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Autore: Okanslig    29/04/2014    0 recensioni
Texas, USA. La sua storia comincia qui, in una calda mattina di inizio estate, per correre poi lungo le larghe strade americane, alla scoperta di città e persone nuove, alla ricerca di quel qualcosa in più che le quattro bianche mura della sua stanza non riuscivano più a darle.
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«E a voi signori, cosa vi porto?»
«Due caffè in tazza grande.»
«Subito» risposi loro, sfoderando il solito sorriso finto da cameriera.
Tornai al bancone e mi misi subito a preparare le macchinette per i caffè. In quel momento aprì la porta un ragazzo, che con sguardo indifferente si avvicinò al bancone, prendendo posto su uno degli alti sgabelli.
«Ehi - mi fece - me lo fai un caffè forte?»
Annuii di sfuggita, mentre mi chinavo per raccogliere dalla dispensa posta sotto il bancone il barattolo giusto. A tempo di record ricaricai di polvere la vecchia macchinetta, ammirandola soddisfatta. Beep. I due caffè erano pronti, li versai nelle tazze che appoggiai delicatamente sul solito vassoio rosso della coca-cola e mi affrettai a servire i due signori.
«Ecco la mancia, Gin.»
Mi misi i pochi spiccioli in tasca e versai il caffè al ragazzo. I miei occhi si concentrarono sui suoi lineamenti. Era veramente bello. Come se mi avesse letto nel pensiero, si girò a guardarmi divertito ed io imbarazzata distolsi lo sguardo arrossendo e facendo finta di tornare a lavorare.
«Ehi - disse a un tratto - ho visto l’insegna dell’hotel, c’è un posto libero per stasera?»
«Credo di sì, comunque senti Mike, il titolare. Lo trovi nell’ultima porta in fondo al corridoio» dissi indicando dove col braccio.
«Grazie bella» mi rispose strizzandomi l’occhiolino.
Arrossii di nuovo. Decisi di riconcentrarmi sul lavoro e mi affrettai a completare le ordinazioni appena prese. Il caldo d’inizio estate cominciava a farsi sentire e anche la bandana che portavo a fascia cominciava a imperlarsi di sudore. Erano le 11.40. Sì, cominciava davvero a fare caldo in Texas. Le lancette dell’orologio scandivano beate il trascorrere dei minuti, lasciando passare anche quel giovedì mattina di lavoro.
«Mike, è mezzogiorno, io stacco» gli urlai dal bancone per avvisarlo.
«Aspetta Gin, devo parlarti.»
Raccolsi le mie cose, afferrai la tracolla mettendomela in spalla e mi avviai verso lo studio di Mike.
«Dimmi, che c’è?»
«Senti Gin.. Non so come dirtelo ma, d’ora in poi, si occuperà Terry della caffetteria.»
«Co..come?»
«Sì Gin, sei fuori.»
«No Mike aspetta.. Hai intenzione di lasciarmi a piedi? Cazzo, hai intenzione sul serio di lasciarmi a piedi?»
«A Terry serve un lavoro, ma qui non ce ne sono molti da sbrigare.»
«No no no, cazzo Mike no! Mi servono quei soldi non puoi buttarmi fuori così, Mike!»
«Concludi la settimana e poi basta. Mi dispiace Gin, eri brava.»
«Vaffanculo Mike, ci vediamo domani.»
Gli voltai le spalle, e uscii dall’ufficio sbattendo la porta. Cazzo, non poteva lasciarmi così. Ma io non potevo fare nulla per fermarlo, così allungai il passo fino a ritrovarmi fuori nell’area parcheggio del bar. Avevo fame e mio padre era fuori per lavoro in quei giorni, così non dovevo preoccuparmi per il pranzo. Feci dietrofrònt. Rientrai dentro il bar e raggiunsi saltellando il bancone sotto gli occhi dei soliti clienti che avevano assistito alla scena di prima, e sorridendo strafottente, mi chinai sulla teca per afferrare un gigantesco croissant al cioccolato. Okay, ora sapevo cosa mangiare.
Una volta fuori addentai con forza il pasto, mentre con l’altra mano cercavo il cellulare nella borsa. Composi il numero e lasciai squillare.
«Ehi tesoro, che stai facendo?» Le uniche parole che riuscii a sbiascicare fra le briciole e il cioccolato.
«Stavo mangiando Gin, che combini?»
«Combino che sono nei cazzi, posso venire da te?»
«Certo almeno mi racconti tutto okay?»
«Sì - feci - tanto sono a piedi, a dopo.»
Buttai giù e mi avviai lungo la strada che conduceva a casa della mia migliore amica.
 

 
Arrivai dopo un’ora. Sì, diciamo che me l’ero presa comoda, molto comoda. Bussai alla porta e subito mi venne ad aprire lei.
«Ciao Jane.»
«Vieni Gin, entra. Saliamo su in camera mia.»
La seguii a ruota su per le scale di legno che ogni tanto scricchiolavano al nostro passaggio.
«Allora, che è successo?»
«Mike m’ha lasciata a secco.»
Mi guardò con aria interrogativa.
«Sì dai, mi ha licenziata.»
Cavolo, quelle parole, pronunciate dalla mia bocca, facevano più male del previsto.
«Oddio Ginger, mi dispiace. Come mai? Eppure andavi bene no?»
«Sì mi ha fatto anche i complimenti, ma a quella testa di cazzo del suo figliolo serviva un lavoro. Come se suo padre non guadagnasse già abbastanza e a me non ne servisse uno, cazzo.»
«Mi dispiace Gin, vieni qua abbracciami.»
«È la stessa cosa che ha detto lui.»
«Cosa!?» Urlò sgranando gli occhi e facendomi scoppiare a ridere.
«Non di abbracciarmi idiota! Dicevo del fatto che gli dispiaceva.»
«Ammazza che testa di cazzo.»
Rimanemmo abbracciate a lungo, in uno di quegli abbracci dai quali non ti vorresti risvegliare mai perché lì va tutto alla grande, come in un sogno. Avevo perso il lavoro, che, anche se non era un granché, era importante. Comunque ormai era andata, ora dovevo solo trovare una soluzione. In quel momento squillò il telefono. Mio padre.
«E ora che cazzo gli dico?»
«La verità Gin..»
Tirai un respiro profondo e click.
«Ciao pà.»
«Ciao tesoro, che fai?»
«Sono a casa di Jane. Senti pà devo dirti una cosa.»
«È successo qualcosa? Dimmi tutto.»
«Beh ecco. Mike m’ha lasciata a piedi.»
«Cosa?! Ti ha licenziata?! Quel maledettissimo figlio di puttana.»
«Ehi pà…»
«Sì, scusa, dimmi.»
«E ora che facciamo?»
  
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