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Autore: KikiShadow93    30/04/2014    12 recensioni
Durante una tranquilla giornata di navigazione, Barbabianca e la sua famiglia trovano qualcosa di incredibile in mare: una bambina, di cui però ignorano la vera natura.
Decidono di tenerla, di crescerla in mezzo a loro, ovviamente inconsapevoli delle complicazioni che questa scelta porterà, in particolar modo per l'arrogante Fenice.
Genere: Generale, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ciurma di Barbabianca, Marco, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un'allegra combriccola di mostri.'
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Piccolo avvertimento: Questo capitolo sarà impostato in maniera differente. Ci saranno i pensieri di Akemi nel limbo, alternati con ciò che avviene all'esterno di quel “mondo parallelo”, vissuti di volta in volta da un comandante. I primi due pezzi “esterni” avvengono uno dopo la sua morte e l'altro il giorno dopo, mentre gli altri verranno specificati.
So che lo avreste capito anche da soli, ma, come già detto in precedenza, questa storia è già troppo contorta di suo, quindi preferisco puntualizzare queste piccole cose :)

 
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È tutto così ingiusto...
C'ero riuscita. Avevo ottenuto quello per cui avevo lottato. Avevo pensato che sarei potuta essere felice, che avrei condotto una vita pseudo-normale. Invece tutto mi viene strappato via così...
Non è giusto.
«Ragazzina! Tieni gli occhi aperti! Ascoltami! Aggrappati alla mia voce, forza! Non puoi mollare!»
La voce di Týr è così lontana, eppure è qui vicino a me.
Lo vedo in tutta quest'oscurità, in tutto questo niente. È una presenza rassicurante in effetti. Almeno non muoio da sola.
«Forza ragazzina, tieni duro! Stringi i denti e combatti, forza!»
Stai piangendo, Týr? Sono lacrime quelle scie rosse che ti solcano le guance? Stai davvero piangendo per me? Dov'è finita la tua strafottenza? Dov'è la tua ironia? Dov'è la tua sicurezza? Ne ho bisogno, Týr. Ti prego, non versare lacrime per me. Non farmi questo, non ora. Ho bisogno della tua forza...
«Andrà tutto bene, ok? Forza, ascoltami, ok? Sono qui, sono al tuo fianco!»
Perché la tua voce è così debole? Perché sussurri? Týr, parlami, ti prego...
Mi fa male il petto... mi fa male tutto. I miei organi stanno cedendo uno dopo l'altro, lo sento. Sento le emorragie interne, sento le forze lasciarmi. Sento freddo, Týr. Perché sento freddo? Qui non dovrei sentire niente.
Týr, ho paura... perché non guarisco?
Týr, salvami, ti prego...
«Non ti azzardare a lasciarmi solo, chiaro?! Non puoi lasciarmi solo! Non puoi! Ho bisogno di te, lo capisci?! Forza! RESISTI!»
Lo sapevo che non eri di pietra come volevi farmi credere. Hai un cuore, vedi? Provi sentimenti. Ti sei affezionato a me, vero? Anche io mi sono affezionata a te. E non puoi neanche capire quanto mi faccia male l'idea di lasciarti qui da solo...
Non voglio andarmene. Non voglio lasciare tutto quello che ho faticosamente ottenuto.
Voglio diventare una grande piratessa come ho detto a Satch.
Voglio assicurarmi che il babbo stia bene.
Voglio sapere come procederà la relazione tra Halta e Izo.
Voglio mantenere la parola data a Marco. Voglio che quei giochi stupidi ed infantili diventino davvero la quotidianità per lui.
E voglio stare con te, Týr. Voglio tenerti compagnia in questo limbo maledetto, illuminare la tua oscurità e darti un minimo di sollievo.
«Non chiudere gli occhi! RESTA CON ME!»


L'ha pulita, tamponandola con una spugna imbevuta in acqua tiepida come piace a lei, usando il suo bagnoschiuma alle mandorle.
L'ha cambiata, togliendole quei vestiti intrisi di sangue e mettendole addosso un vestito leggero, con dei motivi floreali molto colorati così, quando aprirà gli occhi, si farà quattro risate perché odia i vestiti troppo dipinti.
L'ha truccata, provando così a nascondere le profonde occhiaie violacee e le labbra screpolate e con una lieve ombra bluastra.
Le ha spazzolato i capelli, come l'ha vista fare spesso prima di andare a dormire e li ha poi legati in una morbida treccia laterale.
Le ha messo lo smalto bianco sugli artigli, perché sa che le piace e che è così che li nasconde.
Le ha fatto tutto questo da quando le infermiere l'hanno lasciata sola, dichiarandola morta, e adesso veglia su di lei.
Veglia sul suo riposo troppo tranquillo, continuando a guardare quella ferita che non si rimargina, che continua a sgorgare lentamente sangue denso e nero. Prova pure a tamponarlo con degli stracci puliti, ma ci vogliono pochi minuti prima che siano da gettare.
Veglia sul suo corpo affinché nessuno si avvicini e osi disturbarla. Perché nessuno le farà del male, nessuno la sposterà da li. Dovranno prima passare sul suo di cadavere per riuscirci.
Le infermiere hanno detto che, sicuramente, questa volta non ci sarà nessun miracolo a farle riaprire gli occhi, che gli organi interni sono troppo mal messi, come corrosi, e che sarebbe meglio per tutti quanti cremare il corpo il prima possibile, per poter così prevenire eventuali epidemie dovute alla vicinanza di un cadavere.
Tutti hanno pianto. Tutti si sono disperati per la perdita della loro sorellina. Pure il grande capitano, Edward Newgate, non è riuscito a trattenere qualche lacrima colma di angoscia di fronte ai suoi sottoposti. Certo, non si è fatto vedere, è rimasto statuario, ma quelle lacrime ci sono state.
Halta non ha pianto. Non subito, almeno.
Lei si è messa ad urlare. Ha urlato con tutta l'aria che aveva nei polmoni, ha cominciato a distruggere tutto quello che le capitava sotto tiro, imprecando contro la sorella che, a suo dire, si sta rimangiando le loro promesse, e subito dopo si è barricata dentro all'infermeria con il suo cadavere.
È quasi un giorno, adesso, che veglia su di lei, che continua a tenerle la mano e a piangere.
Aspetta che si svegli, che sbatta lentamente le palpebre e tiri una sonora bestemmia contro l'uomo che l'ha uccisa. Ma questo non accade, mentre i minuti continuano a scorrere inesorabili.
«Ti ricordi...» una lacrima le cola sulla guancia, infrangendosi sul suo ginocchio «Quando... quando mi avevi chiesto se saremmo rimaste amiche per sempre ed io ho detto si?»
Aspetta una risposta, tenendole saldamente la mano. Ma Akemi non risponde, non si muove di un solo millimetro. La sua cassa toracica rimane immobile, i suoi organi non funzionano più. Pure le sue palpebre rimangono ferme, indice che non sta neanche sognando, che è morta sul serio.
«Io dicevo davvero...» mormora la comandante, passandosi una mano sul viso sudato e bagnato dalle troppe lacrime versare. Non credeva neanche di poter piangere così tanto.
«Sei mia sorella Akemi...» le parole rantolano appena udibili dalla sua bocca, le lacrime non accennano a fermarsi.
Qualcuno bussa alla porta, le voci dei suoi compagni le intimano di lasciarli entrare, che non la disturberanno. Dicono che le daranno da mangiare, che se vuole le daranno il cambio e le promettono che nessuno ha intenzione di torcere un solo capello ad Akemi.
Ma lei non si muove, rimane immobile a fissare la compagna morta stesa su quel lettino scomodo e sterile.
Vorrebbe almeno il Babbo in quel triste momento. Vorrebbe piangere sulla sua spalla, stringersi a lui con tutte le sue forze, ma non vuole fargli provare un simile dolore, non ora.
«Sei la mia migliore amica...» sussurra,passando una mano sul suo braccio. La pelle è sempre più fredda, i muscoli sempre più duri.
«Apri gli occhi sorellina...» la supplica, rannicchiandosi su sé stessa, tremando.
'Vorrei una clessidra, piena di fine sabbia dorata, che mi permetta di tornare indietro nel tempo... che mi permetta di non farti alzare da quel tavolo, di andare in contro alla morte...'
«Ho bisogno di te, Akemi. Ho bisogno che mi dici “va tutto bene, sorella. Tutto passa, ma noi restiamo”.» afferma con voce più convinta, alzando di nuovo lo sguardo su di lei «Quindi muoviti ad aprire gli occhi! Dobbiamo ancora parlare delle novità, ricordi? Dobbiamo dirci un sacco di cose!» è una supplica la sua. Supplica che però non viene udita.
«Halta?» sentire la voce di Izo la fa sobbalzare come un gatto sulla sedia.
Si domanda come abbia fatto ad entrare, perché non abbia rispettato il suo volere, ma poi comprende: ha combattuto per lei, per la sua causa, e vuole aiutarla in quel triste momento.
Halta si volta di scatto per nascondere il viso stravolto dalle lacrime ed Izo le si avvicina piano. Gli altri rimangono fuori dalla porta, d'accordo con lui per riuscire ad allontanare con calma la comandante da lì per darle il cambio.
«Stai piangendo?» le domanda stupidamente il filibustiere, andandole alle spalle e poggiandole una mano sulla spalla tremolante.
«No, sto imitando una fontana.» borbotta in risposta la ragazza, tenendo gli occhi fissi sul volto dell'amica. Spera di veder spuntare un sorriso sulle sue labbra, ma questo non avviene.
«Halta, per favore: siamo tutti in pena per te. Vieni con me, forza.»
La comandante, preda di un attacco di cieca rabbia, lo spintona via con forza e lo spinge verso la porta. Lo butta fuori, serrando di nuovo la stanza in modo da non essere più disturbata.
«Non me la porterete via... non anche voi...»

