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Autore: lena30    28/04/2014    4 recensioni
Il vero amore può sconfiggere la morte perchè è capace di sopravviverle ... perciò l'amore conta ... come nella omonima canzone .... E' la storia di Gabriel e Claudia forse narrata con una maggiore attenzione ai loro pensieri, alle loro emozioni alla loro essenza ... spero di riuscirci ... siate clementi ... è la mia prima storia.
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Claudia Munari, Gabriel Antinori
Note: Lemon | Avvertimenti: Incompiuta
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V
Aveva fatto una lunga doccia cercando di scrollarsi di dosso l’amarezza, la rabbia, la frustrazione; sentiva ancora su di sé lo sguardo di Gabriel, pieno di smarrimento e di un qualcosa di indefinito che non era riuscita a decifrare; e la colpa di tutto era sua: lei lo aveva convinto a scavare nella sua amnesia e poi si era tirata indietro, lasciandolo da solo; era sicura che lui non avrebbe rinunciato; gli era costato troppo giungere a quella decisione e non si sarebbe tirato indietro; sperava solo che lui riuscisse a trovare quello che stava cercando.
Sentì bussare alla porta; strano; non aspettava nessuno; per un fugace momento pensò potesse trattarsi di Gabriel ma scacciò subito quel pensiero; sapeva che lui avrebbe rispettato i suoi sentimenti e le sue emozioni; restò, quindi, senza parole, quando si rese conto che si trattava dello zio, Monsignor Antinori; non riusciva a spiegarsi il motivo, ma quell’uomo le metteva sempre una strana inquietudine addosso e non era per il ruolo che rivestiva o l’abito che portava; semplicemente non le piaceva il suo atteggiamento iperprotettivo nei confronti di Gabriel che in passato gli aveva impedito di compiere le sue scelte e continuava anche adesso ad ostacolare il suo cammino verso la verità, impedendogli di decidere liberamente.
Anche questa volta Claudia non sfuggì a quella strana agitazione, ma per reazione diventò quasi irriverente ed irrispettosa, accendendosi noncurante una sigaretta e sbuffandogli quasi il fumo in faccia, mentre lui, senza troppi convenevoli, la rimproverava per la sua imprudenza e per l’incoscienza che aveva mostrato nello spingere Gabriel ad indagare sul suo passato senza minimamente curarsi delle conseguenze; lei aveva provato a difendere il diritto di Gabriel a decidere liberamente perché si trattava di cose che riguardavano soprattutto lui e non altri, ma il cardinale aveva assorbito con aria di sufficienza le sue rimostranze, continuando a sottolineare il pericolo cui Gabriel si esponeva, mostrandole poi le prove delle sue affermazioni: erano le lastre di una tac; Claudia non aveva bisogno che il monsignore le spiegasse quello che aveva sotto gli occhi: la lesione per il trauma cranico che aveva provocato il coma di Gabriel a seguito dell’incidente che aveva subito da bambino non si era mai riassorbita; e quindi, pensò, era costantemente sottoposto a rischio, a maggior ragione se si fosse trovato in situazioni di forte emotività che potevano essergli addirittura fatali: ora riusciva a capire perché Gabriel era stato così male con Agata e poi con Stefano; le forti emozioni vissute in quei momenti di tensione avevano sicuramente avuto una palese conseguenza sulla sua situazione clinica e lo avevano esposto al rischio di una ricaduta nel coma; ora riusciva anche a capire meglio le ragioni dello zio; non era per la sua ansia di controllo sulla vita e sulle scelte del nipote; semplicemente era preoccupato per la sua salute; il suo senso di colpa cominciò ad aumentare a dismisura mentre il monsignore le dava il colpo di grazia dicendole che l’avrebbe ritenuta personalmente responsabile se fosse accaduto qualcosa a Gabriel.
Claudia non aveva bisogno che il monsignore la richiamasse alle proprie responsabilità; era lei che non avrebbe mai potuto perdonare se stessa se a Gabriel fosse successo qualcosa di male; lei lo aveva condotto sin lì e già si sentiva male all’idea di averlo lasciato da solo; adesso le sembrava tutto così assurdo, ora che riusciva a pensare solo al fatto che Gabriel era in pericolo, le sembrava insensata ed inconcepibile la scelta che aveva fatto di non continuare a stargli vicino per essere fedele ad una stupida idea di correttezza professionale; ora voleva solo essere lì con lui, sostenere il suo fardello, proteggerlo dalle sue paure, aver cura di lui.
Questo era l’unico pensiero coerente che riusciva ad articolare in quel momento, mentre si precipitava freneticamente verso casa Antinori, continuando invano a chiamarlo sul cellulare, sperando e pregando il Dio di Gabriel che non fosse già troppo tardi.
