in primo luogo su questo.»
« Nii-san, insegnami a fare quello che sai fare tu! »
« Scordatelo, Yoake-chan. Arriverà anche il tuo momento, ma per ora è meglio non affrettare le cose.»


Spalancò le palpebre, annaspando. Smise all'istante di suonare e si guardò intorno disorientata, come un fortunato superstite scampato all'annegamento. Un senso di vuoto timore a circoscriverla, si strinse nelle spalle. Da quanto tempo stava suonando? Il tempo sembrava passare in un battito di ciglia quando dava adito alla sua fantasia.
Si ricompose ben presto, scacciando quegli scomodi ricordi.
Il passo barcollante, si diresse velocemente verso il bagno: doveva preparasi, rendersi accettabile per quello che s'accingeva a compiere, diligente. Vestita di un ampio abito color indaco, la fascia in vita della tipica colorazione violacea, uscì dalla propria stanza conciata nel migliore dei modi, pulita e profumata. I capelli, sovente tenuti sciolti oltre le spalle, perfettamente lisci e custoditi.
Un'espressione di rinnovata calma e sicurezza dipinta in quel volto che solo qualche istante prima era stato irrorato da copiose lacrime di insensata nostalgia.

Era bella e invitante come una mela rossa e succosa posta su di un piedistallo. Una mela che, tuttavia, all'interno nascondeva putridi e sterili sementi.

  
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