Týr? Týr, ti prego, non voglio un tuo ricordo. Voglio averti al mio fianco. Ti scongiuro, prendimi la mano e tienimi vicina a te. Ho bisogno di te più che mai.
Fa tutto così male... è tutto così angosciante.
Mi viene da piangere e non posso trattenere le lacrime. Sto morendo. Forse già lo sono.
Anzi, sono sicura di esserlo.
E so anche che questa è la mia condanna. Sono condannata a ripercorrere i miei errori all'infinito, a piangere e torturarmi l'anima per le vite che ho troncato.
Come inizio direi che non c'era niente di più azzeccato della casa abbandonata in cui andai da piccola, la prima volta che sono morta. Quando è iniziato tutto.
Divertente, davvero.
Condannata per l'eternità alla solitudine e a dover costantemente vedere tutto questo.
Non riesco neanche a muovermi. Il dolore è troppo forte anche solo per riuscire a respirare.
So di non essere sola, alle mie spalle c'è qualcuno.
Morirò dentro la morte stessa. Morirò all'infinito come pagamento per quelle vite innocenti che ho spezzato, per averli privati di una degna sepoltura, per aver impedito loro di poter tornare alle loro famiglie...
«Imba wimbo - wa upepo - wakati unajiwa na...»
Questa voce... è della stessa donna che più volte ho sentito cantare nei miei sogni!
«Imba wimbo - wa upepo - wakati ndoto tamu...»
Ti prego, continua a cantare per me. La tua voce è come un balsamo per le mie orecchie.
Mi fai stare bene, ti prego, canta...
«Lala mpaka usiku uisheni
Upepo wa usiku - wimbo wanko na...
»
Non piangere, ti prego. Donna dalla voce di miele, ti prego, non piangere. Non versare più lacrime. Non intensificare questa mia agonia. Però canta. Voglio sentire la tua voce che mi scalda il cuore. Il cuore che non batte più. Il cuore fermo e gelido che era stato appena mandato in fiamme da quella discussione con Marco.
«Wimbo wangu inaendelea milele...»
Marco... ti dedico questa canzone. Non so cosa significhi, ma te la dedico lo stesso. Sembra bella... magari sarebbe potuta diventare la nostra canzone. Che ne dici, Marco? È la nostra canzone?
Quando mi mancate...
Mi manca vivere...
Voglio tornare in vita!


Edward Newgate, dopo un momento di cedimento dovuto al troppo dolore per la perdita, ha deciso di appoggiare la decisione di Halta e di tenere il corpo della figlia fino al momento del suo risveglio.
Ha sfondato la porta all'alba, stufo di dover sottostare alle bizze della sua adorata figlia. L'ha presa in braccio, aiutato dai figli che le tenevano ferme le gambe e le impedivano di dimenarsi come un'ossessa, e l'ha portata nella sua stanza. Ha ordinato ad Izo, colui che in quel momento aveva il viso più sconvolto alla visione della ragazza ridotta ad una specie di indemoniata, di tenerla sotto osservazione e di andare a chiamarlo nel caso la situazione gli sfuggisse di mano.
Ha poi ordinato alle infermiere di lavare il corpo gelido di Akemi, di renderla presentabile e poi si è messo ad attendere il suo risveglio al suo fianco.
Ora le legge uno dei suoi noiosissimi tomi di storia antica, tenendo sempre l'orecchio teso per sentire l'eventuale arrivo di qualcuno. Perché per quanto la situazione sia drammatica, per quanto tutti se lo aspettino, non vuole farsi vedere così distrutto come in realtà è. Non vuole che stiano peggio di quanto non stanno, non vuole che soffrano a causa sua e del suo sconfinato amore per la ragazza morta a pochi metri da lui.
Sta leggendo un libro che tratta di un'antica popolazione di guerrieri nordici, che di solito compivano le loro scorrerie a bordo di navi incredibilmente avanzate per quell'epoca. Gliele descrive nel dettaglio, dicendole che se per caso le piacessero, potrebbe fargliene costruire una.
Le legge poi della loro bizzarra religione. Le dice che veneravano molti dei e dee e che i tre principali erano Odino, Thor e Freyr. Le dice che avevano forma umana e possedevano sia pregi che difetti, come gli uomini che tanto li ammiravano. Le dice scherzosamente che forse lei è figlia del capo degli dei, perché lui aveva due corvi che raccoglievano informazioni per suo conto. Le dice che magari Odino la sta tenendo d'occhio con quello strano corvo, che adesso la sta fissando dall'oblò, e che probabilmente a breve interverrà per farla svegliare.
Ridacchia appena, Barbabianca, nel leggere il nome sotto una rappresentazione.
«Sai che l'uomo che tanto di assilla ha il nome di uno di questi dei? Già, era il dio della guerra e patrono della giustizia.» afferma leggendo attentamente le righe sbiadite del libro, fermandosi poi per qualche istante. Spera di sentire un suo commento sarcastico sull'uomo che ingombra la sua mente, o almeno di vederle un'espressione ironica
in volto, ma ciò non accade. Lei rimane immobile, fredda e silenziosa.
«La mia bambina...» le passa una mano sulla testa, trattenendo le lacrime che vorrebbero uscire.
Ha già pianto quella notte in gran segreto. Dopo essersi lasciato sfuggire delle lacrime davanti agli altri, ha preferito ritirarsi nella sua stanza e lì sfogare il suo dolore.
Adesso che le lacrime sembrano essere finalmente domate, non vuole lasciarsi andare ad altri sentimentalismi simili.
«Era un Dio coraggioso, sai? La leggenda narra che mise una mano in bocca ad un grosso lupo infernale, Fenrir, così da poterlo incatenare e sventare la minaccia che rappresentava.» aggiunge subito dopo, tirando su col naso e sfogliando una pagina, voltandosi di scatto quando sente qualcuno avvicinarsi.
«Hai bisogno di qualcosa, babbo?» Ace sta sulla porta con sguardo triste, il cappello lasciato penzoloni sulla schiena in segno di rispetto. Non si azzarda neanche a guardare il corpo della sorella, non lo sopporterebbe.
Il capitano si alza dalla sua sedia e lo raggiunge, permettendogli così di farsi abbracciare. Perché sa quanto i due fossero legati, sa che nei loro frequenti abbracci c'era una muta richiesta di salvataggio dal mondo sporco che li circonda. Sa quanto Ace stia soffrendo per aver perso un'altra sorella, per non essere riuscito ad impedire la tragedia, e la cosa gli dilania il cuore.
«Andrà tutto bene.» afferma con tono duro, separandosi dal ragazzo. Lo guarda nei suoi profondi occhi neri e lucidi, cercando di trasmettergli la forza per non lasciarsi travolgere dal dolore. Perché Edward Newgate è sicuro che sua figlia si riprenderà, che aprirà di nuovo gli occhi e ricomincerà a portare il caos per la nave.
Poco importa se le infermiere dicono il contrario, lui ne è sicuro. E lui, si sa, è Barbabianca. Ciò che dice è praticamente legge, quindi non può sbagliare.
'Non appena aprirai gli occhi, figlia mia, ti accompagnerò personalmente alla ricerca di quei cani maledetti. Li elimineremo uno per uno, e tu sarai al sicuro. Perché io, Edward Newgate, ho promesso di proteggerti e così farò! Quindi apri gli occhi piccola mia. Apri i tuoi occhi glaciali e prendi la mia mano.'