Lui intanto aveva tenuto fede alle proprie decisioni e dopo una lunga corsa in moto era finalmente arrivato lì dove tutto era cominciato: era un palazzo antico circondato da un grande parco, ma tutto era in uno stato di abbandono tale che rendeva l’atmosfera, se possibile, ancora più opprimente; il suo sguardo, quasi immediatamente, si era automaticamente diretto verso il tetto, lo stesso che compariva nei suoi incubi, lì dove quella terribile notte lui era salito, non ricordava più per quale ragione, e nella caduta che ne era seguita, sua madre gli aveva fatto da scudo con il suo corpo, sacrificando la sua vita per salvarlo.
E poi gli vennero in mente quelle strane figure che erano comparse nel suo presente, quel Bonifacio di cui gli aveva parlato Munster, quell’uomo misterioso che aveva comprato la casa dei gemelli e che aveva portato via Agata, quella sensazione di essere costantemente seguito, osservato, spiato, e poi la scoperta dell’esistenza di quella organizzazione che aveva lo stesso nome dell’opera di Giordano Bruno, “Il Candelaio”; non sapeva perché ma era convinto che tutte quelle strane coincidenze fossero collegate ai misteri del suo passato, racchiusi nel segreto di quella villa.
Aprì la pesante porta di ingresso e cominciò ad avanzare lentamente all’interno; ma quasi immediatamente cominciò ad avvertire un forte senso di oppressione al petto unita alla sensazione di non riuscire ad inspirare ossigeno sufficiente per respirare; dovette fermarsi ed appoggiarsi alla parete per calmarsi e riprendere il controllo del proprio corpo; tentò di avanzare ancora, ma l’ansia e l’agitazione presero nuovamente il sopravvento su di lui che fu costretto ad interrompere la sua esplorazione, sedendosi ripiegato su se stesso, mentre cercava di riprendere a respirare normalmente.
Fu così che lei lo trovò, comprese immediatamente il suo stato di prostrazione e gli si avvicinò, ponendogli una mano carezzevole sulla schiena, cercando di infondergli, ad un tempo, protezione e forza; lui si rialzò lentamente avvertendo il tocco delicato della sua carezza, era venuta da lui alla fine, pensò, mentre senza quasi rendersene conto, sul suo volto compariva un debole sorriso di involontario compiacimento; espresse quel pensiero ad alta voce, e lei, con un velo di imbarazzo, ma sincera come sempre, gli rivelava che non avrebbe mai potuto lasciarlo da solo.
Le parlò del vuoto della sua mente che non gli consentiva di ricordare niente malgrado, in quel posto, fossero morti i suoi genitori e fosse successo l’incidente che aveva così pesantemente condizionato la sua vita; lei allora gli ricordò del luogo che compariva nei suoi sogni, il corridoio, invitandolo con un cenno silenzioso a recarvisi, nella speranza che potesse stimolare i suoi ricordi assopiti. Salirono le scale che portavano al piano superiore e cominciarono a percorrerlo mentre Gabriel avvertiva la presenza di ombre oscure allungarsi su di loro che, unita alla consapevolezza di trovarsi nel luogo dei suoi incubi, scatenò in lui una reazione di panico paralizzante; cominciò a respirare faticosamente quasi annaspando alla ricerca di aria; Claudia capì immediatamente che stava cominciando a subire gli effetti di un attacco di panico, gli prese il viso tra le mani invitandolo a respirare profondamente; la sua carezza dolce, leggera, calda ebbe il potere di farlo tornare in sé; continuarono ad avanzare, fino ad aprire quella porta che era l’ultimo ricordo cosciente dei suoi incubi dai quali si risvegliava senza mai riuscire a scoprire cosa vi si nascondesse.
Si trovarono così nel vecchio studio di suo padre, ma i ricordi ancora non riaffioravano, iniziò allora ad aprire i cassetti dei pochi mobili rimasti alla ricerca di qualcosa che potesse stimolare la sua mente fino a che non trovò un carillon, la musica era la stessa dei suoi sogni; non riusciva a ricordare perché da bambino, la notte dell’incidente, si era diretto verso quella stanza ma rammentava perfettamente la sensazione di esserne stato irrimediabilmente attratto.
Decise di trascorrere lì la notte e lei assecondò il suo desiderio; cercarono di sistemarsi alla meno peggio in quello che doveva essere stato un ampio salone dove ancora campeggiavano un divano e delle poltrone dall’aria non molto comoda ed un imponente camino, fortunatamente ancora funzionante.
