Pedalando a mezzanotte.
E' mezzanotte ed io ho la mia bici blu arrugginita.
Corro nel buio da solo. Pedalo veloce e le tenebre non mi raggiungono, quasi.
Sto ancora cercando una meta, la devo ancora decidere. Per adesso pedalo, e scappo.
Scappo dall’alito caldo della notte che m’insegue e mi sussurra parole cariche d’odio, d’amarezza, di pensieri che ad alta voce nessuno oserebbe mai svelare.
Il caldo mi soffoca e sta per portarmi all’esasperazione, perciò pedalo ancora più veloce. I piedi mi fanno male, e la testa ancora di più.
Sento sulle spalle il carico di uno zaino colmo d’insicurezze e di paure forse infondate o forse no.
Il mio cestino è vuoto, non ho nulla con me. La ruggine mi rattrista e allora quasi rallento preso dal timore di non riuscire ad arrivare a una meta che neanche è stata stabilita.
La bici è vecchia: ha due ruote sgonfie e il sellino un po’ sgangherato. Mi fermo a un semaforo rosso, e riprendo fiato; quel poco che basta per rituffarmi poi nella mia fuga dalle tenebre.
Il futuro, a volte, acceca. Guardo avanti e penso che la luce sia troppo forte e troppo imponente, importante, impressionante.
Quando l’impatto con essa mi porterà nel tenero abbraccio della rassicurazione? Quando tutto ciò che si trova intorno a me, sarà così illuminato da risolvere e chiarire ogni mio dubbio?
La strada è vuota ed io son solo. Pedalo veloce. Pedalo veloce in solitudine.
M’immagino auto blu, rosse e verdi. Ma è solo una vana fantasia del mio subconscio, che mi spinge a desiderare una mano nel pedalare – un piede?
E come un pittore che entra in trance davanti alla sua tela, io mi isolo da ciò che mi circonda e ora neanche il vento mi raggiunge.
Sento un calore dentro di me che si espande e respiro e vivo.
In cielo non ci sono stelle, ma io le posso sentire: percepisco le loro urla, mi chiedono di correre e di andare avanti, di non mollare; le stelle fanno il tifo per me. Ma non m’importa, non ora. Ora devo pedalare.
Mi chiedo dove andrò a finire ma non ci penso troppo; mi pongo delle domande le cui risposte neanche m’interessano.
Ma è a quel punto che cado: un muro, il marciapiede, una macchina che prima non c’era e ora c’è, uno sbando, il piede che scivola.
Sono a terra. Sento che non riuscirò a respirare e allora penso che forse il mio viaggio terminerà lì, incompleto e totalmente inutile. Il vento mi raggiungerà e sarà la fine, una catastrofe.
Poi però il vento stranamente mi si affianca: riprendo a respirare. Sento il mio corpo che si solleva dal suolo, e ora sto fluttuando a due metri da terra. Tre. Quattro. Volo sempre più in alto fin quando la corrente non mi porta davanti un burrone.
La vista è offuscata, i sensi intorpiditi e non bado molto a ciò che mi circonda.
Sto volando. C’è un burrone. La notte mi ha raggiunto. Sono stremato, voglio soltanto chiudere gli occhi. La corsa, la sfida, la meta: nulla di tutto ciò m’interessa più.
Qualcuno mi abbraccia da dietro e un viso si appoggia sulla mia spalla. Un calore piacevole si espande in tutto il mio corpo.
L’ultima cosa che ricordo è il buio.