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Autore: causticlove_1607    27/04/2014    1 recensioni
"Riprese finite, convention in giro per l'Europa finite. Quel noi che avevamo creato in ben quattro anni; anche quello, finito.
Ed aveva inizio così il periodo "vacanza". Pensare che solo un anno,prima era tutto diverso, pensare che solo due mesi prima lo era. Diverso, come si era trasformato quel tutto. E ora c'era il vuoto, e un bel giro per il mondo per distogliere la mente da quel senso che però non se ne andava. Restava lì, come appeso ad un filo. Le redini delle nostre vite lasciate allo sbaraglio, un continuo vagare, alla ricerca di un senso. Tra il sole dell’estate, e il gelo che si sentiva, dentro.
“fingere nella finzione”, o forse niente è mai stato più vero."
Saalve! Questa è la mia prima storia su Ian e Nina! Ho voluto scrivere di loro due in primis perchè li adoro, e poi perchè spero di rivederli, un giorno, insieme! Buona lettura!
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Candice Accola, Ian Somerhalder, Nina Dobrev, Paul Wesley, Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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“Va bene! Allora non dispiace neanche a me! Non mi dispiace di averti incontrato, non mi dispiace il fatto che conoscerti mi abbia fatto riflettere su ogni cosa e che da quando sono morta sia stato tu, più di chiunque altro, a farmi sentire Viva. “ è il tuo lavoro, Nina, devi farlo. È il tuo lavoro, non pensare a lui, non pensare a quel che stai dicendo, e che dovrai dire. Dillo e basta. È il tuo lavoro.
“Tu sei una persona orribile, hai preso tutto le decisioni sbagliate, e di tutte le scelte che ho fatto, questa sarà di sicuro la peggiore!..ma a me non dispiace di essermi innamorata di te.” Respira Nina, reprimi, e respira. Dillo, finisci la battuta, fallo.
“Ti amo, Damon. Ti amo!”non mollare, ora. Non lasciare che i suoi passi contro i tuoi, che le sue mani attorno alla tua, che il suo respiro contro il tuo ti facciano fallire. Non pensare, non pensare che tra meno di un secondo le sue labbra saranno di nuovo sulle tue. Non pensare e basta. Reprimi, respira, e reprimi.
«Eeeh, Stop! Bravi, ragazzi, ma dobbiamo rifarla, non era ancora perfetta. Ian, tu sii più aggressivo, in fondo le stai dicendo che la ami più della tua stessa vita, e..Nina, più convincente, con più sentimento. Forza, due minuti di pausa, e riprendiamo!» sapevano tutti che Kevin era un perfezionista, e apprezzavo il fatto che volesse rendere perfetto ogni singolo dettaglio, ma..quel  giorno, Quella scena, con Lui..proprio no. Sospirai, infastidita, per poi lasciare che Kate, una delle tante make-up artist, mi ritoccasse il trucco. Fu quando mi disse di voltare il viso leggermente verso destra, che vidi Ian nelle mie stesse condizioni. E non nel senso che anche lui era occupato con il truccatore. Guardava verso il basso, cercando in tutti i modi di non incrociare lo sguardo di nessuno, probabilmente per non dar a vedere i suoi, spenti.  Aveva la stessa mia voglia di finirla, e di non voler ripetere quella scena ancora, ancora, e ancora. Girandola, ci voleva tutta la mia forza di volontà per non guardarlo da Nina, per essere Nina mentre lui mi faceva sua con lo sguardo, e poi quando posava le sue mani su di me, le sue labbra, sulle mie. Era dannatamente doloroso non poter essere Nina, e  dire “Ti amo, Ian, ti amo!” al posto di ciò, invece, deve dire Elena. Dannatamente frustrante che lui non lo sappia, non più. Dannatamente struggente che non potessi dirglielo, non più.