Lui era riuscito a trovare delle coperte ma niente di commestibile, solo una bottiglia impolverata di un vino pregiatissimo; qualche sorso avrebbe potuto essere d’aiuto a calmare i nervi messi a dura prova dagli accadimenti della giornata appena trascorsa; niente bicchieri; lei, come suo solito, non si perse d’animo ed apprezzando la qualità del vino, tracannò direttamente dalla bottiglia per poi passargliela ed invitandolo a fare altrettanto.
Lui rimase affascinato dalla inconsapevole sensualità di quel gesto e dall’intensità della propria reazione alla grande intimità che implicava; tanto che, quando anch’egli assaporò il piacevole liquido ambrato, ebbe quasi la sensazione di assaggiare il sapore delle sue labbra, come in una strana proprietà transitiva tra vino, bocca, bottiglia, labbra; ne ricordava ancora la morbidezza, quando lei lo aveva baciato e lui non aveva fatto niente per impedirlo; al solo pensiero, riaffiorò il solito senso di colpa ma ancora più potente ed irrefrenabile, il sangue che gli affluiva rapidamente al cervello ed una fitta al ventre che ebbe il potere di spaventarlo.
Poi si impose di porre un freno alle sue fantasie; doveva necessariamente perché la situazione non gli era assolutamente d’aiuto; la calda luce del camino, l’atmosfera soffusa della stanza, il vino che aveva avuto il potere di rilassare le sue membra e poi la vicinanza di lei, l’idea di trascorrere la notte insieme da soli conduceva la sua mente verso sentieri impercorribili ma sempre più desiderati; cercò di concentrarsi sulle sue parole anche se spesso era costretto a distogliere lo sguardo perché rischiava di essere distratto dalla dolcezza dei suoi occhi, dalla perfezione delle sue guance arrossate dal calore del fuoco, dall’invito che leggeva sulle sue labbra; eppure non era facile; gli avvenimenti di quella strana giornata lo avevano completamente destabilizzato mentre l’unico punto fermo al quale si era ritrovato ad aggrapparsi,  ben felice di farlo era lei; aveva quasi la sensazione che lei, in qualche modo, ci fosse sempre stata[1].
Si ritrovò quasi ipnotizzato a fissarla senza riuscire a trovare la forza e la volontà di smettere, mentre lei gli raccontava della sua adolescenza, dell’astio che ancora sentiva nei confronti dei suoi nonni, rei, a suo parere, di essere stati i responsabili del fallimento dell’unione tra i suoi genitori che, pur formando una coppia improbabile, sarebbero stati ancora insieme felici e innamorati, senza quelle ingerenze; e quando lui, quasi obbedendo ad una volontà non sua, ma ad un istinto ed un impulso incontrollabile, le si era avvicinato impercettibilmente, tentando di obiettare che lei stessa li aveva definiti una coppia improbabile, lei, guardandolo intensamente negli occhi, aveva replicato che erano si una coppia improbabile ma non impossibile…;
Ci fu qualcosa nel tono della sua voce o nell’intensità del suo sguardo che gli fece capire che ormai Claudia non stava più parlando dei suoi genitori, ma di loro stessi, di quello che provavano, del sentimento che poteva avere la speranza di una possibilità ed allora lui, nello stesso momento, la intravide quella possibilità e la desiderò ardentemente; improvvisamente sentì salire dentro di se un calore enorme che quasi lo fece vacillare e il respiro divenne affannoso, quasi come se avesse smesso di respirare; in quegli interminabili istanti si avvicinò sempre di più, ad occhi chiusi, avvertendo il suo profumo inconfondibile, assaporando lentamente l’idea della consistenza delle sue labbra, sentendo il suo respiro caldo raggiungergli le labbra ad un soffio dalle sue; arrivò a sfiorargliele in una interminabile e languida carezza a fior di labbra ed indugiò a lungo mentre sentiva che lei le aveva dischiuse pronta ad accoglierlo; sentiva di non potersi e di non volersi fermare mentre avvertiva il battito del suo cuore pulsare nelle tempie ed il sangue scorrere sempre più velocemente; era una follia, lo sapeva, ma avrebbe voluto tanto perdersi e sprofondare in essa; eppure non poteva, appoggiò per un istante la fronte alla sua per ritrovare la forza per staccarsi da lei, riaprì gli occhi per riprendere contatto con la realtà e si ritrovò addosso i suoi di occhi, interrogativi, delusi e sofferenti; si alzò senza parole, deciso a mettere la più ampia distanza tra di loro, incapace di sopportare il suo dolore e spaventato dalla forza del suo desiderio che, per un istante troppo lungo, gli era sembrato che lo travolgesse e dal quale forse avrebbe preferito essere travolto.
 
[1] Cit. parafrasata di “Ci sei sempre stata” Ligabue
  
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