~ Capitolo
3:
Fine
Ancora quel Bip fastidioso a svegliarmi, ancora quell’ospedale,
ancora quel bianco accecante ad accogliermi.
Mio padre,Daniel, mi fissò con un espressione
preoccupata, i suoi occhi azzurri, troppo simili ai miei, mi guardarono con
attenzione.
- Come stai? Un po’ meglio, spero. – Disse con
apprensione.
- Ho sete … voglio dell’acqua.- Risposi flebile. Mi
sentivo abbastanza scombussolata, e soprattutto c’era un ricordo sgradevole che
in quel momento non tornava in mente, eppure si faceva sentire come non mai.
Mio padre tornò poco dopo con un bicchiere colmo d’acqua
fresca. La bevvi d’un fiato.
- Non bere così in fretta!-
- Mi dispiace, ho troppa sete. - Ribattei sorridendo.
Daniel alzò gli occhi al cielo. Non era minimamente cambiato dall’ultima volta
che l’avevo visto. Certo, qualche ruga in più si faceva spazio nel suo viso, ma
per il resto era rimasto l’uomo di cui mia madre si era innamorata e a cui io
somigliavo tanto. Occhi chiari, pelle delicata e capelli castano chiaro. Mentre
io li avevo di una tonalità più scura e tendente al cioccolato, i suoi col sole
diventavano chiarissimi, quasi biondi. Gli occhi invece erano sì azzurri, ma a
volte tendevano molto di più al grigio.
- Come mai sei tornato, papà?- Chiesi a bruciapelo.
Immediatamente si fece serio come non mai.
- Emily, temo che dovrai venire ad abitare a Petoskey
con me.
-E perché mai?- Ribattei tranquilla.
Poi capii. La consapevolezza mi assalì tutta in una
volta lasciandomi senza fiato. Le mie paure diventavano sempre più chiare, e il
ricordo che non mi tornava in mente, arrivò. Forse mia madre era... morta. I miei dubbi trovarono risposta negli
occhi di mio padre, improvvisamente posseduti da uno sguardo straziato.
- Mamma è … è …
- Si, Emily … Susan è morta nell’incidente- Disse con un
tono distaccato, ma tradito dallo sguardo, che era diventato disperato.
- Non è vero.- Dissi fredda, mentre le lacrime rigavano
il mio volto. Scendevano e arrivavano al lenzuolo candido, che a poco a poco
diventò fradicio. Passavano i secondi, nel silenzio più totale. Mio padre
fissava il vuoto con uno sguardo vacuo, io piangevo silenziosamente, osservando
le mie mani. Erano pallide più del normale. A un certo punto Daniel si voltò e
mi abbracciò. Io non reagii, lo lasciai fare mentre le mie lacrime rotolavano
sulle sue spalle. Aveva un maglione di cotone a rombi.
- Lo so che penserai che sono pessimo … che sono falso …
ma io sto malissimo. Io l’amavo ancora, dopo che mi ha lasciato mi è cascato il
mondo addosso … Non … non puoi immaginare quanto sto soffrendo anche io, ora…
Stava piangendo anche lui; Riuscivo a sentire quanto soffrisse in quel
momento. E forse si, l’amava ancora… dopotutto era
stata mia madre ad andarsene, sebbene lui non volesse. Ma lei non voleva stare
a Petoskey. « Non
voglio marcire in quel paesello » mi rispondeva, quando le
chiedevo perché ci eravamo trasferiti.
Ma ora sarebbe cambiato tutto. Tornavo nel mio luogo di
nascita. Avrei dovuto cambiare scuola, nuovi compagni, nuove abitudini, tutto
cambiato.
Mi accorsi che stavo sudando, e non mi sentivo tanto
bene. Forse mi stava salendo la pressione. Il braccio e la gamba mi dolevano.
- Papà … credo che.. insomma, non mi sento bene … - Mi
accarezzò la guancia, piano.
- Tranquilla. Chiamo l’infermiera.- Mi rispose
mormorando, guardandomi con un sorriso amaro.
L’infermiera arrivò poco dopo, iniettò il calmante nella
flebo e ancora una volta scivolai in un sonno profondo, ancora una volta un
sogno a sconvolgermi.
Mi trovavo sempre nello stesso bosco di prima, ma
stavolta era innevato e faceva un freddo pazzesco. Io camminavo per un
sentiero, vicino a un ruscello ghiacciato, e dietro di me lasciavo una scia di
sangue. Alla fine del sentiero c’era una salita. Prima però decisi di guardarmi
alle spalle, e mi accorsi che la scia rossa era stranamente scomparsa …
Com’era possibile? Era forse nevicato senza che me ne accorgessi,
coprendo il sangue?
Mi voltai, decisa a salire, e una mano pallida mi
aspettava, pronta ad aiutarmi. Era lo stesso angelo del sogno precedente, ma
stavolta aveva una sguardo straziante, gli occhi blu disperati, e di una
tonalità più scura, tendente al viola. In ogni caso ipnotizzanti.
Abbassò lo sguardo.
- Mi dispiace.- mormorò con una voce bassa e suadente.
Non volevo che si preoccupasse. – Che cosa?
-Quello che è successo. Sappi che condivido il tuo
dolore.- Rispose, abbassando lo sguardo.
Lo osservai. Una brezza leggera gli scompigliava i
capelli neri, che scivolavano sul viso, come frecce puntate sugli zigomi.
Il contrasto con la pelle,bianchissima, e i capelli corvini
era incredibile. Le labbra erano violacee.
Ma ciò che più mi lasciava senza fiato erano gli occhi.
Riflettevano i giochi di luce della neve, e anche se erano leggermente oscurati
per via del suo umore, rimanevano strabilianti.
Aveva ancora la mano tesa, mi aspettava. Mi azzardai a
sfiorarla, ma la ritrassi subito … Non
era freddissima. Di più. Aveva la
stessa temperatura di un blocco di ghiaccio, ed era liscia come il velluto.
Mi guardò incuriosito.
- Cosa c’è?-
- Sei ghiacciato … -
Mi fissò negli, occhi, poi sorrise. Spiegò le ali e
prima che potessi replicare se ne andò, senza dir nulla, senza spiegazioni.
Ero sola, di nuovo. E il sogno finì.