« Ok ragazzi, si ritorna in scena! Ian, Nina..in posizione, e..mi raccomando, più veri che mai!» ci richiamò all’ordine, Kevin, mentre noi tornavamo sul set del salotto di casa Salvatore. “Tre..due..uno..AZIONE!” e ripartimmo, tutto daccapo. Da Damon che dice “Volevo scusarmi.”, al “e non c’è scusa al mondo che racchiuda tutti i motivi per cui è chiaro che sono quello sbagliato per te!”. E l’avevo detto quasi con rabbia, e frustrazione. Sembrava Ian, solo Ian in quel momento. E  forse, forse fu quello a destabilizzarmi, a farmi perdere il controllo. Per un attimo pensai di aver dimenticato tutto, di aver dimenticato di esser sul set, di aver dimenticato che quello era il mio lavoro, e che in quel momento stavo lavorando. Credevo di aver dimenticato persino come respirare, perché, per un momento, il suo sguardo ferito mentre diceva quelle parole, per un lungo momento, me lo tolsero. Tantochè vidi gli sguardi interrogativi di Kevin e Julie, preoccupati che non finissi, che mi fossi scordata la parte, o chessò io. Ma..no. Tenni quello sguardo stretto, addosso, per poi iniziare a parlare a Ian, e non a Damon. Doveva sembrare vero, no? Ripetei tutto, ogni singola parola, e ad ognuna questa qualcosa dentro me moriva lentamente, mentre sentivo gli occhi pungermi, sempre di più, e inumidirsi. Cosa che mi fece alzare la voce, come per combattere me stessa, e dire, infine, quasi con rabbia:
“Ti amo, Damon! Ti amo!”, mentre lui era già lì, e mi teneva stretta a sé, per poi guardarmi dritta negli occhi, come non aveva mai fatto dall’inizio delle riprese di quel giorno, e baciarmi. Per un momento credetti che nessuno dei due stesse seguendo più il copione, che quello era per noi, le parole, e i sospiri. Ma poi al “Stop! Perfetti, ragazzi! Domani giornata libera!” di Kevin, lui s’allontanò da me come niente fosse, senza più rivolgermi lo sguardo, e dirigendosi in tutta fretta al suo camerino,  guarda caso proprio vicino al mio. E io, io non riuscii più a reprimere. Lo seguii, irrompendo letteralmente nel suo spazio, mentre lui era già al telefono con qualcuno, probabilmente con qualcuno dell’ISF. La telefonata però non gli impedì di girarsi, e guardarmi, e quindi riattaccare subito dopo. Chiuse la porta alle mie spalle, facendomi accomodare, senza dire niente. Fu in quel flebile contatto che notai i suoi occhi, estremamente lucidi. E, improvvisamente tutta la rabbia che volevo lanciargli addosso, tutto il risentimento, sparì. Soffriva, anche lui, soffrivamo entrambi. Era qualche minuto che ero seduta lì, su quel divanetto dove lui si riposava tra una pausa e l’altra - divanetto che avevamo spesso condiviso, non per riposare, però – mentre lui era poggiato al tavolo di fronte, con le mani puntate dietro di sé, e lo sguardo basso, come non volesse, non riuscisse a guardarmi. Perché faceva male, male da morire. Mi alzai di scatto, per poi dirigermi verso la porta, e farfugliare con la mano ancora sulla maniglia:
«Mi dispiace, Ian..non..non sarei dovuta venire qui, scusa..» e proprio mentre stavo per uscire da lì, sentii la sua mano sulla mia, premere con forza per richiudere la porta, e farmi voltare, verso di lui. Sembrava stesse lottando contro se stesso, tenendomi lì, perché allo stesso tempo avrebbe dovuto lasciarmi andare via. Lasciò scivolare la sua mano lungo lo stipite, sopra la mia testa, mentre l’altra toccava insicura il mio fianco, come se il contatto tra di noi fosse necessario e vitale, ma al contempo sbagliato e doloroso. Lo sentii sospirare, affranto, quasi in un singhiozzo, mentre raggiunge il mio viso, abbassando poi il suo, che presi tra le mani.
«Ehi..sono qui.» gli dissi, quasi in un sussurro, costringendolo a guardarmi. E lo vidi accennare ad un sorriso sbieco, mentre spostava una ciocca dei miei capelli dietro l’orecchio, carezzandomi il viso.
«Neens..» lo disse con la sua voce dolce, e roca, mentre il suo sorriso s’appassiva, e lui..lui s’allontanava, da me. E mi diede le spalle, mentre si passava nervosamente una mano tra i capelli. E a quel punto la sua voce arrivo chiara e decisa, non più la dolce di prima.
«Devi andartene, Nina.» e avrei voluto, avrei voluto avere il coraggio di farlo.
 
Non c’era niente di meglio che annegare i ricordi nelle spiagge delle Hawaii, o forse, tutta quella calma e quel silenzio gli incitavano solo a riemergere. Il tutto era sicuramente amplificato dal fatto che il ritorno dalle vacanze, e quindi sul set, si stava avvicinando. Mancava poco meno di un mese. Poco meno di un mese e saremmo stati di nuovo tutti ad Atlanta. Tutti. Era quello che mi spaventava.
 
 
Ian’s pov
L’estate trascorse troppo lenta, perché sembrava fredda, e non sembrava nemmeno lei. Ma cercai di renderla meno cupa, riempiendomi di impegni, sorridendo alle telecamere, e prendendo in giro me stesso. Ormai la notizia della rottura tra me e Nina era trapelata nel mondo del gossip, e non c’era niente che potessimo fare per far tacere le voci. O niente che volessimo fare. A quanto mi aveva detto Paul – grande amico per entrambi- lei sarebbe tornata dalle sue “vacanze da urlo” giusto il giorno prima dell’inizio delle riprese della quinta stagione, e quindi tra esattamente due settimane. Il chè mi portava a pensare all’inevitabile fatto che l’avrei rivista tra soli quattordici giorni.
« E’ bello sapere che mi ascolti, eh!» richiamò la mia attenzione Paul, del quale non avevo sentito una parola dopo il suo breve “spifferamento “su Nina. Eravamo seduti in un bar, a Los Angeles. Lui e Torrey erano lì per comprare casa, visto che New York era più vicino, e si sarebbero potuti vedere più spesso.