«Non lasciarmi, piccola...»
Týr... sei qui, con me. Ho sentito di nuovo quel canto, sai? Quello che tu prendevi in giro.
«Ti supplico, non lasciarmi...»
Non ti lascio, no. Sono qui, al tuo fianco. Non mi vedi, Týr? Sono qui, stesa al tuo fianco. Ti sento vicino a me. Perché non mi senti vicina a te? Sono qui.
«Non voglio perderti...»
Týr, guardami. Sono qui.
No... aspetta: perché vedo il mio corpo steso accanto al tuo? Perché vi vedo e ti sento ma non posso toccarti? Perché non ti accorgi di me, Týr?! Ti prego, guardami negli occhi e dimmi che andrà tutto bene!
«Non posso perdere anche te...»
Sei dolce Týr. Mi hai coperto con la tua maglietta per non farmi sentire freddo. Però, anche tu ci sei andato giù pesante con i tatuaggi. Forse rideresti se sapessi che ho un piercing come i tuoi.
Dimmi che potrò vederti ridere di questo. Ti prego.
Dimmi che potrò vedere ancora il tuo magnifico sorriso strafottente, che potrò ancora sentire i vari insulti che mi rivolgi, che continuerai a raccontarmi del tuo passato.
«Ti prego...»
Sono io a pregarti, Týr.
Non piangere, non tu. Tu sei diventato la mia roccia, colui su cui faccio affidamento, colui a cui confido ogni cosa. Tu mi comprendi, non mi giudichi mai. Tu mi prendi in giro dicendo che non sono pronta, dicendo che un giorno splenderò. È per questo che piangi? Perché ti sei sbagliato?
Ti prego, Týr. Non piangere.
Se puoi, se ne hai il potere, torna nella mia realtà e di' ai miei compagni che va tutto bene, che sono morta senza soffrire. Di' a mio padre che gli ho voluto bene come a nessun altro al mondo. Di' ai miei fratelli che sono stati eccezionali e che mi dispiace per tutte le preoccupazioni che gli ho fatto prendere. Di' a Marco che non potrò mantenere la mia promessa... e digli anche che non ce l'avrò con lui quando troverà qualcun altro. Digli anche che spero il meglio per lui, che voglio solo la sua felicità.
Di' semplicemente loro che va bene così, che questo era il mio destino. E ringraziali per tutto quello che mi hanno dato.


Per una volta Fossa non fuma il suo amato sigaro. Ha pensato che fosse irrispettoso nei confronti della sorella che da sette giorni giace su quel lettino d'infermeria.
La osserva seduto scompostamente dall'angolo della stanza, ormai privo di argomenti che possano far rilassare un po' il quarto comandante, seduto al fianco della salma. Li ha tentati tutti, anche i più stupidi ed improbabili, ma non c'è stato verso di smuoverlo da quella sedia.
Sono infatti due giorni che Satch si è accampato accanto a quel lettino, che tampona i rivoli di sangue nero che colano ancora dalla ferita aperta, che le sistema cuscini e lenzuolo, che chiama le infermiere perché è convinto che si stia riprendendo. Non dorme, non mangia. Semplicemente veglia e s'immagina che avvenga il miracolo, in cui tutti veramente sperano.
Durante quelle dure giornate, tutti sono andati a visitare il corpo esanime di Akemi, parlandole del più e del meno, scoppiando poi in lacrime quando non ricevevano risposta.
Namiur le ha promesso che quando si riprenderà la farà giocare quanto vuole, che non le dirà più niente di cattivo se proverà a saltargli al collo.
Ace le ha detto scherzosamente che gliela farà pagare cara e che dovrà avere una buona scusa per quanto lo sta facendo soffrire. Subito dopo, lontano da occhi indiscreti, si è lasciato andare ad un pianto disperato, chiedendo a qualsiasi divinità in ascolto di riportargliela.
Halta continua a prendersi cura di lei, muovendosi per quella stanza come un fantasma. Nessuno credeva che qualcosa potesse ridurla in uno stato simile. Perché Halta è sempre stata forte, indistruttibile. Ora invece sembra uno spettro, che si aggira per la nave solo per inerzia.
Barbabianca si mostra forte di fronte ai suoi figli per non aggravare la loro situazione, ma dentro si sente letteralmente morire di ora in ora. Si era ripromesso che mai niente le avrebbe fatto del male, che non le sarebbe mai successo niente di male, e invece sta distesa morta da poco più di una settimana.
Però è speranzoso: i suoi organi sembrano essersi come rigenerati dove danneggiati, dalla sua pelle non proviene nessun cattivo odore dovuto alla putrefazione, la ferita è leggermente più piccola rispetto all'inizio e il sangue non scorre più come all'inizio, anzi, di tanto in tanto si ferma.
Marco le fa visita meno spesso degli altri e non si ferma mai quanto loro. Non è che non vuole starle vicino, è solo che non ce la fa. Il vederla stesa lì, fredda ed immobile, è come una coltellata dritta al cuore.
Adesso, a far compagnia ai due comandanti, è arrivato anche Teach. Le ha portato da mangiare una delle sue adorate crostate nel caso si svegli proprio in quel momento, e la lascerà lì fino a quel momento. O magari convincerà Satch a mangiarne almeno un pezzo e poi gliene porterà un'altra.
«Ancora niente?» sussurra all'orecchio del quindicesimo comandante, senza però staccare gli occhi dall'uomo che fissa con sguardo assente la corvina.
«Sarà mezz'ora che la punta così.» gli risponde con tono sconsolato, scrollando le ampie spalle.
Barbanera sospira rassegnato, avvicinandosi cautamente al cadavere e a quello che a breve ci diventerà se non si decide ad uscire dal suo stato vegetativo.
«Satch, forza.» gli mette la crostata sotto al naso e prova a smuoverlo scrollandolo per una spalla, non ottenendo alcun risultato «Devi mangiare qualcosa...»
«I pirati ballano sul ponte delle navi...» mormora con un filo di voce il quarto comandante, senza staccare neanche per un istante gli occhi dal volto rilassato dell'adorata sorella.
«Cosa?» gli domanda Teach, mentre Fossa scatta in piedi e gli va in contro. È la prima volta che lo sente parlare da più di un giorno, in fondo.
«E le casse scassano... se perdono le chiavi...» continua con quella cantilena appena udibile, stringendo convulsamente la mano fredda e dura della ragazza.
I due pirati si guardano negli occhi per secondi che sembrano durare secoli, riconoscendo quella canzoncina stupida come quella che il compagno le cantava quando era piccola per farla divertire.
«Dopo la vittoria, in alto la bandiera... sul pennone sventola... quella bianca e nera.»
Si guardano un'altra volta, poi abbassano lo sguardo sui due. Li osservano per qualche istante e si riguardano, entrambi folgorati dalla stessa e assai imbarazzante idea.
«Se una nave avvistano, sono pronti all'arrembaggio. Che mestiere facile è fare il brigantaggio!» cantano in coro, rossi per la vergogna.
Satch sembra riprendersi tutto in un colpo, facendo saettare la testa da un lato all'altro per poter vedere i volti dei compagni. Gli occhi gli si inumidiscono involontariamente e un lieve sorriso gli increspa le labbra, facendo tirare loro un mentale sospiro di sollievo.
«Gira, gira per il mar, corri e non fermarti mai. Sempre all'erta notte e dì: Pirata sei così!» conclude con più voce, passando una mano sul volto della sorella.
Le sue labbra sono violacee, gli occhi cerchiati dalle occhiaie.
Non ce la fa davvero più a vederla così e, solo grazie all'intervento dei due compagni, riesce a trovare la forza per alzarsi per andare a cercare Halta. In fondo, se vuole passare altro tempo lì dentro, ha bisogno che la ragazza mascheri alla meglio quell'aspetto cadaverico.

Sono morta.
I miei organi sono morti, il sangue non scorre più. La ferita sul petto non si rimargina.
Sono morta.
Sono morta e sono costretta a vagare per questo niente per l'eternità.
Dov'è la donna che canta? Voglio la sua voce.
Ti prego, mia Musa, continua a deliziarmi col tuo dolce e straziante canto, continua a starmi vicina.
Sento voci ovattate, parole che non riesco a comprendere del tutto. Solo le tue sono chiare e nitide alle mie orecchie, e mi calamitano verso di te. Quindi continua a cantare in quella strana lingua, continua a sussurrare parole dolci al fagotto che tieni tra le braccia.
È tuo figlio, quello? Devi averlo amato molto.
Perché non ti mostri a me? A quanto pare avremo molto tempo da trascorrere insieme. Sono morta, sai? Sono morta e probabilmente lo sei anche tu.
«La mia bambina...»
Ah, quindi è una bambina. Come l'hai chiamata? Deliziami con la tua voce melodica, raccontami di come il mondo ti ha ingiustamente condannata a questa sofferenza infinita. Raccontami e canta, ti prego.
«Il mondo ti darà la caccia per un crimine che non hai commesso, piccola mia. Il mondo non ti vuole, ma la tua mamma è qui. Sarò sempre con te, mio dolce Angelo...»
Avrei voluto che anche con me avessero fatto così. Avrei voluto ricevere tutto questo amore da mia madre, ricevere le sue lacrime, ma no, io non le meritavo. È per questo odio che mi porto dentro che sono confinata qui? Che colpa ho se non sono stata amata alla mia nascita?
«Dovrai andartene da me, piccola mia... e noi non ci vedremo più...»
Abbassati il mantello, brava. Voglio vedere se il tuo volto è bello come la tua voce. Voglio sapere se trasmette la stessa serenità delle tue melodiche parole.
Che bei capelli che hai. Sono così chiari che contrasteranno perfettamente con l'oscurità accecante in cui ci troveremo a breve, sai? Ti farò da guida come Týr ha fatto con me. Però dovrai cantare per questo. Perché il tuo canto allevia il mio dolore. Mi scioglie il cuore la tua voce, mi culla la mente e non mi fa pensare a quanto la vita sia ingiusta.
Ma cosa tieni tra le mani? Cosa nascondi così gelosamente? Fammela vedere. Fammi vedere la tua preziosa bambina.
Guarda come la tieni tra le braccia... quanto la ami? Immensamente, direi. Perché io non sono stata amata? Perché io ero solo immondizia? Perché devo provare tutto questo odio in questo infinito dolore? Perché la morte si prende gioco di me così apertamente?!
«Prima di lasciarti andare, mia piccola gemma, voglio augurarti di saperti sempre ravvedere da chi ha il male nel cuore. Voglio augurarti una vita piena di amore. Un uomo degno e dal cuore d'oro ti salverà dal male che ti circonda e che ti proteggerà. Perché tu non hai colpe, mio dolce diamante nero. Tu non hai fatto niente di sbagliato. Se ci sono dei colpevoli, siamo noi.»
Cosa dici, donna melodica? Canta per noi. Cantale quella ninna nanna. Cullala con la tua voce e poi vieni da me. Vieni a darmi questo dannato amore materno che mi è stato negato!
E tu, piccola infante fortunata, smettila di squittire da dentro quella cesta. Rovini le parole di tua madre. Guarda, ti bacia pure. Ti invidio, sai? Anche io avrei voluto essere baciata da mia madre, sentire le sue fredde lacrime cadermi addosso mentre mi doveva dire addio per proteggermi.
Aspetta...
«Fai buon viaggio, amore mio...»
Quella cesta... quel vestito... SONO MIEI!
Tu, donna che canta! Spiegami questa stramberia, subito! Cantami come è possibile che io, una donna morta condannata al supplizio eterno, posso vedere il momento in cui vengo abbandonata con tanta sofferenza da parte della mia presunta madre!
Non mi fiderò più di te e del tuo canto, infida strega. Non ti ascolterò più! Mi hai ingannata!
Non è vero...?