« Scusa, amico..è che..» tentai di giustificarmi, io, mentre lui aveva chiaramente capito di che si trattasse, tantochè, credo per la prima volta in quattro anni, mi parlò seriamente, senz’accenno di ilarità.
« Ian, so che pensi a Nina, so che vorresti che ti dicessi di più, so che stai pensando a cosa diavolo potrebbe succedere tra due settimane, ma ascoltami: dimenticala, amico! Lei..non dovrei dirtelo, ma.. pare stia con un ragazzo..» avevo letto anche di quella notizia, ma speravo non fosse vera, così come il mio presunto flirt con Ana Beatriz, la modella che era con me a Como, per lo spot di Azzaro. E, sentirlo, sentirlo dire dalle labbra di Paul, che non mi mentirebbe mai, sentirlo dire da lui, fu un colpo duro da digerire. Ma, ehi, sono o non sono un attore? Misi su un finto sorriso interessato, mi protesi di più sul tavolo, e gli chiesi, cambiando discorso:
« Che stavi dicendo prima che ti interrompessi con i miei stupidi drammi sentimentali?» e lo vidi sconcertato dal mio comportamento, ma allo stesso tempo m’assecondò. Perché era un amico, perché capiva che ne avevo bisogno, in quel momento. Bisogno di fingere, anche solo per un instante. Fingere che andasse tutto bene.
« Uhm..bhè, ti sei solo perso il fatto che Torrey mi sta facendo impazzire, che accetta di trasferirsi qui solo alle sue condizioni, e che ho male ai piedi talmente mi ha fatto girare in una sola mattinata.» disse, col suo solito fare ironico, mentre sfuggiva ad entrambi una risata.
« O tutto o niente, eh?» ribattei io, prima di rendermene conto. Sentii il suo assenso, e altre parole, che però non ascoltai.
..tutto o niente.. lo stesso identico problema, solo..in misure differenti.
 
 
Lei, nel mio camerino, dopo la fine delle riprese, dopo quel bacio, quelle parole. Avrebbero dovuto scrivere un copione anche per noi due, così non ci saremmo dovuti nascondere dietro le battute dei nostri personaggi.
« Mi dispiace, Ian..non..non sarei dovuta venire qui, scusa..» la vidi alzarsi, e dirigersi verso la porta. Cosa che, automaticamente feci anch’io. Misi la mano sulla sua, che stava poggiata alla maniglia, per impedirle d’aprire quella dannatissima porta. Avrei voluto che fosse sparita prima che io la raggiungessi, o che ciò che era successo in scena non l’avesse fatta entrare. E, allo stesso tempo, volevo che restasse, lì, sotto il mio sguardo, sotto il mio tocco, con me. E la vedevo lì, bloccata tra le mie braccia, e la porta, e l’unica cosa che volevo, ma non potevo fare, era baciarla. Ed era così dannatamente sbagliato, così ingiusto, così..doloroso.
«Ehi..sono qui.» mi disse, come solo lei sapeva fare, prendendomi il viso tra le mani, e facendo incastrare a forza i suoi occhi intensi coi miei. Ma non era una forzatura; in quello sguardo, in quelle sfumature, mi ci sarei perso per sempre, ogni volta. E la cosa dannatamente assurda era che non potevo, non più. Non potevo farla entrare così tanto in me, quando l’avevo chiaramente spinta fuori io, a forza, mettendola in condizione di scegliere.
Lasciai scivolare un’ultima volta la mia mano tra i suoi capelli, per poi staccarmi da lei, d’improvviso, allontanarmi e voltarmi.
«Devi andartene, Nina.» glielo dissi,  quasi come fosse un ordine, come la volessi fuori veramente, come glielo stessi dicendo sul serio, e il fatto che lei fosse lì non contasse affatto. Primo di ogni emozione, perché credevo che, almeno così, l’avrebbe fatto. Eppure non sentii nessun rumore, nessun movimento, e quando mi voltai, ammetto, speranzoso, lei era lì, era ancora lì. E aveva gli occhi ridotti a fessure, che cercavano a stento di trattenere le lacrime, mentre la vedevo scuotere la testa, e fare grandi passi verso di me, puntandomi l’indice al petto, con forza.
« Perché è sempre la questione del “tutto o niente” con te, vero? O il matrimonio, oppure addio? Come..come puoi??! Insomma, non dopo quello che c’è stato, non dopo quello che c’è ancora..!» e io, io stavo lì, a guardarla sfogarsi. Stavo lì, inerme, senza sapere cosa dire o fare. E quel mio non far niente, non reagire, la allontanò. Smise di colpirmi, smise di piangere e di urlare. La vidi asciugarsi gli occhi con la manica della maglia che indossava, per poi voltarsi, e sulla porta che aveva aperto, rivolgermi un ultimo e secco, ma tremendamente tagliente:
« Hai guadagnato un "niente” oggi, complimenti.» per poi richiudersi rumorosamente la porta alle spalle.
  
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