Il Sole sta pigramente tramontando, per dare così spazio ad una magnifica Luna crescente.
I componenti della ciurma si stanno preparando all'abbondante cena che a breve sarà servita. Tutti sono più o meno silenziosi e cercano di tirar su come possono il morale più che basso del capitano, silenzioso da giorni.
Tutti loro sanno quanto sta soffrendo, consapevoli dell'attaccamento alla ragazza. Non c'è bisogno che lui lo dica apertamente, loro già lo sanno. Ne hanno avuto una più che ampia dimostrazione quando, con un solo colpo, ha distrutto un'intera nave avversaria. Il colpo, tra l'altro, era stato lanciato quasi alla rinfusa, dimostrazione più che plateale del suo dolore accecante.
Marco, riunito assieme ad alcuni compagni, ascolta silenzioso i loro discorsi più o meno leggeri. Tutti cercano di evitare come meglio possono l'argomento, ma per Marco questo semplice accorgimento non è sufficiente.
Nel pomeriggio è andato a far visita ad Halta, portandole da mangiare e lasciandole sfogare tutta la rabbia che porta dentro contro la sua spalla. L'ha ascoltata, l'ha consolata, le ha promesso che andrà tutto bene.
Il problema è che neanche lui ci crede, non molto ormai. Per i primi giorni continuava a ripetersi che si sarebbe svegliata da un momento all'altro, che avrebbe tirato una colossale bestemmia e si sarebbe lamentata per ore, ma ciò non è mai successo. Ha cominciato a pensare che era entrata in coma, così ha assistito di tanto in tanto le infermiere e le ha esposto vagamente la sua teoria, prontamente smentita.
Non c'è battito, non c'è attività celebrale. È definitivamente morta.
Queste sono state le loro parole, dette con una nota di dolore così forte che quasi faceva stridere le loro voci, tanto forte da dilaniargli il cuore.
Non ha voluto crederci, si è chiuso nell'idea che sbagliassero e che si sarebbe svegliata a breve, ma dopo dieci giorni non ne è più così sicuro. L'unica cosa che ancora alita lievemente sulla fiamma della sua speranza è il fatto che non c'è traccia di decomposizione nel suo organismo.
Le infermiere hanno azzardato che ciò è dovuto alla sua misteriosa natura, ma lui le ha silenziosamente contraddette.
Si è detto che non si sta decomponendo semplicemente perché non è davvero morta, ed è proprio per questo che ora, dopo tutti quei giorni, ha deciso di andare lui stesso a vegliare sulla sua salma, dando così il cambio a Curiel.
Quando arriva davanti alla porta dell'infermeria, dopo essere così passato sotto lo sguardo vagamente sorpreso di tutti i compagni, sente le parole che il decimo comandante le rivolge.
Le dice che le ha preparato una pistola, che gliela regalerà non appena aprirà gli occhi. Le dice che ha un mirino precisissimo che, unito alla sua straordinaria vista, la renderà un cecchino infallibile.
Sorride nel sentirlo parlare così animatamente, come se lei fosse cosciente, e solo dopo una manciata di secondi decide di palesare la sua presenza picchiettando sullo stipite della porta, dicendogli che gli dà il cambio e che può andare a riposarsi.
Curiel annuisce, dandogli una pacca sulla spalla quando gli passa vicino, e Marco finalmente può disfarsi del falso sorriso che aveva messo su quando era entrato.
Si avvicina alla sedia precedentemente occupata dal compagno con passo malfermo, guardandola per davvero per la prima volta.
Era stato diverse volte dentro quella stanza insieme ai compagni, ma non si era mai davvero soffermato a guardarla. Gli faceva troppo male, ma adesso proprio non riesce a non guardarla.
'Fa caldo, ma io ho freddo. Sto gelando dentro di fronte alla tua morte.'
Si siede e si mette comodo, senza mai staccarle gli occhi di dosso.
È così immobile, così innaturale. È abituato a vederla sempre in giro, abituato alla sua vitalità e alla sua follia, e vederla stesa lì, così morta, lo uccide dentro. Perché non ti uccide solo una malattia, un incidente, la droga o l'alcol; anche un lutto può ucciderti, anche vedere una persona che per te conta immensamente giacere morta di fronte a te può ucciderti.
Si passa le mani sul volto stanco, senza però sentire il bisogno di versare neanche una lacrima. Perché mai farlo, ora? Anzi, la domanda esatta è come farlo, visto che ormai le ha esaurite tutte quante?
Perché anche Marco ha pianto, seppur in modo silenzioso, sotto la doccia. Ha pianto e sfogato così il dolore che ha provato nel provare ad accettare la sua perdita.
'Se scegli di vivere, scegli anche di morire. Sono queste le regole del gioco. Ma queste regole per te non hanno mai avuto significato... perché adesso le segui? Perché non ti ribelli a loro?'
Continua a domandarsi, guardandola così rilassata e fredda.
Le prende una mano tra le sue, portandola alle labbra e baciandola piano.
«Ho mentito. Ho mentito a tutti, incluso me stesso.» mormora, chinando la testa e chiudendo con forza gli occhi «Non sono fuori dal nostro rapporto. Ci sono dentro, tanto che sono qui a supplicarti.» continua, rialzando il capo e guardando i suoi lineamenti delicati, il suo volto pallido e cadaverico «Ti supplico di riaprire gli occhi e di tornare da me, Akemi. Perché mi sono messo in gioco per te, ho messo da parte il mio orgoglio e le mie paure per te... e ora non puoi farmi questo. Non puoi tirarti indietro.»
Pensa ad Akemi, sente le sue braccia che lo cingono, vede la curva delle sue labbra che gli sorridono, il dolce languido frullio delle sue lunghe ciglia.
Per parecchi giorni non si era davvero reso conto di quanto la desiderasse, di quanto gli piacesse parlarle e stare con lei. Ma adesso che ce l'ha di fronte e non sente nessuna risposta alla sua dichiarazione, se ne accorge tutto in un colpo. Si accorge di quanto la sua vita possa essere dannatamente grigia e non vuole accettarlo.
«Se proprio non mi vuoi ascoltare, lo chiedo a te... Týr. Sono sicuro che tu, nascosto per chissà quale ragione nella sua testa, mi puoi sentire.» afferma con tono duro, stringendo maggiormente la presa sulla mano della defunta compagna «Riportamela indietro. Fai in modo che ritrovi la via, che riapra gli occhi, perché qui abbiamo bisogno di lei... io ho bisogno di lei.»

Era lei? Non era lei? Forse lo era davvero...
Forse quella donna melodica era davvero mia madre. Forse non voleva separarsi da me. Forse voleva proteggermi. Ma da cosa? Cosa c'è di così pericoloso là fuori? Ormai più niente, direi. Sono morta.
«Ragazzina!»
Týr... è bello vedere il tuo sorriso. Sorridi sempre con me, da ora in poi. Non riesco a vederti piangere, mi fa male.
«Sei sveglia...»
Le tue mani mi sfiorano appena. Hai paura di farmi male? Beh, sono morta. Dubito che tu possa peggiorare la situazione.
«Hai sconfitto la morte, piccola mia...»
Le tue carezze sono dolcissime. Mi fanno sentire protetta. Non smettere, ti prego...
«Mi rimangio ciò che ho detto in passato, ragazzina: tu meriti la tua immortalità.»
Sembri fiero, Týr. Perché? Chissà, magari è così che si muore. Finisci in un limbo, ci muori definitivamente dentro e, se ne sei all'altezza, ci rimani, sennò sei costretto a vagare in infiniti corridoi di sofferenza e morte. Può essere, si. In fondo, chi mai è tornato indietro per poter dire il contrario?
«Sai, per quanto mi piacerebbe restare parlare con te, dirti quanto mi hai fatto dannare in tutto questo tempo, quanto ti detesto profondamente per quello che mi hai fatto... penso proprio che dovrò rimandare. C'è qualcuno, là fuori, che non aspetta altro che tu ti svegli.»
Non posso andarci, Týr. Sono morta, come te. Ricordi?
«Adesso apri gli occhi, dolce creatura baciata dalla fortuna. Apri gli occhi e goditi l'aria fredda sulla pelle, goditi la vista delle stelle che brillano nel cielo. Goditi l'amore dei tuoi compagni, nutritene fino a scoppiare. E continua a sognare, ragazzina. Sogna di quei canti assurdi che tanto di piacciono... e ricorda chi sei.»


Gli occhi si aprono di scatto, fissando il soffitto chiaro della stanza.
Tutto le sembra sospeso, come se si trovasse ancora in uno di quei sogni assurdi, come se fosse ancora morta. Ma il suo cuore batte, lo sente. Sente il sangue scorrerle di nuovo nelle vene, i muscoli fremere dalla voglia di scattare, le gambe pregarla di farle muovere e correre fino allo stremo delle forze.
Ma sente anche un altro cuore batterle vicino. Un cuore che batte calmo, un respiro regolare e lento, e un profumo di muschio bianco e salmastro le arriva dolcemente alle narici.
Volta lievemente la testa, analizzando la figura dormiente che ha di fianco. Per un istante non riesce neanche a riconoscerlo, non vede niente di familiare in lui, ma poi la sua mente si accende, i ricordi scorrono come un fiume in piena davanti ai suoi occhi.
«Marco...»
Le sembra così calmo, piegato sul suo letto a dormire beato, incurante di ciò che sta succedendo.
Vorrebbe toccarlo, ma non lo fa. Rimane semplicemente immobile a fissarlo, ad imprimersi nella mente ogni dettaglio, dai ciuffi biondi che gli ricadono sugli occhi al volto rilassato, dalle braccia muscolose a sostenerlo alla cassa toracica che si contrae ad ogni respiro.
Lo guarda e lo trova incantevole, come se fosse una specie di allucinazione, uno spruzzo di luce nel suo tormento infernale.
Si alza senza far rumore, distogliendo finalmente lo sguardo dal pirata ancora dormiente e fissandolo nello specchio nell'angolo della stanza: la sua pelle è chiara e levigata, gli occhi come quelli di un morto, i capelli lucenti e lunghi fino al ginocchio, legati in una treccia ordinata.
Si domanda se è viva o se è un'illusione, se il suo cuore stia realmente battendo o se è solo l'ennesima tortura che il suo personale Inferno le sta infliggendo.
Cammina lentamente fino a raggiungere un mobiletto su cui sono appoggiati degli strumenti chirurgici. Sente il freddo sotto ai piedi nudi, ma come prova non le basta.
Afferra un bisturi sterile e poggia la lama affilata sulla pelle delicata del polso, facendo una lieve pressione per poterla aprire. Il sangue scorre piano, scuro e denso, e il dolore, per sua enorme gioia, è reale. Così come è reale la pelle che si rimargina in pochi istanti. Così come è reale la cicatrice rosea che vede sul petto, all'altezza del cuore.
Torna a fissare il suo riflesso nello specchio, non riconoscendosi.
Si domanda cosa sia, quale maledizione graviti attorno a lei. Si domanda se mai troverà le risposte che cerca, se mai la sua agonia avrà fine.
Una mano si allunga lentamente verso un paio di grosse forbici d'acciaio e, senza neanche pensarci, come se non fosse lei a guidare quel semplice movimento, recide con decisione la treccia, che s'infrange sul pavimento asettico dell'infermeria.
Taglia ancora, taglia sempre di più. Taglia finché i suoi capelli non diventano simili a quelli dell'Angelo Maledetto che piangeva sulla sua carcassa, finché il suo riflesso non le ricorda Týr. Non sa neanche lei perché, ma quel gesto vuole quasi simboleggiare la sua rinascita, la morte di una creatura e la rinascita di un'altra.
Non si cura di far piano quando poggia le forbici sul mobiletto, non badando minimamente al fastidioso rumore metallico che esse producono.
Ma Marco se ne accorge e, ridestatosi dal suo profondo e confortante sonno, si accorge con sconcerto che la ragazza non è più al suo fianco. Si domanda con angoscia se per caso l'hanno portata via mentre non era cosciente, stufi di dover aspettare quel tanto impossibile risveglio dalle tenebre. Ma quando finalmente alza gli occhi, pronto a dare l'allarme, lei è lì, perfettamente candida e levigata, come scolpita nell'avorio, e il suo viso appare esanime come una statua, ad eccezione di quegli occhi di ghiaccio, ardenti come una fiamma in un teschio. Ed è proprio grazie a quegli occhi che si rende conto che è viva, che il miracolo è avvenuto ed è di nuovo al suo fianco.
«Akemi...»
Si alza lentamente, barcollando come un ubriaco nella sua direzione, fissandola come se fosse il più luminoso dei miraggi.
È come se non si riconoscessero, come se fossero due estranei a confronto, finché, dopo istanti interminabili, le loro mani si toccano. Si toccano a mezz'aria, provocandosi una nitida scossa elettrica lungo la spina dorsale. Scossa che li ridesta del tutto, che fa aprire loro gli occhi come se fossero appena venuti al mondo. Ed è con questa rinascita che Marco scatta sul serio, stringendola tra le sue braccia con forza, timoroso di vederla sparire proprio sotto ai propri occhi.
«Sei viva...» mormora con un filo di voce, incredulo.
Akemi rimane immobile a bearsi di quel profumo così dannatamente delizioso, con la gola secca e un fastidioso prurito alle mani che vorrebbero semplicemente dilaniare quella carne calda e tenera. Ma si trattiene dal farlo, le costringe a star ferme, costringe il Demone che si porta dentro a trattenersi, a farle godere di quel calore così tanto agonizzato.
«Marco...» mormora a sua volta, stringendo finalmente le braccia attorno alle sue spalle, immergendo il viso nell'incavo del suo collo, inspirando a pieni polmoni la sua dolce essenza.
Rimangono immobili, stretti l'uno tra le braccia dell'altra, senza dire una parola. Non ce n'è alcun bisogno, in fondo. Akemi può sentire la sua felicità grazie ai battiti impazziti del suo cuore e Marco può sentirlo dal modo in cui si aggrappa a lui, dalle calde lacrime che versa sulla sua spalla, imbrattandogli la camicia.
«Non mi sembra vero...» mormora il comandante, baciandole la testa. In quel momento non gli importa neanche che qualcuno possa entrare e li veda così, che lo vedano così stretto a lei, che vedano i loro baci passionali. Non gli importa di niente, solo di continuare a stringerla a sé, di continuare a lambire quelle labbra rosee e fresche, così dannatamente perfette a contatto con le sue.
Akemi però interrompe quel contatto, guardandolo con gioia crescente negli occhi. Lo guarda e nuove lacrime le rigano le guance quando i ricordi le tornano alla mente.
«Ho visto la mia mamma.» mormora con un filo di voce, mentre il ricordo di quegli splendenti capelli biondi e di quei dolci canti le riempiono di nuovo la mente, mentre la sensazione di quell'ultimo bacio sulla fronte diventa viva su di lei.
«L'ho vista, Marco, mentre mi metteva nella cesta. Lei... lei era dispiaciuta. Non voleva separarsi da me.»
Marco rimane interdetto di fronte a quella dichiarazione e subito arriva alla conclusione che se lo sia solo immaginato, che sia stata come un'autodifesa per proteggersi dalle tenebre che l'avvolgevano. Non glielo dice però. Si limita a sorriderle dolcemente, pulendole le lacrime scarlatte dal viso d'avorio, baciandola a fior di labbra.
«Sono davvero felice per te, piccola...» sussurra, poggiando la fronte sulla sua.
I suoi capelli, ora così incredibilmente corti e quasi maschili, gli solleticano la pelle, ma non ha certo intenzione di perdere tempo per chiederle cosa l'abbia spinta a farlo. Gli piacevano da impazzire i suoi capelli lunghi, è vero, ma adesso non hanno importanza.
«Quanto sono stata fuori gioco?» gli domanda con un certo disorientamento, facendo scivolare le braccia attorno alle sue spalle larghe e forti, senza mai interrompere il contatto visivo.
Le erano mancati i suoi occhi, da impazzire. Le era mancato il suo modo di guardare le cose, così calmo e distaccato. Le era mancato il suo modo di guardarla, così famelico e passionale.
«Dieci giorni...» le risponde con amarezza, sfiorando con i polpastrelli la sua schiena da sotto la maglietta leggera «Ho avuto veramente paura di averti persa... tutto quanti l'abbiamo avuta.»
Akemi gli sorride per rassicurarlo e lo bacia di nuovo. Lo bacia e lo stringe a sé, beandosi della sua stretta forte, possessiva e protettiva. Perché sente che lui la proteggerà da adesso in poi, che sarà al suo fianco per sorreggerla e sa, con incredibile certezza, che riuscirà a strapparla sempre dalle braccia della morte.
«Forse è il caso che vada a dirgli che sto bene...» mormora a corto di fiato, separandosi a malincuore dalle sue labbra e provando a sciogliere quell'incantevole abbraccio, venendo però bloccata dalla sua salda presa.
«No. Tu adesso resti con me.» ordina con voce scherzosa il comandante, prendendole timidamente le mani e incrociando le dita alle sue «Il resto può attendere.» aggiunge subito dopo, dandole un altro bacio a fior di labbra, sorridendo con lei.
E restano così, tenendosi le mani, ad annegarsi negli occhi.



Angolo dell'autrice:
Salve pulcini miei! (?! O.o)
Capitolo breve, è vero, ma penso che sia stato abbastanza intenso. È vero che sono cose smielate scritte male, ma almeno un po' di intensità ci dovrebbe essere >.<
Tuuuutti disperati! Teach dolcioso. Satch e Halta in zombie style. Babbo che non vuol farli preoccupare. Marco che alla fine le salta addosso. Ma perché la mia mente è così deviata? Ci sarà un motivo. Uno solo! Non ne sto chiedendo molti! >.<
Adesso però dovete prepararvi, perché presto dovremo affrontare un trio di uomini innamorati che non hanno idea di dove metter mano, completamente impreparati ad una situazione simile!
Poi, ovviamente, ci saranno altri scazzi mentali di Akemi, sempre più violenti a dire il vero.
Nel prossimo, giustamente, ci sarà più che altro l'approfondimento del rapporto tra loro due, ma presto tornerà l'azione! Ci saranno scontri, arriverà un alleato... insomma, ne ho in mente di cosucce prima del capitolo! Ovviamente non mancheranno le zozzerie tra i due :P (Certo, nei limiti che il raiting impone D”: )

Ringrazio di cuore Lucyvanplet93, Okami D Anima, ankoku, Keyra Hanako D Hono, Aliaaara, Monkey_D_Alyce, Law_Death, Art_4ever, Yellow Canadair, rosy03, nemesis_inframe92 e Portgas D SaRa per le magnifiche recensioni che mi avete lasciato nel precedente capitolo! Siete i miei angeli *w* ♥
Beh, anche per questa volta vi saluto! :D Spero davvero tanto di non deludervi mai con questa storia :///
Adesso vi lascio con un nuovo speciale! (Mi odierete, si.) ← Già che ci sono, vi dico un paio di cose ancora: dopo aver pubblicato il prossimo capitolo, verrà finalmente pubblicata la OneShot su Satch, e tra 2 capitoli ci sarà un altro special, dove verrà introdotto meglio il salvatore-villian... chi lo sa cos'è? :)
Ok, basta. Dico sempre troppo, non trovate? ;)
A presto, un bacione
Kiki ♥

 
 
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Il sangue cola lento dalle profonde ferite all'addome, picchiettando fastidiosamente a terra.
I polsi bruciano grazie alle catene d'argento a cui è stato appeso.
Il corpo vacilla lento ad ogni frustata che gli viene inferta.
Ma non cede. Kakashi non cederà mai.
«Ammetto che sai come giocare...» mormora quasi a corto di fiato, senza mai staccare gli occhi dall'uomo mascherato che ha di fronte.
«Però, diciamocelo: una maschera da Oni rosso sangue? Patetica.» si prende gioco di lui per guadagnare tempo, maledicendosi per aver avuto la stupida idea di volerlo affrontare da solo. Il realtà non era neanche sicuro che la voce fosse vera e probabilmente è stato proprio questo ad infervorarlo particolarmente. Doveva accertarsene subito, doveva sapere se quel bastardo era ancora vivo. E lo è, eccome se lo è.
«Tra l'altro hai pure sbagliato, sai? Gli Oni usano una mazza ferrata, non un gatto a nove code.» insiste, sperando con tutto sé stesso che arrivi la sorella a dargli man forte. Ma sa, nel profondo del suo cuore nero, che non accadrà. Non è così stupido da poter pensare che quel bastardo non si sia creato una cerchia di fanatici come difesa.
Lo guarda con attenzione mentre gli gira attorno, mugolando appena quando un nuovo colpo gli viene inferto sulle costole. La pelle viene strappata via, il sangue cola denso e scuro sulla pelle candida.
«Proprio non capisco perché ti chiamano “Flagello”...» ansima, riuscendo finalmente a scorgere i suoi occhi neri come la notte dai fori della maschera. 'Non si sta neanche trasformando, dannazione.'
«La tua voce mi dà molto fastidio.» afferma atono, reclinando appena la testa di lato «Penso che te la taglierò.»
Kakashi indurisce lo sguardo, snudando le zanne, pronto a staccargli almeno un dito quando proverà a toccarlo. Perché è consapevole che morirà, ma è più che intenzionato a portarsi via almeno un pezzettino come ripicca.
L'uomo mascherato volta piano la testa verso la grande entrata del magazzino in cui ha teso l'agguato al gruppo di cacciatori che tanto lo sta infastidendo, sorridendo beffardo da sotto la maschera rossa.
«L'inutilità di un Dragone contro degli avversari ben nutriti è sconcertante.» afferma tra sé e sé, lasciandosi sfuggire un risolino divertito «La lingua te la staccherò in un altro momento, Torturatore.»
«Te ne vai già? Che peccato.» pensa e ripensa a qualcosa di cattivo da dirgli in modo da costringerlo a trattenersi, ma proprio non trova niente. In realtà non c'è mai stato niente che gli desse veramente fastidio, anzi, sembrava non ascoltare mai nessuno. Qualsiasi insulto gli venisse rivolto, anche il più pesante, lo lasciava completamente indifferente.
Ma Kakashi sa qual è il suo punto debole, cosa può mandarlo in bestia sul serio.
«La creatura non si unirà mai ad un esiliato.» lo sottolinea bene, ghignando divertito. Perché non c'è affronto peggiore per un immortale della sua specie oltre ad essere esiliato, cacciato dal branco e costretto a viaggiare da solo, condannato così ad una fine lenta e dolorosa. Perché nessuno di loro può vivere da solo, è contro natura anche per dei dannati come loro.
L'uomo però non fa una piega. Continua a camminare calmo verso l'uscita, incurante dei rinforzi del ragazzo che si stanno velocemente avvicinando, decimando così il suo corpo di guardia.
Prima di varcare quella soglia, però, volta un poco la testa verso il biondo, sorridendo da sotto quell'inquietante maschera «La creatura mi appartiene, Kakashi. E me la prenderò.»
Si finge divertito, Kakashi, ridendo appena e rabbrividendo quando lo vede sparire in una nube di fumo. È sconcertante per lui rendersi conto quanto sia riuscito ad apprendere dalla Strega, quanto il suo potere sia infinito, come riesca ogni volta a sottrarsi al freddo abbraccio della morte.
Sente in lontananza il richiamo della sorella, in ringhio profondo e animalesco di Freya, l'odore fresco di fiori di Mimì, e non appena scorge la chioma rossa di Arista i suoi occhi si chiudono e i sensi lo abbandonano completamente.


«Che ci fate qui?» l'Imperatore non tollera che i suoi ordini vengano infranti, neanche quando è uno dei suoi preziosi figli a farlo. Alla fine li perdona sempre, ma mai una volta evita di punirli severamente.
Quando però vede lo sguardo sconvolto di Sakura, il terrore negli occhi di Freya, le ferite sul corpo immobile di Kakashi, qualcosa dentro di lui si muove e un brutto presentimento gli aleggia nel cuore.
«Cacciatori?» si avvicina velocemente al gruppo, ma non fa in tempo a raggiungere il corpo martoriato del biondino ancora privo di conoscenza che Geri lo precede, stringendo quel corpo insanguinato tra le braccia calde e muscolose, sollevandolo dalla sua barella e trasportandolo velocemente in infermeria, invocando il suo nome a pieni polmoni.
Quando i due gli passano vicino, però, si trova costretto a bloccare il ragazzo per un braccio. Avvicina il viso all'addome torturato del biondo, inspirando a pieni polmoni quell'odore a lui tanto familiare, pietrificandosi di colpo.
Volta di scatto la testa verso le donne esauste e spaventate alle sue spalle, leggendo nei loro occhi la risposta alla sua muta domanda.
Si volta verso la Regina, guardandola con aria spersa.
Si era sbarazzato di lui, lo aveva esiliato per la sua condotta, per i suoi atroci crimini. Doveva essere morto da tempo, doveva essere già polvere. Invece il suo odore è ancora forte sul corpo del giovane immortale che giace tra le braccia del suo protetto, i colpi che dilaniano la sua pelle candida sono simili a quelli che infliggeva durante gli interrogatori.
«Non è possibile...» mormora la donna, guardandolo con preoccupazione crescente.
La sua forza vitale sta lentamente tornando, il suo corpo acquista vigore, la sua mente torna lucida. Manca ancora molto prima che possa tornare sul campo, prima che possa fare qualcosa di concreto come un tempo, prima che possa mettere i suoi poteri al servizio dell'Imperatore, ma questa sua ripresa è più che sufficiente per tutti. Quanto meno è fuori pericolo, ora.
L'Imperatore si volta di scatto e s'incammina verso la propria stanza, ignorando tutti quelli che lo circondano, ignorando volutamente anche i passi della donna che lo sta seguendo per parlargli. Non vuole crederci, non può essere vero.
«Devi intervenire.» ordina secca la donna, afferrandolo con forza per un braccio e costringendolo a guardarla negli occhi. Sa bene quanto la cosa lo stia facendo ribollire per la rabbia, quanto gli stia facendo male, ma non possono permettersi che un soggetto come lui giri indisturbato in un momento come quello.
«Lasciami solo, Astrid.» ordina duro, stringendo così forte i pugni da lacerarsi i palmi delle mani con gli artigli neri e affilati.
La donna non si dà per vinta e continua a seguirlo, facendo un cenno col capo a chiunque incontrino di dileguarsi immediatamente.
Arrivano velocemente alla camera privata dell'Imperatore, una lussuosa e assai enorme stanza arredata con gusto in stile moderno ma allo stesso tempo accogliente.
Lo guarda mentre va alla finestra e poggia i gomiti contro il muro, respirando profondamente per trattenere tutta la rabbia che sta provando. Sa anche, però, che non è solo la rabbia che gli sta facendo perdere il lume della ragione.
«Fa male anche a me...» mormora, avvicinandolo piano «E posso solo immaginare cosa significhi per te sapere che è ancora vivo-»
«NO!» le ringhia contro, snudando le zanne minacciosamente come non aveva mai fatto con lei «Non hai idea di cosa sto provando!»
Sbatte un pugno contro un tavolo di legno massiccio, sfondandolo e facendo cadere in frantumi tutto ciò che vi era appoggiato.
«Non hai idea di cosa si provi quando devi condannare all'esilio il tuo figlio prediletto. Non sai cosa significa convivere con la consapevolezza di aver sbagliato perché doveva essere eliminato. Non sai cosa significa scoprire che quello stesso figlio che credevi morto da anni è ancora vivo e brama vendetta!» le urla contro, sempre più furioso.
Astrid lo guarda con la testa leggermente china, intimorita da lui per la prima volta da quando lo conosce.
Quando alza gli occhi e incrocia quello dell'Imperatore, un brivido le corre lungo la spina dorsale.
«Che vuoi?» ringhia a denti stretti per mantenere alto il suo rango, per non essere completamente ridotta ad una delle tante. Perché lei è la Regina dei Dannati, la Strega. Non può mostrarsi così spaventata, soprattutto di fronte a lui.
L'imperatore inarca un sopracciglio «Credevo lo sapessi.»
Astrid non ce l'ha con lui, non ora. È fuori di sé, la notizia è stata troppo sconcertante, sta ancora affrontando un doloroso lutto e sta combattendo per una causa che non lo riguarda del tutto, quindi è comprensibile che si comporti da stronzo.
«Quello non lo puoi avere.» scatta lei, facendo un passo indietro «Quindi penso che sia meglio se mi ritiro nelle mie stanze. Avrai tutto il tempo per riflettere senza la mia ingombrante presenza.» tenta di allontanarsi, ma i movimenti dell'Imperatore sono decisamente troppo veloci per lei. Le arriva alle spalle e le copre le mani con le sue, immobilizzandola. Il suo calore la infiamma dall'incavo delle ginocchia fino alla nuca.
«La tua non è una presenza ingombrante.» le alita sul collo, facendola rabbrividire.
«Possiamo fare tutto con lentezza.» le dice, sfiorandole il collo candido con i canini affilati «Puoi imparare di nuovo a stare con me, scoprire come sono cambiato. Io posso passare tranquillamente sopra a quello che è successo.»
«È troppo presto.» prova, ma sa che è inutile. Non è lui quello che le sta parlando, ma la bestia. È la bestia maledetta che ogni tanto riesce a prendere il controllo della sua mente, del suo cuore. È la bestia che un tempo amava, dalla quale lo stesso Imperatore l'ha allontanata.
«Oppure...» le mani scattano, la afferrano e la chiudono tra le braccia, la tengono stretta «Possiamo farlo rapido e violento.»
La bocca cala sulla sua e la lingua le dischiude le labbra. Lei lo spinge indietro, ma lui la prende per i capelli e se la schiaccia contro.
Riesce a liberarsi solo provando a tirargli una ginocchiata all'inguine, che però viene facilmente evitata.
«Se pensi di potermi avere così, di poter far di me la tua puttana... beh, mio caro, ti sbagli di grosso.» ringhia a denti stretti, fissandolo nel suo occhio vermiglio assetato di sangue «Occupati delle tue faccende, Imperatore. Io vado ad occuparmi del ragazzo.»
Non fa però in tempo a raggiungere la porta, che la voce calda e roca dell'Imperatore le giunge alle orecchie, dolce come una melodia «Non mi arrenderò. Ti aspetterò. Ti aspetterò perché sei destinata ad essere mia... e perché per te ne vale la pena.»
Lo guarda per un breve istante, sentendo di nuovo quell'ondata di dolore travolgerle il petto.
Il suo cuore è diviso in due, sanguina copiosamente e sa che il momento di prendere una decisione, quella che sarà definitiva per l'eternità, è sempre più vicina.
Mentre cammina con passo svelto verso la stanza dalla quale sente provenire l'odore di Kakashi, volta per un secondo lo sguardo verso l'esterno. Due uomini stanno giocando a scacchi e il suo cuore si ferma quando uno dei due, alzando involontariamente lo sguardo, afferma sorridendo.
«Scacco alla Regina.»




 
PS: se a qualcuno potesse interessare, questa è la raccolta di Songfic della storia, “Ti dedico una canzone”: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2472835&i=1
  
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